Dorian
“Signorina, siamo
arrivati.” disse il taxista, girandosi per riscuotere il denaro.
“Sono 98 dollari.”
Annuii, prendendo
il portafoglio e porgendogli le banconote.
“Arrivederci.” lo
salutai, con quel mio accento francese oramai difficile da dissipare.
Scesi dall’auto,
poggiando finalmente i piedi sul suolo e avviandomi velocemente verso il
marciapiede per non essere uccisa da un’ auto.
Le mie ballerine
verdi calpestavano velocemente l’asfalto scuro mentre con passo calmo mi
dirigevo verso il monumento.
Mi inginocchiai lì
davanti, leggendo tutti quei nomi incisi nell’oro, alcuni coperti da peluche e
fiori, da lettere mai aperte piene di parole dolorose.
Molte persone
stavano lì, guardando quei nomi, gli occhi che luccicavano e le mani che
tremavano.
Non potevo nemmeno
immaginare cosa si provasse a perdere un caro in quel modo, a non sapere dove
fosse il suo corpo e a ricevere semplicemente una parte della Torre perduta.
Non sapevo nemmeno
per quale motivo fossi così legata a quel fatto, non conoscevo nessuno che
fosse morto, sapevo solo che volevo andare lì, rendere omaggio a quelle persone
che erano morte senza un vero motivo.
A tutte quelle
persone che quel giorno non pensavano assolutamente di subire un trauma, che
non pensavano che il proprio marito o figlio potesse morire in ufficio.
Posai il non ti
scordar di me lì vicino perché nessuno doveva mai dimenticare cosa era
successo.
Superarlo
emotivamente, certo, ma non dimenticarlo.
Mi alzai e mi
guardai intorno, notando un ragazzo seduto su una panchina, le mani giunte e lo
sguardo rivolto verso terra.
I capelli neri gli
coprivano il volto e sulle ginocchia era poggiato un piccolo foglio.
All’improvviso alzò
lo sguardo e lo puntò su di me.
Essendo molto
vicina riuscii a scorgere ogni particolare del suo viso.
Gli occhi scuri, il
naso dritto, una cicatrice sotto allo zigomo e le labbra chiare.
Mi guardò per pochi
secondi, soffermandosi sul mio viso, per poi abbassare nuovamente lo sguardo.
Non seppi per quale
motivo lo feci ma mi avvicinai, sedendomi accanto a lui.
Alzò lo sguardo
sorpreso, aggrottando le sopracciglia e socchiudendo leggermente le labbra.
“Piacere, sono
Cècil.” sorrisi, tendendogli la mano.
Lui la fissò
indeciso sul da farsi ma alla fine la strinse, mormorando il suo nome.
“Dorian.”
L’imbarazzo si
propagò tra di noi, facendomi arrossire leggermente nonostante il vento
congelato che mi schiaffeggiava il volto.
“Che ci fai qui?
Non sembri di New York.” disse lui, spezzando il silenzio.
“Sono francese, di
Parigi. Sono qui in viaggio.”
Lui annuì,
lasciando cadere il discorso.
Ricordo vagamente
quel giorno, poco dopo mi ero alzata e lo avevo salutato con un bacio sulla
guancia, mormorando il mio cognome.
Ma, dopo tutti
quegli anni, quel viso mi era rimasto impresso nella mente, come tatuato sulla
mia pupilla.
Quegli occhi
annebbiati dalla tristezza erano oramai stampati nel mio cuore e quel nome era
ovunque per me.
Dorian.