Cacciatori e Vittime
1.
Compresi troppo tardi,
nella mia corta vita, che ci sono solo due categorie d’esseri nel mondo: i
Cacciatori e le Vittime. E imparai troppo tardi a quale delle due categorie io
appartenevo.
Troppo tardi.
«Capo, dove cazzo sei!? Qui ci stanno massacrando!» Chiara
urlava nella radio, mentre rumori di pallottole e grida risuonavano nella valle.
La castana sparò contro il ghepardo che stava per azzannarla. Il suo cadavere
venne scavalcato, mentre correva in aiuto dei compagni.
«CAPO!» chiamò ancora, mentre con velocità infilzava una
tigre imbestialita che tentava di ghermire un compagno.
“Correre, correre.” Le foglie erano piccole frustate sugli
occhi di Elisa, mentre correva alla velocità della luce. I suoi compagni
stavano per perire. Dove intervenire.
«Eleonora! Dietro di te!» Chiara salvò la vita all’amica,
che mitragliò un felino dietro di lei. D’un tratto il branco si fermò nell’attaccare,
e si ritirò velocemente.
Chiara, con lo sguardo dubbioso osservava il fuggi fuggi
generale degli animali selvatici, mentre i ragazzi sopravvissuti urlavano di
gioia per la battaglia vinta.
«Questa fuga non mi convince…» mormorò alla compagna dai
capelli neri. Eleonora fece un cenno d’intesa, intuendo i pensieri dell’amica.
«Ragazzi! Aiutate i feriti e torniamo alla base! Coloro che
sono in forze e non trasportano feriti raccolgano più carne che possono!» urlò,
per poi lanciare uno sguardo alla castana.
«La loro resa non mi convince Chiara, meglio battere in
ritirata…» disse.
La castana osservò il cielo, color piombo dal giorno
fatidico dell’esplosione. I suoi occhi castani si mischiarono a quelli azzurri
della compagna.
«Neanche a me. Andiamocene.» e con velocità raggiunse il
battaglione.
La maggior parte dei ragazzi era ormai partita alla volta
della base, solo pochi erano rimasti, per racimolare ancora cibo e aiutare i
superstiti.
Ma, d’un tratto, un urlo stridulo spezzò il silenzio forzato
della foresta.
Eleonora alzò lo sguardo, scorgendo uno stormo di uccelli
neri e zampe affilate dirigersi verso di loro.
«Dannazione, i battaglioni aerei! RITIRATA!» urlò agli
uomini restanti, mentre altri tentavano di sciogliere lo stormo con spari di
mitraglia.
«Non sprecate proiettili, FUGGITE NEI BOSCHI!» Eleonora
intravide Chiara ancora nel mezzo della valle, ad aiutare una giovane ferita ad
una gamba.
«Chiara, và via!» ma il suo richiamo non fece desistere l’amica.
Con la rabbia disegnata sul volto la raggiunse, afferrando la ragazza ferita
caricandola sulle spalle.
«Andiamocene, presto!» urlò la castana, mitragliando gli
uccelli ormai a pochi metri da loro per coprire la compagna.
Eleonora intanto aveva raggiunto un manipolo di ragazzi,
scaricando la ferita e lasciandola a loro.
Con orrore intravide la compagna cadere in mezzo alla valle,
alla mercé dei rapaci.
«CHIARA!».
“Correre, correre” veloce e decisa, l’ordine nella sua mente
rimbombava. La radura ormai a pochi metri da lei, e la sua vista colse i rapaci
in posizione d’attacco. E Chiara ferita a terra.
“Correre, correre… Correre ed attaccare” e il comando
cambiò.
La ragazza dai capelli neri tentò di correre in aiuto dell’amica,
sparando agli uccelli intorno a lei, tentando di darle una via di fuga. Ma non
si alzava, e stringeva con dolore una gamba.
«Chiara, alzati!» urlò, prima di mitragliare un rapace a
pochi metri da lei. l’essere cadde a terra, tra i rantoli del dolore. Eleonora
afferrò il braccio dell’amica per sollevarla, ma si ritrovò sbalzata a terra da
delle forti tenaglie acuminate.
«AH!» urlò dal dolore, il braccio completamente scorticato.
«Eleonora!» la castana l’afferrò, portandola a terra. E
alzando lo sguardo si scoprirono entrambe finite.
I rapaci puntavano a loro, con i loro becchi affilati e le
loro zampe acuminate.
Fu un ruggito a distanziarli da loro.
Un ruggito di rabbia e potenza.
Davanti a loro un essere, né donna né pantera. Il volto
trasfigurato, con tratti animaleschi. Il corpo leggermente deformato e
ingigantito.
Un nuovo ruggito si propagò nella valle, disperdendo
temporaneamente i rapaci nel cielo plumbeo.
«Fuggite!» urlò l’essere, con voce roca e gutturale. Parlare
le risultava faticoso.
Ma Chiara rispose.
«Io non riesco a camminare, ed Eleonora è svenuta!» rispose
trillando, tentando di far rinvenire la compagna dagli occhi azzurri.
“Ele… te ne prego, riprenditi…”
nel cuore un timore mai avuto prima.
Un rumore di ossa scricchiolanti e leggeri rumori ringhianti
le fece levare lo sguardo, trovandosi davanti la vera essenza della bestia: una
donna dai corti capelli scuri e occhi castani.
Afferrò con forza Eleonora, caricandola su di una spalla,
per poi tentare di afferrare anche l’altra, non riuscendoci.
«Va via senza di me, salva lei!» le disse, capendo le
intenzioni della donna. Elisa la guardò, scorgendo nei suoi occhi un timore per
l’amica mai scorto fino a quel momento.
«Va! Te ne prego!» e nei suoi occhi neri scorse la paura. Mista
a lacrime.
Silenzio. E un ricordo doloroso riaffiorò nell’animo della
donna dagli occhi scuri.
«No.» e con quella parola ritentò, prendendole entrambe
sulla schiena.
Di nuovo quel suono di ossa incrociate e ringhi sottomessi.
E Chiara si ritrovò sul dorso di una pantera, con Eleonora
stretta davanti a sé, mentre fuggivano veloci alla base.
I rapaci, riprendendo coraggio però, stavano già ritornando
alla carica, tentando di afferrare le due donne ferite sul dorso del mezzo
animale. Un nuovo ruggito si propagò, ma stavolta non funzionò. L’essere tentò
di disperderli, fuggendo attraverso la vegetazione fitta. Nel verde acceso
della foresta, Elisa tentava di arrivare alla base, unico luogo sicuro.
Raggiunsero in fretta la città vicina, e il grigio del cielo
si mischiò alla terra, rinnovando la maledizione dell’uomo: il cemento.
Correndo per le vie abbandonate e saltando gli ingorghi di macchine arrugginite
raggiunsero il centro, dove a pochi passi stava la base. Gli uccelli erano
ancora su di loro.
“Correre, correre.” Nella mente della donna rimbombava solo
quella parola. E sulla sua schiena sentiva le mani di Chiara stringerla forte,
mentre il corpo di Eleonora stava morto trattenuto dal corpo della compagna.
L’apertura dell’edificio era a pochi metri.
“Correre, correre.” I rapaci continuavano ad attaccarle in
picchiata ed Elisa tentava di correre zigzagando, per evitare i colpi d’artigli.
L’avevano accerchiata, e Chiara stava urlando per i rapaci che tentavano di
ucciderla. Meno male che aveva ancora con sé una pistola. Colpi di proiettile
mandavano urli acuti nella piazzetta, mentre Elisa saltava da una parte all’altra
per aprirsi uno spazio in mezzo alla miriade di piume e becchi acuminati. Poi,
un buco creatogli dalla mora.
Con un balzo Elisa si buttò letteralmente nell’imboccatura,
salvando entrambe le ragazze e se stessa.
«Bravo, Capo! Le hai salvate!» urla di vittoria giovanili si
proruppero nell’entrata. Mentre la donna, tra i rumori di ossa scricchiolanti e
ruggiti trattenuti, ritornava alla forma umana.
«Presto, portale in infermeria!» ordinò la giovane,
autoritaria. Chiara ed Eleonora vennero poste su delle barelle e portate di
corsa nei corridoi.
Pacche amichevoli e urla di vittoria ancora echeggiavano
nell’entrata.
«Silenzio!» urlò. Un urlo selvaggio, autoritario. Con un
leggero sentore animalesco nella voce. E silenzio fu.
«Voglio un rapporto immediato della spedizione.» parlò, per
poi dirigersi a passi sicuri verso la centrale operativa. La donna,
soprannominata Capo, in realtà si chiamava Elisa. Il cognome nessuno lo
conosceva. Aveva solo 23 anni, eppure in quello stabile, era la più vecchia. L’unica
persona che aveva più anni di lei era Amir, il medico di colore, che di anni ne
aveva 26. Non aveva neanche l’intero dottorato in medicina.
Elisa camminava, contornata da ragazzi giovani che parlavano
come soldati.
«Abbiamo perso due ragazzi e una ragazza nello scontro, ma
in compenso abbiamo guadagnato almeno sei cadaveri di felini.» parlò un ragazzo
moro e alto alla sua destra. Una cicatrice profonda deturpava la sua guancia,
finendo fin in fondo al collo.
«Hanno combattuto con onore. Che riposino in pace.» mormorò,
per poi farsi il segno della croce, subito imitata dal resto del gruppo.
Raggiunse un portone, subito aperto da ragazzini, nel salone
un grande tavolo elettronico.
«Giacomo, il rapporto dell’area?» chiese la donna, parlando
ad un giovine dalla cresta viola vestito di un camice troppo grande per lui.
Una catena cingeva il suo collo.
«Abbiamo analizzato i dati che i tuoi combattenti mi hanno
consegnato, e abbiamo scoperto un’altra zona acquifera qui vicino.» rispose,
parlando da una postazione computerizzata.
«Dobbiamo impadronircene il più presto possibile. La nostra
vecchia fonte ormai è quasi prosciugata… Adrian!»
urlò la donna trovandosi subito scattante un ragazzo dai biondi capelli, lunghi
fino alle spalle.
«Agli ordini!» rispose, facendo il saluto militare.
La donna sospirò scocciata.
«Smettila di fare il pagliaccio e ascoltami. Fatti dare le
coordinate della fonte d’acqua da Giacomo, poi prendi una squadra di
ricognizione e d’idraulica e vai a prenderne possesso. Quell’acqua ci serve il
più presto possibile.» ordinò severa. L’uomo fece un cenno d’intesa e corse a
compiere il suo dovere.
Quando raggiunse un enorme tavolo rotondo, si sedette su l’unica
sedia lì vicino.
Sul tavolo un enorme mappa della zona fino ad ora conosciuta
da loro.
Al centro la città, con le vie agibili e quelle bloccate
dalle macchine. Con bandierine rosse le tane dei felini. Quelle verdi le tane
degli erbivori ancora esistenti.
In giallo le altre basi sicure, proprio come quella,
dislocate una nella foresta, ben mimetizzata. L’altra nelle montagne, ingoiata
dalle imboccature tutte uguali. Mentre analizzava con sguardo deciso la mappa
interattiva sentì un rumore di radio.
«Qui parla Amir, Infermeria.» una voce profonda e scura.
La donna sorrise, afferrando il talkie walkie e rispondendo.
«Qui parla Elisa, ti ascolto.» affermò, poi lasciò la presa
sul bottone, aspettando il tono scuro.
«Raggiungimi, ho bisogno di te.» il tono preoccupato dell’uomo
fece dubitare la ragazza, facendola inquietare.
«Arrivo subito.» e con quello abbandonò la sedia per
dirigersi con passo veloce per i corridoi dell’edificio.
I corti capelli scuri, con semplice taglio militare, non faceva
intuire la natura di essi. Gli occhi scuri, castani e profondamente indefiniti
erano indecifrabili. Dei graffi sulla guancia sinistra facevano intuire una
ferita di guerra contro un felino. Il semplice corpetto militare lasciava poco
all’immaginazione. I pantaloni, militari anch’essi, nascondevano armi in ogni
anfratto, e le pistole in bella vista non stonavano con le lame al loro fianco,
ben arpionate al corpo della donna. Gli anfibi ai piedi davano un suono sordo
al suo passo sicuro, e il tintinnio continuo delle lame lo rendeva inquietante.
In apparenza una donna normale, se non fosse per una coda felina che spuntava
dal dietro dei pantaloni, completamente nera.
«Cosa c’è Amir?» domandò la donna, raggiungendo l’uomo su un
paziente urlante e scatenato.
«Non riesco a fermarlo, e i miei aiutanti vengono sbalzati
da lui. Aiutami.» parlò l’uomo con calma, mentre in mano teneva fermo una
siringa ripiena di liquido trasparente.
La donna afferrò con forza le braccia del ragazzo,
bloccandogli le gambe con la presa a forbice. L’uomo fu veloce e preciso nell’iniettare
il calmante e dopo pochi secondi il ragazzo cadde in un sonno profondo.
«Grazie.» rispose cordiale l’uomo, per poi curare il
malessere del ragazzo.
Elisa fissò il ragazzino biondo che aveva bloccato. All’apparenza
aveva 13, forse 14 anni.
“Così stramaledettamente giovani, e già dati in pasto al
mondo…” pensò la donna, indagando le altre barelle, piene. Intravide i capelli
castani di Chiara chini su di una, e decise di raggiungerla.
Chiara stava piangendo, poggiata sul corpo dell’Eleonora
completamente insanguinato. Un braccio completamente martoriato, arrivando fino
alle ossa.
Elisa posò una mano sulla schiena della compagna, facendola
sussultare. E i suoi occhi neri incontrarono quelli color cioccolato.
«Elisa…» mormorò tra le lacrime, per poi tentare di alzarsi.
Ma la gamba ferita le fermò a metà l’azione.
«Sta buona, e non ti preoccupare… sta pure seduta…» e per
cordialità si chinò, arrivando all’altezza dell’amica.
«Elisa… l’Ele… si è sacrificata…
per me…» soffiò tra le lacrime, mentre tentava in tutti i modi di asciugarsi e
di fermarsi. Ma non ci riusciva.
Elisa l’avvolse, prendendola in un abbraccio duro, ma
confortevole.
Chiara scoppiò, piangendo ancora di più, mentre da dietro di
lei Amir indagava il braccio della donna sulla barella.
«Sii sincero Amir.» chiese la mora, parlando da sopra la
testa della compagna castana.
«Come sempre, amica mia.» rispose, sistemandosi gli occhiali
sul setto nasale. Fissò lievemente le condizioni della mora, per poi leggere
una cartella poggiata sul comodino vicino.
«Non è messa bene… ma se la caverà.» parlò poi, mentre con
velocità e sicurezza si metteva i guanti per intervenire.
Chiara sussultò dalla spalla di Elisa, mentre la donna la
guardava sorridendo. Scorgendo nei suoi occhi un sollievo tale da non farla
smettere di piangere. Versava lacrime per un motivo totalmente diverso ora.
Le diede delle leggere pacche sulla spalla per poi
sussurrarle delle parole che fecero strabuzzare i suoi occhi neri:
«Non avere paura di parlare con lei di questo nuovo
sentimento che provi… Non è male, Chiara. È amore. E l’amore non è mai un
errore.» e con quelle parole si alzò, sorridendo alla ragazzina seduta su
quella sedia, con le lacrime agli occhi.
Sorrise di quel sorriso luminoso che pochi potevano
scorgere.
Sorrise di quella luce che raramente si poteva intravedere
nel buio di quella era.
Nel mondo che ora
conosciamo ho visto poca luce, Elisa. Ho pochi ricordi dell’era precedente all’esplosione.
Ma il ricordo più vivo e folgorante è la luce del Sole. Caldo. Avvolgente.
E ti dirò di più… Quel
sole che da anni non vediamo più, io, Elisa, lo vedo ogni volta. Nei tuoi
occhi. Nei tuoi avvolgenti e caldi sorrisi.
E il mio cuore si
spezzava nella domanda che ogni volta m’assaliva.
“Perché quel sorriso
adesso io non lo vedo più?”.
E adesso mi viene da
ridere, perché conosco la risposta.
Ed era solo una
stupidaggine.