Era bello. Non so se soltanto ai miei occhi oppure
agli occhi di tutto il mondo, ma per me era perfetto. Perfetto non nel senso
stretto del termine, perfetto secondo i miei canoni. Aveva il naso un po’
schiacciato, così come il mento e quelle labbra dolci e sporgenti, spesso
incurvate in un sorriso. Lui dormiva, la mia testa poggiata sul suo petto. Lui
dormiva, il battito regolare del suo cuore rimbombava nel silenzio di quella
stanza avvolta nella penombra. Tenevo gli occhi socchiusi, quasi come a voler dormire
anch’io. Tenevo gli occhi socchiusi, senza riuscire a distogliere la mia
attenzione dal suono del suo respiro. Il calore della sua pelle si confondeva
con il mio, il suo odore era ormai dentro di me, in profondità. Sulle labbra
avevo il suo sapore, misto a quello dell’erba e del tabacco che lui stesso
aveva fumato, e non mi dava alcun
fastidio. Un orologio in lontananza ticchettava e le risate soffocate dei
nostri due amici al piano di sopra mi giungevano ovattate e non erano più
importanti. Le sue dita giacevano immobili tra i miei capelli ed io, come esse,
stavo ferma, muovendomi soltanto di tanto in tanto; non volevo che capisse che
in realtà ero sveglia. Ero un’egoista probabilmente, ma mi piaceva osservarlo
senza che lui se ne accorgesse. Tra le sue braccia mi sentivo protetta ed era
una sensazione che non provavo ormai da troppo tempo. Era come se quello fosse
il mio piccolo e personale angolo di paradiso e l’unica cosa che speravo era di
poterci rimanere ancora a lungo.
Avevamo passato l’intera notte a parlare, a
raccontarci pezzi della nostra vita e, anche se non era stato possibile
conoscerci come avrei voluto, mi ero resa conto che era lui quello con cui
avrei voluto passare il resto delle nostre ore insieme. Nessuno mi aveva mai
fatta sentire come mi faceva sentire lui, nessuno mi aveva mai guardata come mi
guardava lui.. era strano, in fondo non era molto di più di uno sconosciuto
incontrato per caso qualche settimana prima, ma era perfetto. Perfetto per me?
Non lo so. Sicuramente perfetto per le storie che avrei scritto dopo quella
notte, perfetto per le mie stupide fantasie da quindicenne delle quali non
potevo fare a meno. Non so cosa mi aspettava, non so neanche se l’avrei più
rivisto dopo quella notte..l’unica certezza che avevo era la vocina che mi
girava per la testa. Forse era soltanto un sogno: forse il giorno dopo mi sarei
risvegliata e mi sarei trovata da sola in quel divano in pelle bianca,
rannicchiata in un angolino e con il mal di testa e l’appetito di ogni mattina;
forse quella notte non era altro che una proiezione della mia mente, uno
scherzo che una coscienza bastarda aveva deciso di farmi. Ecco sì, forse quel
profondo sconvolgimento che stavo provando non era che il desiderio di avere
qualcuno da poter abbracciare nelle notti di luglio, nonostante il caldo
appiccicoso ed il poco spazio, coccolati dal movimento di un vecchio
ventilatore posto accanto alla televisione.
Lui si mosse. La mia mente vagava per mondi
lontani, per ipotesi inconcepibili, e lui si mosse. Alzai appena la testa, in
modo che le mie labbra si potessero poggiare sulla parte inferiore del suo
mento e lì gli lasciai un bacio leggero, delicato. Avrei baciato la sua pelle
per ore intere, mi sarei lasciata pungere da quel po’ di barba che gli colorava
il volto senza indispettirmi mai. Lui era Sam, quel ragazzo che aveva
silenziosamente osservato per interi minuti, quel ragazzo dal sorriso
incredibile, dalle espressioni buffe, quello che faceva ridere tutti.
Continuavo a ripetermi silenziosamente di non farmi troppe fantasie, continuavo
a ripetermi che presto sarebbe arrivato il giorno e con esso l’alba del nostro arrivederci.
Sapevo che ci sarei rimasta fregata, sapevo che avevo sbagliato tutto, eppure
non riuscivo a staccare i miei occhi da lui.
E poi, d’improvviso, fu giorno. Maledetto,
luminoso, inequivocabile, fottutissimo giorno.
Sentii il suo respiro farsi irregolare, sentii le
sue braccia muoversi appena ed i suoi occhi sbattere un paio di volte: si era
svegliato. Sorridendo mi alzai da quel divano, senza guardarlo. Dopo la notte
passata insieme non sapevo come comportarmi, avevo paura che la luce che
proveniva dalla finestra aperta accanto a lui potesse aver cambiato le cose.
Percorsi la stanza a grandi passi, versandomi dell’acqua: lo controllavo
silenziosamente con la coda dell’occhio, sorridendo appena, le labbra nascoste
da un bicchiere di vetro.
Si sedette, mi guardò, sorrise, il mondo
ricominciò a girare.
-Altro che l’America!
Canticchiò senza staccarmi gli occhi di dosso, la
voce assonnata, la mano sinistra poggiata sulla testa. Dio, com’era bello! Mi
avvicinai, passo lento e regolare, e mi fermai davanti a lui, la mano destra
poggiata sul fianco. Sorrise, forse addirittura rise, e prendendomi per il
braccio mi fece abbassare, poggiando le sue labbra sulle mie. Finimmo
nuovamente distesi su quel divano, abbracciati, a giocare, a baciarci, a
prenderci in giro, a vivere quelle ore che ci rimanevano prima che un
maledettissimo treno lo portasse via da me.
Ero felice.
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