1- Salti di pietre
Questa storia partecipa al contest "Six Months": le parole utilizzate sono "sole" e "foglio" nel 2° capitolo
Il luogo che vede l'inizio della storia e ritorna più volte nel corso dei capitoli è questo.
Senza
la lettura di una certa "Vento (una storia di cibo cucinato male)" di
Return_to_Nibelheim, probabilmente questa long non sarebbe mai stata
scritta.
Perciò la ringrazio e gliela dedico, sperando che le piaccia.
Giochi di fate
Salti di pietre
"O sui sentieri
dove corrono le fate..."
(Modena City Ramblers, "Ninna nanna")
Una delle prime mattine di gennaio, qualche giorno dopo il Capodanno,
una bambina stava raccogliendo sassi sulla riva di un lago grigio come
il cielo. Ogni tanto i capelli le si impigliavano tra i rami più
bassi di un albero nero e spoglio lì accanto, spettinandole
l'elaborata acconciatura.
Cercava le pietre più piatte e dai contorni più regolari,
ammucchiandole poi fra le radici dell'albero. Malgrado cercasse di
stare attenta, l'acqua gelida delle onde che lambivano la riva le era
arrivata fino ai geta (¹), bagnandole irrimediabilmente le calze.
Cominciava a sentire i piedi ghiacciati e intirizziti, ma era ben
decisa a non andarsene di lì finché non avesse raccolto
ventiquattro pietre.
Non sapeva esattamente che ora fosse: il sole era nascosto dietro le
nubi grigie che offuscavano il cielo come nebbia, e non riusciva a
calcolare da quanto tempo si trovasse lì. Ma ci avrebbe pensato
più tardi.
Era ormai tutta sudata, sicura che il costoso cappotto che indossava
sarebbe stato decisamente da lavare una volta tornata a casa, ma non
poteva rinunciare proprio ora: le mancavano soltanto quattro pietre per
completare il numero. Poi si sarebbe presentato un altro problema-
ossia come trasportarle fino a casa, visto che le tasche del suo
cappotto non erano molto capienti- ma anche a quello avrebbe pensato
più tardi.
Stava giusto tastando la possibile ventunesima pietra, assicurandosi
che fosse sufficientemente liscia al tatto, quando sentì una
voce chiamarla.
- Nadeshiko, ma che stai facendo? -.
- Ah, Sonomi, arrivi proprio al momento giusto! Ho quasi finito; poi mi
daresti una mano? - rispose allegramente lei, spostando dal viso le
ciocche uscite dalla pettinatura.
- E che stai facendo? - ripeté l'altra, una ragazzina della sua
età che non aveva tutti questi problemi con i capelli, visto che
i suoi erano corti e lisci.
- Raccolgo sassi – spiegò tranquillamente Nadeshiko,
rischiando di perdere l'equilibrio per mostrarle quello che teneva in
mano. Ma riuscì a non cadere, e decise che quella pietra andava
bene. Adesso ne mancavano tre – Me ne servono altre tre
all'incirca come questa: di grandezza simile e abbastanza liscia -.
L'altra non rispose, ma si avvicinò a iniziò a cercare,
schivando agilmente l'acqua che scorreva tra i sassi sulla riva.
- Questo può andar bene? - domandò mostrandogliene uno, e Nadeshiko annuì.
- È perfetto. Mettilo assieme agli altri, sotto l'albero -.
Sonomi obbedì, e in breve trovarono le ultime due pietre che servivano a raggiungere il numero prefissato.
- Senti, ma... si può sapere cosa te ne fai? - domandò poi.
- Dopo te lo mostro. Intanto dobbiamo trovare il modo di portarle tutte a casa; mi aiuti? -.
Sonomi annuì, rassegnata al fatto che la cameriera avrebbe di
certo storto il naso non appena avesse visto le tasche dei loro
cappotti tutte inzaccherate. Tuttavia prese qualche manciata di sassi e
se li infilò in tasca.
- Dai, andiamo. Ero venuta a chiamarti perché fra mezz'ora si mangia -.
Nadeshiko non se lo fece ripetere: raccolse le pietre rimaste e le
tenne fra le braccia, rischiando di farle cadere tutte mentre
raggiungeva la cugina.
Aveva un'aria estremamente soddisfatta e, mentre raggiungevano la casa
del nonno situata a poca distanza dal lago, pensò che non vedeva
l'ora di mettersi al lavoro.
Qualche ora più tardi, ripulitasi e cambiatasi d'abito, con un
nastro giallo fra i capelli, Nadeshiko era intenta a fare degli strani
disegni sulle pietre raccolte.
- Ah, stai copiando questi disegni? - le chiese Sonomi quando la
raggiunse – Non è il libro sulle fate che ti ha regalato
il nonno per Capodanno? -.
Nadeshiko annuì, intingendo il pennello nell'inchiostro indelebile e a prova d'acqua che la cameriera le aveva procurato.
- E quelle che stai dipingendo sono... - lesse di nuovo la pagina che teneva aperta - ... delle rune? -.
- Esatto – gli occhi verdi di Nadeshiko brillavano di entusiasmo, mentre tracciava un segno dopo l'altro.
- E per fare cosa? -.
Nadeshiko alzò lo sguardo, gli occhi che sorridevano.
- Ti va di fare una prova? -.
Sonomi sapeva che, malgrado fosse di cinque mesi più vecchia,
Nadeshiko era molto più ingenua di lei. Lo sapeva già
allora che avevano solo undici anni, e mentre lei si impegnava nello
studio e nello sport con tutta se stessa, sua cugina aveva al massimo
un po' di talento nelle attività artistiche. Eppure, malgrado
ciò, non credeva che al mondo ci fosse una persona migliore di
lei: sapeva bene che era la preferita del nonno e in generale di tutta
la famiglia, ma non ne era mai stata gelosa; semplicemente
perché non si poteva fare altro che volerle bene.
Quella sera, quando i disegni sulle pietre si furono asciugati, si
sistemarono entrambe sul lettone matrimoniale che condividevano in quei
giorni: non che la tenuta Amamiya non disponesse di un'altra stanza da
letto, ma avevano ottenuto di poter dormire insieme, divertendosi un
mondo a chiacchierare finché il pendolo all'entrata non batteva
cupamente la mezzanotte.
- E che cosa sarebbero queste rune? - domandò Sonomi, suo malgrado curiosa.
- Un antico alfabeto europeo: la parola "runa" significa "segreto da sussurrare" -.
- C'è scritto nel libro che ti ha regalato il nonno? -.
Nadeshiko annuì.
- Si utilizzavano per predire il futuro – mosse leggermente il
sacchetto di velluto rosso in cui le aveva infilate –
Perché non proviamo? -.
Sonomi fece spallucce.
- D'accordo, perché no? -.
- Va bene, allora -.
Ne estrassero soltanto una, per poi rimetterla dentro al sacchetto,
scuoterlo un po' e ripetere l'operazione altre due volte. Sonomi
estrasse rispettivamente "Fehu", "Sowulo" e "Raido": Nadeshiko le
rivelò che significavano "lavoro che dà i suoi frutti",
"successo" e "un viaggio".
- In effetti devo andare a Kagoshima per delle gare di atletica – disse Sonomi.
- Beh, in realtà possono essere anche profezie a lungo termine
– le spiegò la cugina – Il "successo" può
anche riferirsi al tuo lavoro futuro -.
L'amica annuì, non molto convinta, anche se parecchi anni
più tardi, quando diventò presidente di una grande
società di giocattoli, non poté fare a meno di ricordare
quella strana profezia fatta con sua cugina in una serata di gennaio.
- E tu, invece? - chiese, al momento parecchio più interessata
alle tre pietre che aveva pescato Nadeshiko, tutte rappresentanti la
stessa runa – Non è strano che ti sia capitata sempre la
stessa? Che cosa significa? -.
- Si chiama "Perdh" e significa... - disse la cugina, leggendo dal suo libro - ... "gioco delle fate, predizione" -.
- Come? E cosa vuol dire? Predizione di cosa? -.
- Questo non lo so – ammise Nadeshiko, per niente delusa –
Può darsi che risulti più chiaro in futuro -.
- Mah... sinceramente preferisco il gioco delle probabilità. È più convincente -.
- Ma come? Lo dici proprio tu, dopo che ti sono capitati dei segni così favorevoli? Non è da tutti, sai? -.
- Dici che sarò fortunata? - domandò Sonomi con un sorriso.
- Assolutamente – annuì convinta Nadeshiko.
- Anche in amore? -.
Ridacchiarono entrambe, visto che sapevano che sarebbero finite di nuovo su quell'argomento.
- A proposito, Sonomi, cosa mi dici di quel senpai che ti piace? -.
- Oh, è sempre più carino. Ma io sono troppo piccola, non mi faccio illusioni -.
- Non dire sciocchezze. Non ti ha inserito nella gara di atletica? Significa che ti trova in gamba, no? -.
Si infilarono entrambe sotto le coperte e Nadeshiko mise il sacchetto
con le rune sotto il cuscino, al sicuro. Vi appoggiò poi la
testa, i lunghi capelli castani che lo ricoprivano completamente.
- Allora? - la incalzò.
- Ecco... mi ha chiesto se durante il viaggio per Kagoshima può sedersi vicino a me... -.
- Lo sapevo! -.
- Ma smettila! - Sonomi le lanciò addosso uno dei cuscini
più piccoli che avevano lì attorno, e Nadeshiko
scoppiò a ridere – Tu piuttosto: che hai detto ai tuoi mille pretendenti? -.
La cugina si strinse nelle spalle.
- Che sono tutti molto simpatici – rispose semplicemente.
Sonomi sbuffò: Nadeshiko era talmente bella che praticamente
ogni giorno trovava un mazzolino di fiori sul banco e la conseguente
dichiarazione di un qualunque ragazzo della sua classe o della scuola.
Eppure non si era mai attirata l'invidia delle compagne, che le
volevano tutte un gran bene. Solo lei poteva riuscirci: a ben pensarci, il suo più grande talento stava nell'arte di farsi amare.
- Andiamo, Nadeshiko: possibile che non te ne piaccia neanche uno? A volte mi viene voglia di picchiarti! -.
- Guarda che l'hai già fatto: quel cuscino è stato una chiara manifestazione di violenza! -.
Sonomi scoppiò a ridere, imitata dalla cugina, ma quando tornò seria insistette:
- Dai, dico sul serio. Possibile che non ti sia mai piaciuto nessuno? -.
- Beh... non dico che non siano carini. O simpatici – Nadeshiko
sembrò pensarci un po' su, mentre la luce soffusa dell'abat-jour
riempiva i suoi capelli di riflessi dorati – Ma... non sono lui -.
- Lui chi? -.
- Lui. Un giorno arriverà, lo so. E sarà amore eterno -.
Sonomi avrebbe sfoderato la più incredula delle espressioni, se non avesse avuto perfettamente chiaro con chi
stava parlando. Da un lato era certa che Nadeshiko sarebbe andata
incontro a una grossa delusione, perché anche se aveva solamente
undici anni sapeva bene che i principi delle fiabe non esistevano nella
vita reale. C'erano tanti ragazzi carini, questo sì, ma erano
tutti perfettamente umani. Eppure, sotto sotto, si augurava che sua
cugina avesse ragione: che per lei potesse esistere davvero una persona così, come quella che stava aspettando.
- Lo spero per te – concluse, ed era sincera.
- Anch'io lo spero per te – mormorò Nadeshiko, che dopo le
fatiche della giornata era ormai piuttosto stanca – Buonanotte -.
- Buonanotte, cugina -.
Il vento soffiava leggero, come un
respiro. Un respiro che si mescolava al suo, mentre si destreggiava
senza fatica tra i sassi sulla riva. Che strano: e pensare che quella
mattina era stata impacciata come al solito, mentre adesso si sentiva
agile quanto Sonomi.
Lanciò un'occhiata all'albero
presso la riva, piacevolmente sorpresa di trovarlo completamente
fiorito, pieno di piccoli boccioli color rosa acceso che non potevano
essere altro che garofani selvatici: non che fosse un'esperta di
botanica, ma i suoi fiori era perfettamente in grado di riconoscerli.
(²) Anche se, da quel che ricordava, avrebbero dovuto fiorire per
terra, e non sugli alberi.
Ma non aveva tempo di pensare a queste cose, adesso. Era lì per un motivo, lo sentiva.
Allentò i cordoncini del
sacchetto di velluto rosso che aveva con sé, aprendolo e tirando
fuori la prima pietra. La lanciò verso le onde, con un ampio
gesto del braccio che non sapeva di essere in grado di fare, facendole
fare due o tre salti sul pelo dell'acqua prima che si inabissasse. Era
una cosa che non le era mai riuscita in vita sua, malgrado sia Sonomi
che suo nonno avessero cercato di insegnargliela.
Ma adesso non aveva tempo per
pensarci. Prese un'altra pietra dal sacchetto, lanciandola come la
precedente: altri tre salti, e poi il nulla. Fece lo stesso con
un'altra decina di sassi, che scomparvero uno dopo l'altro nell'acqua
cheta e grigia.
Non li guardava nemmeno, quando li
prendeva in mano: lanciava e basta. Ma ad un certo punto, la pietra che
aveva appena tirato non si inabissò dopo il terzo salto, ma
continuò a saltare. Saltò tanto a lungo da disegnare una
grande parabola e tornare incredibilmente indietro, tanto che Nadeshiko
mollò il suo sacchetto a terra per riuscire a prenderla al volo.
Fu come se quella pietra le fosse
saltata letteralmente in mano, perché di norma non riusciva ad
acchiappare nemmeno una palla, figurarsi qualcosa di così
piccolo.
Quando la guardò, riconobbe subito il simbolo che lei stessa vi aveva dipinto sopra. Perdh.
- Gioco delle fate, predizione – mormorò – Ma predizione di cos... -.
Non fece in tempo a terminare la
frase che il lago davanti a lei si illuminò, come dall'interno,
rendendo l'acqua quasi argentata. Il cielo si era fatto buio, ma i
fiori sull'albero si aprirono come sotto i raggi del sole più
luminoso, rigogliosi come nel pieno della primavera.
L'aria si popolò di tanti
esseri luminosi, dalle forme vagamente femminili: strani spiriti
avvolti nel fuoco, nell'acqua o nella nebbia; un'altra bizzarra
fanciulla che danzava disseminando fiori, mentre una voce dolcissima,
proveniente da chissà dove, cantava una melodia che non sembrava
affatto umana. Nadeshiko si riempì gli occhi di tutto
ciò, felice come non mai: forse delle fate avevano davvero
iniziato a giocare con lei.
A un tratto, però, intorno a
lei si fece silenzio. E una figura incappucciata si alzò
dall'acqua lì davanti, procedendo verso la riva. Troppo
spaventata per spostarsi, Nadeshiko rimase immobile e inquieta, ma
quell'ombra scura la evitò, avventandosi invece sull'albero
dietro di lei. E vide quegli splendidi fiori rigogliosi farsi grigi,
perdere il loro colore e tutti i petali, finché caddero morti a
terra e l'albero rimase spoglio come quella mattina.
Quella strana figura scomparve,
assieme alle fate e alla luce che aveva illuminato l'acqua. Nadeshiko,
affranta, si avvicinò ai fiori caduti, raccogliendone uno fra le
mani. Era freddo e spento, grigio come una pietra: era morto.
(¹) Geta: sandali tradizionali giapponesi, a infradito e solitamente con la base del piede in legno sostenuta da due listelli
(²) Il nome Nadeshiko significa "garofano selvatico"
Questa storia ha partecipato al "Tournament Contest"
indetto da vogue91, Fabi_Fabi e liliblack. Purtroppo alla fine abbiamo
consegnato solo in due, perciò non è stata stilata alcuna
classifica, anche se ringrazio le giudici per l'accuratezza dei loro
giudizi. Inoltre faccio i complimenti a crimsontriforce, mia unica
compagna di contest.
Nel contest dovevamo ispirarci ad
un'immagine e a degli abbinamenti: i miei erano il giallo chiaro (a
rappresentare la gioia), la runa Perdh (che significa gioco di fate,
predizione), il non-ti-scordar-di-me (a simboleggiare l'amore eterno) e
il corallo (simbolo del sangue e delle origini familiari).
In realtà mi sono poi ispirata anche ad altre rune presenti nei vari prompt.
È una storia un po'
particolare, che parte da un appunto trovato su Wikipedia: il manga di
"Card Captor Sakura" fa pensare che Nadeshiko, madre di Sakura,
possedesse dei poteri che ha poi trasmesso ai figli. Io non ho letto il
manga, ma ho deciso di prendere spunto da questa nota (dato che spiega
perché sia Sakura che Touya possiedano dei poteri magici:
vederli come ereditari ha più senso), immaginando che in effetti
Nadeshiko possa essere entrata in contatto con la magia.
Ipotesi e missing-moment, quindi, per forza di cose.
Spero che vi piaccia! ^^
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