Titolo:
Accidentally In Love
Fandom: Axis
Powers Hetalia
Personaggi:
Italia Romano, America
Genere:
comico, romantichino, fluff; (finto pOrn)
Rating:
giallo
Avvertimenti aggiuntivi:
shonen ai
Prompt:
Italia Romano/America, “casco di banane”;
di margherota
(meme)
Note: titolo
dall'omonima canzone “Accidentally
in Love” dei Counting Crows; perché
una relazione amorosa tra Romano e America può essere solo
“accidentale”. XD
Riassunto: Così lui disse:
“Qual è il problema, baby?”
E l'indicatore di rabbia
di Romano superò di gran lunga il limite massimo di
sicurezza.
“Qual
è il problema? Qual è il problema?!”
ululò l'italiano, calcando per benino sulla frase
incriminante, in un crescendo che di poco mancava l'isterismo.
Accidentally
in Love
Houston, we have a problem
Così lui disse: “Qual è il problema, baby?”
E l'indicatore di rabbia di Romano superò di gran lunga il
limite massimo di sicurezza.
“Qual è il problema? Qual è il problema?!”
ululò l'italiano, calcando per benino sulla frase
incriminante, in un crescendo che di poco mancava l'isterismo.
“Non lo so, qual
è il problema!” sbottò
infine, alzando le braccia al cielo e facendole ricadere a peso morto
un istante dopo lungo i fianchi, senza nemmeno aspettare un'inutile
risposta dell'altro.
Ora, se America avesse avuto anche una minima e microscopica
capacità di leggere l'atmosfera della situazione, avrebbe
capito che si era appena giocato la cena e la serata, se non anche la
nottata e pure la mattinata successiva. D'altronde, il viso rosso di
rabbia e l'espressione irata di Romano, e quelle braccia adesso
incrociate sul petto in segno di “assoluto
diniego”, non davano la possibilità di molti
fraintendimenti.
Si dà il caso, invece, che quella sera il suo cervello, il
suo neurone vagante per precisione, fosse così intento a
progettare altri piani, altre tipologie di divertimento, da aver
praticamente azzerato ogni facoltà atta alla decifrazione di
messaggi, ben poco subliminali, altrui.
Del resto, le sue orecchie avevano ben percepito il “non lo so”,
e il neurone, che aveva ben altro da progettare, aveva archiviato in
tutta fretta quelle tre, piccole, apparentemente innocue parole, come
segno che tutto andava bene. In fondo, se c'è un problema,
ma non si sa qual è, perché perderci dietro
energie fisiche e mentali? Meglio dedicarle a qualcosa per cui ne valga
la pena; tipo il progettino per la serata, ad esempio.
Per America questo è un ragionamento che non faceva una
piega. Per Romano, no.
“Beh, se allora non c'è nessun
problema...”
“Il problema c'è!”
abbaiò d'un tratto l'italiano, facendo un piccolo saltello
sul divano che portò ad una debita distanza tra i due.
Fermi tutti, il neurone solitario ha captato che c'è
qualcosa che non va.
America congelò il sorriso sulle proprie labbra, cominciando
ad avere un terribile sospetto. Il neurone mise in stand-by il suo
progettare instancabile, e si accinse ad operare sul nuovo dilemma,
che, a quanto pareva, riguardava un problema che sembrava non esserci
ma che invece c'era. Complicato.
Arrivato a quel punto, America si rese conto che per attuare il piano A
doveva fare una piccola deviazione, che passava per l'identificazione
del fantomatico “problema”.
Richiamò i muscoli delle gambe, e si sollevò quel
tanto che gli bastava per avvicinarsi di nuovo al ragazzo; una volta
seduto, e annullata l'inopportuna distanza, ebbe anche l'accortezza di
far scivolare il braccio sullo schienale del divano, a pochi centimetri
dalle spalle dell'obiettivo. Rilassò i muscoli della faccia,
chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio sulla ricerca di
un'espressione adeguata allo scopo. Quando li dischiuse appena, la sua
ricerca mentale lo aveva munito di un sereno sorriso, che, a dirla
tutta, faceva molta fatica a non trasformarsi in uno sornione.
"Allora, - iniziò, con la voce più controllata
che gli riusciva. - qual è questo problema?”
Se uno sguardo avesse avuto il potere di uccidere, America adesso
avrebbe dovuto giocare ai videogiochi con l'arcangelo Gabriele. Un
atomo sperduto della sua persona, nascosto in chissà quale
punta dei capelli o unghia del piede, ringraziò di aver
fatto abbastanza esperienza con una certa ex-madrepatria altrettanto
scorbutica.
“Qual è il problema?! Tu osi chiedermi qual è il problema?!”
Gli occhi di Romano saettarono pericolosamente, mentre la colorazione
delle sue guance si faceva sempre più accesa, insieme
all'aumentare esponenziale del tono della voce.
“Il problema sei tu!
- e per dare maggiore enfasi gli piazzò un dito accusatore
dritto in fronte. - E... e... quella robaccia lì!”
Per un attimo America ebbe il fondato timore che gli volesse saltare al
collo, ma non nel modo carino, no, no. Diciamo pure nel modo
“omicida”.
“Quale robaccia?” chiese, il sorriso diventato
titubante.
“Quella che mi hai portato, imbecille!”
soffiò Romano, rosso in viso e indicando con mano tremante
di rabbia l'oggetto in questione.
Istintivamente America seguì con lo sguardo l'indicazione
offertagli, lasciando che gli occhiali gli cadessero sulla punta del
naso. Quando si rivoltò verso l'italiano, il suo faccione
presentava un'espressione sinceramente sorpresa.
“Quelle? Ma se ti piacciono tanto!”
Questa volta Romano scattò in piedi come una molla, offeso
nel profondo. Si posizionò di fronte al suo poco sveglio
interlocutore, gambe divaricate e mani sui fianchi, e un cipiglio sul
volto per nulla rassicurante.
America, quasi senza accorgersene, si appiattì contro lo
schienale del divano.
“Quelle, – scandì con eccessiva calma. -
quelle sono banane. Ba-na-ne.
Gialle, lunghe e schifose banane. Schifosissime giallognole banane
dall'aspetto insano. Tu mi hai portato un intero casco di schifose
banane!”
America provò ad aprire bocca, più per abitudine
che per un bisogno di dire qualcosa di ponderato.
“Ma non ti piacevano?”
Il risultato fu che disse la cosa più cretina che potesse
pronunciare. Il neurone voleva dare le dimissioni.
“A me piacciono i pomodori! Po-mo-do-ri! Quei
cosi tondi e rossi! I pomodori, Dio santissimo! Quelli con cui faccio
il sugo per quei stramaledetti spaghetti che ti divori, troglodita!
Quelli che metto nell'insalata! Quelli che uso per le bruschette!
Diamine! I pomodori! I cosi rossi, non le schifosissime banane gialle,
porco cane!”.
L'ultima volta che America aveva provato un terrore simile, fu quando
per sbaglio il primo numero di Superman finì nelle
prossimità di un camino, acceso. Le strilla indignate del
compagno avevano addirittura fatto drizzare Nantucket dalla paura.
“Beh, ma in fondo siamo lì, come
genere...” provò a scusarsi, la testa sempre
più infognata nel tessuto del divano.
Romano ringhiò, avvicinando pericolosamente il viso.
“Si chiamano frutta,
signor Cretinetti! - sbuffò, dandogli le spalle. - Aaah, ma
che sto a parlare qui con te!”
L'immagine di Romano che si allontanava a passo rapido venne elaborata
con qualche secondo di scarto di troppo. America fece in pratica un
salto da seduto, alzandosi e raggiungendo con due falcate l'italiano.
Deciso a non farselo scappare, lo abbracciò da dietro,
immobilizzandolo. Poggiò dunque il mento sulla testa
dell'altro, trovandosi a pochi centimetri dal naso il suo ricciolo.
I tentativi di opposizione furono totalmente stroncati sul nascere.
“Mollami, cretino!” gli abbaiò contro,
ma, com'era ormai sua abitudine, l'insulto entrò da un
orecchio e uscì dall'altro.
“Banane, pomodori... Che importanza vuoi che abbiano? Ho
commesso una piccola svista, tutto qui.”
Romano bloccò ogni forma di resistenza, e chinò
il capo verso terra. Quando riprese a parlare questa volta il tono era
ben più basso rispetto alle urla sdegnate di poco prima, e
ben più mesto.
“Siete tutti uguali, voi altri. - disse quasi in un sussurro.
- Non riuscite nemmeno a ricordarvi cosa mi piace e cosa no.”
America sentì le mani dell'altro aggrapparsi alle sue
braccia, e il suo naso affondare nella manica dell'orribile giacca. Il
silenzio che seguì dopo quell'esternazione, ebbe il potere
di procurargli un peso non troppo piacevole al livello dello stomaco; e
qualcosa gli diceva che non era fame, quella.
A poco a poco il fardello si sciolse, trasformandosi ben presto in
qualcosa che aveva la vaga sembianza di un latente senso di colpa, che
cominciò a pervadergli il petto sinuoso come fumo,
provocandogli una fastidiosa sensazione di disagio.
No, proprio quello strato di silenzio non gli piaceva; sembrava quasi
accusarlo; di cosa poi...
Sotto le sue braccia Romano tremò. Per un istante ebbe
timore che stesse sul punto di piangere.
No no, non andava per nulla bene. Gli eroi non devono far
piangere; per non parlare del piano A che stava andando a farsi
friggere. Urgeva un'idea...
Il ciuffo moro gli cadde sotto gli occhi, provvidenziale. America
soffocò una risatina di giubilo.
“Beh, magari non riesco a ricordarmi che ti
piacciono i pomodori... - liberò un braccio, alzandolo e
poggiando la mano sulla testa del piccolo burbero - …ma
conosco un'altra cosa che ti potrebbe piacere...”
Due dita andarono a stringere con delicatezza la base del ciuffo; la
stretta delle mani sul suo braccio si fece di colpo più
forte. America inspirò il profumo dei capelli di Romano, e
cominciò a percorrere lentamente la sagoma di quel ciuffo
tanto speciale. Ripeté il gesto più volte, su e
giù, con lentezza esasperante, avendo ben cura di
attorcigliare l'indice lì dove c'era quel bellissimo
ricciolo.
Romano alzò la testa, fino ad appoggiarla sul suo petto.
“Scemo.” biascicò, gli occhi socchiusi.
America gli stampò un bacio rumoroso sull'orecchio, mentre
l'altra mano si dedicava all'esplorazione del bordo dei pantaloni.
Il neurone solitario esultò. Il fallimento del piano A era
stato scongiurato.
*
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