Nel centro nevralgico dell’Istituto CLAMP, la sala computer nei sotterranei dello stabile principale
dell’amministrazione, tutto era in silenzio, tranne per il ticchettio di dita
che premevano speditamente tasti, il raro bip di qualche macchina, e, di quando
in quando, un teso scambio di parole. Ma l’aria vibrava di pericolo, di una
minaccia incombente, tangibile come se esplosioni, fiamme e detriti
infrangessero quel silenzio. Akira si girò nel suo
sedile e alzò lo sguardo, ad occhi sgranati, dal suo terminal. “Così non va.”
disse. “Non so come, ma sono riusciti a stabilire una connessione. Sono già in
rete!” Suoh imprecò, ma i suoi occhi non si mossero dal suo schermo. “Non è un normale hacker.” mormorò.
“In teoria, nessun esterno dovrebbe poter entrare in comunicazione con questo sistema. E chiunque
sia, dovrebbe prima rovesciare i nostri programmi di protezione. Non riesco
veramente a capire come- maledizione! Mi hanno tagliato fuori questa postazione!
Ijyuin…” “Io ci sono ancora.” Le
dita di Akira volavano sulla tastiera mentre Suoh saltava giù dalla sua ormai
inutilizzabile postazione pc per raggiungerne un’altra. “Sto cercando di
bloccare l’ID che sta usando, ma se quello riesce a disconnettermi…”
“Non me la farà un’altra volta.” Suoh batté i pugni sulla scrivania. “Rijichou, dobbiamo staccare il
sistema. Dobbiamo staccarlo del tutto, ora, prima che…” “No.” Dall’ombra del
seggio del Direttore quello sguardo azzurro cielo, diretto e insolitamente
serio, incontrò il suo. “Questo sistema costituisce il cuore delle difese che
proteggono la Shinken: se lo chiudiamo adesso, tutte quelle difese crolleranno.
Il nostro unico compito in questa guerra è quello di proteggere quella Spada per
Kamui, per il giorno che deve ancora venire. E dunque dobbiamo fare tutto quel
che possiamo per…” Dita eleganti si chiusero
sul casco a visiera appoggiato sulle gambe del Direttore, sulle volute
barocche d’argento che rilucevano stranamente. Akira lo fissò ad occhi
spalancati, Suoh s’irrigidì: nessuno di loro aveva ancora notato quel
dispositivo. “No, Rijichou! Non puoi
farlo! I rischi…” “Temo” lo interruppe
Nokoru, con voce calmissima. “Temo che non abbiamo molte altre scelte, Suoh.”
Magician
una fanfiction su X e CLAMP Detective
di Natalie Baan
(traduzione di Shu)
Parte prima
Quasi pigramente, Satsuki
osservava lo scorrere del flusso di dati, simile ad un esercito di formiche che
marciava su per una collina. Percepiti nell’ottica dei computer, apparivano
come impulsi accesi o spenti, alternanze di presenza e assenza che la mente
umana di lei registrava come luce e buio. Vi scivolò dentro, un aggregato più
grande di sfavillanti pixel connesso da cavi di volontà al computer che
l’aspettava fuori dal firewall. Quel network utilizzava un protocollo singolare,
straordinariamente labirintico, un protocollo con il quale Beast non sarebbe mai
stato in grado di stabilire una connessione. Ma lei sì. In un certo senso, era
quasi delusa che la sfida non fosse durata più a lungo. Oh, certo, era
rimasta abbastanza sorpresa quando aveva tagliato fuori quel terminal
dell’amministrazione solo per scoprire che qualcun altro aveva già ripreso il
controllo del sistema… Si chiese se avessero qualcosa tipo un ponte di comando
laggiù, con gente che correva avanti e indietro gridando ordini, come nei film.
Lontano dallo strato superficiale della sua coscienza e solo vagamente
percepito, un angolo delle sue labbra s’incurvò verso l’alto dietro il visore
che aveva applicato sul volto. Alla fine, non importava quanti uomini avessero
laggiù: erano comunque soltanto uomini. Cosa potevano fare quando i loro
computer si aprivano a lei in adorazione, quando i loro stessi programmi si
rivoltavano loro contro per obbedire al suo volere? Se avessero staccato il
sistema, tutte le difese attorno alla Shinken avrebbero smesso di funzionare; se
lo avessero tenuto online, e lei lo avesse interamente espugnato, avrebbe avuto
in mano la chiave del più recondito dei segreti dell’Istituto. Qualsiasi cosa avessero fatto i difensori
dell’Istituto CLAMP, i Draghi della Terra avrebbero raggiunto il loro obiettivo.
Aveva sempre trovato affascinanti i paradossi di questo tipo.
Ad ogni modo, adesso era il momento di fare sul serio. Si era praticamente già impadronita di buona parte
del sistema, escluse le ultime prerogative amministrative –ma anche quelle non
sarebbero state troppo difficili da ottenere. Anche se potente, intelligente,
ben tenuto e ben protetto, quello era comunque un sistema che risaliva a un bel
po’ di tempo addietro, minato da anni d’infiltrazioni di hacker e tentativi di
incursioni che avevano finito per renderlo poroso come corallo per lei. Non come
il suo Beast, progettato per autoevolversi, per eliminare stringhe di
codificazione inutili ogni volta che gli venivano aggiunte nuove potenzialità,
per mantenersi costantemente efficiente nella sua perfetta, dinamica eleganza…
Lontano, Beast fece udire un borbottio di piacere per quel pensiero di lei.
Satsuki rispose con una virtuale carezza per il suo adorato supercomputer, e poi
riprese a spingersi ancora più avanti all’interno della struttura, cingendo con
quelle che percepiva come le sue ‘braccia’ il cuore del sistema operativo
dell’Istituto CLAMP, pronta ad entrare in comunicazione con esso, a immergervisi
–e si buttò a testa bassa contro quello che appariva come un invalicabile,
sfolgorante muro di luce solida. ::ACCESSO NEGATO::
disse il sistema. Lo shock di quella risposta
la respinse violentemente indietro sui suoi virtuali tacchi. Allontanandosi un
poco, esaminò quella misteriosa entità che era apparsa senza alcun preavviso a
bloccarle la strada. Scintillava come tutti gli altri ammassi di byte, ma dietro
quella superficie non riusciva a scorgere nulla; dove di solito era in grado di
percepire la densa, criptica trama del codice che costituiva un programma, qui
quell’ente sembrava tutto d’un pezzo, impenetrabile. Percorrendolo con la mente,
tutto quello che riuscì ad avvertire fu la vaga sensazione di una presenza –di
qualcosa che le rifletteva confusamente indietro la sua stessa immagine, come
uno specchio mal argentato. “Che roba è, Beast?” chiese, inviando al
computer i pochi dati che aveva raccolto, e non fu troppo sorpresa quando le
rispose con un TIPOLOGIA SCONOSCIUTA. Non somigliava a
niente che avesse mai visto prima –ed era sicura di aver visto praticamente di
tutto. Gli inviò un rapido input, giusto per vedere la reazione del custode, e
stette a guardare la sua richiesta attraversare in un lampo lo spazio fra di
loro. Svanì in quel muro di luce, e Satsuki restò in attesa. Niente.
Si accigliò. Più che tentava di definire cosa fosse, più che le sfuggiva: anche i suoi contorni più
generici parevano eludere la sua presa. Si avvicinò con prudenza, si sporse,
tentò di toccarlo, sussurrandogli tutte quelle stesse parole affettuose che
avevano fatto cadere in suo potere tanti programmi, ma la sua volontà sembrava
scivolare su quell’essere senza alcuna influenza o almeno una qualsiasi
reazione, come se il suo potere di parlare a qualunque hardware o software non
avesse su di esso nessunissimo effetto. Con maggiore audacia, si spinse di nuovo
contro il muro, come a volersi aprire la strada con la forza; ma in un fulmineo
sbalzo si ritrovò ancora una volta respinta.
::ACCESSO NEGATO::
“Direi che sei un po’ un problema, non è vero?”
borbottò. Allontanandosi dal firewall, rivolse lo sguardo ai dati degli utenti
di cui si era impadronita, e li usò per crearsi intorno un nuovo livello di
copertura. Sotto una diversa identità, tornò a piombare all’attacco della
directory principale, passando per un altro percorso –ed eccolo, era ancora lì,
questa volta nel sistema esterno, in attesa, pronto ad affrontarla.
::ACCESSO NEGATO::
E poi aggiunse, a mo’ di spiegazione: ::INGRESSO NON AUTORIZZATO::
“Beh, almeno ti sei degnato
di darmi una motivazione.” Sospirando dentro di sé, Satsuki ricominciò ad
allontanarsi dal custode, ma stavolta esso la seguì, per tutta la strada fino
all’ingresso dell’intranet, mantenendosi sempre alla stessa identica distanza da
lei, continuando ad osservarla. Trovava un po’inquietante tutta
quell’attenzione; non sembrava uno di quei programmi che fanno fuori gli intrusi
–per quanto ne sapeva, esistevano solo in quei ridicoli romanzetti cyberpunk-
ma si stava mostrando maledettamente un po’ troppo interessato ai suoi
movimenti. E, ora che ci pensava, l’identità che aveva assunto questa volta di
regola avrebbe dovuto avere piena libertà in quella parte del sistema: e allora
perché quel coso continuava a tormentarla? “Io sono
autorizzata.” comunicò al programma. “Sciò, via, vattene.” Controllò due volte
la lista degli utenti del sistema e confermò che il suo accesso era consentito,
ma il guardiano non sembrava convinto: probabilmente lavorava sulla base di dati differenti.
Osservandolo più da vicino, Satsuki poté vedere una rete di
finissimi cavi di connessione, animati di luce cangiante come seta, che
partivano da dietro il muro e poi si perdevano presumibilmente nel nucleo del
sistema. Azzardò un input di prova verso uno di quei cavi, ma le rimbalzò
indietro, ritirandosi come risacca, come se l’interesse che aveva comunicato in
quella domanda fosse stato null’altro che un venticello leggero.
::NOME UTENTE?:: chiese all’improvviso il
sistema, con fare inquisitivo. Satsuki trasalì. Il
guardiano aveva cambiato atteggiamento, passando dal bloccare passivamente tutto
all’interazione diretta e al raccogliere informazioni, e la ragazza si chiese in
che razza di trappola cervellotica si fosse imbattuta. Lettera per lettera
digitò CHUUSONJI, l’account che aveva
provato a utilizzare, e inviò l’ID al sistema. Era una cosa che le dava
veramente sui nervi: come se proprio non potesse in alcun modo leggere dentro il
guardiano, quello non sembrava in grado di parlarle direttamente…
::ERRORE:: ::NOME UTENTE?::
Accidenti –era riuscita a sbagliare a scrivere il nome?
Proprio un bel momento per uno stupido scivolone come quello! Satsuki reinserì
il nome, con molta attenzione e senza fretta, ricontrollandolo due volte per
essere sicura di averlo digitato correttamente.
::ERRORE:: ::NOME UTENTE NON VALIDO PER QUESTO UTENTE::
::NOME UTENTE?:: “Cosa?” Satsuki fu
sul punto di perdere il collegamento col sistema operativo dell’Istituto CLAMP
da quanto il suo corpo lontano sobbalzò contro i cavi che lo trattenevano.
Allarmato, Beast le inviò un affettuoso messaggio d’allerta, ma lei lo rifiutò,
cercando di riprendere il controllo di se stessa dopo lo shock. Come poteva un programma
essere capace di fare la distinzione tra il nome di un utente e la persona che
effettivamente c’era dietro? Come poteva sapere che non era chi diceva di essere?
Nervosa come non lo era mai, ebbe un attimo d’esitazione, e questo nel mondo dei computer, che ragionava
a microsecondi, equivaleva ad un’eternità. Il guardiano attendeva pazientemente
un responso. E alla fine, presa in un inestricabile, tumultuoso groviglio di
riluttanza ed eccitazione, digitò lentamente la sua risposta.
SATSUKI E dopo un guizzo di
elaborazione, durante il quale lei trattenne il respiro, chiedendosi sull’orlo
di quale precipizio si trovasse, e se avesse appena commesso un errore, oppure
no, il programma rispose: ::UTENTE “SATSUKI” IDENTIFICATO::
::ACCESSO NEGATO:: Satsuki boccheggiò per il
colpo inatteso, e si ritrovò definitivamente buttata fuori dal sistema. Ricadde
nel suo sedile, nel gelido sotterraneo del Palazzo del Governo, ritornando ad
essere completamente di carne e sangue. “Merda!” Riprendendo respiro, si
sollevò dalla faccia lo schermo a visiera, e, pensosa, fissò gli occhi nel
vuoto, mentre intorno a lei Beast rombava e borbottava in piena agitazione. Era
stata così troppo a lungo distratta da quell’enigmatico programma che aveva
lasciato agli operatori del sistema il tempo di sbatterla fuori… beh, non
importava. Avrebbe potuto rientrarvi abbastanza facilmente anche un’altra volta,
soprattutto adesso che aveva trovato là una cosa che la interessava ancora di
più della sua missione originaria. Gli occhi di Satsuki si
fecero stretti, le sue dita giocherellavano senza posa sul bracciolo del sedile.
Come mai provava una sensazione così particolare riguardo a quel programma?
*****
“Rijichou!”
Nello stesso istante in cui il suo terminal tornò online, Suoh lo abbandonò, balzando al di là della
ringhiera per correre al fianco del suo Direttore. Sollevò delicatamente il
casco dai capelli dorati, e il cuore gli diede un improvviso, violento scarto
alla vista di quel volto pallido, di quegli occhi chiusi, delle mascelle serrate
dell’uomo, che apparve quando lo schermo a visiera fu rimosso; il sudore si
mescolava a stille di sangue nei punti in cui i contatti del visore avevano
trapassato la pelle… Le dita di Nokoru erano contratte, le unghie affondate nei
braccioli della poltroncina; poi i suoi occhi si spalancarono, e subito
cominciarono ad agitarsi, a correre qua e là freneticamente, senza vedere
–troppo, troppo velocemente, come quelli di qualcuno intrappolato in un sogno.
Posando il casco con un misto di premura e disgusto, Suoh afferrò il Direttore
per i polsi e strinse forte, finché gli occhi di Nokoru rallentarono la loro
fuga convulsa per fissarsi nei suoi. E alla fine Nokoru si lasciò cadere nella
sua poltrona di pelle, ogni traccia di rigidità gli abbandonò il corpo. Suoh
sentì le sue mani tremare ancora leggermente. “Ce l’abbiamo…?”
Suoh fece udire un leggero suono affermativo, e dietro di lui Akira aggiunse: “L’intruso se n’è andato,
Rijichou, e sono riuscito a riportare tutti i nostri terminal nel sistema.
Adesso inserisco un livello supplementare di password…”
“Non li terrà lontani per molto.” mormorò Nokoru, e le dita di Suoh s’irrigidirono contro le mani del suo
superiore. “Non pensarci neanche a farlo un’altra volta.” disse, con una nota d’asprezza.
“Invece può essere che debba farlo, Suoh.” I suoi occhi blu tornarono a fissarsi su di lui, le pupille
scure e dilatate, molto più di quanto avrebbero dovuto esserlo anche nella luce
bassa della sala computer. Le pulsazioni che battevano rapide sotto le dita di
Suoh erano appena percettibili, e decisamente troppo veloci. “Anche se posso
assicurarti che non è proprio il genere di avventura che muoio dalla voglia di
fare.” Lo sguardo di Nokoru si spostò un poco per includere nel campo visivo
anche Akira, che li stava fissando pieno di ansia. “Credo che sarebbe meglio non
lasciare la sala computer ancora per un bel po’.” continuò tranquillamente. “E
sarebbe meglio anche chiamare Kamui, perché ci sia anche lui. E’ possibile che
debba riprendere la Spada Sacra prima di quanto pensassimo.”
*****
“Non riesco ancora a vedere
niente, Beast.” sospirò Satsuki frustrata, e, lasciandosi dietro un groviglio di
file danneggiati, continuò a sondare il cuore del sistema. Avrebbe potuto essere
molto più discreta nel penetrarvi, ma veramente non ne vedeva l’utilità. Visto
che gli stessi computer le obbedivano, gli operatori del sistema non la potevano
bloccare, non senza l’aiuto di quell’ entità di cui sperava di attirare
l’attenzione… e poi una familiare, oscura presenza puntò la sua ombraluce sui
suoi sensi, quasi in un segnale d’attacco. “Ah.”
Satsuki arrivò ad un punto di arresto nel rapido flusso di byte: oltre i dati e lo spazio vuoto, il custode
si ergeva per affrontarla. Gli inviò ancora una volta un input per vedere come
reagiva. ::UTENTE “SATSUKI” IDENTIFICATO::
::ACCESSO NEGATO:: Satsuki s’irrigidì. Era
entrata sotto una diversa identità, non c’era niente che la indicasse come lo
stesso intruso dell’altra volta, eppure il programma sapeva –o forse
semplicemente sospettava- che era lei. E in un certo senso, la seconda
possibilità era ancora più inquietante. C’era un che di quasi intuitivo nel modo
in cui l’aveva identificata, una sfuocata supposizione, qualcosa di molto, molto
simile al sesto senso umano… “IA. E’ quello che dobbiamo
aspettarci da lui. Beast, sai cosa significa questo?” Il computer le rispose con
un’altra domanda. “Che se gli Imonoyama hanno creato un’intelligenza artificiale
come questa… Non ho mai visto niente di simile. Dobbiamo impadronircene.” Beast
brontolò una meccanica protesta. “Non fare lo stupido, tesoro” sussurrò lei,
riportando i suoi pensieri sul computer per coccolarlo un po’; ma intanto
continuava a analizzare il programma con avido, quasi famelico interesse. “Non è
per sostituirti. Ma se riuscissimo a capire cosa contiene –se riuscissi a
copiare le sue funzionalità e aggiungerle alle tue…” Ma come poteva farlo quando
non era nemmeno in grado di entrare nel programma, quando non riusciva a trovare
una sola estremità di stringa di codificazione slacciata da cui cominciare a
sbrogliare il tutto? Maledizione, non riusciva nemmeno a vedere il
codice… Si chiese se fosse il fatto che si trattava di un’intelligenza
artificiale quello che intralciava la sua capacità di comunicare. Anche lo
stesso Beast era un’ IA, seppur limitata, e lo trovava perfettamente
accessibile, però dopotutto l’aveva costruito lei… Tutto quel ragionare non la
portava da nessuna parte, decise, e più che rimaneva lì, più aumentavano le
probabilità che qualche operatore umano tentasse di nuovo di buttarla fuori dal
sistema. Bombardò il programma con una grandinata di domande, chiedendo
informazioni, e non ottenne nessun dato, se non la sua stessa analisi del tempo
di risposta del programma, che era davvero buono, e ancora una volta un
::ACCESSO NEGATO::. “Non ha una gran personalità, no?” bisbigliò a Beast, che continuava a tenerle
il broncio per distrarla. Poi, un pensiero la bloccò. Era ovvio che quello fosse
un esemplare di programma straordinariamente complesso, ma fino ad allora le
aveva dato solo le risposte più striminzite. Qual era il motivo
per cui una vera intelligenza artificiale come quella non era in grado di
comunicare in modo più elaborato? “Oh” sussurrò tra sé e sé
“è il sistema.” Il sistema dell’Istituto CLAMP, anche se poteva a buon
diritto definirsi sofisticato, mancava evidentemente di un appropriato
interfaccia per quel programma. Le sembrava più che ovvio che esso non
appartenesse a quell’ambiente –la flessibilità e la capacità di apprendimento
tipiche di un’IA gli permettevano di funzionare abbastanza bene, ma
originariamente doveva essere stato progettato per qualcos’altro. Satsuki fece
un sorrisetto compiaciuto quando la chiara, affascinante semplicità della
soluzione le si affacciò alla mente. Radunandosi intorno quei nastri di luce
fluttuanti di concentrazione, lasciandoli avvolgere in fuori in pigri archi,
stese una trama di scintillanti cerchi concatenati tra loro sull’interfaccia del
sistema, imponendogli la propria struttura del reale; nello stesso tempo, fuse
la sua volontà con uno dei programmi di trasferimento dati del sistema, e lo usò
per aprirsi un varco verso il mondo esterno. Rivolse i suoi poteri speciali
tutto intorno ad esso, espandendo la funzionalità del sistema, dirigendolo verso
il suo obiettivo: questo, questo era quello che voleva…
Il programma segnalava che era pronto, e lei gli impartì un comando.
COPIA
*****
“Imonoyama-san?” Kamui si protese in avanti, ma fu bloccato dal braccio
teso di Subaru; rivolse lo sguardo, gli occhi spalancati, oltre le spalle
dell’onmyouji. I due assistenti del Direttore si erano lanciati come un sol uomo
verso la figura seduta sulla poltrona nell’ombra. Il corpo di Imonoyama si
contorse in uno spasmo selvaggio, come un colpo apoplettico, e poi crollò,
scivolando di lato. “Rijichou!”
Afferrando il corpo del Direttore, Suoh lo estrasse dal sedile e lo sollevò,
adagiandolo poi con delicatezza e attenzione sul pavimento. Stava per togliere
il casco che nascondeva quel viso, quando Subaru venne avanti e gli afferrò il
braccio. “Cosa…!” “Non interrompere la
connessione.” Suoh lo guardò con negli occhi una fiamma angosciata, ma
l’onmyouji sembrò indifferente alla sua rabbia. Invece fissò intensamente
Imonoyama, lo sguardo stranamente sfuocato. “La sua anima è stata portata via…”
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