Quel giorno, uno come tanti, una
lettera. Come mi avesse localizzato, mistero.
Perché lo avesse fatto, dopo tanti anni di silenzio, una mezza idea.
Non la aprii neanche, finì nel fuoco in un batter
d’occhio. Era stata una fortuna che lei non si fosse trovata al mio
fianco nell’esatto istante in cui arrivò. Sarebbe stata
sconcertata forse, curiosa di sicuro.
Se non avessi saputo l’identità del mittente anche io forse sarei stato interessato a scoprirne
il contenuto. Siccome invece sapevo chi me la mandava, non volevo in nessuna
maniera essere reso partecipe di nulla che riguardasse quella persona.
Avevo avuto sedici lunghi anni per conoscerla, ed erano
stati sufficienti. Me ne ero andato, quando nulla più mi legava al luogo
della mia fanciullezza, per non doverla mai più vedere.
Così com’era arrivata la prima, altre lettere
si materializzarono nelle mani delle cameriere delle varie osterie
dove alloggiavamo. Una persecuzione in perfetto stile.
Non fui fortunato sempre e lei vide alcune di quelle
missive. Cercai di fare il vago ma lei aveva l’occhio lungo ed era
veramente intelligente come si vantava di essere. Le osservò arrivare e
venir gettate. Seguì il mio comportamento con sguardo pensoso. Non disse
nè chiese mai nulla e neppure commentò
in alcun modo quando stracciai l’ultima della serie con violenza.
Poi un giorno, eccolo. In persona. A stento lo riconobbi, quell’uomo, quel vecchio che mi sbarrava il
cammino. Lo ricordavo grande e imponente, i corti capelli dorati scintillanti
al sole e i profondi occhi castani dallo sguardo fiero. E la bocca, quella era
il dettaglio che maggiormente era rimasto nella mia memoria, sempre tirata in
una linea dura, vagamente disgustata quando il suo sguardo si posava su di me.
Mio padre. Il grande feudatario, condottiero feroce e
implacabile. Le sue punizioni durissime, il suo volere, legge assoluta e
indiscutibile.
L’amore per il suo figlio
primogenito sconfinato, quello per il figlio cadetto appena percepibile.
Eccolo qui, il mio genitore. Mi guarda serio e rigido da
sotto le folte sopracciglia ormai incanutite. Mi ha cercato a lungo, mi ha
braccato e ora sono finalmente di fronte a lui. Il suo secondogenito,
l’unico figlio maschio rimastogli.
Il figlio svagato, dal cuore tenero, la femminuccia. Il
cocco di mamma. La fonte infinita di delusioni.
Il ladro.
Mi osserva in silenzio, guarda il mio corpo, scruta il mio
viso. Forse cerca in me le tracce di mio fratello, il figlio diletto o forse
rivede sua moglie nei miei occhi chiari, così diversi dai suoi. Ma poi parla, con voce roca, dice che non è venuto
per me, per vedere come stavo. Per sapere se ero vivo. E’ qui
perché gli servo, perché solo io rimango della sua progenie. La
sua seconda moglie gli ha dato solo femmine e a malincuore lui è partito
per trovare me. L’erede, suo malgrado.
Mi ordina, questo vecchio, di
seguirlo nel nostro feudo. Farà di me un nobile condottiero,
laverà l’onta del lavoro di mercenario e della vita vagabonda che
ha infangato il nostro buon nome. Soprattutto allontanerà da me la
strega con cui viaggio e che mi ha plagiato la mente.
Lui lo ha sempre saputo che il
bambino, così mi chiamava da piccolo, era debole di intelletto, lo
capiva guardandolo rincorrere le farfalle e perdersi in fantasticherie. Ne
aveva la certezza quando non reagiva alle provocazioni del fratello e finiva
col prenderle tutte le volte. Aveva un discreto talento con la spada ma
ringraziava gli Dei che non fosse il primogenito.
L’uomo che ho di fronte, mio padre, il vecchio, non mi
ha mai visto per davvero. Né mi vede adesso. Pretende che sia la sua
marionetta, che mi pieghi al suo volere come tutti i suoi sottoposti fanno.
Allunga il braccio e mi strattona, come un uomo spazientito dai capricci del
figlio.
Lina, che ha osservato la scena e non ha reagito neanche quando
si è sentita chiamare “strega”, si sta avvicinando. Il suo
corpo trema di ira repressa e la sua aura furibonda
è chiaramente percepibile anche a distanza. Non interviene, si mette
solo al mio fianco, trattenendosi. Lei capisce, sa che devo affrontarlo da solo,
mio padre.
Per la prima volta apro bocca anche io
e l’uomo che mi ha generato spalanca gli occhi, stupito.
Indispettito dalla mia insubordinazione.
Guardami, padre, sono un uomo
adulto. Ho dei valori, degli ideali. Viaggio con una donna che amo e per la
quale darei la vita.
Guardami, padre. Non sono il
ragazzino dolce che ricordi, sono un guerriero. Eppure ho fatto miei gli
insegnamenti di mia madre, e di sua madre.
Ho conosciuto la lotta e il dolore. Ho conosciuto le risate
e l’allegria.
Guardami padre, guarda la persona che sono.
Non dico nulla di tutto ciò, gli chiedo semplicemente
di lasciarmi andare. Lo guardo in volto, serio e determinato e lui mi fissa di
rimando. Non una parola tra noi.
Metto una mano sulla spalla a Lina, avvicinandola a me.
E il vecchio mi lascia il braccio, spuntando a terra.
Troverà un altro modo per il suo feudo, avrà
un’altra moglie, avrà un altro figlio.
Ha provato a riprendermi, controvoglia, pensando di trovare
quello che credeva fossi.
Un inetto, forse, un debole bamboccio da comandare.
Avrebbe potuto farmi arrestare dalle sue guardie, avrebbe
anche potuto uccidermi.
Eppure, nonostante non mi ami, mi ha lasciato andare.
Mi volta le spalle, mio padre. La schiena dritta e rigida,
la postura dell’uomo che è abituato a
comandare e a farsi obbedire.
Dirà che non mi ha trovato, che l’uomo che
accompagna la strega non sono io.
Dirà che anche il suo secondogenito è morto,
chissà quando, chissà dove.
E non mi cercherà mai più.
Un giorno, forse, un giovane Gabriev
erediterà un feudo importante. Gli verrà
detto che i primi figli di suo padre sono morti. Il primo era un valoroso
condottiero, il secondo un ladro.
Per il primo ci sarà un giorno in cui piangere, del
secondo invece non sarà fatta altra menzione.
E sarà meglio così.