una mattina, come tutte le altre

di Astrid 5E
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 Faccio in tempo ad addormentarmi che è già l’alba di un nuovo giorno.
Il sole sorge pian piano dal mare e tutto il paese, poco a poco illuminato dalla tenue luce, inizia a risvegliarsi.
Dalla finestra si sentono le prime saracinesche alzarsi, rumori accompagnati dall’eco dei gabbiani che urlano, tornando dalla costa con dei molluschi tra le zampe, appartenenti agli aguzzi scogli neri della costa, contro i quali qualche onda ricomincia a sbattere più forte.
È l’alba ma non mi voglio alzare.
È l’alba e, come tutti, anche io ho il dovere di svegliarmi, ma non  voglio.
Un raggio passa tra la serranda e mi acceca, nonostante io sia girato dall’altra parte, riflettendo sullo specchio,  sopra il comò.
Infastidito  strizzo gli occhi. Ormai sono sveglio. Tanto vale alzarsi.
Mentre la rete cigola sotto il mio peso, sento i gabbiani che attraversano tutto il paesello per dirigersi nella foresta, dove si cominciano a riconoscere, tra i rumori e i mormorii della selva, i primi pigolii affamati.
Come se fosse uno di quegli uccelli, anche il mio stomaco gorgoglia e guardo assonnato la porta.
Quella porta da cui dovrebbe entrare qualcuno.
Quella porta da cui non è ancora entrato nessuno.
Sospiro. Abituato come al solito a questo silenzio opprimente, perdo le speranze. Non tornerà mai più.
Sbadiglio e mi alzo in piedi. Mi stiracchio , slacciando il nodo ai pantaloni, per cambiarli.
Con un paio di bermuda e una canottiera, sono pronto per uscire.
Per andare dove, non lo so ancora, ma di certo il rumore delle onde riempirà le mie orecchie a tal punto da farmi dimenticare di questo silenzio assordante.
È deciso allora.
La porta si chiude con un “clack” deciso. Si è rotta da tempo, così non serve nemmeno che inserisca le chiave.
Cammino sui ciottoli e sento la brezza marina avvicinarsi . . .




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