Titolo
della fan fiction: Lacrime e grida.
Genere:
Drammatico
Rating:
Arancione
Fandom:
Arashi
Trama:
...Persi in un lontano pomeriggio, quei momenti che
non
torneranno più...
Note dell’autore:
Questa
fiction è ambienta 15 anni dopo la formazione del gruppo,
avvenuto
nel 1999. Contrariamente alla realtà, Ohno Satoshi e
Ninomiya
Kazunari hanno una relazione. “Riida” è
il soprannome di
Satoshi, probabilmente una traslitterazione errata dall'inglese al
giapponese di “leader” in quando lui è
attualmente il capo del
gruppo. Nino invece è il soprannome di Ninomiya.
°*°
“Le
lacrime sostituiscono
talvolta
un grido.”
Italo
Svevo
°*°
“ Piangere
ti farà bene. Vedrai che dopo ti sentirai meglio. ”
Così
dicevano. Da giorni interi.
“ E'
inutile tenere tutto dentro. ”
Lo
sapeva. Ma loro non dovevano intromettersi.
Continuavano
a dire come doveva comportarsi con sé stesso.
“ Devi
fare questo sforzo. Provaci. ”
Come
se non ci stesse provando.
Voleva
davvero provarci, se solo ne fosse stato in grado probabilmente si
sarebbe strappato le ghiandole lacrimali per poter togliere
quell'opprimente masso che gli spingeva sul petto.
“ Scappare
non serve a niente. ”
Scappare?
Non
aveva nemmeno le forze per replicare. Non sarebbe riuscito nemmeno a
respirare se non fosse stato un processo che non dipendeva dalla sua
volontà.
Come
cazzo poteva riuscire a scappare?
Voleva
solo che la smettessero di intromettersi nella sua vita.
Doveva
capire da solo.
Doveva
metabolizzare da solo.
Doveva guardare il vuoto accanto a lui e
accettarlo.
Da
solo.
Eppure
perché nessuno riusciva a capire che quello di cui aveva
bisogno era
solo la solitudine?
Solo
perché l'altro ormai...
Si
alzò di scatto dalla sedia di una camera vuota dove si era
rifugiato. Era impossibile continuare a rimanere seduti là
senza
fare qualcosa.
Ma
che cosa?
Ormai
era tutto finito, anzi tutto fottutamente finito.
Stop.
Non
c'era altra soluzione. E andassero a 'fanculo tutti quelli che
continuavano a parlargli, simili a fastidiosi ronzii di mosche nelle
orecchie.
L'ennesimo:
“ Hai provato a... ” fu
stroncato sul nascere da
un'occhiata infuocata.
«
Smettila per favore. » sibilò il giovane guardando
l'amico, colui
che da anni gli aveva
fatto
da spalla su cui piangere, che lo aveva fatto ridere e incazzare.
Ninomiya
Kazunari non aveva la forza nemmeno per minacciare di morte il
proprio migliore amico.
Era stanco. Stanco di tutto quanto.
«
…Hai provato a prendere bevande zuccherate? »
chiese l'altro
ignorandolo e porgendogli una lattina di tè al limone
« Sei
pallido. »
«
Scusa. Non volevo essere scortese. » mormorò
prendendo la lattina
offerta e iniziando a berla.
Si
lasciò cadere per terra, seduto con le ginocchia al petto,
al riparo
fra due comodini. La stanza che aveva trovato era vuota. Aveva un
disperato bisogno di solitudine.
Era
evidente.
Eppure
Matsumoto non sembrava aver afferrato il concetto. E se lo aveva
afferrato, aveva deciso bellamente di ignorarlo.
«
Non fa niente Nino. Sono abituato ai tuoi scatti d'ira. In quindici
anni mi hai spesso aggredito gratuitamente. »
Jun
cercò di sorridere, mentre si sedeva al suo fianco.
«
Non sono dell'umore adatto per fare auto critica adesso. »
bofonchiò
l'altro.
Aveva
le lacrime sull'orlo degli occhi. Non riusciva a piangere.
Da
quando aveva ricevuto la notizia, non era riuscito a fare nulla. Si
era solo seduto, in silenzio, toccando quella mano ormai fredda che
senza vita giaceva immobile fra le sue.
Solo
da poche ore aveva quasi riacquistato l'uso della parola. Solo da
poco aveva ricominciato a dare segni di vita.
Lui
vedeva bene le difficoltà che stavano passando i suoi amici.
Oltre a
Jun, al suo fianco erano rimasti i restanti componenti del gruppo pop
più famoso del Giappone. Anche loro erano distrutti. Anche
loro
soffrivano in silenzio, senza riuscire a proferire parola su quella
ferita che gli dilaniava il cuore.
Ma
erano più forti di Nino. Erano più forti
perché un gruppo si
sostiene a vicenda. Erano più forti perché erano
amici. Erano più
forti perché dovevano aiutarlo.
Loro
erano compagni.
Nino
adesso era da solo. Prima aveva una spalla, qualcuno che lo
sostenesse in ogni situazione. Erano una coppia affiatata. L'uno il
sostegno all'altro.
Ora
invece accanto a lui c'era una voragine. Un grande buco nero che
rischiava di risucchiarlo, farlo annegare nella disperazione.
Gli
altri tre non potevano permetterlo. Jun, Aiba e Sho avrebbero fatto
da scudo, lo avrebbe afferrato prima che scivolasse.
Loro
erano amici.
Non
avrebbero mai fatto affondare un loro compagno in solitudine.
E
di questo Nino non li avrebbe mai ringraziati abbastanza, anche se
adesso non aveva la facoltà di fare nulla, se non continuare
a
pensare a quella mano fredda stretta fra le sue.
Non
riusciva a fare altro che a sentire il gelo che attanagliava le dita,
la pelle esangue, le unghie troppo lunghe per essere quelle di Ohno
Satoshi.
Nulla
sembrava più appartenergli.
Nulla
di quello che vedeva e sentiva poteva davvero essere dell'uomo che
fino a pochi giorni prima lo stringeva fra le braccia.
Il
cigolio della porta lo riportò bruscamente alla
realtà, con un
sussulto leggero. Sulla soglia, con una smorfia di preoccupazione e
tristezza che gli deformava il volto, si trovavano Aiba e Sho.
«
Dobbiamo andare. » sussurrò il secondo porgendogli
la mano «
Potrai tornare domani. »
«
Domani... » ripeté Nino con voce ovattata
« Domani sarà l'ultimo
giorno... in cui lo terranno qua. »
«
Andiamo a casa. Per favore. » mormorò Aiba con
voce strozzata.
Il
ragazzo gli afferrò disperato le mani. Ninomiya
sussultò,
guardandole come se fosse la prima volta.
«
Sei caldo. » gli occhi gli si riempirono di lacrime, senza
uscire «
Tu sei caldo. » alzò il volto verso di lui,
disperato « Aiba, tu
non sei freddo come Satoshi. »
«
No. No. Io non sono freddo come Riida. »
Aiba
si lasciò cadere in ginocchio, abbracciando Nino
più forte che
poteva. Singhiozzava senza riuscire a fermarsi.
Era
sempre Nino quello che lo rassicurava. Era sempre Nino quello che lo
spronava a dare il 100 %. Era sempre Nino che gli tendeva una mano o
gli donava un abbraccio consolatorio.
E
ritrovarsi nella posizione opposta, specialmente in quella
situazione, lo stava uccidendo.
Erano
accadute troppe cose in troppo poco tempo. Era impossibile accettarle
tutte con la dovuta coscienza di ciò che comportavano.
Aiba
strinse l'amico a sé, piangendo. L'unica cosa che Nino
riuscì a
fare, fu ricambiare con forza l'abbraccio, affondando le unghie nella
sua schiena e nascondendo il volto nella sua spalla.
*°*
La
corsa sfrenata verso l'ospedale.
Le
sirene che suonavano lungo le strade intasate dal traffico.
Il
respiro affannato, mentre il liquido vischioso si appiccicava sulle
dita, in un disperato tentativo di fermare la fuoriuscita del sangue
dalle proprie gambe.
I
lamenti che provenivano al suo fianco erano strazianti.
Non
si capacitava di nulla. Cosa ci facevano quelle persone sfocate sopra
di lui?
Cosa
stava succedendo?
Una
puntura nell'incavo del gomito lo fece gemere più forte di
prima.
Nello scatto di dolore per l'ingresso dell'ago aveva spostato la
gamba, probabilmente rotta a sentire dall'atroce fitta che si
spandeva fino all'anca.
Cosa
stava succedendo?
Spostò
la testa con enorme fatica, era immobilizzato.
Riconobbe
i ciuffi del suo uomo. Ancora con la punta tinta di arancione,
tornato improvvisamente di moda dopo qualche anno di assenza.
Lui
aveva sempre amato quel colore...
Qualcuno
lo chiamava e si sforzò di spostare nuovamente la testa.
Le
sirene erano spente, traballava di tanto in tanto, le luci bianche e
accecanti attaccate al soffitto lo stavano abbagliando.
Altre
voci lo chiamavano.
Chiamavano
anche il suo compagno, la sua vita, la sua metà. Ma lui non
rispondeva.
Sentì
qualcuno parlare, ma la voce gli arrivava talmente lontana, che
faticò a capire le parole.
Sentiva
dolore ovunque.
Le
costole, la schiena, le gambe. Specialmente le gambe. Sembrava che
ogni nervo fosse trafitto da un pugnale affilato.
Quando
gli strapparono la camicia che indossava, schegge di sangue quasi
essiccato tirarono la pelle, unendosi al tessuto leggero.
Gemette.
Forte. Gli tolsero il collare.
Al
suo fianco il tono di voce si alzava. Disperatamente, come se
dovessero richiamare qualcuno privo di conoscenza.
La
vista si stava annebbiando. Non sapeva se era per il sangue misto a
sudore, oppure a causa delle lacrime.
Spostò
lo sguardo e lo vide. Sempre steso sulla barella, sempre ricoperto di
sangue, sempre con gli occhi chiusi. Un dottore che gli faceva un
massaggio cardiaco, era disperato. Urlava qualcosa alle infermiere.
Flebo, respirazione, sangue.
Fu
l'ultima cosa che vide prima che qualcuno tirasse la tenda divisoria.
« Satoshi
» sussurrò allungando una mano verso il tessuto
verde .
Poi,
probabilmente perse i sensi, nello stesso istante in cui Ohno moriva.
*°*
Nino
si svegliò di soprassalto urlando il nome di Satoshi.
Ansimava,
era sudato, stringeva le coperte con disperata ferocia, come se fosse
l'unica cosa che potesse tenerlo in vita.
La
luce si accese all'improvviso, i ragazzi subito stretti intorno a
lui, chiedendogli che cosa fosse successo.
Il
ragazzo continuava ad ansimare, mentre il sudore gli colava lungo le
tempie, scendendo fino al collo.
«
E' morto. » sussurrò « E' morto.
» ripeté a voce leggermente più
alta.
Iniziò
a singhiozzare.
«
E' morto. » urlò.
«
Calmati, Nino calmati. »
Jun
cercò di tranquillizzarlo prendendogli la mano.
«
Quando siamo arrivati all'ospedale era già morto.
» pianse ancora
guardandolo con le guance rigate dalle lacrime « Loro hanno
tirato
la tenda. E lui era già morto. »
Nino
si gettò addosso a Jun, piangendo. Sussurrava parole
sconnesse,
senza senso.
«
Calmati. » sussurrò piano Aiba inginocchiandosi
vicino a loro «
Calmati, adesso. » continuò imponendosi di non
piangere a sua
volta.
«
Lui è morto. » sussurrò Nino fra le
lacrime guardandolo. « E'
morto. » mormorò coprendosi il volto pieno di
lacrime.
«
Nino, scendiamo giù. Sei tutto sudato. » gli disse
Sho cercando di
essere il più tranquillo possibile.
Dovevano
diventare la sua forza, sopratutto adesso che Ohno non c'era
più.
Dovevano resistere al dolore straziante per aiutarlo a riprendersi.
Sho
non voleva piangere. Non aveva pianto perché non se lo
poteva
permettere. Al contrario di Jun e Aiba che all'inizio non avevano
compreso come la notizia avrebbe turbato Nino, si era imposto un
rigido lutto silenzioso. Non aveva versato una lacrima. Dalla
notizia, fino a quel momento.
Non
poteva.
Neppure
guardando quella figura straziata che si dondolava lentamente fra le
braccia di Jun.
Neppure
in quel momento si poteva permettere un grido di dolore. Nemmeno se
piangere lo avrebbe probabilmente aiutato. Nemmeno se un pianto
liberatorio gli avrebbe permesso di essere più lucido.
Lo
prese delicatamente per le spalle, cercando di fargli focalizzare
l'attenzione su di sé.
Gli
sorrise, per quanto riuscisse a sorridere in quel momento.
« Andiamo
a lavarci. » ripeté piano «
Così domani sarai pulito per
andare a salutare Riida. »
Le
lacrime smisero lentamente di scendere. Furono minuti lunghissimi.
Minuti che non passavano mai.
«
Ci siamo noi accanto a te. » continuò a dirgli Sho
« Fidati di
noi. »
Nino
cercò di accennare un assenso con la testa. Tremava da capo
a piedi,
come una foglia che era trasportata senza vita dal vento.
Anche
in quel momento, mentre si alzava non gli sembrava che un guscio
completamente vuoto.
*°*
“ E'
morto. Per davvero. ”
A
questo pensava Nino mentre lentamente entrava nell'obitorio. Aveva
passato l'intera notte a piangere e ad avere incubi. Non aveva chiuso
occhio dopo che si era svegliato e si era finalmente
reso
conto che il suo Satoshi era morto.
Non
si sarebbe più alzato da quel gelido lettino di metallo e
non lo
avrebbe più abbracciato. Non gli avrebbe più
sorriso.
Aveva
capito che la loro vita insieme era stata violentemente stroncata da
un ubriaco, che nulla avrebbe più avuto lo stesso senso di
prima.
Gli
sembrava d'impazzire.
Ancora
poche ore e sarebbe stato celebrato il funerale.
Ancora
poche ore e non lo avrebbe più visto.
Ancora
poche ore e non avrebbe più toccato, anche se era freddo
come il
marmo e le vene viola prominenti.
Ancora
poche ore...
Nino
voleva urlare. Voleva disperatamente urlare. Voleva urlare il suo
dolore, la sua sofferenza.
Ma
l'unica cosa che riusciva a fare era piangere. Non riusciva a fare
altro dalla notte precedente.
Sho
lo aveva aiutato a lavarsi e a vestirsi con un pigiama più
comodo,
la notte precedente. Gli aveva fatto lo shampoo e aveva asciugato i
capelli che prima era sudati e appiccicati sulla fronte.
Lui
non riusciva a coordinarsi.
Non
riusciva a fare nulla da solo. Era come una bambola di pezza nelle
mani del burattinaio.
Anche
mangiare quella mattina aveva rappresentato un ostacolo quasi
insormontabile. Appena vedeva il cibo gli sembrava che lo stomaco si
ribaltasse su sé stesso. Appena cercava di inghiottirlo, il
sapore
quasi schifoso del cibo lo costringeva a chiudersi in bagno a
vomitare quel nulla che aveva mangiato.
Eppure
non gli importava. Non gli interessava se dimagriva troppo, non gli
interessava se non poteva più ballare e non gli interessava
nemmeno
suonare la sua amata chitarra.
Aveva
perso la voglia di vivere.
Semplicemente
non gl'interessava nient'altro.
Al
suo fianco non c'era più nessuno. Il vuoto rischiava
d'inglobarlo
senza alcuna pietà.
Perso
Satoshi, la sua metà, la sua intera vita, non aveva
più nulla.
*°*
Fermo
davanti alla rustica lapide di Ohno, c'erano solo le persone
più
intime.
I
suoi amici, Nino, i familiari stretti.
Il
bonzo rimase un attimo in silenzio, attimi che gli Arashi
considerarono interminabili e pieni di sofferenza. E poi
iniziò a
parlare.
A
parlare di Ohno, della sua famiglia, delle sue passioni, del suo
amore per Nino. Il giovane sentì di nuovo lo stomaco
attorcigliarsi,
e la voglia di scappare il più lontano possibile dal
cimitero era
quasi incontrollabile.
Fu
la mano di Matsumoto che gli stringeva la spalla, e la vicinanza dei
suoi migliori amici, Sho e Aiba che gli diedero quel briciolo di
forza che gli permise di rimanere fermo al suo posto.
Non
poteva andarsene.
Non
poteva abbandonare Satoshi in quella maniera.
Non
poteva scappare, anche se ogni cellula del suo corpo gridava di
dolore e le lacrime silenziose ormai gli annebbiavano la vista.
Doveva
rimanere là, al suo posto, dove il suo Riida si aspettava di
vederlo
se fosse stato ancora in vita.
A
quel pensiero le lacrime aumentarono, questa volta in singulti
udibili dalle persone che si trovavano là con lui a dare
l'ultimo
saluto ad una persona cara.
La
madre di Ohno si avvicinò a lui, stupendo forse anche
sé stessa.
Il
bonzo smise di parlare per osservarli.
La
donna rimase in silenzio davanti a lui, nessuno sapeva che cosa
aspettarsi da quell'avvicinamento.
Poi
lo abbracciò, stringendolo a sé. Non sopportava
quella sofferenza.
Non
sopportava le lacrime di Nino, così come non sopportava il
rigido e
silenzioso dolore di Jun, Aiba e Sho.
Lei
li aveva visti crescere. Li aveva visti maturare. Era stata una delle
confidenti dei loro giovani pensieri e turbamenti.
Aveva
visto l'amore crescere fra i Satoshi e Kazunari.
Lei
era stata la prima persona a cui avevano confidato la loro relazione.
Ed
era proprio per questo che non riusciva ad odiare Nino per la sua
condizione di sopravvissuto.
Stava
soffrendo. Il suo piccolo Kazunari stava soffrendo veramente. Forse
più di lei. Forse più di tutti quelli che erano
presenti davanti
alla tomba.
Lei
sapeva che il ragazzo avrebbe preferito morire a sua volta piuttosto
che stare là in piedi, inerme, a piangere.
E
per questo era disperata.
Ninomiya
amava talmente tanto il suo piccolo bambino, che non sopportava la
sua stessa esistenza.
E
lei non poteva permetterlo. Non era giusto. Ma lei stessa non sapeva
che cosa augurargli.
Se la morte o la vita.
«
Mi dispiace Kazunari.»
L'autocontrollo
del ragazzo vacillò un secondo di troppo. Scoppiò
a piangere, senza
più freni, aggrappandosi alla donna come se fosse la sua
ancora di
salvezza.
I
gemiti si trasformarono presto in singhiozzi violenti, poi
sfociò in
un pianto disperato.
Entrambi
si ritrovarono in ginocchio, l'uno il debole sostegno dell'altra. La
scena era straziante.
Ma
per i restanti componenti degli Arashi era più angosciante
rendersi
conto che il dolore per Nino era più grande di quello che
lui poteva
sopportare.
Difficilmente
si sarebbe completamente ripreso.
*°*
Erano
passati due anni.
Due
anni di crisi, di pianti, di depressione.
Anche
dopo così tanto tempo, in Nino era rimasta la voglia di
urlare tutto
il suo dolore.
Ma
più cercava di esternarlo, più un groppo alla
gola prendeva il
sopravvento, quasi soffocandolo.
“ Le
lacrime sostituiscono talvolta un grido. ”
Ecco
cosa gli dicevano.
Ma
non era vero. Un pianto non risolve nulla. Né prima,
né ora, né in
futuro.
Quindi
rimaneva in attesa di un urlo, anche se non ci riusciva.
Quindi
gli restava solo un pianto.
*°*
Il
dolore si stava lentamente affievolendo.
Gli
anni erano passati. Gli incubi erano diminuiti quasi del tutto.
Aveva
ripreso lentamente a sorridere e poi a ridere.
Aveva
ripreso faticosamente a divertirsi.
Il
tempo era stato contro di loro. Ma si era quasi ripreso.
Era
tornato alla sua vita. Era riuscito a riprenderne il controllo.
Gli
impegni di lavoro erano così stressanti, così
massacranti che
spesso tornava a casa e si gettava sul letto senza nemmeno cambiarsi.
L'unica
cosa che non era scomparsa con il tempo era la sensazione che prima
di addormentarsi, qualcuno lo stringesse in un abbraccio.
E
quella sensazione lo aiutava ad andare avanti.
Sapeva
che era lo spirito di Satoshi.
Sapeva
che era accanto a lui. Sapeva che lo avrebbe protetto.
Sapeva
che non lo aveva dimenticato.
E
con questi piccoli pensieri, Ninomiya continuava la sua vita.
Fine
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