abbaiare stanca
- Autore: Rota
- Fandom scelto:
Originali – Drammatico
- Titolo della Storia: Abbaiare
stanca
- Numero citazione scelta:
10) I miracoli sono insensati per definizione; solo quello che
può accadere, accade realmente. (Dottor Manhattan)
- Personaggi/pairing:
//
- Genere:
Introspettivo, Drammatico
- Rating:
Giallo
- Avvertimenti:
One shot
- Beta-reading: sì
– XShade Shinra
- Note:
Questa ff è dolorosamente introspettiva, qualcosa che non
pensavo di riuscire a trascrivere su carta. È
fondamentalmente l’analisi di un tipo umano, di una
macchietta particolare: lo sfigato represso.
Il significato del titolo è presto chiarito: abbaiare stanca
nel senso di “continuare a parlare senza mai
agire”. Cosa che fa Sara almeno finché non decide
di cambiare qualcosa nella propria vita, ovvero di dimostrare le
proprie ragioni.
Due cose ancora, prima di
lasciarvi al testo.
Questa fan fiction ha partecipa ad un contest: "Quotes of Watchmen" di Darkrose86, sul forum di EFP.
QUESTO. Classificandosi niente di meno che seconda. Io sono ancora un poco sconvolta, tutto qui XD
Seconda cosa. Questa
fanfiction vuole avere una dedica. E' per la mia amica, la mia
confidente, il mio picciotto sinistro, la donna che in questi mesi
è entrata dentro la mia vita in maniera tale da non poterne
più uscire e verso la quale provo un sincero e profondissimo
affetto. Per XShade, che spero mi scuserà per il ritardo con
il quale pubblico sta roba.
Abbaiare stanca
-La gente come te va all’Inferno!-
Sara non si ricorda molto bene frasi di questo genere, è
stata sua madre a dirle quanto era accaduto quando era ancora piccola.
In effetti, a pensarci, Sara può benissimo comprendere la
propria indole solitaria di fronte a rivelazioni del genere. Il
sentirsi così inadatta assume un significato nuovo,
decisamente più profondo.
Sara non ha mai capito come mai un bambino potesse sentire
l’intimo bisogno di sancire una linea divisoria tra
sé e il resto del mondo. Eppure, gli sguardi dei suoi
compagni – quelli che la tacciavano diversa, quelli che non
la volevano con loro a giocare – se li ricorda ancora,
perfettamente.
Li comprende, con un sorriso triste, solo ora che ha passato i
vent’anni.
La vita di Sara è fatta principalmente di piccole cose. Non
crede che gli altri si aspettino tanto da lei, forse semplicemente
perché lei per prima non ha fiducia in niente e in nessuno
– però, quando prende in mano un pennello e
comincia a creare mondi sulla tela, allora è come se stesse
vivendo davvero.
La solitudine però è grande quando si accorge,
con occhi spenti, che a comprendere il proprio animo fatto di colori
pastello e di tinte scure e forti non ci prova quasi nessuno.
Tende la mano, Sara, a quelli che la gente isola, a quelli nei cui
occhi può leggere la sua stessa tristezza. Forse solo per
vendetta e riscatto morale, forse solo per sentirsi un poco al centro
dell’attenzione. Non vuole esplicare il motivo per cui, il
suo corpo, compie dei gesti tanto meccanici da sembrare quasi naturali.
Ciò che le importa è il sorriso delle persone che
accettano di stringere le dita attorno al suo palmo.
Due volte, era capitato. E quello che si ricorda meglio è
sempre solo uno.
Quando una ragazza della sua classe – era alle scuole medie,
se lo ricordava benissimo – dopo aver ricevuto
l’ennesimo insulto a causa del suo colore aveva deciso di
farsi vendetta da sola. La vittima era stata all’ospedale per
un pomeriggio, lei si era ritrovata più isolata che mai.
Sara ha porto la mano, sebbene dopo qualche attimo di esitazione.
Sancita la prima differenza, a Sara non rimane altro che portare avanti
la sua idea.
Si crogiola nel sentirsi diversa, si arrende a un’evidenza
che è solo sua: la solitudine è presa come stile
di vita.
Le nuove amicizie, quelle che diventano vecchie, lo scorrere del tempo
scivola sulla pelle senza fermarsi, ed è tutto noia
perché non esalta l’individuo.
Eppure, benché la faccia si rifiuti ad assumere una
tonalità diversa dal grigio, l’animo grida di
dolore ogni volta che vede una schiena allontanarsi.
Sono tanti rospi da ingoiare, sacrificandoli al sommo orgoglio.
Sara non si arrende, Sara spera ancora.
Ma le parole gettate al vento sono inutili – lo sanno le dita
che fremono all’idea di poter stringere finalmente qualcosa
di concreto.
A che vale la rabbia, allora, quando si sbatte contro un muro e si
prova solo dolore?
A che vale l’indignazione, allora, se l’unica cosa
che si ottiene è la derisione altrui?
Sara se lo chiede, spesso, rimanendo zitta mentre il mondo attorno a
lei si muove e cresce a dismisura.
Ma Sara vede e sente – fin troppo bene.
Sara sa covare odio dentro quel corpo malato e debole che si ritrova.
Cuore fragile, ossa sottili, cervello in sovraccarico.
Stufa di un Dio assolutamente indifferente alle preghiere rivoltegli,
vuole dimostrare la volontà invincibile
dell’essere umano.
Continuare ad abbaiare stanca, però, logora
l’animo e la volontà, fiaccandoli miserevolmente.
La coscienza vuole solo un’occasione – una sola
occasione – per splendere in una forza senza pari.
È una sera, una di quelle sere in cui un’amica
l’ha trascinata fuori con una scusa qualsiasi.
Il lavoro, l’Università, i ragazzi. Tutte cose da
cui prendersi una vacanza.
È lì che ha visto quella scena. Quattro contro
uno.
Non é difficile capire il sentimento nascosto dietro le
parole orribili che volano.
I miracoli non esistono per definizione: solo ciò che
può accadere, accade realmente. Niente capita per caso, in
una rete fitta di cause e conseguenze.
Sara lo capisce, nel momento in cui decide di percorrere quella poca
strada che la separa dal gruppetto e mettersi in mezzo.
-Avrei pagato oro perché qualcuno mi tendesse la mano. Penso
che quell’uomo, nel proprio intimo, abbia pensato la stessa
cosa…-
Questo vorrebbe dire Sara, alla propria amica in lacrime, quando viene
a prenderla l’autolettiga del pronto soccorso, dopo che uno
di quelli aveva tirato fuori da chissà dove un bastone e
glielo aveva spaccato sul cranio.
Ma la lingua é impastata di sangue, la vista offuscata.
Pazienza, sarà per un’altra volta…
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