L'inizio
è sempre
devastante...
cap.
1
Spinsi
Daniel appena un po' per giocare un con lui. Ogni volta che lo
guardavo mi sentivo le farfalle nello stomaco e cominciavo a ridere
come uno stupido. Lo so... magari non è il massimo
innamorarsi del
proprio migliore amico, ma se anche lui in fin dei conti ci stava.
“finiscila
scemo o una volta o l'altra mi farai investire da qualche
macchina!”
mi disse lui sorridendomi. I suoi splendidi denti bianchi mi fecero
sciogliere come un ghiacciolo al sole.
“almeno
no sarà una grande perdita!” gli dissi. Eravamo
quasi arrivati al
Cheesman Park di Denver.
La
mia città è la capitale dello stato del Colorado,
quindi potete
immaginare la gente come si senta a vivere in una mini NY. Comunque
ritornando a me, ho ventidue anni e mi chiamo Fabian. Ho origini
greche e giapponesi. Mio papà è un medico molto
famoso, lavora
all'ospedale pediatrico, che gli porta via un sacco di tempo. Mia
madre è una donna che ha deciso di non intraprendere nessun
tipo di
studi e di dedicarsi unicamente alla famiglia. I miei genitori si
sono conosciuti in Giappone, quando mio padre, dalla Grecia, era
volato fino a Yokohama per un convegno, dove mio nonno aveva
organizzato il catering e mia madre era stata assunta come cameriera.
Dal primo momento che si videro non si lasciarono mai più, o
per lo
meno così dicono i miei genitori.
Fui
strappato dai miei pensieri da una pallonata deviata da Daniel,
diretta proprio sulla mia faccia “hey fai un po' di
attenzione...”
urlai al ragazzo che ci stava venendo incontro per riprendersi il
pallone da rugby.
“chiedo
scusa... staremo più attenti! Se volete ci mancano due
giocatori
all'appello...” ci guardammo un attimo e poi Daniel si
gettò nella
mischia con loro, trascinandomi per un braccio giù per la
piccola
collina.
I
ragazzi con un cenno di saluto si disposero in formazione: eravamo in
dieci, io e Daniel eravamo finiti in squadre differenti, ma poco
male... un po' di competizione non guastava mai. Presi il ruolo di
Fullback, mentre Daniel era un Hooker perfetto. Dopo i comandi
iniziali, iniziò la mischia e poco ci mancava che venissi
travolto
dai quattro culi che avevo davanti. Balzai indietro con la palla
stretta in mano e iniziai a correre. Evitai il primo, il secondo e
infine un terzo, fino a quando Daniel non mi si parò davanti
e
bloccò la mia corsa, mi guardai intorno e vidi il ragazzo
che
avevamo conosciuto poco prima sul fianco destro e gli lanciai la
palla. Mentre Fabian mi placcò, il touchdown fu nostro.
“hai
finito di schiacciarmi?” gli chiesi mentre continuava a
tenermi
stretto per terra
“ah
si giusto scusami” si rialzò e mi porse una mano
per aiutarmi a
mettermi di nuovo in piedi
“sì...
ma non vale il punto siamo in netta minoranza!” disse uno dei
compagni di squadra di Fabian
“come
no... vale e come! E se ti lamenti ancora pulce
vale anche
doppio” rispose uno dei miei
“ti
ho detto di non chiamarmi così un milione di
volte...” rispose il
ragazzo mingherlino
“così
come... pulc...?” non riuscì a
finire la parola che gli si
avventò alla gola e lo scaraventò per terra.
Decidemmo di
allontanarci di lì, prima che diventasse una rissa. Uscimmo
dal
parco e cercammo qualche posto dove poter riposare e goderci un po'
di relax in pace. Svoltammo in un paio di stradine e subito dopo ci
trovammo sulla 14th ave, era una delle strade
più
importanti nella città, ci infilammo in una tavola calda e
ordinammo
due fish and chips. I tavoli erano quasi tutti pieni, ma grazie alla
fortuna spacciata di Daniel riuscimmo a trovare un tavolo, che si era
appena liberato, vicino alle finestre proprio come piaceva a me.
“senti
non è che potresti prestarmi un po' della tua
fortuna?” chiesi in
modo scherzoso, appena mi fui messo a sedere
“ma
a che ti serve? Sei già abbastanza fortunato!” mi
rispose lui con
un sorrisino
“a
sì? E da dove l'hai capito... dall'ultima volta che ho dato
fuoco al
letto o da quando mi è volato l'ipod, appena comprato, fuori
dal
finestrino della tua macchina?” chiesi chiaramente ironico
“ma
dai... quelle sono solo stupidaggini... e poi sei fortunato
perché
hai me!” appena finii divenni color viola, misto blu, con
qualche
tonalità di rosso. Era come se mi avesse travolto un treno
in pieno.
Lo so che quella frase poteva significare tutto e anche niente,
soprattutto detta da lui che era una delle persone che di
più etero
non se ne trovano.
“e
già...” per fortuna ci fu la cameriera che ci
tolse da
quell'imbarazzante silenzio.
Mangiammo
velocemente, senza quasi parlare per la mezz'ora che seguì.
Quando
uscimmo era ormai sera e avevo voglia solo di andare a casa, dopo
tutto il giorno che avevo passato con lui. Davanti casa mia ci
salutammo, Daniel abitava a due isolati da lì e non ci
avrebbe messo
tanto ad arrivare. Salii i gradini e entrai in casa, richiudendomi la
porta alle spalle e tirando un sospiro di sollievo, mentre scivolavo
fino al pavimento.
“sei
tu Fabian?” chiese mia madre dalla cima delle scale
“sì
mamma...” le risposi. Mi alzai e centrai con le chiavi lo
svuota
tasche di ceramica appoggiato sul tavolino dell'ingresso
“Aiko
tesoro... riusciresti a farmi il nodo a questa cravatta?” la
voce
di mio padre era inconfondibile
“ciao
papà!” gli urlai dal piano inferiore
“che fate stasera? Uscite?”
chiesi
“no
amore e solo tuo padre che ha un'importante riunione di
lavoro...”
senza dare troppa importanza alle parole di mia madre portai il mio
corpo sul divano e lo lasciai lì a poltrire per un po'
davanti al
televisore. Quando sentii la porta d'ingresso sbattere, mi ridestai
da quel sonnambulismo indotto, e mi alzai per andare a far un po' di
compagnia a mia madre che intanto preparava la cena.
“allora
come è andata oggi la giornata?” chiesi per primo
appoggiandomi al
frigorifero
“tutto
bene tesoro mio... oggi al club del libro abbiamo discusso su un
libro stupendo di Jamila Hassoune”
come al solito quando mia madre incominciava a parlare, non c'era
verso di fermarla e tra nomi, luoghi e date non si accorgeva che
stava facendo bruciare quella che sarebbe stata la nostra cena.
“mamma
la cena...”
“sì
già e poi abbiamo anche mangiato al circolo, ma non si
poteva
definire una vera e propria cena... più che altro uno
spuntino di
metà pomeriggio!” mi rispose lei ancora immersa
nelle sue fantasie
“no
mamma la cena...sta bruciando!” le dissi cercando di
ridestarla
“oh
si...” finalmente capì. Con un urlo,
cercò di rimediare
all'irreparabile, ma ormai era impossibile. Abbassò la
fiamma sotto
la pentola e aprì la finestra per far uscire il fumo che
stava
invadendo tutta la cucina. Andai a prendere il telefono e tornai in
cucina dove l'odore di bruciato era insopportabile.
“pizza?!”
proposi con il telefono già in mano.
Il
dopo cena, si svolgeva come di routine: mia madre sparecchiava e io
intanto con il cellulare messaggiavo con gli amici per organizzare la
serata.
“niente
stasera come al solito tutti hanno da fare tranne me...”
dissi a
voce un po troppo alta, dato che mia madre incominciò a
sorridere in
modo abbastanza appariscente, simile alle streghe dei cartoni animati
Disney.
“che
c'è da ridere tanto?” le chiesi. E lei con un
gesto estremamente
esasperato e teatrale, si posò al tavolo e mi disse
“stasera sarai
tutto per me!” e poi sorrise con la sua solita risata
malvagia che
da un paio di anni non mi impauriva più ormai. Le
abitudini sono
dure a morire... mentre cambiamo stanza, lasciandola al suo
sfogo
malvagio in cucina.
“quando
hai finito io sono in camera mia!” le urlai dalle
scale.
Casa
mia era una sorta di miscuglio di razze e quindi di stili di
arredamento, inoltre era stata progettata per lasciarmi tutta la
privacy necessaria. Dovetti cercare di non inciampare nel mio skate
appena entrai nella stanza. La mia stanza non differiva molto da
quelle di tutti i miei coetanei, a parte che avevo il doppio dello
spazio per muovermi, un letto matrimoniale in puro stile giapponese e
un armadio a muro a dir poco gigantesco; che neanche una ragazza
avrebbe potuto riempire. Inoltre mio padre che amava la tecnologia
aveva fatto installare dei sensori termici e di movimento, che
rilevavano se una persona era nella stanza e facevano accendere le
luci, e infine ma non meno importanti aveva fatto mettere un altro
tipo di sensori che facevano chiudere ed aprire le persiane on il
movimento del sole. Insomma vivevo in una specie di base N.A.S.A. Mi
gettai sul mio bel letto doppia C,
era così che lo chiamavo perché era sia caldo che
comodo, e in men
che non si dica mi appisolai. Quella notte fu una delle più
lunghe:
verso l'una di mattina sentii un fruscio, vicino la mia porta,
pensavo di star ancora sognando e richiusi gli occhi. Nulla e nessuno
poteva intrufolarsi nella mia stanza senza che me ne accorgessi,
quindi mi rimisi a dormire. Ma dopo neanche mezzo minuto risentii lo
stesso rumore questa volta seguito da un tonfo sordo (la mamma che
sbatte su un mobiletto in corridoio) e subito dopo un ombra si
infilò
nella mia stanza. Mella mia mente continuavo a ripetermi: sto
sognando, sto sognando, sto sognando... ma
tutto ciò sembrava tutto all'infuori di un sogno. Perchè
le luci non si accendevano dannazione...incominciai
ad urlare quando la figura incappucciata incominciò ad
avanzare
verso il letto, ma ad un certo punto si fermò e
iniziò a ridere a
crepapelle, una risata che conoscevo... MAMMA!!! Le luci si accesero
e vidi mia madre distesa per terra avvolta da un vecchio costume di
halloween, da Gandalf mi pare.
“mamma mi hai spaventato a morte... che ci fai vestita in
quel modo
in camera mia?!?” le chiesi rasentando l'isteria. In quel
momento
la odiavo, l'avrei potuta incenerire con gli occhi in un istante
“non ho resistito... sei andato via senza dirmi niente e
appena ho
visto che dormivi ho preso questo costume di tuo padre e me lo sono
messo mentre venivo in camera tua, solo che sfortunatamente sono
andato a sbattere contro quel maledetto mobiletto nel corridoio, se
no sarebbe venuto un bello scherzo...” mi spiegò
lei ancora stesa
sul pavimento della stanza
“ma sei totalmente fuori di testa?” la domanda era
puramente
retorica “potevi farmi prendere un infarto da rimanerci
secco!! e
adesso sei pregata di USCIRE DA CAMERA MIA E DI NON RIENTRARCI
PIù
ALMENO PER STANOTTE...” finii la mia frase urlando, mentre
mia
madre correva ancora sghignazzando fuori, chiudendosi la porta alle
spalle. Non appena appoggiai la testa sul cuscino, sentii la porta
riaprirsi e sollevai lo sguardo: ancora lei!!!
“... buonanotte amore...” mi disse e ricevette una
scarpa sul naso
come risposta.
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