The last dance
Novembre.
Le foglie cadevano docili sul terreno, fluttuando leggiadre nella tiepida aria autunnale.
Lizzy, appena scesa dalla
sua carrozza, rimase ferma sul selciato ad osservare la facciata di
casa Phantomhive: l’invito che aveva ricevuto il giorno avanti da
Ciel le era parso così... strano.
Non era la solita, formale
richiesta di recarsi presso la sua villa, no. C’era qualcosa che
traspariva tra le righe e che permeava soffusamente tutta la lettera,
qualcosa che lei aveva inteso come malinconia.
Ma perché il suo Ciel avrebbe dovuto far trapelare un simile sentimento da un suo invito?
Non ne capiva il senso, ma
era quello il cardine su cui si ergeva la sua struggente sensazione di
tristezza, un’emozione che s’era accresciuta notevolmente
non appena scesa dinanzi alla villa del conte.
Nell’osservarla, i
suoi occhi percepivano una mestizia che trasudava letteralmente da ogni
singolo particolare dell’edificio, per quanto insignificante
potesse apparire.
Anche le nubi grigie che
oscuravano il cielo e gli alberi adorni di caduche foglie
giallo-arancio contribuivano a dare un’immagine triste della
villa.
Lizzy scosse il capo, come a scacciare i brutti pensieri, quindi si avviò verso il grosso portone.
«Chissà di cosa vuol parlarmi Ciel...» si domandò, ricordando le parole della lettera, mentre bussava timidamente alla porta.
Questa si schiuse con un
incredibile tempismo sull’ormai familiare figura del maggiordomo
di casa, il quale s’inchinò innanzi alla ragazza con fare
ossequioso.
«Lady Middleford, la
stavamo aspettando...» esclamò, facendosi da parte ed
indicandole l’interno «Si accomodi».
Elizabeth entrò,
fermandosi pochi metri dietro il maggiordomo: il suo sguardo aveva
incrociato l’oggetto di tutta la sua più incondizionata
attenzione.
Come al solito vestito
elegantemente, da giovane di nobili origini qual era, con la consueta
benda nera a coprirgli l’occhio destro e il bastone da passeggio
in una mano, Ciel Phantomhive stava in piedi sulla cima delle scale,
guardandola di traverso dall’alto della sua postazione.
La sua espressione era altera, come sempre, ed il portamento impeccabile.
Eppure, c’era
qualcosa di diverso dal normale, nel suo intero modo d’apparire,
un particolare che lei non riusciva a cogliere nella sua pienezza,
bensì percepiva indirettamente attorno a lui, come un velo.
«Ciel...!»
chiamò, avvicinandosi al ragazzo, cercando di dare alla propria
voce la solita inflessione, tuttavia comprese ben presto che era
totalmente fuori luogo.
«Sembra che tutto sia divenuto... freddo» si disse, triste, mentre spariva dal suo viso ogni traccia di gioia.
Il Phantomhive iniziò a scendere le scale, dirigendosi verso di lei in assoluto silenzio.
Quando le fu dinanzi, raddolcì debolmente lo sguardo, in un’espressione che esplicitava un mesto affetto.
Era uno sguardo cui Lizzy
era abituata: dopo l’incendio della casa, Ciel non aveva
più sorriso. Anche se le sarebbe piaciuto vederlo esprimere
apertamente gioia almeno con lei, quegli occhi le trasmettevano una
certa tenerezza di cui, tutto sommato, si accontentava.
Non poteva pretendere che tutto tornasse com’era stato, perché sapeva che non sarebbe mai stato possibile.
«Di cosa... volevi parlarmi?» domandò allora, incapace di tirarla ancora tanto per le lunghe.
Inaspettatamente, il ragazzo le porse una mano.
«Vieni, Lizzy» la esortò, pacato «Andiamo a parlare altrove».
Una fitta di paura le si insinuò dentro all’udire quelle parole: perché le suonavano così... definitive?
La ragazza afferrò
comunque la sua mano e si lasciò condurre in una spaziosa sala
laterale nella quale era già stata più volte nella sua
infanzia, proprio in sua compagnia.
Ciel si fermò con
lei al centro esatto della stanza, voltandosi a fronteggiarla con un
cipiglio serio che non contribuì a farla sentire più a
suo agio. Al contrario, le strinse il cuore in una morsa di struggente
attesa: sembrava che dovesse annunciarle qualcosa di grave, qualcosa
per cui aveva voluto essere da solo con lei, a tu per tu.
Qualcosa che... le potesse fare del male.
Sforzandosi di apparire come sempre, increspò le labbra in un sorriso, pallida ombra della sua consueta allegria.
«A che riguardo?».
Il conte abbassò gli
occhi, un vago rossore a tingergli le guance, segno di un imbarazzo a
lei familiare che servì a rincuorarla un po’.
«Vuoi... ballare?».
La domanda fu proferita con un così basso tono di voce da rasentare il muto.
«Mmmh...?» mugolò lei infatti, lo sguardo venato di una perplessità molto infantile.
Il rossore sulle guance di lui aumentò.
«Ti ho chiesto se
vuoi ballare!» ripeté con più enfasi, evidentemente
scocciato dall’idea di dover porre una domanda del genere una
seconda volta.
Elizabeth rimase interdetta
per qualche attimo: perché essere così cupo, se tutto
ciò per cui l’aveva invitata era semplicemente un ballo...?
Però, a pensarci bene, il fatto stesso che l’avesse chiamata solo per un ballo era strano: se c’era una cosa di cui era praticamente certa, questa era che Ciel Phantomhive e la danza erano totalmente incompatibili - un po’ come con la musica.
Per questo la sua spontanea
volontà di ballare con lei le suonava bizzarra, anche se, in
cuor suo, la giovane lady Middleford aveva sempre desiderato danzare
con il suo amato.
Forse fu proprio per quello che, senza troppi indugi, replicò un entusiastico: «Oh, Ciel! Certo!».
E mentre una dolce musica
di violino - probabilmente suonata dal portentoso Sebastian - riempiva
la stanza, Lizzy sembrò dimenticarsi dell’opprimente e
tetra atmosfera che aveva percepito arrivando alla tenuta.
Era come se, nel
volteggiare più o meno abilmente nella stanza - Ciel peccava
terribilmente d’eleganza anche per quel poco che sapeva sul ballo
- tutte le sensazioni negative che aveva avvertito si fossero
volatilizzate, scomparendo totalmente dai suoi pensieri.
Adesso c’erano solo
lei ed il suo fidanzato là dentro, senza alcun ostacolo
né alcuna preoccupazione, come se fossero entrati in una bolla
dove spazio e tempo si annullavano.
Le note si susseguivano in
un dolce rincorrersi che Lizzy percepiva solo lontanamente, occupata
com’era ad osservare Ciel e la sua espressione che lasciava
trapelare così bene - diversamente da altre occasioni - tutto il
suo impegno per ciò che stava facendo.
Sembrava che gl’importasse davvero di riuscire a ballare con una certa bravura.
Nell’osservarlo a
lungo negli occhi, notò all’improvviso un barlume
scarlatto balenargli momentaneamente nell’unica iride visibile ed
un brivido le serpeggiò lungo la schiena.
Ciel aveva gli occhi azzurri, grandi bellissimi occhi azzurri, non... rossi.
«Immaginazione...?
Sì, dev’essere senz’altro quella. Il mio Ciel non ha
gli occhi rossi... e non possono cambiare colore» commentò tra sé e sé, intimorita.
Il brano terminò in quello stesso momento.
A sorpresa, il Phantomhive
esercitò una lieve pressione con la mano sulla sua schiena,
accostandola a sé. La ragazza arrossì involontariamente a
quel contatto certamente inatteso.
«C-Ciel...» mormorò, perplessa: non si era mai comportato in modo tanto... romantico.
Non era mai stato da lui, così come il ballo o certe premure
quali l’accompagnarla volontariamente mano nella mano...
Adesso che ci ripensava,
tante erano le anomalie comportamentali del suo fidanzato, quel giorno,
stranezze che non sapeva in alcun modo spiegarsi.
Senza lasciarle il tempo di
dire niente e senza alcuna esitazione, il conte si piegò su di
lei e le sfiorò le labbra con le proprie, dapprima fugacemente,
poi con un poco più di forza.
Gli occhi di Lizzy si dilatarono per lo stupore nel rendersi conto di ciò che Ciel aveva appena fatto: l’aveva... baciata?!
Non fu, però, un
bacio né lungo né passionale: fu tutto sommato pieno di
pudore, semplice, come si conveniva a giovani della loro età, ma
Elizabeth ne rimase comunque esterrefatta, con ogni probabilità
per l’assoluta anormalità della cosa.
Un bacio dal conte
Phantomhive così improvviso dopo mesi che nemmeno un sorriso
osava mostrarsi sul suo bel viso ancora da bambino, dopo mesi che
sembrava lottare con tutto se stesso per contrastare emozioni come la
gioia e l’amore.
Nonostante tutto, Lizzy era felice: finalmente sembrava manifestare dei sentimenti verso di lei.
«Adesso... sono
stanco» asserì il nobile, separandosi da lei e voltandosi
a darle le spalle con il chiaro intento di congedarla.
«Sarà di certo felice ora».
«L’accompagno alla porta, lady Middleford» sentì dire a Sebastian.
Trattenne un sospiro.
«Finalmente è finita».
«Quando verrai a trovarmi, Ciel?».
La domanda lo colse
talmente alla sprovvista che, involontariamente, il conte si volse con
uno scatto ad incrociare il profilo della ragazza: i suoi occhi erano
carichi di emozione e le labbra increspate da un sorriso speranzoso.
Avrebbe dovuto dirglielo, ma non era quello lo scopo di quella visita: lui si era prefissato l’obiettivo di alleviare la sua sofferenza, non infliggergliene altra.
Tuttavia, quella richiesta era una lama a doppio taglio.
«Presto, Lizzy»
replicò dopo pochi istanti, mostrando un debole accenno di
serenità che parve convincerla.
«Venga» intervenne Sebastian, evidentemente rivolto all’ospite.
«No, grazie. Vado da
sola» rifiutò cortesemente la bambina «A presto,
Ciel!» salutò con enfasi.
Il tonfo della porta che si chiudeva.
Attimi di silenzio.
Il suono ovattato di passi sulla moquette gli riferì il progressivo avvicendarsi del suo maggiordomo.
«Le incombenze sono finite, signorino?».
La voce del demone gli arrivò da sopra l’orecchio, simile ad un soffio venefico.
Si prese un momento prima di replicare un serio: «Sì, ora possiamo andare».
Si voltò verso il
demone e lo fissò negli occhi per una manciata di secondi -
sufficienti affinché la sua iride scoperta assumesse nuovamente
un’inquietante sfumatura scarlatta - dopodiché lo
superò, diretto verso la porta.
«Lascio a te il resto» esclamò in ultimo, dileguandosi oltre l’uscio.
Sebastian sorrise con quel suo modo di fare malevolo e al tempo stesso inquietante.
«Yes, my Lord».
Non riusciva a capire perché quel biglietto si trovasse tra le sue mani.
Era semplicemente inconcepibile per lei, inaccettabile.
«Signorina! Signorina!».
Tutto il suo mondo pareva
esser stato risucchiato da quel foglietto che stringeva tra le mani
senza trovare la forza né di gettarlo, né di strapparlo,
né di farci altro.
Osservava
l’inchiostro nero che aveva sporcato la candida superficie
cartacea per comporre quelle parole fatali stilate con
un’impeccabile grafia, senza volerle comprendere.
Sforzandosi di non comprenderle, perché farlo le avrebbe fatto solo male.
La sensazione che aveva avuto il giorno antecedente di una notizia grave adesso era solo una dolorosa certezza.
«Presto, Lizzy».
Le sue parole le riempirono la mente senza essere neppure stare richiamate.
Quella promessa implicita, adesso, cosa rappresentava per lei?
Niente più di un
ultimo, infelice ricordo di una speranza che, adesso, sentiva
completamente svanita da dentro di sé.
«Perché? Perché proprio adesso che sembrava finalmente... amarmi. Perché...?» si domandò, senza trovare alcuna risposta soddisfacente.
L’unica che riuscì a formulare fu un pessimistico: «Destino crudele»,
che però non si addiceva per niente alla sua natura tipicamente
ottimista, anzi, vi strideva dannatamente, come unghie sul vetro.
«Signorina, venga
dentro. Con questa pioggia si prenderà un’influenza»
continuò ad insistere la sua cameriera, cercando inutilmente di
spostare la piccola lady Middleford dal selciato.
Non capiva cosa le era
successo: era così contenta quando aveva saputo che le era stato
recapitato un biglietto da parte del conte Phantomhive, e adesso
sembrava immune ad ogni richiamo, estranea a tutto.
«Cosa mai potrebbe essere scritto su quel biglietto?».
Proprio in quel momento le
mani di Elizabeth, scosse da un fremito di freddo, allentarono la presa
sul rettangolino di carta, che cadde a terra.
La cameriera sgranò
gli occhi nel notare il testo, estremamente chiaro e sintetico: adesso
capiva il perché di quella reazione.
«Signorina, torniamo
dentro...» esclamò, stringendola a sé in quello che
senza dubbio era un abbraccio consolatorio.
La bionda si
lasciò guidare - le guance rigate di lacrime - voltando le
spalle al foglietto che lentamente veniva annullato dalla pioggia
battente, così come il suo contenuto, il suo funereo: “In
memoria di Ciel Phantomhive”.
Angolino autrice
Eccomi qui con la fic per Sachi Mitsuki
<3 anche se pubblicata con un ritardo cospicuo rispetto alla
richiesta via meme XD ma almeno c'è ùwù e tanto mi
basta.
Spero almeno di essere riuscita a soddisfare la mia richiedente <3
Che altro dire...?
Be', mi sono ispirata all'ultima puntata della seconda stagione (come
penso si sia notato XD) per scriverla ù-ù anche se non
è poi molto distante da questa (per quel poco che ricordo <3).
Comunque, lascio al pubblico i commenti u.u
Well, mi eclisso. Bye bye! ^^
F.D.
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