Dolce suono d'irregolarità
Tremilaseicento volte l’ora, il Secondo
bisbiglia: Ricordati!
Il ticchettio dell’orologio
sembrava il musicista più talentuoso della disordinata orchestra della pioggia.
Le gocce picchiettavano sul vetro sporco, come se avessero voluto avvicinarsi al
loro fratello più bravo, per imparare da lui il ritmo incalzante ed incessante
dei secondi.
Lui,
accartocciato attorno ai suoi mille pensieri, stava immobile nell’angolo della
stanza: ascoltava le lancette scattare una dopo l’altra con la stessa velocità
di sempre e provava un infinito e allo stesso tempo pressante sentimento di
angoscia. Quell’orologio crudele segnava il tempo della sua disfatta, della
sua ritirata, della sua uscita di scena. Lentamente, giorno dopo giorno, ora
dopo ora, anzi, secondo dopo secondo, il Tempo logorava il suo corpo, lo
consumava. La stessa oscurità in cui si era racchiuso lo stava lentamente
mangiando, cellula dopo cellula.
Rapido con la sua voce
d’insetto, l’Adesso dice: Sono
l’Allora,
e t’ho già succhiato la vita con la mia
tromba immonda!
Il cielo si scuriva di nuovo,
tornava nero dopo un giorno di grigiore e opacità; le nuvole stagnavano pesanti
su di esso, riversando loro stesse sulle strade della città. Il sole sembrava
lontano e freddo, la città risuonava del rumore dei passi nelle pozzanghere,
degli scrosci dell’acqua delle grondaie, delle tende fradice mosse dal vento
umido; il resto era solo silenzio: nulla si muoveva, solo la pioggia cadeva.
La vita scorreva silenziosa,
ovattata e, anzi, per Lui non
scorreva affatto.
Il Tempo gli scivolava addosso,
lasciando i segni del suo passaggio, ma Lui non se ne rendeva conto.
Il rintoccare di ogni secondo
sembrava ricordargli che non viveva, che aveva scelto quel limbo crudele e
gelido al posto della vita. Gli ricordava che una volta aveva gioito e sofferto,
che avrebbe potuto farlo ancora, ma che aveva preferito scegliere l’alternativa
più vigliacca: l’indifferenza.
E così, da qualche mese, si
abbandonava alla polvere e alle piaghe del tempo, indifferente alla vita come
solo gli oggetti inanimati sanno essere. Il Tempo gli aveva spremuto la vita
mesi prima ed ora non aveva più armi per affrontare il mondo di fuori, fatto di
sole e di cieli azzurri, ma anche e soprattutto di pioggia e di oscurità.
Ricordati che il Tempo è un giocatore
ingordo
che vince senza barare, ad ogni colpo! è la
legge.
Il giorno declina; la notte cresce,
ricordati!
la voragine ha sempre sete; la clessidra è
vuota.
Anche la fioca luce che per poche
ore era riuscita a filtrare attraverso le nuvole adesso si ritirava per altri
orizzonti, lontani da quello, così malinconico, e, forse, migliori. L’oscurità
iniziava ad impossessarsi degli oggetti, prima i dettagli, poi le forme.
Lui, risultato sbagliato di una
sottrazione tra il mondo e la vita, ora spingeva il suo sguardo fioco e stanco
al di là della finestra. Osservava le pozzanghere brillare delle luci tremule
dei lampioni, le strade allagarsi, le finestre accendersi di bagliori
artificiali. Osservava la città prendere fiato dopo una frenetica giornata di
vita.
Qualunque esistenza, ormai, era
frenetica, anche quella di colui che non faceva niente. E Lui se ne era reso conto troppo tardi,
evidentemente, dato che il Tempo aveva avuto abbastanza anni per rubargli la
vita di dosso. Il Tempo lo aveva ingannato, rinchiudendolo in giornate troppo
corte per vivere al meglio e troppo piene per vivere al peggio. Non era mai
stato bene, ma non era nemmeno mai stato male: era sempre stato in affanno,
rincorso dalla paura di non avere il tempo sufficiente per fare tutto quello che
lo avrebbe reso felice. Si era aggrappato al ritmo della vita quotidiana, fatta
di azioni ogni giorno identiche e puntuali, ai pochi affetti, alle poche
certezze ed aveva ritagliato la sua vera esistenza all’interno di quelle poche
ore che il Tempo gli concedeva, ingannandosi di avere una vita splendida ed
invidiabile.
Poi il ritmo si era incrinato,
gli affetti erano crollati, le certezze erano svanite e senza tutto ciò, era
caduto in un abisso di nulla, dove nemmeno il Tempo aveva alcun lavoro da
compiere: lo aveva già corroso.
Il Tempo, vincitore, era ormai
inutile, ma comunque onnipresente.
E così Lui spendeva le sue giornate a
rimuginare sul passato e a sforzarsi di non sentire il ticchettio dell’orologio.
E così aveva imparato ad amare le
giornate di pioggia, durante le quali poteva sperare di confondere il suono dei
secondi con quello delle gocce, ricordandosi, una volta ogni tanto, di quanto
sia confortante farsi cullare dal dolce suono dell’irregolarità della vita e non
da quello frenetico e straziante dell’orologio.
Fra poco suonerà l’ora in cui il divino
Caso,
e l’angusta Virtù, tua sposa ancora vergine,
e il Pentimento stesso (oh! ultimo
albergo!),
tutto ti dirà: Muori, vecchio codardo! è
troppo tardi.
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- Due parole due, giuro.
- Questa storia si è classificata quarta al concorso "The rain
and Baudelaire" indetto da Ribrib20 sul forum.
- Le frasi in corsivo sono tratte dalla poesia di Baudelaire "Horloge" e,
quindi, non appartengono a me.
- Per quanto riguarda, invece, il protagonista della storia, ho scelto di
non dargli un nome per due motivi: perchè tutti possano riconoscersi in Lui
(che avrebbe tranquillamente potuto essere una Lei), ma, soprattutto, perchè
Lui, dopo il grande fallimento della sua vita (di nuovo imprecisato, perchè
sia più facile immedesimarsi), ha scelto di annullare se stesso e il suo
passato e di lasciarsi andare completamente. Rinnegando il proprio passato,
Lui rinnega anche il suo nome. Per cui, nessun nome e nessuna presentazione
per il protagonista.
- Vorrei dedicare questa storia a due persone che l'hanno letta ed
apprezzata: Paolo ed Elisa, che mi ha detto delle cose splendide a riguardo e
che posso ringraziare solo in questo modo. Non arriveranno a leggere questa
dedica, però va bene lo stesso.
- Ringrazio ovviamente la giudice del concorso :)
- Scusate per il poema, avevo giurato, lo so, mi dispiace.
- Se avete letto fino a qua, vi prego di commentare, perchè i commenti sono
la linfa vitale di uno scrittore e senza si ha l'impressione di venire
dimenticati. Per cui, per favore, commentate. E io, sicuramente, verrò a
leggere qualcosa di vostro e commenterò.
- A presto,
- Miss Dark.
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