Autolesionisti
«Lasciami.»
Grugnisce
lei, posando lo sguardo sulla sua figura. I suoi occhi non sono
iracondi, il suo sguardo non è più glaciale.
È solo pietà quella
che dimora nel suo volto, null'altro.
Fa
ancor più male dell'indifferenza, poiché non
c'è nulla che lui
possa dire per farle cambiare opinione. Se almeno Phoebe gli fosse
indifferente, Cole saprebbe cosa fare: ci sarebbero tante soluzioni,
starebbe a lui, poi, scegliere la più attuabile. Invece, la
pietà è
qualcosa a cui non può porre rimedio: non è
neppure sicuro che
Phoebe provi qualcosa per lui, nulla se non quel sentimento che lo
distrugge nel profondo.
«Lasciami,
ti ho detto.»
Inveisce
nuovamente. Stavolta il tono è più marcato e lei,
come una
leonessa, gli mostra i suoi denti, probabilmente quel gesto dovrebbe
fungere da monito. Phoebe sa benissimo che non le farà del
male –
almeno non fisicamente; psicologicamente, invece, l'ha già
distrutta
abbastanza –, non si perdonerebbe.
«È
così?», borbotta lui, esaudendo la sua richiesta,
«È veramente
finito tutto... così?»
Phoebe
indietreggia, c'è qualcosa nei suoi occhi che si sta
infrangendo.
Oh,
sì... Cole Turner conosce quello sguardo, eccome se lo
conosce. È
l'appiglio a cui sta cercando di aggrapparsi con tutte le sue forze,
è il salvagente a cui tenta disperatamente di andare
incontro. È
inutile – vorrebbe dirle –, non riuscirà
a fingere davanti a
lui.
Quale
amore non fa male?
L'unica
differenza nel loro rapporto è che sono un demone ed una
strega, due
entità distinte, l'imbrunir del cielo contro il calore del
sole, il
ghiaccio che si scioglie sotto i tiepidi raggi solari. Vivono di
compromessi, è quella la sostanziale
differenza.
Phoebe
non si sarebbe mai aspettata di arrivare a tanto, di dover rinnegare
il proprio orgoglio per andare incontro alle richieste di un uomo che
l'aveva privata della più misera dignità.
È
proprio una donna senza decoro, il suo comportamento è
frivolo e
lascivo. Ironico... pensava di aver imparato
qualcosa, in
passato, dai suoi errori.
A
quanto pare, l'amore è l'unico errore che si commette
all'infinito.
È l'unico che si ripete giorno dopo giorno, con una frase o
con un
gesto, volenti o nolenti si continuerà ad errare. Ed
è proprio
questo infinito, questo illimitato tempo di gioa e di dolore a
renderci le misere creature che siamo... Umani, semplici e
fragili
umani.
Figli
di un destino ineluttabile, di un circolo vizioso a cui non sappiamo
metter fine. Forse ci piace sbagliare, poiché il dolore
è tanto più
forte della gioia. Provoca agonia, disperazione, sembra affievolirsi
di tanto in tanto ma, alla fine della giornata, presenta il suo
estratto conto e ci ricorda che siamo sulla terra e dobbiamo
convivere con il cuore e con la mente.
La
gioia, invece, non è nient'altro che un effimero momento di
felicità, un palpito nel petto, il tremolio delle gambe ed
una
strana sensazione di euforia nella mente.
Tutto
passa... Ogni gioia si dimentica, sostituita da un'altra
gioia –
equiparabile o, addirittura, superiore alla precedente.
Sono
i dolori che restano, sono i dolori che vivono in noi. Nascono,
crescono ma non muoiono... Beato chi prova dolore,
poiché saprà
sopportare ogni gioia.
Phoebe
crolla, l'ha sentito bene quel macigno – è una
lacrima, solamente
una lacrima.
Si
appoggia al tavolo, sfugge allo sguardo di Cole ma un attimo dopo
è
una creatura fragile, che cerca di abbracciarsi per cercare un po' di
calore umano.
«Phoebe...»
Si
morde le labbra scarlatte con veemenza, sa bene che non può
accettare il gelo che emana Cole. È
indescrivibile la
sensazione, sfugge al suo controllo nel momento stesso in cui lui la
sfiora – dapprima timoroso, come se quella
sensibilità potesse
scusarlo per tutto il dolore che le ha causato –, lei crolla
definitivamente.
Crolla,
dimenticando l'orgoglio di una donna ferita.
Crolla,
tra le sue braccia.
E,
infine, crolla sulle sue labbra.
Non
può spiegare razionalmente il modo in cui lo sguardo di Cole
la
travolge, il motivo per il quale ogni azione pare incontrollabile, il
piccolo varco che viene colmato da un bacio – e un altro, un
altro
ancora... Il dolore pretende sempre troppo e noi, falsi
moralisti,
gli concediamo un banchetto prelibato sul quale sfamarsi.
«Portami...»,
sussurra Phoebe, cingendo il suo collo con le proprie braccia, «...
Portami dove ogni dolore muore e diventa paradiso.»
Cole
sfiora il suo profilo – gelido, polare, vivo il
suo tocco –,
poi annuisce. In quel momento la osserva e capisce quanto sia
fortunato ad avere una donna così straordinaria al suo
fianco. Gli
inferi non saranno dalla loro parte ma, forse, il destino è
più
accorto – non può separarli, non farebbe mai uno
sgarbo simile –,
chissà, magari ha in serbo qualche sorpresa.
Il
demone non molla la presa dal suo sguardo, le prende la mano con
delicatezza e timbra sul dorso una promessa eterna: «In
ogni
momento.»
Sulle
labbra di Phoebe sembra indugiare un sorriso di tenerezza: è
senza
dubbio il demone più pericoloso che abbia mai conosciuto ma,
d'altronde, lei è la strega più masochista del
mondo.
È
un patto con il demonio, quello, sa già di aver tessuto le
fila di
un destino ormai inestricabile.
“È che a volte nonostante tutte
le migliori scelte e tutte le migliori
intenzioni,
il
destino vince comunque.”
©
Grey's Anatomy, Meredith Grey.
*
Note:
Seconda
classificata al “Grey's Contest”, indetto da
meli_mao :).
Bene,
nonostante la pessima punteggiatura che ho cercato di correggere
–
mi scuso in anticipo, in caso contrario – posso dire di
essere
abbastanza soddisfatta. In realtà questa storia nasce come
un
insieme di tanti pensieri personali... Ho scelto Phoebe e Cole
perché li rappresentano meglio.
Anche
il titolo, non è casuale: in fondo, penso che il vero amore
di
Phoebe sarà sempre Cole Turner. E sì, loro sono
autolesionisti
perché si sono fatti più volte del male a vicenda
ma sono stati in
grado, al contempo, di amarsi con la stessa intensità :). In
ultimo,
questa storia è collocata grossomodo tra la fine della
quarta e
l'inizio della quinta stagione.
Ringrazio
i lettori, in anticipo chi recensirà :D.
Kiki-chan.
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