Era il
quarto giorno di occupazione, l’organizzazione della
scuola era stata scritta, copiata ed affissa sui muri di ogni
piano.
In
neretto
vi erano orari di assemblee, feste, entrate ed uscite; mentre in rosso
vi era
una grossa scritta: Vietato entrare nei laboratori.
Chissà
perché quella
scritta mi induceva ancora di più ad entrarvi, in quei
laboratori.
Scossi
il
capo, muovendo leggermente le spalle al ritmo della musica che
rimbombava forte
nell’atrio della scuola.
Ogni
tanto, quando Giorgia mi guardava, arrossivo ed
abbozzavo un sorriso.
E lei mi
sorrideva, a volte poggiava la testa sulla mia
spalla.
Lei non
sapeva quanto ogni suo minimo gesto fosse interpretato in
maniera opposta dalle nostre menti: se per lei qualcosa era segno di
amicizia,
a me spesso dava false speranze su una possibile storia
d’amore tra di noi.
Era
da tempo che mi piaceva, ormai avevo accettato i miei sentimenti per
lei e mi
ero abituata a tutti i segnali strani che mandava il mio corpo quando
la
vedeva.
Mi ero
abituata al cuore in gola, all’ansia, alla voglia di vederla
sempre e costantemente.
Mi ero
abituata all’avvampare del mio viso ed avevo
imparato a gestirlo.
Ciò
che proprio non riuscivo ad accettare era che la
nostra sarebbe rimasta sempre e solo una semplice amicizia.
Insomma,
lei era
etero.
Io dal
canto mio non le avrei mai e poi mai rivelato i miei sentimenti,
non avrei mai rovinato quel poco di amicizia che ci era
rimasto.
Anche se
per
me la nostra amicizia era stravolta, per ovvi motivi, lei non seppe mai
nulla e
questo lo decisi perché sapevo che altrimenti lei si sarebbe
allontanata
definitivamente da me.
Che
tutto sarebbe cambiato, che lei avrebbe iniziato a
fare attenzione ad ogni gesto, evitando quelli interpretabili
male.
Avevo
già
provato ad allontanarmi da lei, senza mai riuscire ad andare fino in
fondo.
Tornavo
sempre da lei, affamata di lei e di quel piccolo mondo che condivideva
con me.
Io,
che vivevo delle speranze, o meglio illusioni, che i suoi piccoli gesti
mi
davano, non avrei mai retto un suo allontanamento definitivo.
Quindi
la
soluzione che a me sembrava più giusta era di continuare ad
amarla in silenzio,
per quanto potessi riuscirci, e lasciarle vivere la sua vita in pace.
Era una
giornata molto nuvolosa, eravamo a scuola perlomeno
da un paio di ore, quando anche Giorgia notò il
cartello.
Gli
occhi le si
illuminarono e se io mi ero data un contegno cacciando via qualunque
pensiero
che prevedesse l’entrare nei laboratori di nascosto, lei fece
l’esatto opposto.
Si
girò di scatto verso di me, mi prese la mano e mi
trascinò verso le scale di
emergenza.
Non mi
disse nulla, io avevo capito cosa intendeva fare e lei sapeva
che io avevo capito.
Lei era
una piccola scienziata in miniatura ed amava follemente
il laboratorio di scienze.
Questa
era una cosa che io sola sapevo, considerando
la nomea da puttana senza cervello che solo delle persone invidiose
della sua
incredibile bellezza, potevano affidarle.
Che era
bellissima, bhè questo
sicuramente.
Era alta
1 metro e 75, aveva i capelli neri e lisci, gli occhi
azzurri chiarissimi tendenti al grigio, notevolmente formosa nei punti
giusti.
Oggi,
poi, era spettacolare.
Si era
fatta i boccoli con la piastra per arricciare i
capelli, un trucco leggero che le metteva moltissimo in risalto gli
occhi,
sulle guance delle leggere schiocche rosate.
Indossava
una canotta bianca
dentro i jeans ed una camicia azzurra da sopra.
La
collana fendi con la lettera
G le cadeva morbida sui seni e il profumo era quello di
sempre.
Quello
buonissimo.
Chanel
n° 5.
Aspettammo
il momento opportuno e quando nessuno potesse
notarci, ci intrufolammo su per le scale di emergenza.
Le
salimmo tutte di
corsa, facendo attenzione ad essere silenziose, soprattutto quando poi
dovevamo
superare i corridoi.
Arrivate
al 3° piano raggiungemmo il laboratorio correndo
come delle pazze, entrammo trafelate e Giorgia chiuse la porta dietro
di sé.
Scoppiammo
a ridere nel buio della stanza, illuminata leggermente soltanto dalla
luna che
si faceva spazio tra le nuvole.
Quando
Giorgia stava per accendere la luce,
udimmo delle voci in lontananza.
A
giudicare dai timbri erano i rappresentanti
d’istituto.
Se ci
avessero scoperte, ci avrebbero di sicuro bandite
dall’occupazione.
Giorgia
corse verso di me, quando sentii i rappresentati avvicinarsi, spinsi
Giorgia contro il muro, dietro una vetrinetta e mi schiacciai contro di
lei.
Eravamo
vicinissime, i nostri visi si sfioravano i nostri respiri affannati e
spaventati si univano.
Girai il
viso alla destra del suo collo, tentando di
fare finta di nulla e cacciando via dalla testa qualunque pensiero non
troppo
consono.
Sentivo
lo sguardo di Giorgia sul mio viso, la sentivo scrutarlo tutto
ed analizzarne ogni dettaglio.
Fu
proprio quando Alberto e Luca, due dei nostri
rappresentanti, aprirono la porta che, col fascio di luce proveniente
da fuori
(Che non ci colpiva direttamente ovviamente, altrimenti ci avrebbero
scoperte,
ma che comunque illuminava più della luna) che lo
vidi.
Il suo
sguardo era
diverso dal solito.
Era
fisso sulle mie labbra e sembrava… Affamato.
Alzò
gli
occhi e li puntò nei miei.
Mi
lanciò uno sguardo malizioso e quando Alberto e
Luca richiusero la porta, lei appoggiò entrambe le mani
sulle mie guance,
avvicinò i nostri visi e fece scontrare le nostre
fonti.
Mi tenne
in quell’ardua
da sopportare agonia per qualche secondo, come se non sapesse se osare
o no.
Dopo
poco portò
le sue labbra sulle mie.
Ne
avvertii l’incredibile morbidezza, mentre le sue
mani mi accarezzavano il viso.
La
sentii schiudere le labbra e così feci anche
io.
Subito
dopo le nostre lingue si incontrarono per la prima volta ed
iniziarono a danzare felici nelle nostre bocche.
Quanto
avevo atteso quel
momento.
Ed in
quel preciso istante non riuscivo nemmeno a realizzare bene
quello che stava succedendo.
Afferrai
saldamente i suoi fianchi e mi avvicinai
di più a lei, senza smettere di baciarla.
La
spinsi ancora di più contro il
muro e le sollevai una gamba.
Con essa
lei mi cinse i fianchi ed io afferrai
anche l’altra.
Spostai
il mio bacino vicino il suo e premetti.
Staccò
il
contatto tra le nostre bocche per riprendere fiato, ed in quel momento
la vidi
ritornare in sé e prendere le redini della
situazione.
–Ci
siamo divertite un po’
troppo per oggi, non credi?-.
Era
ritornata quella di sempre.
Mi
dovetti
adattare fare finta
di nulla, per non
rovinare l’amicizia.
Le
sorrisi l’abbracciai ed insieme uscimmo dal
laboratorio.
Ricominciammo
la nostra corsa per non essere scoperte e dopo poco
arrivammo nell’atrio.
Ci
sedemmo sui banchi dove eravamo sedute prima e
riprendemmo a muoverci al ritmo della musica ed a guardarci e
sorridere.
Tutto
come prima.
Tutto
alla normalità.
Solo
che… Qualcosa era cambiato.
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