Comu u Ficalinni
-Hei!
Ciao Frizza.
-
Ciao, Sofi.
-Hai
il vivavoce, vero? Toglilo per piacere.
-
non posso, scusa ho le mani occupate. E poi non credo di
poter stare molto al telefono : la batteria si sta scaricando.
-
Ok, capito. Vabbè, volevi qualcosa?
-
Solo sentirti ancora, mi manchi.
Un
sospiro.
-
Anche tu Frizza; dai, ci vediamo a Natale, non manca molto
… ti ho detto che ho prenotato l’aereo per il
venti? Se sei in città potresti
pure venire a prendermi all’aeroporto, come
l’ultima volta.
-
È stata
una bella sorpresa,
vero? Questa volta mi sa che non posso; ma magari finisce che vieni
prima e
allora la sorpresa la fai tu a me!
-
Frizza perché ti sento triste, che c’è?
-
Non ci badare Sofi, invece pensa, pensa ad un ricordo bello
che abbiamo insieme: la vacanza a Roma, ti ricordi?
-
Certo, è stato l’anno della laurea, vero? In tutte
le foto
hai un’aria esausta ma così contenta!
- Ecco, devi sempre pensarmi così, fino a quando non ci
rivedremo, e allora
credo che non avrà nemmeno importanza.
-
Dai Fri, non fare così, per favore. A chilometri di
distanza non so davvero consolarti.
-
allora stai solo in silenzio a sentirmi piangere, e poi
non pensarci più, guarda la foto più buffa di
quella vacanza, quella dove ho
gli occhi da pesce impaurito e il sorriso a metà, fatti
quattro risate, se ti
fa ridere ancora. Io proprio non ce la faccio, mi dispiace.
È che mi manchi
già.
-
Frizza io continuo a non capirti, sei strana, ma strana
davvero. Mi dici che succede?
-
Scusa Sofi. Ogni cosa a suo tempo. La batteria si sta
scaricando e ci sono ancora troppe cose che vorrei dirti, o forse
vorrei solo
averti qui, abbracciarti e scacciare i brutti pensieri, le paure, la paura.
Un’ultima
cosa, un favore,: vieni a trovarmi un po’ più
spesso; e scegli una bella foto, una bella. E se non capisci capirai
… lo so
che tu sei quella curiosa, ma io sono quella ermetica anzi, come dici
tu, a
chiusura ermetica.
Una
breve risata.
-
Va bene dai, ci sentiamo più tardi.
-
Non credo, ma dai, va bene così … mi sento
già meglio,
grazie. Sono contenta di avere un Dio in cui credere per poterlo
ringraziare di
una sorella come te.
-
Ma dai Fri, non mi rubare le frasi! Ti voglio bene.
-
Si, per sempre. Ciao,
Sofi.
-
Ciao.
Notizie
da ultima pagina affermano sicure che il 55% dei
giovani italiani non ha voglia di crescere. Che si adagia sui comodi
familiari,
sulla figura della madre-serva.
Cazzate,
dico io. Da quando sono stato sbattuto sulla terra
ho solo incontrato gente costretta a crescere troppo in fretta.
Finchè
sei bambino può anche andarti bene: qualche
caritatevole istituto religioso – come è capitato
a me- ti prende a carico, ti “garantisce”
un posto sicuro. Perché i bambini piacciono, piacciono a
tutti. Ma quando
a quattordici anni
in testa hai solo i
motori e di Catullo e Omero non sai che fartene,
quell’idillio ti crolla
addosso, anzi ti scrolla di dosso, come fossi polvere che rischia di
oscurarne
la bellezza.
Poi
mettici anche che vivi a Palermo, che con piccoli
lavoretti e – diciamocelo - qualche furtarello in due anni
metti su un
gruzzoletto, che apri un’officina e ti senti realizzato.
Poi
arrivano loro
che prima con frasi di comodo e poi con non tanto velate minacce ti
chiedono il
pagamento extra, il pizzo, come se non ci pensasse già lo
stato a dissanguarti
di tasse.
E
all’inizio paghi, poi cominci davvero a non farcela
più e
ti fanno un altro tipo di offerta, perché
“conoscono il tipo”: gareggi per loro
nelle corse clandestine di moto.
Ti
dici che non è male, che è quello che avresti
voluto
fare, solo, dove sta la libertà se ti hanno rubato pure un
sogno e se ne sono
impadroniti?
rabbia cieca e frustrazione, tanta che poi inizi a perdere; e questo a loro non piace, e tu hai sempre
più
debiti che non sai come pagare. Allora ti arriva
l’ammonimento, il pestaggio, e
vorrebbero continuare con gli avvertimenti
ma tu ti sei fatto più furbo, fai un gioco simmetricamente
opposto al loro, gli
sfuggi, li raggiri e questo non gli piace. diventi una fastidiosissima
spina i ficalinni (*) nel dito, ma
non
abbastanza grossa da dare loro
ulteriori problemi. Sei una questione di principio, più che
altro.
Ti
stanchi, sei esausto, e pensi a quante poche Frizza ci
siano al mondo, disposte ad aiutarti gratuitamente perché ad
undici anni hanno
capito che dietro all’atteggiamento da bullo
c’è tanto bisogno di crescere e
nessuna voglia di farlo.
Troppo
spesso l’immagine dei tuoi giorni migliori ha gli
occhioni buoni ed intelligenti di una voce allegra che ti ripete :
“ah, Fosco,
hai un cervello grande così. Non avresti nemmeno bisogno dei
miei compiti, se
ti sforzassi un po’”.
E
allora, anche se forse è tardi e le circostanze sono
totalmente diverse, decidi di usarlo, quell’ammasso grigio
che sembra essere il
tuo unico bene.
Giochi
d’anticipo; con cautela esci allo scoperto, tessi la
tua tela e aspetti. Al momento opportuno fai la tua richiesta e sai che
non
rifiuteranno: conoscono il tuo valore.
Chiedi
di diventare uno di loro perché devi tenerti stretti
gli amici ma, visto che non ne hai, più stretti i nemici.
Svolgi
piccoli incarichi, ti stanno mettendo alla prova. A volte
ha la sensazione che siano loro
stessi a complicarti le cose per testare le tue capacità.
Anni di questa vita e
poi, poco alla volta, senza sapere come, uccidi per loro. Sei
così dentro al
sistema che non ti chiedi più come ci sei arrivato. Sai solo
che sei
maledettamente bravo. “Mani pulite” ti chiamano,
perché non lasci tracce, non
lasci traccia di te, di loro. Sono
uomini,
perlopiù; di alcuni hai già sentito parlare,
altri ricordi di averli
conosciuti, una volta, di averci bevuto una birra, un caffè.
Due
anni di questa vita, senza rimorsi, forse. La tua vita
continua dove finisce quella delle tue vittime, delle loro
vittime – ti dici.
Notizie
da prima pagina affermano sicure che la giornalista
Fabrizia Rizza ha ricevuto ripetute minacce di morte, e io, mentre
guardo il
TG, osservo la foto del mio ultimo incarico consegnata in una busta
gialla. Non
leggo nemmeno il nome, non ne ho bisogno.
Incontrai
la mia morte nella hall dell’albergo di turno e
prima che mi avvistasse le andai incontro con un sorriso amaro e la
tristezza
negli occhi.
-
Ciao Fosco. Da quanto tempo …
-
Diciassette anni. – con lo sguardo duro della
professionalità.
Annuii
debolmente.
-
Credo di far un favore ad entrambi se ti invito a salire
in camera mia. Sarà più facile per tutti e due.
Ormai
non posso evitare l’inevitabile ma vorrei almeno che
non succeda niente ai ragazzi.- Dissi con un cenno di capo alla volta
di
quattro giovani apparentemente occupati in una partita di scala
quaranta, due
tavoli più indietro.
Lo
vidi esitare, calcolare la mia proposta. Era teso,
visibilmente. Colto alla sprovvista e privato di
quell’effetto sorpresa su cui
aveva sempre giocato molto.
-
Va bene – si arrese- ma niente scherzi.
-
Nemmeno tu.
Rassicurai
i miei angeli custodi con uno sguardo colmo di
gratitudine. Tre piani di ascensore e un corridoio dopo eravamo nella
mia
singola.
-
Ho delle richieste- esordii sicura- voglio farmi una
doccia, vestirmi adeguatamente, truccarmi e fare una telefonata.
-
Sei pazza. Non so perché non abbia ancora premuto il
grilletto. Tu dovresti già essere morta.
-
Ma non lo sono, e non è da tutti poter programmare la
propria uscita di scena. Se sono ancora viva è
perché sei un uomo d’onore, tu.
Sapevo
di aver fatto centro. La mia conoscenza con Fosco
Sergi era avvenuta ai tempi delle medie, qaundo frequentare il collegio
voleva
dire, per figli di nessuno come lui, sopravvivere qualche inverno in
più alla
strada e alla merda delle sue leggi. Ai miei suggerimenti, compiti
passati e
lezioni extra di solfeggio doveva la sufficienza e, con essa, il
diritto di non
essere sbattuti fuori.
Come
fosse arrivato a diventare un sicario professionista al
soldo delle cosche, per me, sarebbe rimasto un mistero. Con troppo
rammarico
avevo appreso la notizia come voce di corridoio solo due anni prima.
Allora
avevo avuto la certezza che uno come Fosco non era
incline a dimenticare, né nel bene, né nel male.
Avrebbe svolto l’incarico, ma
secondo le mie regole.
-
Vada per il trucco e il cambio d’abito, ma scordati la
doccia e la telefonata.
-
Toglimi i miei vezzi da donna, ma quella telefonata è
l’unica
richiesta di cui mi importi. Farai tu il numero, staremo in vivavoce,
ascolterai ogni singola parola, mi vedrai piangere ma soddisfatta e poi
potrai
fare quello che devi.
FINE
(*)
fico d’India in dialetto Siciliano. Ho riportato il
temine in uso nella mia zona perché, in effetti, esistono
diverse varianti.
GRAZIE
per aver letto.
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