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Title: A Night of Love
Author: Melanyholland
Spoiler: sesta e settima stagione di
Buffy The Vampire Slayer, più vaghi riferimenti alla quinta stagione di
Angel (vaghi perché non l’ho vista ^^”).
Rating:
PG
Pairing:
Buffy/Spike
Disclaimer: tutto appartiene a Joss Whedon,
alla Mutant Enemy, alla Fox. Anche Mr.Gordo. Mia è solo la fanfic.
Note: è
una piccola storia, nata per farmi sentire meglio dopo una brutta giornata.
Perdermi nelle situazioni descritte mi ha calmata e fatta stare bene,
abbastanza per farmi addormentare tranquilla. Ho pensato di scriverla e di
proporvela, spero che vi piaccia tanto quanto è stata gradita a me. Fatemi
sapere cosa ne pensate, i commenti sono sempre
ben accetti, di qualunque natura siano.
A Night of Love
La prima cosa che realizzò, non appena riprese conoscenza,
fu che non era nella sua stanza.
Era distesa su qualcosa, che
poteva essere un letto, o un divano; sentiva il fresco batterle sulla pelle
delle spalle, che non erano avvolte dal delicato abbraccio di quella che era
senz’altro una coperta.
Poi c’era l’odore.
Non era il suo, né quello di
Dawn. Era…forte, penetrante, ma allo stesso tempo le dava una strana sensazione
di conforto, familiarità e…nostalgia. Un qualcosa appartenente ad un
passato che ancora non riusciva a focalizzare. Un passato agrodolce.
Ma perché si trovava lì?
Non riuscì a rispondersi. La
verità era che la testa le pulsava spiacevolmente, e ogni volta che cercava di
penetrare la nebbia mentale che le offuscava i pensieri riceveva in risposta una
nuova scarica di dolore e un senso di nausea alla bocca dello stomaco.
L’ultima cosa che ricordava era
di essere stata mandata in missione a Los Angeles da Giles…qualcosa che
riguardava una delle neo-cacciatrici, qualcosa che era di vitale importanza che
facesse. Sarebbe stato bello capire di che cosa si trattasse esattamente,
ma per il momento era chiedere troppo.
Ricapitolando, si trovava in un
ambiente sconosciuto, per una motivazione sconosciuta…e ancora non sapeva se era
nei guai. Il fatto che fosse ancora viva non le garantiva niente; nella sua
lunga esperienza contro le forze del male, aveva imparato che esistevano un
milione di cose peggiori della morte: qualcuno poteva averla fatta prigioniera,
magari si trovava in una cella, o nella tana di qualche demone intenzionato a
usarla per qualche rito non appena si fosse svegliata; non voleva aprire gli
occhi finché non fosse preparata a qualunque cosa.
Eppure, per qualche ragione
ignota a lei stessa…non si sentiva in pericolo.
I suoi sensi si misero subito in
allerta non appena avvertì un movimento non molto lontano da lei: lo
scricchiolio di un mobile. Passi. Il pesante fruscio di una stoffa.
E una nuova ventata di
quell’odore forte e non spiacevole. Fu così che in un flash sconnesso e confuso
ricordò di averlo già percepito, non molto tempo prima: rivide il luccichio
dell’asfalto bagnato alla luce della luna, risentì il sapore del sangue in
bocca, il dolore sordo alla testa, il suo stesso respiro ansimante e poi…la
sensazione di essere sollevata e quell’odore, su di lei, tutto intorno a
lei, mentre si aggrappava a qualcosa con le ultime forze, la vista che veniva
meno…
Il cuore le saltò in gola,
battendo furiosamente: ora ricordava: c’era stato uno scontro. Aveva combattuto.
Il demone l’aveva colpita e atterrata…e lei aveva perso i sensi.
Quindi il demone l’aveva portata
lì mentre era svenuta. Voleva farle qualcosa…o forse lo stava già facendo.
Doveva reagire. Subito.
Non appena avvertì che la figura
si allontanava dal luogo in cui giaceva, i suoi passi che risuonavano sempre più
attutiti, strinse i denti e aprì gli occhi, alzandosi di scatto a sedere.
Pessima idea.
La stanza vorticò dolorosamente
intorno a lei, costringendola a chiudere di nuovo gli occhi e abbattendola giù
con un gemito. Il pulsare alla testa ora era quasi insopportabile, un violento
martellare che la tormentava incessantemente, la nausea allo stomaco era
raddoppiata.
Bel piano, Buffy. E tu
saresti la Cacciatrice più esperta in circolazione? Da morire dal ridere.
La canzonò una voce nella sua
testa spaventosamente simile a quella di Faith.
Perfetto. Ora, il demone o
chiunque la tenesse lì aveva sicuramente capito che era sveglia.
E rincretinita.
“Non muoverti. Sei ancora
debole”. Sentì una voce profonda apostrofarla da fondo della stanza.
E in un attimo, fu come se
qualcosa le fosse franato addosso, colpendola, seppellendola, lasciandola
frastornata e incredula e imbambolata, i pensieri che sfrecciavano nella sua
testa senza che venissero registrati, il cuore che smise di battere. Aprì di
nuovo gli occhi e con più cautela, si issò sui gomiti, il senso di vertigine
opprimente ma più controllabile ora, e posò lo sguardo nelle ombre davanti a sé,
dove scorgeva il profilo di un uomo e niente più.
Aprì la bocca per chiedere,
parlare…ma la voce le morì in gola, e rimase a bocca aperta a fissare quel buio
impenetrabile, le sopracciglia aggrottate in un’espressione incredula, il petto
che si alzava e abbassava velocemente alla ricerca di ossigeno che non sembrava
mai soddisfarla, facendola sentire sul punto di soffocare.
Non poteva dirlo. No, era
terrificante, sacrilego, come rievocare il nome di un fantasma che era riuscita
a dimenticare dopo tanto tempo e tanto dolore. Come riaprire uno scrigno che
aveva sigillato con tanta fatica e che le avrebbe riversato contro tutto il suo
contenuto di sofferenza.
Perché era un’illusione.
Lui era morto, morto sotto le
macerie di Sunnydale, morto per salvare lei e il mondo, morto perché lei lo
aveva abbandonato ed era scappata e invece sarebbe dovuta…avrebbe dovuto… ma non
l’aveva fatto, l’aveva lasciato lì a morire ed ora non importava quanto la voce
somigliasse o quanto l’odore glielo ricordasse perché era tutta un’illusione
della sua mente, un’illusione della sua coscienza che cercava un perdono che non
avrebbe mai ottenuto.
Dio, era terribile.
“T-tu” riuscì a balbettare con
un fil di voce, ma non il suo nome. Quello no.
Con un passo lui fu fuori dalle
ombre, nella pallida luce della luna che faceva capolino da una delle finestre,
e allora fu troppo.
No, questo non poteva
sopportarlo.
Non le importava delle
vertigini, del dolore alla testa, della debolezza. Si trascinò fuori dal letto
con uno sforzo enorme, puntellandosi sui gomiti finché non poté poggiare i piedi
sul pavimento, la schiena contro il muro per un sostegno saldo in quella stanza
che girava tutta intorno a lei.
Lui, quella cosa uguale a
lui, fece per avvicinarsi quando la vide barcollare durante l’operazione, ma
lei lo fulminò con lo sguardo, cercando di imprimere dentro di esso tutto l’odio
e la rabbia che provava dentro di sé. Funzionò, perché quello fermò la sua
avanzata.
“Maledetto” ringhiò, la voce
roca a causa della bocca secca e impastata “Bastardo, tu come osi…”
Ora era lui a sembrare
incredulo, costernato, confuso. “Buffy, che cos’hai?”
“Non parlarmi!!” sbottò, le
lacrime che cominciavano a pizzicarle gli occhi, un bruciante nodo in gola. “Non
con la sua voce”. Aggiunse fievole, abbassando lo sguardo. Dio, quanto faceva
male.
“Ma…” Lui fece un altro passo
avanti e lei tornò a fissarlo, smeraldi che bruciavano di rabbia e odio ma anche
di dolore.
“Di tutti i trucchi più
spregevoli e crudeli che potevi studiare contro di me…” ringhiò velenosa, a
denti stretti, il tono furente della sua stessa voce la spaventava e rassicurava
insieme “…questo è troppo. Te la farò pagare. Qualunque demone o essere
infernale tu sia…ti ammazzerò in un modo che ti farà rimpiangere di avermi
incontrata”.
Avrebbe voluto vederlo riempirsi
di terrore, o magari di delusione per il fallimento, ma con suo gran fastidio il
volto disorientato della cosa uguale a lui si rilassò, sorrise e la guardò con i
suoi occhi azzurri carichi di comprensione e di affetto.
Quello sguardo…
Una lacrima sfuggì alle sue
ciglia mentre il cuore venne trafitto da lame roventi. Solo lui la
guardava in quel modo. Come se fosse la cosa più bella e adorabile che avesse
mai camminato sulla terra, come se non esistesse nient’altro all’infuori di lei.
Come faceva questo demone a
imitarlo così bene? Perché la torturava in quel modo? Dio, era già così
difficile…sapere di dover vivere senza di lui, sapere che era viva solo perché
era stata tanto egoista e bastarda da abbandonarlo, sapere che lui era morto non
credendole. Forse era il suo senso di colpa che la stava tormentando, lo stesso
che da ormai un anno glielo faceva scorgere sempre in mezzo alla folla di una
discoteca, o su una motocicletta che la sorpassava velocemente in strada, o in
fila ad un cinema, o nelle ombre della sua stanza da letto; lo stesso che le
faceva sentire la sua voce, o il tocco delle sue dita fra i capelli o sul viso,
per nessun motivo se non quello di spezzarle il cuore e farla ripiombare nella
disperazione ogni volta che, guardando meglio, o voltandosi, aveva scoperto che
era solo qualcuno che gli somigliava, o il rumore o la carezza del vento.
Lui era morto. E niente
l’avrebbe riportato a lei, non importa quanto dolorosamente lo desiderasse.
“Buffy…sono io.” La rassicurò
lui, con quel tono dolce e delicato con cui in passato lo aveva sentito
dichiararle il suo amore. Ora si stava di nuovo muovendo, avvicinandosi a lei
con lentezza ma decisione. Scosse la testa violentemente, le ciocche disordinate
di capelli biondi che dondolavano intorno al suo viso. No, era una tortura, quel
bastardo voleva usare un trucchetto così infimo e crudele per ottenere chissà
cosa da lei e non gliel’avrebbe permesso, no, non dopo che aveva infangato così
il suo ricordo, non dopo che aveva osato prendersi gioco di lei e anche di
quello che provava.
Non è vero…ma grazie per
averlo detto…
Il suo amore per lui era reale.
Se ne era resa conto troppo tardi, era sempre stata una frana nelle questioni
sentimentali, l’aveva capito un istante troppo tardi e lui non le aveva creduto…
Sì che lo è! Ti amo, Spike.
Ti amo, e non ti lascerò…
Ma non l’aveva detto. No. Era
stata in silenzio, confermando le sue parole, e poi l’aveva abbandonato,
voltandogli le spalle, come del resto aveva sempre fatto, con lui.
Al momento giusto, quando
contava, aveva taciuto, facendogli credere che aveva mentito sui suoi
sentimenti, magari solo per accontentarlo nei pochi istanti che gli restavano
sulla terra; e ora non avrebbe più potuto dimostrargli il contrario. A che pro,
in fondo? Lui aveva avuto la conferma che aveva mentito quando l’aveva vista
fuggire via e lasciarlo lì, a bruciare vivo per lei. Doveva essere stato
terribile.
Lui non l’avrebbe mai fatto a
me. MAI.
“Quanto a che essere infernale
sono…beh, credo che tu lo sappia già.” Aggiunse, con una punta d’ironia e quello
sguardo, così simile, così…
“Bugiardo”. Ringhiò lei. Ormai
le era vicinissimo, poteva vedere bene il suo viso, quegli occhi, quegli zigomi,
quelle labbra, quella cicatrice. Tutto uguale. Tutto dolorosamente, orribilmente
uguale. E per quanto la sua decisione cominciasse a vacillare, per quanto stesse
considerando l’idea di credere che fosse davvero lui…non poteva.
No.
Perché sarebbe stato terribile
se si fosse fidata e poi lo avesse visto trasformarsi in un mostro, troppa
sarebbe stata la delusione. Troppo accecante il dolore. Non avrebbe resistito,
non a perderlo due volte. Non ad essere di nuovo felice e poi a ripiombare in
quell’amara disperazione che l’aveva consumata giorno dopo giorno.
“Sei un lurido, schifoso
bastardo”. Aggiunse, mentre un’altra lacrima le attraversava la guancia. Se
avesse avuto abbastanza forza, gli avrebbe sferrato un pugno, lo avrebbe ferito,
gli avrebbe fatto male per la sua crudeltà, per quello che le stava facendo.
Purtroppo, era veramente debole come quello aveva affermato poco prima, e tutte
le sue forze erano impegnate a sorreggerla contro la parete.
Quello rimase in silenzio per un
momento, inclinando lievemente la testa di lato mentre la fissava, procurandole
un’altra fitta al cuore nel rivedere quel gesto. Poi, fece qualcosa che la
sorprese, tanto che non riuscì a muovere un dito per contrastarlo: le prese con
delicatezza il polso, alzandole la mano aperta in modo che si frapponesse fra i
loro visi, e vi posò sopra la sua, restando un momento palmo contro palmo, per
poi intrecciare le loro dita.
Buffy, a bocca aperta, fissò le
mani e allora capì, capì cosa aveva voluto fare e perché. Quando vide il segno,
fu come se di nuovo qualcosa si abbattesse su di lei, ma stavolta fu un colpo di
violenta felicità, di sollievo quasi doloroso. La sua mente era ancora incredula
e confusa, ma il suo cuore…il suo cuore, che aveva messo a tacere per paura di
soffrire, aveva capito la verità già da molto e adesso, vedendone la prova, si
riempì di calda e meravigliosa gioia.
Fissò quelle ustioni, che
entrambi avevano sul dorso della mano, ma dalle quali in alcuni punti lei era
stata protetta dalle sue dita, lasciandole la pelle bianca e sana. Ricordava
come, mentre le macerie crollavano tutte intorno a loro, lei aveva voluto
prendergli in quel modo la mano, incurante del fuoco che vi divampava a causa
della luce.
Per fargli sapere che era lì.
Che gli era vicina.
Che teneva a lui, tanto quanto
lui teneva a lei.
Distolse lo sguardo dopo attimi
interminabili, per incontrare i suoi occhi azzurri, che la contemplavano, pieni
di dolcezza.
E finalmente, capì di poterlo
dire.
“Spike”
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“Spike” un sospiro, una parola
che era quasi una carezza.
“Sì, amore. Sono io.”
Gli lasciò la mano per gettargli
le braccia al collo, stringerlo, affondare il viso nel suo petto, in quell’odore
che sapeva sì di alcool e cuoio e tabacco ma che era soprattutto il suo, l’odore
di Spike, il suo Spike. Percepì le sue braccia muscolose che la cingevano
da dietro e la stringevano, come per paura che scappasse se non l’avesse
trattenuta. Ormai lei non riusciva più a controllarsi, le lacrime scendevano,
singhiozzava e tremava, ma lui la abbracciava ed era questo che contava, solo
questo. Lui era vivo, ed era lì con lei, e tutto era perfetto.
“Spike, Spike…” Continuava a
ripetere e lui continuava a rassicurarla, accarezzandole la schiena, i lunghi
capelli color miele, mentre lei gli inzuppava la maglietta con le sue lacrime.
Quando riuscì a placarsi, si staccò lievemente da lui e ancora incredula e
felicemente stordita posò le labbra sulle sue, in un bacio carico di bisogno e
passione e amore che all’inizio, sorpreso da quel gesto, lui non ricambiò, ma in
cui poi si immerse a sua volta, baciandola con estrema dolcezza, le dita che le
accarezzavano il lato del viso.
Quando si staccarono, lei posò
l’orecchio sul suo petto, la testa nell’incavo del suo collo, e chiese in un
sussurro: “Com’è possibile?”
“Te l’ho detto...” replicò lui,
sempre giocherellando con le sue ciocche bionde “…oggigiorno, è difficile morire
in santa pace.”
Lei rise lievemente, per la
battuta ma soprattutto per quello stato di benessere in cui era. Persino il
dolore alla testa adesso era insignificante, lontano e remoto.
“Da quanto tempo?” chiese, e lo
sentì irrigidirsi.
“Quasi un anno.” Rispose dopo
molto tempo, e lei si staccò di colpo, fissandolo con incredulità:
“U-un anno!?”
Lo vide fuggire il suo sguardo
scrutatore e annuire.
“Un anno!” Sbottò, facendo
ricadere le braccia lungo i fianchi, fissandolo con rabbia, mentre una lama
affilata le perforava il cuore, squarciando quella delicata felicità che aveva
raggiunto. Ma perché doveva sempre andare a finire così? Tutti quelli che amava
la abbandonavano, ogni volta. Non importava quanto dicessero di volerle bene,
non importava quanto tenessero a lei…alla fine, ad uno ad uno, si allontanavano
da lei, lasciandola sola.
Credeva che Spike fosse diverso.
Improvvisamente, desiderò di non
essersi mai lasciata andare in quel modo, con le lacrime, con il bacio…Dio,
com’era stata stupida! Aveva pensato che le cose fossero rimaste com’erano…ma
evidentemente qualcosa era cambiato. Per Spike. Perché, perché l’aveva baciato??
Si sentiva un’idiota. Lui non provava più quei sentimenti, perché lo Spike che
conosceva, lo Spike innamorato di lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa per starle
accanto.
Persino andare fino in Africa a
soffrire le pene dell’inferno per riavere la sua anima.
“Un anno, e non ti è mai venuto
in mente di dirmelo??” protestò, nuove lacrime, stavolta di rabbia, le si
stavano formando agli angoli degli occhi “Non dico che dovevi venire da me,
perché è evidente che la cosa non ti andava, ma almeno…insomma, ti rendi conto
di tutte le sofferenze, il dolore che mi avresti risparmiato solo con una
telefonata??”
Avrebbe tanto voluto andarsene,
fuggire via, lontano da lui, dall’uomo che le stava facendo tanto male. Ma
perché, perché finiva sempre in quel modo? Cos’era che non andava in lei?
“Credi che non avrei voluto??”
Sbottò lui, il suo temperamento irascibile che riaffiorava. “Credi che non avrei
preferito mille volte stare con te, piuttosto che con Angel?” Sospirò,
abbassando lo sguardo. “Ma non potevo. C’era una guerra da combattere e non
potevo tirarmi indietro. Non importa quanto volessi tornare da te, non importa
quanto sentissi la tua mancanza. E poi…” Uno sbuffo ironico, che non riuscì a
nascondere il luccichio di dolore che attraversò il blu dei suoi occhi.
“Tu ti sei rifatta una vita. Ora
hai la vita normale che hai sempre desiderato, con tua sorella, e sei felice.
Non hai bisogno che un vampiro ti venga di nuovo a rompere le scatole.”
Si voltò, dandole le spalle.
Buffy restò a fissarlo incredula: come poteva pensare una cosa simile? Scoppiò
in una risatina isterica.
“Una vita normale, dici?
Andiamo, mi conosci da abbastanza tempo da capire che io non avrò mai una
vita normale. Perché credi che stessi combattendo contro quel demone quando sei
venuto ad aiutarmi?” Domandò, lui tornò a guardarla:
“Perché lo stavi combattendo?”
Buffy restò interdetta per un
attimo, sbattendo le ciglia. Poi distolse lo sguardo, rispondendo un tantino
imbarazzata: “Ehm…in effetti non me lo ricordo.”
Silenzio.
Poi entrambi scoppiarono a
ridere.
“Scemo!” Lo rimproverò lei
sorridente, dandogli un leggero pugno sull’avambraccio “Potrei avere un trauma
cranico e tu te la ridi!”
“Dolcezza, sei veramente unica!”
esclamò lui, facendole battere il cuore per la sfumatura affettuosa del tono. Le
erano mancati, i suoi nomignoli. E pensare che aveva sempre creduto di non
sopportarli…
“Comunque, non devi più
preoccuparti di quel demone, l’ho fatto fuori.”
La informò, guardandola con quel
sorriso accattivante e sexy che sapeva sfoderare solo lui. “Nessuno tocca la mia
Cacciatrice e poi la fa franca”.
Lei ricambiò il sorriso,
arrossendo. “Grazie”.
Si sedette sul letto,
abbandonandosi contro la spalliera con un sospiro. “Non ricordo quasi nulla. È
tutto così…confuso.” Strizzò gli occhi, massaggiandosi le tempie quando una
nuova fitta le attraversò le meningi.
“Ora riposati.” La esortò lui,
rimboccandole le coperte mentre lei si sdraiava. “Sono sicuro che ricorderai
tutto quando starai meglio.”
Buffy annuì, chiudendo gli occhi
e lasciandosi andare nella confortante oscurità dell’incoscienza.
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La percepì, prima attraverso il sottile velo del sonno,
pian piano sempre più in coscienza attraverso il silenzio e il buio. I suoi
sensi lo informarono che mancava ancora un bel po’, all’alba; non doveva aver
dormito più di un’ora.
Aprì gli occhi, e scorse senza
difficoltà la piccola e sottile figura di lei in piedi davanti alla poltrona su
cui si era appisolato, sentendo i suoi occhi su di sé, il suo respiro regolare.
I capelli di quel biondo chiaro e fine le ricadevano disordinatamente sulle
spalle, la luna li dipingeva di una sfumatura d’argento. Il suo viso era pulito
e fresco, libero dal pesante make-up che di solito vi applicava.
Buffy...ti rendi conto di
quanto sei bella?
Aveva desiderato così
dolorosamente di poterla rivedere, per più di un anno. Ed ora lei era lì, non un
sogno particolarmente realistico, non un miraggio provocato da qualche bicchiere
di troppo, lei, in carne e ossa.
Era un qualcosa di stupendo e
spaventoso allo stesso tempo.
Sorrise alla creatura
meravigliosa che gli stava davanti, mormorando premuroso:
“Hai bisogno di qualcosa,
tesoro?”
Lei sussultò lievemente,
evidentemente non si era accorta di averlo svegliato. Si ricompose subito,
accennando ad un sorriso: “No, niente.”
Eppure se ne stava lì, in piedi,
nella sua figura minuta e slanciata, con quei meravigliosi capelli e quel
meraviglioso sguardo, a fissarlo.
Spike inarcò un sopracciglio
confuso: non che il suo scrutinio lo infastidisse, tutt’altro; ma quella
situazione di stasi, quella calma e silenziosa inerzia, celavano qualcosa che
non riusciva a capire.
Guardò la donna che amava più di
se stesso, chiedendo di nuovo, in un sussurro: “Che cosa c’è?”
Buffy distolse lo sguardo,
spostando il peso su un piede solo, e stavolta, quando rispose, dalla sua voce
trapelò una nota di stizza e impazienza, che gli ricordò la ragazzina ostinata
e insopportabile di cui anni prima si era innamorato.
“Niente, ho detto. Torna a
dormire”.
Tuttavia, sembrava a disagio. E
lui non era meno ostinato di lei.
Si alzò in piedi, avvicinandosi
con due lunghe falcate e accarezzando con le dita il lato del suo viso. Lei si
lasciò andare con un sospiro al suo tocco, chiudendo gli occhi.
“Dimmi che succede.” Una
semplice richiesta.
Buffy aprì gli occhi, verdi
oceani che scintillavano alla luce della luna. “Non posso”.
“Perché?”
La Cacciatrice voltò la testa,
mordicchiandosi il labbro inferiore.
Tutto ciò che lui avrebbe voluto
fare era prenderla fra le braccia e baciarla.
“Perché se te lo dico, riderai
di me.” Rispose lei, lo stesso tono stizzito e infastidito.
“No, dolcezza, te l’assicuro”.
La confortò lui, sfiorando con le dita la sua cascata bionda. Questo l’aveva
incuriosito. Cosa poteva essere la cosa che imbarazzava tanto la sua impavida
Cacciatrice? Stava forse per confidargli che aveva paura di dormire senza quella
specie di peluche a forma di maiale che aveva visto nella sua vecchia camera a
Sunnydale?
“I-io…” Buffy si allontanò di
qualche passo da lui, fissando il pavimento e mettendosi con gesto meccanico una
ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ehm…ho paura di addormentarmi”.
Spike sgranò gli occhi: che
avesse indovinato?!?
“Bloody hell donna, è solo un
maledettissimo pupazzo!!” sbottò, e lei lo fissò stralunata, le sopracciglia
aggrottate, come se gli fosse cresciuta una seconda testa sulle spalle.
“Eh? Ma di che parli?” chiese
disorientata, fissandolo da capo a piedi con l’aria di una che si sta chiedendo
se non è il caso di chiamare il manicomio.
Fortunatamente, non aveva
indovinato. Spike si rilassò.
“Lascia stare”. Tagliò corto,
poi continuò, con voce morbida. “Perché hai paura di addormentarti?”
Buffy sospirò, sedendosi sul
bracciolo della poltrona e guardandosi le mani.
“Perché…quando mi sveglierò,
domattina, tu….potresti non esserci.” Mormorò, sempre senza guardarlo. Lui le si
avvicinò.
“Certo che ci sarò, amore”.
Buffy scosse la testa, e quando
parlò di nuovo, la voce era incrinata, liquida.
“Non sarebbe la prima volta,
sai. Io…” Un respiro profondo “Dopo che sei morto…e io e Dawn ci siamo
trasferite in Europa….spesso...beh” sorrise, ironica “i primi tempi praticamente
ogni giorno, io…non potevo sopportare di averti lasciato lì a morire, mentre io
sono scappata. Non riuscivo a mandar giù il pensiero che non ci fossi, e che
fosse colpa mia….così, la sera io immaginavo” si bloccò, tirando su col naso, e
Spike si accorse di una lacrima che le attraversava il viso “immaginavo che tu
fossi lì, con me.”
Sorrise, un sorriso triste e
malinconico, mentre altre lacrime seguirono la scia della prima, su entrambe le
guance.
“E parlavamo, sai? Parlavamo di
un sacco di cose…e tu mi dicevi sempre che…che mi avevi perdonato, e che non
faceva niente se ero fuggita. Che mi amavi lo stesso”. Singhiozzò, lui si
sedette accanto a lei, e le sorrise rassicurante.
“Beh, dicevo la verità.”
“Ma ogni mattina…mi svegliavo e
tu eri scomparso. E allora capivo…” sospirò “capivo che era stato tutto frutto
della mia immaginazione, per risollevarmi la coscienza, per non farmi stare male
al pensiero di averti ucciso.”
“Tu non mi hai ucciso, Buffy. È
stata una mia scelta”. Esclamò, sorpreso e addolorato al pensiero che lei si
fosse tormentata per tutto quel tempo.
“No.” Disse decisa “Io ti ho
dato il medaglione, io ti ho lasciato lì…senza aiutarti”.
“Entrambe le cose sono stato io
ad insistere perché le facessi”. Replicò, determinato. Lei scosse ancora una
volta la sua testolina bionda.
“Non avrei dovuto abbandonarti.
Tu non l’avresti mai fatto a me”.
Spike sospirò, scostandole i
capelli dal viso per poterla guardare negli occhi, arrossati e imperlati di
lacrime. “Ci sono molte cose orribili nel mio passato che tu non avresti mai
fatto”. Il suo sguardo si perse un momento, immagini, voci, si accavallarono
nella sua mente, mandando scariche di dolore nel suo cuore e nella sua anima.
Sì, molte cose orribili.
“Io meritavo di morire là sotto,
Buffy. Tu no. E non me lo sarei mai perdonato, se ti fossi sacrificata con me”.
Le si inginocchiò davanti, prendendole le mani, e finalmente lei lo guardò negli
occhi.
“Sono molte, le morti di cui mi
pento. Tanti i cadaveri che ogni notte vedo nei miei sogni, uomini, donne,
bambini, dilaniati e uccisi da me, corpi che mi dicono che mi merito di andare
all’inferno, di bruciare e soffrire per sempre, perché sono un mostro. Riesco a
stento a sopportare tutto questo, a vivere ogni maledetto giorno ricordando
tutte le cose spaventose, le torture, le uccisioni, che ho compiuto”.
Il viso di Buffy era pallido, lo
fissava come terrorizzata, ma allo stesso tempo nel verde dei suoi occhi scorse
una piccola luce, un focolare di…comprensione. Comprensione e pena. Non
c’erano più il disgusto e il disprezzo che vi dimoravano un tempo, e di questo
Spike fu grato.
“Ma, se la notte, fra quei
cadaveri, ci fosse stato anche il tuo…” la voce gli morì in gola, e stavolta fu
lui a distogliere lo sguardo, con un sospiro. Buffy strinse più forte le sue
mani, esortandolo tacitamente a continuare, e lui naturalmente l’accontentò.
“…non avrei resistito. Posso
sopportare, anche se soffrendo, il rimorso per le mie vittime. Ma il pensiero di
averti fatta morire con me, Buffy, solo per un gesto egoistico…no, quello mi
avrebbe ucciso”.
Sorrise, per lei, ignorando
l’angoscia che aveva provato nel cuore durante quelle parole, e la guardò di
nuovo. Buffy lo fissava, una lacrima che scivolava lentamente sul suo viso,
l’ultima di quella sera, l’espressione sinceramente colpita che le aveva visto
solo una volta, prima di allora: durante la sua ultima dichiarazione d’amore,
quando lei era sola e abbandonata da tutti i suoi amici e tutto ciò di cui aveva
bisogno, e lui lo sapeva, era sentirsi amata.
Sospirò, alzandosi e lasciando a
malincuore le sue mani. Ogni contatto con Buffy era prezioso, per lui.
“Sarò qui, domani mattina. Vai a
dormire, ora”. Concluse, sventolando la mano in un gesto eloquente. Lei si
diresse verso la camera da letto, fermandosi all’ultimo minuto e voltandosi.
“Spike?”
Il suo nome aveva un suono così
dolce, pronunciato da lei. Soprattutto ora che non imprimeva più nella voce quel
tono di disprezzo con cui solitamente lo apostrofava, ai vecchi tempi.
“Che c’è, dolcezza?”
“Non mi fido”.
Fu come se un rovo gli
circondasse il cuore, perforandolo con le sue spine. Lei lo fissava, bella e
imperscrutabile come una statua di marmo, le braccia lungo i fianchi, la postura
eretta e fiera.
Lo feriva profondamente, il
fatto che lei non si fidasse di lui; ma non poteva biasimarla…le aveva fatto del
male, molte, troppe volte. Aveva tentato di ucciderla, di violentarla…il
pensiero gli faceva ancora venire i brividi, le immagini di quella notte nel
bagno impresse a fuoco nella sua mente e nel suo cuore, le sue lacrime, le sue
suppliche…
Basta Spike…ti prego...smettila…sono
ferita basta per favore…
Un’altra delle immagini
terrificanti e dolorose che non gli aveva dato pace.
E questa, anche prima che
riconquistasse la sua anima.
Sospirò, mormorando tristemente:
“Puoi chiudere la porta a chiave. O, se vuoi, posso andarmene”.
Buffy lo fissò senza capire, poi
i suoi occhi si illuminarono di comprensione e di dolcezza e si avvicinò,
accarezzandogli il braccio.
“No, Spike”. disse teneramente
“Volevo dire che non mi fido ancora ad addormentarmi. Potresti essere un sogno
particolarmente realistico. O potrei essere sotto l’effetto del veleno di
qualche demone, che mi fa vedere realtà alternative; te la ricordi, la faccenda
del manicomio, anni fa?”
“Ah, quando ti ha avvelenata il
Glarghk guhl kashmas’nik…”
“Sì, il Glargsn…quello”.
Tagliò corto lei, incapace di pronunciare il nome del demone. Aveva sempre avuto
problemi, con quel genere di cose.
“Perciò Spike, potresti…”
distolse gli occhi, arrossendo. “…dormire con me?”
Lui inarcò un sopracciglio,
rendendo più evidente la cicatrice, guardandola in modo significativo, e lei si
affrettò a dargli un leggero pugno sull’avambraccio, aggiungendo con tono
pratico:
“Sai, per tenerti d’occhio, in
modo che tu non possa scomparire così, di punto in bianco. Che ne dici?”
“Va bene”.
Mentre Buffy si accoccolava fra
le sue braccia, il viso sul suo petto, nel letto su cui per un anno intero aveva
dormito sempre solo, Spike capì che non avrebbe mai potuto provare una felicità
più grande e completa di quel momento. La donna che amava era fra le sue
braccia, gli occhi chiusi, il viso angelico rilassato e tranquillo; poteva
sentire il battito del suo cuore, il seno che si alzava e abbassava a ritmo
regolare, il calore del suo corpo contro il proprio. Si fidava di lui, gli
permetteva di toccarla, nonostante quello che lui aveva provato a fare,
nonostante quello che lui era.
Le sfiorò delicatamente i
capelli, e lei aprì un pochino gli occhi, guardandolo attraverso le ciglia.
“Tienimi stretta, okay? Non
lasciarmi andare”.
E lui, stringendola più forte a
sé e baciandola teneramente sulla punta del naso, l’accontentò, come aveva
sempre fatto.
Fine
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