Il ghiaccio
cominciò a mescolarsi al sangue di
Will, riempiendo, troppo rapidamente, le vene, congelando le ossa,
lasciandolo
pietrificato. Lui... lui aveva appena visto suo padre e non aveva
nemmeno avuto
tempo di abbracciarlo che...
Trovò
la forza per girare la testa e guardare
con occhi terribilmente vacui la strega che era planata accanto
all’uomo che
aveva amato e che ora aveva ammazzato. La riconobbe.
Lei,
Juta Kamainen, stava singhiozzando con
straziante disperazione. Ma Will non era straziato, non per quella
creatura che
aveva appena ucciso la ragione che lo aveva spinto fino in
quell’altro mondo.
Si liberò della morsa di gelo che gli bloccava gli arti e le
saltò addosso.
Troppo
tardi.
Juta
fu più veloce di lui. Singhiozzando ancor
più appassionatamente, corse via urlando:
«Perdonami Will, non sapevo... L’ho
amato... l’ho amato...» e le montagne
rieccheggiavano di quelle parole intrise
di tristezza, terrore, nostalgia.
La
notte si inghiottì ben presto la voce della
strega che continuava a gridare con disperazione.
Poi...
nulla.
Nulla
finché un’eco giunse lontana:
«L’ho
amato...».
Will
non poté fare a meno di capire che
quell’eco proveniva dal burrone alle sue spalle, quello sul
cui bordo lui e
Lyra avevano cautamente camminato in mattinata. E non poté
nemmeno fare a meno
di notare il pettirosso-daimon della strega svanire
nell’oscurità come se non
fosse mai esistito.
Due
vite si erano spente in pochi secondi, ma
con una di quelle due vite anche una parte del cuore di Will aveva
smesso di
battere: quella parte che aveva sempre sognato di abbracciare suo
padre, quella
che sentiva che un giorno sarebbero stati felici insieme, quella che
aveva
sempre immaginato di provare l’amore di quel padre che per
troppi anni gli era
mancato.
Ora
che il dolore di Juta era stato ingoiato dal
precipizio, il suo si fece ancor più forte – e non
certo per la morte di quella
maledetta strega che gli aveva portato via una delle cose
più preziose al
mondo.
«Pa-pà...»
mormorò piano nella notte.
«Papà...».
Voleva assaporare tutte le sfacettature di quella parola meravigliosa
che non
avrebbe potuto dire mai più una volta lasciato quel luogo.
John Parry – o Stanislaus Grumman, o
ancora
Jopari, ma sempre e comunque papà per Will – se ne
stava disteso beatamente
sulle pietre fredde e bagnate. Il suo volto
pallido, stanco, fiero e
intelligente era illuminato dal fioco fascio di luce della lanterna
ancora
accesa. Will guardò di nuovo quei tratti che – si
rese conto – aveva sempre
amato: la mascella sporgente, la fronte spaziosa, le labbra piegate in
un
sorriso, e... e gli occhi che Will aveva ereditato. Fissò lo
sguardo in
quell’azzurro intenso e scoppiò a piangere. I suoi
singhiozzi erano, se
possibile, ancor più strazianti di quelli di Juta Kamainen e
si disperdevano
nella notte come quegli angeli che, là in alto, volavano
verso la fortezza di
Lord Asriel.
Con
mano tremante, il ragazzo chiuse
delicatamente le palpebre del padre.
«Papà!»
iniziò ad urlare mentre gli accarezzava
la fronte, i capelli, il mento. «Papà!».
Prese per le spalle la figura dello sciamano,
ormai esile a causa della malattia mortale.
«Papà...» la sua voce era un gemito
ora. «Le dirò che l’hai sempre amata,
papà...». Strinse il corpo freddo e
bagnato di John Parry nell’abbraccio più intenso
che poteva. «E che non ci hai
mai dimenticati, papà...». Le sue braccia magre
eppure forti tremavano per il
pianto. «Farò tutto quello che mi hai detto,
papà...». Accarezzò quella schiena
inerte. «Andrò da Lord Asriel, e dopo
tornerò da mamma, papà...». Lo strinse
di
nuovo, facendo attenzione a non conficcare più a fondo la
freccia di Juta
Kamainen in quel cuore già martoriato dalla malattia e dal
dolore. «E salverò
anche Lyra, papà...». Appoggiò
delicatamente l’uomo che amava di più al mondo
su quel profilo inospitale. «Mi ricoprirò del tuo
manto, te lo giuro, papà...».
Passò le dita sulle piume della cappa del padre e decise di
sfilargliela perché
era calda, perché a lui non sarebbe più servita
e, soprattutto, perché in
questo modo poteva portare con sé un ricordo
dell’uomo a cui aveva pensato
costantemente per interi dodici anni.
«Ti
voglio bene, papà...». Pronunciò
l’ultima parola
in un sussurro, con voce incrinata. Tremando di dolore, rabbia, paura,
infelicità e, in fondo, anche amore, Will si
chinò a baciare la fronte di John
Parry. Le sue lacrime bagnarono il volto dello sciamano.
Dopo
essersi infilato il manto inzuppato di
pioggia e aver raccolto la borsa di pelle di renna di John, Will,
tenendo in
mano la lanterna per farsi strada, si preparò a lasciare con
mestizia quel
luogo. Voltò ancora per un attimo la testa indietro: giusto
il tempo di
imprimersi nella memoria quel sorriso saggio, quei tratti amabili, quel
corpo
che una volta era appartenuto ad un robusto e deciso ufficiale della
marina inglese.
Un
devastante senso di rimpianto lo invase: per
non aver avuto la fortuna e la gioia di conoscerlo, per non essere
partito
prima alla sua ricerca, per aver lasciato sola sua madre, sola e in
balia dei
suoi mostri. Ma ora, per lo meno, era certo di una cosa: anche se non
poteva
capirlo fino in fondo, sapeva che l’amore dei suoi genitori
era resistito anche
oltre la pellicola così sottile eppure così
impenetrabile di due mondi
differenti.
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“Queste oscure materie”
è una saga che mi ha appassionata
moltissimo. Non cambierei una singola parola dell’intera
trilogia, ma il momento
della morte di John Parry e il dolore di Will mi sono sembrati aspetti
forse poco
approfonditi – almeno in quella parte della storia.
Chi avesse voglia di recensire mi farebbe un
piacere
enorme! :-)
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