5. Quell'ultimo passettino
La porta scorrevole della doccia si aprì lentamente;
Orlando si voltò, era lei. L'abbracciò, si baciarono, mentre la trascinava
sotto il getto di acqua calda.
Avevano fatto l'amore ogni giorno, dopo quella prima
sera; quando il ragazzo non stava sul set, era a letto con Evie. E il bello era
che non facevano solo l'amore con passione, ma parlavano, scherzavano,
ridevano, come se il loro rapporto di amicizia si fosse non solo consolidato,
ma approfondito e diventato più intimo, con il sesso. Lui sarebbe stato ore
solo a sentirla parlare, ad ascoltare la sua voce; lei adorava osservare ogni
espressione o smorfia che lui riusciva a fare col suo bel viso, e quel suo sorriso
solare, che le scaldava il cuore.
"Allora te ne vai..." Mormorò Orlando,
scostandole i capelli bagnati dal viso.
"Lo sai, se dopodomani non sono al lavoro mi
licenziano." Rispose lei annuendo.
"Mi mancherai, è bello averti qui." Le
disse, carezzandole le spalle e guardandola con un sorriso.
"Abbiamo sempre il telefono..." Ribatté
allusiva Evie; lui rise.
"Non è la stessa cosa." Affermò poi.
"Lo so bene." Confermò la ragazza,
abbracciandolo.
Sarebbe stato il momento per dire molte cose, ma
nessuno dei due aveva voglia di cominciare un discorso serio, in quel momento,
volevano solo godersi quell'ultimo giorno insieme, prima che un aereo
riportasse Evie dall'altra parte dell'oceano.
Quella sera, dopo un ultimo cedimento alla passione
in mezzo agli abiti pronti per la valigia, Orlando accompagnò Evie
all'aeroporto; dopo l'imbarco dei bagagli, i due si salutarono.
"Mi mancherai." Le sussurrò il ragazzo,
abbracciandola.
"Me lo hai già detto..." Replicò divertita
lei.
"Lo so... ma volevo che il concetto fosse
chiaro." Affermò allora Orlando, scostandosi e sorridendo ironicamente,
anche Evie sorrise, ma in modo triste.
"Tu quando tornerai?" Gli chiese poi.
"Se non ci sono imprevisti, la seconda settimana
di febbraio." Rispose il ragazzo.
"Più o meno tra un mese." Intervenne lei,
poi fece una smorfia rassegnata.
"Sarà dura..." Ammise lui, fissandola,
mentre le scostava i capelli dalla spalla; la ragazza gli sorrise. "Ti
chiamerò..." Aggiunse poi.
La voce metallica dell'altoparlante li interruppe;
entrambi alzarono gli occhi verso l'alto, da dove veniva il messaggio. Il tempo
era finito.
"E' il mio volo, devo andare." Dichiarò
Evie rammaricata.
"Dammi un bacio." Le chiese Orlando; la
ragazza gli prese il viso tra le mani e gli baciò delicatamente le labbra.
Evie, infine, si avviò nel corridoio del check-in,
salutandolo con la mano. E fu così, mentre la guardava andare via, con quella
magliettina a fiori, quei capelli color miele, gli occhi scuri, che Orlando
realizzò all'improvviso cosa provava davvero per lei... Corse verso il muretto
che lo separava dalla ragazza.
"Evie!" La chiamò; lei si voltò un po'
stupita. "Devo dirti una cosa!"
"Orlando..." Replicò la ragazza. "Non
posso fermarmi, devo andare..."
"E' importante..." Continuò lui, posando le
mani sulla transenna e guardandola supplicante.
"Signorina..." La hostess richiamò
l'attenzione di Evie.
"Devo proprio andare..." Mormorò la
ragazza, con sguardo dispiaciuto. "Me la puoi dire quando torni, quella
cosa..." Aggiunse, facendogli un ultimo saluto con la mano.
Orlando, rammaricato, e anche un po' incazzato con se
stesso, la osservò scomparire oltre le
porte del check-in; sospirando si voltò indietro per andarsene, ma si trovò
davanti un muro di ragazzine già pronte a chiedergli un autografo. Rassegnato
s'infilò gli occhiali da sole e sfoderò il migliore dei suoi sorrisi.
Evie stava cenando, quando squillò il telefono. Era
passata qualche settimana, dalla sua partenza dai tropici; con Orlando non si
erano sentiti spesso, lui le aveva detto che era molto impegnato nelle ultime
settimane di lavorazione. Le telefonate, ad ogni modo, erano state molto più
caste di quelle precedenti; ad entrambi, infatti, sembrava ridicolo parlare di
certe cose, visto quanto era meglio farle dal vivo.
La ragazza posò il piatto ed il bicchiere nel
lavandino, poi prese distrattamente il ricevitore; poteva essere lui, oppure
sua madre per sapere come stava.
"Pronto..." Rispose Evie.
"Ma che voce hai?!" Esclamò Orlando; lei
rise, poi tossicchiò.
"Ho un mal di gola tremendo." Confessò poi.
"Qui fa un freddo cane, specie la notte." Aggiunse, con voce flebile
e roca.
"Riguardati, non farmi preoccupare."
Intervenne premuroso lui.
"Vabbene mammina!" Scherzò Evie; lo sentì
borbottare.
"Scema..." Le disse infine. "E io che
volevo darti una buona notizia..." La ragazza rise brevemente.
"Dai, non fare l'offeso, ti prometto che prendo
la medicina e mi copro bene." Replicò divertita.
"Oh, così va bene!" Sbottò Orlando
soddisfatto. "Sto tornando, abbiamo finito prima." Aggiunse poi,
senza darle tempo di dire nulla.
"Davvero?!" Esclamò entusiasta la ragazza.
"Quando?" Domandò stringendo la cornetta.
"Il mio volo dovrebbe arrivare tra due giorni,
giovedì notte." Affermò Orlando
"Di notte?" Lo interrogò con tono deluso.
"Eh, lo so, tu sei fuori gioco a
quell'ora..." Mormorò lui.
"Sì..." Confermò tristemente Evie.
"Aspetta un momento..." Il ragazzo rimase in attento ascolto.
"Potrei farmi trovare a casa tua, ho ancora le chiavi."
"Questa è un'idea geniale, Evie!" Replicò
allegro Orlando.
"Allora, ci vediamo tra due giorni..."
Dichiarò lei, con voce volutamente dolce; il ragazzo trovava che
quell'arrochimento la facesse sembrare molto più sensuale del solito.
"Non vedo l'ora dolcezza..." Le salirono i
brividi lungo la schiena, forse aveva la febbre... no, era la sua
intonazione...
Quando le porte dello scalo internazionale
dell'aeroporto si aprirono, Orlando capì come Evie si era presa il mal di gola;
Londra era coperta di neve e la temperatura, a quell'ora del mattino, era
glaciale, tanto che il povero ragazzo pensò di aver sbagliato aereo e di essere
sceso a Oslo.
Era ancora buio, mancava poco alle quattro, ed il
rimpianto per il sole dei Caraibi si stava già facendo strada nel cuore di
Orlando, mentre languiva sul taxi, immerso in una delle sue coloratissime
sciarpe; la malinconia, però, non riusciva a prendere il sopravvento, era
troppo felice di rivedere Evie e fremeva al pensiero del calduccio nel suo
letto e di quello del corpo della sua ragazzina spiona. Sorrise tra se,
stavolta glielo doveva dire, in tutti i modi.
Entrò in casa piano piano, tutto era silenzio, ma
c'era un profumo meraviglioso, di vaniglia, forse di cannella, insomma, proprio
uno di quei profumi che ti dicono 'bentornato a casa, tesoro mio!'; tutto
questo lo fece sorridere.
Mollò le borse nell'ingresso, vicino alla porta, poi
si avvicinò la bancone della cucina; il suo sorriso si allargò ulteriormente,
quando vide una di quelle torte dall'apparenza rustica, con lo zucchero a velo
sopra. Senz'altro la colpevole di quel dolce profumo; ne staccò un pezzettino
con le dita e lo mangiò. Dio, era dolce, morbida e deliziosa come Evie! Sorrise
ancora, si diresse in camera.
La ragazza dormiva profondamente; poverina, c'era da
capirla, con tutta probabilità era tornata dal lavoro da poco più di un'ora.
Orlando si spogliò con una silenziosità da elfo (chissà che interpretarlo per
tanti mesi non gli avesse lasciato qualcosa...), poi andò in bagno a farsi una
doccia calda, mentre rifletteva su quello che avrebbe dovuto fare ora; non era
necessario svegliarla, glielo poteva dire domattina.
Il ragazzo, con addosso la biancheria pulita e la
circolazione ristabilita dall'acqua calda, si stese sotto le coperte; il calore
sprigionato dal corpo di Evie era troppo invitante, le si avvicinò,
abbracciandola nel loro modo ormai tipico, avvolgendola con le braccia, poi le
baciò i capelli. Lei si mosse appena.
"Orlando..." Mormorò con un filo di voce.
"Sì, continua a dormire dolcezza." Le
rispose lui, carezzandole la spalla e stringendola di più a se; la ragazza si
sistemò tra le sue braccia.
La guardò, appena visibile grazie alla tenue luce che
veniva da fuori, e gli sembrò ancora più bella; le scostò i capelli, fino a
scoprire il collo, e la baciò.
"Ti amo..." Sussurrò contro la sua pelle.
"Era questo che volevi dirmi
all'aeroporto?" Gli chiese Evie, quasi all'improvviso; lui sollevò un po'
la testa per vederla in viso, sorrideva.
"Sì..." La ragazza rise. "Perché
ridi?!" Sbottò Orlando offeso.
"Forse perché sono felice!" Esclamò lei.
"Quanto pensavi di aspettare a dirmelo, ancora?!" Continuò,
prendendogli il viso tra le mani; nel frattempo si era voltata verso di lui.
"Ma... cosa..." Orlando era sbalordito.
"Lo sapevo che volevi dirmi questo." Affermò
Evie, sorridendo dolcemente. "L'avevo capito, solo non volevo metterti
fretta, tu vivi in un mondo così diverso dal mio..."
"Ma che mondo e mondo!" La interruppe lui.
"Io voglio sapere cosa provi tu?!" Le disse; la ragazza rise ancora,
poi lo baciò.
"Certo che ti amo anch'io, cosa pensavi?"
Gli confessò dolcemente, stavolta fu lui a baciarla.
"Potevi dirmelo, brutta... spiona!"
Dichiarò poi, stringendola a se con passione. "Potevi dirmelo..."
Mormorò poi, affondando il viso tra i suoi capelli.
"Te lo dico adesso..." Rispose Evie,
carezzandogli i morbidi riccioli. "Ti amo da morire, Orlando..."
Sussurrò nel suo orecchio con dolcezza; lo sentì ridere.
Fine