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Edward e Bella
.. ComeUna Stella Cometa ..
Questa storia
è nata da una fantasia che avevo in mente da tempo e che ho
messo per iscritto grazie a Mela_ e alla fanfiction che abbiamo provato
a scrivere insieme, proprio sulle coppie della saga di Twilight e il
Natale. Di quelle che ho
scritto, questo è stata la più importante per me,
quella che penso mi abbia rappresentata maggiormente. La voglio dedicare
a tutte voi che state leggendo, a voi a cui piacerà, a voi
altre che invece penseranno che è una gran cavolata. A
tutti, sicuramente, ma in particolare ad alcune persone: Mela_ e The Red
One,
le mie ortaggiuzzuole, perché
è ormai quasi un anno che ci conosciamo e, nonostante tutti
litigi, il bene che vi voglio non è mai scemato, a fallsofarc, la mia autrice preferita,
perché grazie a tutte le sue fantastiche ed incredibili
storie, ho dei modelli più 'umani' da seguire e grandi sogni
nel cuore, e a Funny_lady
e vero bigia,
perché mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato, in ogni mio
strambo ed inutile progetto. E non negatelo! XD Vi auguro di
trascorrere un Buon Natale con la vostra famiglia e alle persone che
amate! Buona lettura ^^
Edward
POV
23 Dicembre.
Estrema periferia di New York.
Ore 21.20.
-10° Centigradi.
Non una persona in giro, non un'anima viva per le strade solitamente
così affollate e caotiche.
Nessuno a parte me.
Sto in piedi dietro il bancone del negozio, in attesa che i minuti
scorrano in fretta e che, finalmente, anche io possa tornare a casa
mia; sempre che quella topaia in cui vivo possa essere definita tale.
Non vedo che bisogno ci sia di tenere il negozio aperto fino alle
21.30. Con questo freddo, nessuno è in giro, nessuno si
riduce a
comprare i regali di Natale anche in questo momento. Se qualcuno ne
avesse avuto bisogno, l'avrebbe fatto prima, di giorno. Questo
è
il momento da dedicare alla famiglia, il momento in cui si torna
stanchi da una giornata faticosa di lavoro, una tipica serata in cui
stare vicino al caminetto con i propri figli attorno, a bere una buona
cioccolata calda, per riscaldare corpo e mente.
Eppure io sono costretto a rimanere chiuso qui dentro, a svolgere un
lavoro che non è il mio, tra l'altro.
Sono un magazziniere, non un commesso. Il peggio del peggio. E nella
mia condizione non posso certo permettermi di insultare e sputtanare il
mio capo come invece vorrei. No, nella mia condizione non è
concesso, seppure non sia affatto giusto che lui e i suoi altri
amichetti 'cassieri laureati' - come tengono sempre a precisare - se ne
vadano dalle loro mogliettine lasciandomi qui, solo come un cane. Prova a muovere quel tuo
bel culo da questo negozio prima delle 21.30, e sei licenziato.
Ecco ciò che dice il suo biglietto, scritto frettolosamente
su
un pezzo di carta riciclata e rigorosamente appiccicato con dello
scotch sulla scrivania, proprio perché possa sempre averlo
sott'occhio.
Patetico.
Comincio a gironzolare per gli scaffali del negozio, in cerca del mio
libro, lasciato da qualche parte, nascosto dietro a cianfrusaglie di
ogni genere. Il magazzino in cui lavoro non vende nulla di specifico.
Da oggetti per la casa a quadretti da due soldi, da francobolli a uova
di Pasqua. In questo periodo è soprattutto specializzato in
prodotti
natalizi: alberi di natale, presepi, palline colorate, ghirlande,
frange decorative, addobbi vari,
stelle comete di plastica.
Finalmente scorgo il mio romanzo, dietro ad una grande caraffa
graffiata. Salgo su di una scaletta per recuperarlo senza fare danni,
quando una voce lontana mi fa voltare la testa verso l'ingresso.
"C-c'è nessuno?", chiede nervosa e perplessa.
Stupito, scendo l'unico gradino su cui ero salito e mi metto a correre
per raggiungere il bancone, la mia postazione.
Con il fiatone ed un leggero velo di sudore a bagnarmi la fronte, mi
appoggio ansante al tavolo in legno, sollevando la testa per accogliere
nel miglior modo possibile il mio inaspettato cliente.
Se prima ero sorpreso, adesso mi posso dire quasi completamente
sconvolto.
Di fronte a me non c'è un cliente qualunque, c'è
una
ragazza. Avrà più o meno la mia età,
è
stretta nel suo giubbotto imbottito nero, una sciarpa ad avvolgerle il
collo e un tenero cappellino di lana a coprire parte dei suoi lunghi
capelli color mogano.
Sembra infreddolita e in qualche modo leggermente infastidita. Forse
è entrata in questo negozio sperando soltanto di trovare un
po'
di calore, e il fatto che invece non ce ne sia non le fa molto piacere.
Posso capirla, nemmeno uno straccio di riscaldamento decente
c'è qui
dentro.
"Posso aiutarti?", chiedo gentilmente.
Non appena apro bocca, i suoi occhi si accendono, luccicano, le guance,
già arrossate, avvampano ancor di più.
"S-sì...io
starei cercando una punta per l'albero di Natale", balbetta nuovamente,
nervosa, tirando fuori le mani dalle tasche del giubbotto. Sorrido nel
vedere che anche queste sono protette da un paio di guanti, della
stessa fantasia del capello e della sciarpa.
"Certo, vieni da questa parte", dico incamminandomi tra gli scaffali.
La conduco verso il reparto addobbi, mostrandole i vari modelli tra cui
può scegliere.
"Abbiamo punte di tre tipi: il puntale classico, la stella e la stella
cometa.", la informo, aspettando che decida.
Il suo sguardo
è attento, mentre esamina i modelli che le sto proponendo.
Ad un certo punto, però, solleva lo sguardo, facendomi
incrociare ancora una volta quei suoi grandi occhi color cioccolato.
"Tu cosa mi consigli?", chiede.
Io? vorrei domandarle.
Mi passo una mano tra i capelli, incerto.
"I-io...penso che la stella cometa sia la migliore", sembra una
domanda, sono proprio patetico.
La
ragazza sorride, mostrando denti bianchi come quelli di un bimbo.
"Anche per me", mormora piegando leggermente la testa di lato, come a
studiarmi.
Il suo sguardo mi fa sentire...strano, non so decifrarlo.
Sembra una ragazza carina, gentile, è per questo che decido
di
fare un minimo di conversazione. Non si dica mai che da William's il
personale non sia affabile e socievole.
"Un po' tardi per comprare gli addobbi di Natale...", mormoro sperando
che non si offenda.
Le sue guance si tingono nuovamente di rosso. E' imbarazzata.
"Sì, in effetti lo è, ma mi riservo sempre
l'ultimo
momento per comprare la stella. Ne compro una diversa ogni anno,
è un'abitudine di famiglia. Sono passata qui qualche giorno
fa, a quest'ora
con un'amica...e mi sono sorpresa di vedere il negozio aperto...",
lascia la frase in sospeso, come a voler chiedere o sottintendere
qualcosa.
Mi volto verso di lei, sorridendole amaramente. "Lo sono anch'io,
credimi"
Sembra confusa, confusa e curiosa. "Come mai rimani qui fino a
quest'ora? Nessuno, a parte una stupida come me, verrebbe in giro di
notte a comprare addobbi di Natale", mi chiede appoggiandosi al bancone
con i gomiti, prendendosi una liberta in più.
Sono felice che se la sia concessa. Dal modo in cui camminava,
balbettava e arrossiva ho capito che è timida e mi
dispiaceva che
fosse così poco a suo agio.
Il sorriso non abbandona le mie labbra nemmeno quando controllo il
prezzo della stella cometa, azionando la cassa.
"Sono 10 $", dico prendendo da sotto il tavolo una busta di plastica.
"Certo...", mormora armeggiando con la borsa per estrarne il portafogli.
Non le devo alcun resto, e questo fa sì che il tempo da
trascorrere insieme diminuisca, mano a mano scorra, fino ad azzerarsi.
Perché non voglio che finisca così?
Perché voglio trattenerla qui con me?
Quando le porgo la busta, incerto, lei la prende senza esitazione.
Forse vuole tornare a casa. Forse non vuole più rimanere
qui.
Magari tornerà dal suo ragazzo, pronto ad accoglierla con il
calore di una casa confortevole e bella.
"Come ti chiami?", chiedo di getto, senza pensarci.
E' sorpresa dalla mia domanda, ma non spaventata. Sembra, anzi, che la
cosa le faccia piacere.
"Mi chiamo Bella. E tu?"
"Io sono Edward", rispondo con un mezzo sorriso. So bene che il mio
nome è ormai passato di moda da un pezzo, non c'è
nessuno
a parte me che si chiami così, a parte i vecchietti
decrepiti,
certo.
Fa un passo indietro, sempre più lontano da me.
"A-aspetta", le dico, in imbarazzo. "Potresti aspettarmi un secondo? Il
tempo di chiudere il negozio", le spiego sperando che non mi prenda per
un maniaco.
Non controllo nemmeno l'orologio, me ne infischio dell'orario o del
capo: ho voglia di andarmene da qui, e se anche perderò il
lavoro non mi importa.
Non ora.
Premo velocemente il tasto dell'interruttore per spegnere
tutte le lucine colorate all'esterno del negozio, prendo il mazzo di
chiavi, la sciarpa e la giacca, senza neanche curarmi di metterla prima
di uscire. Non voglio che mi aspetti troppo, non voglio essere motivo
di suo ritardo a casa.
All'esterno si gela, completamente. Forti raffiche di vento sembra
vogliano graffiarmi, tagliarmi lo strato leggero dei vestiti come
fossero lame affilate.
Ormai costretto, infilo la giacca e la sciarpa, beandomi del senso di
sollievo che mi donano e, infine, mi abbasso ad abbassare la
saracinesca
dell'entrata.
Bella non parla, e se non fosse che percepisco la sua presenza a pochi
passi da me, potrei dire che se n'è andata, lasciandomi qui,
solo.
Non appena ho terminato l'operazione, l'affianco. Ha la testa alzata
verso l'alto, gli occhi puntati verso il cielo scuro, un immenso manto
nero da cui scendono fiocchi di neve bianca, come piccoli e numerosi
meteoriti. Che stupido,
penso, non me ne sono
nemmeno accorto.
Automaticamente, mi ritrovo anche io con gli occhi al cielo, osservando
ogni piccolo pezzetto di ghiaccio, chiedendomi se ognuno di essi, sin
da quando viene creato, sa già quale deve essere la
sua fine, se tutti dovranno finire sciolti al suolo oppure se qualcuno
continuerà a rimanere nell'aria che respiriamo.
Pensieri stupidi, patetici, come qualsiasi cosa prodotta dalla mia
testa.
"Quando ero piccola", prorompe Bella, "speravo sempre che il giorno di
Natale nevicasse, così che, dopo il pranzo con tutta la
famiglia, potessi scendere in giardino a giocare con la neve fresca
fino a sera, senza mai stancarmi"
Sorrido ancora alle sue parole. E' tenera, proprio come è
dolce ciò che sta dicendo.
Vorrei poterle dire che anche io da bambino amavo il Natale, amavo
stare attorno alla tavola imbanditata del cenone aspettando con ansia
il momento di andare a letto, per sentire poi i passi pesanti di Babbo
Natale nel salotto, proprio accanto alla mia stanzetta. Vorrei poterle
dire che la mattina, quando mi svegliavo, correvo sempre sotto l'albero
di
Natale a guardare i doni ricevuti, che ero felice e sorridevo con i
miei genitori, osservando la neve scendere lenta, imbiancando i tetti
delle case vicine.
Vorrei, ma non starei dicendo la verità. Starei raccontando
una
storia non mia, il frutto di una fantasia per anni sperata, ma mai, mai
ottenuta.
"Non ti piace il Natale", non è una domanda la sua,
è una
semplice affermazione, neutra, come fosse la cosa più
normale
del mondo.
Mi volto verso di lei, ancora una volta. "Come fai a dirlo?"
Fa un mezzo sorriso, mostrando una piccola fossetta vicino
all'estremità destra delle labbra. "E' come se ce l'avessi
scritto in fronte. Solitamente quando si chiede un parere per gli
addobbi di Natale, i commessi ti dicono ciò che hanno preso
loro, non ciò che pensano sia meglio", afferma convinta.
"Io non sono un commesso, sono un magazziniere", dico pur sapendo che
alla fine la cosa non cambia.
Il suo sorriso diviene divertito. "Be', commesso o no, mi avresti
dovuto
dire ciò che hai in casa. E dato che non l'hai fatto, deduco
che
tu non abbia una stella cometa sul tuo albero di Natale"
Il mio volto adesso è serio, senza un'ombra di divertimento.
"Io
non ho un albero di Natale, non ho un presepe...io...non amo il Natale"
So bene che questo è riduttivo, un eufemismo. Io odio il
Natale. Ogni volta
che questa festa si avvicina riesco già a percepire un
antico
dolore farsi strada in me, come a volermi soffocare.
Anche Bella rimane in silenzio, mi fissa, mi studia. Proprio come ha
sempre fatto da quando ci siamo visti per la prima volta.
"Vieni a casa mia"
Aggrotto le sopracciglia. E' un invito.
Capisce subito la mia perplessità e un nuovo sorriso affiora
sulle sue labbra rosse. "Sì, vieni a casa mia. Sempre che tu
non
abbia già qualcosa da fare", precisa.
Scuoto la testa. "No, non ho nulla da fare"
"Splendido allora! Però devo chiederti un piccolo favore.
Potresti per caso accompagnarmi?", chiede gentile, senza pretendere
nulla.
"Certo, è il minimo che possa fare", acconsento, cominciando
a
camminare lentamente verso l'auto, l'unica cosa decente che ho.
I marciapiedi deserti sono ricoperti da un sottile strado di neve
candida che, man mano che passano i minuti, aumenta di
altezza.
Nessuno parla e, anche quando arriviamo alla macchina, Bella si limita
ad un sorriso. Durante il tragitto mi fornisce
indicazioni circa la sua casa, ma niente di più.
Il suo odore nell'abitacolo è ancora più forte,
mi
inebria e mi stordisce, talmente è buono. Non posso
però
fare a meno di pensare che si sia pentita di avermi invitato, che abbia
di meglio da fare, qualcuno di meglio con cui parlare.
"Forse è il caso che io torni a casa", sussurro
parcheggiando davanti al vialetto di fronte alla sua abitazione.
Si gira immediatamente, piantando i suoi occhi castani nei miei. "No.",
afferma decisa. "Vieni con me"
Con un leggero sorriso, scendo dall'auto e la osservo cercare nella
borsa le chiavi, proprio come prima aveva fatto con il portafogli.
E' buffa e tenera, così spazientita da quel mazzo che sembra
essersi volatilizzato. Finalmente lo estrae con un sorriso vittorioso,
e lo infila nella toppa con decisione.
Nel suo condominio c'è finalmente caldo. Si sta bene.
All'ingresso, proprio vicino all'ascensore su cui stiamo per salire,
c'è un grande albero di Natale, decorato con palline rosse e
dorate. E' molto bello.
Saliamo in silenzio i primi tre piani, poi l'ascensore si ferma con un
trillo, avvisandoci del nostro arrivo.
Bella sembra leggermente imbarazzata quando varchiamo la soglia del suo
appartamento.
Appena entrata, accende la luce, permettendomi di osservare lo spazio
attorno a me. Le pareti del salotto sono bianche, illuminate da quella
luce soffusa e tenue proveniente dal soffitto che le rende leggermente
giallastre, calde. Tutto in questa casa sembra emanare calore: dai
quadretti ai divani blu scuro, intonati con le palline colorate e gli
addobbi sparsi per tutte le stanze che riesco a raggiungere con lo
sguardo. Ogni cosa urla che il Natale è vicino, ogni cosa
testimonia l'amore che la padrona - o i padroni - prova per questa
festa.
"Vieni, togliti pure la giacca. Qui dovresti stare bene"
Solo in questo momento mi accorgo di essere stato fin troppo invadente.
Ho fissato la sua casa senza ritegno, che maleducato.
La guardo, sperando che non si sia offesa per il mio comportamento.
"Grazie, qui si sta benissimo"
Mi tolgo il cappotto con movimenti studiati, osservandola senza
più guanti, sciarpa, giubbotto e cappello.
Ha un maglioncino rosso, con scollo a V e dei jeans chiari di cui prima
non mi ero nemmeno accorto. E' ancora più carina
così.
Appende gli indumenti ad un attaccapanni di legno, poi domanda gentile
e cortese: "Vuoi una cioccolata calda?"
Chiede sempre a me prima di esprimere il suo parere, quello che in
realtà vorrebbe. Perché si comporta
così? A stento
sa il mio nome...
"Se non ti crea problemi...", mormoro a disagio, non sapendo cosa fare,
lì, in piedi davanti all'ingresso di casa. Mi sento un
estraneo,
completamente fuori posto. E se da un momento all'altro spuntasse da
una porta sua madre? O sua sorella? O il suo...fidanzato?
Mi sorride, serena e tranquilla come sempre. "Certo che non mi crea
problemi", risponde con semplicità, accendendo la luce di
un'altra stanzetta - la cucina - alla nostra destra. E' piccola, forse
un po' disordinata, ma non per questo sporca.
"Siediti pure", mi invita nuovamente, indicando le sedie spaiate poste
al centro, attorno ad un tavolo in legno di forma rettangolare.
Faccio come mi dice, meccanicamente, studiandola.
Si abbassa verso uno dei cassetti per tirarvi fuori un pentolino in
acciaio, lo appoggia sul ripiano e si dirige verso il
frigorifero. Tira fuori una bottiglia di latte fresco ancora integro e
una barretta di cioccolato fondente.
Osservo ogni sua mossa, incantato da quelli che dovrebbero essere gesti
quotidiani, normali.
Non appena ha messo il latte a cuocere sul fornello, appoggia due tazze
colorate accanto a me, sul tavolo, e, prendendo il cioccolato tra le
mani, ne spezza due cubetti, uno per me e uno per lei.
Si accorge del mio sguardo attento e, fraintendendolo, mi sorride
imbarazzata. "So che la cioccolata dovrebbe essere fatta con il cacao,
ma questa è una mia variante: latte caldo con il
cioccolato.",
spiega tenendo gli occhi bassi.
"Oh, non ti devi preoccupare!", esclamo immediatamente, come un
riflesso automatico che mi spinge a rassicurarla, sempre e comunque.
"Mi piace il cioccolato", continuo sorridendo.
"Anche a me, soprattutto quello al latte...o quello bianco! Peccato che
li abbia finiti entrambi da poco, perciò mi rimane soltanto
questo", mormora sconsolata sporgendo il labbro inferiore.
"Ti stai facendo troppi problemi, Bella. Io... forse non dovrei nemmeno
essere qui, in questo momento", i miei occhi si abbassano
involontariamente, per paura di una conferma nel suo sguardo. Per paura
di vedere nei suoi occhi castani ciò che penso e che mi
preoccupa enormemente.
"Ma cosa dici, Edward?", esclama con foga. La sento avvicinarsi, ma
nonostante questo la mia testa rimane chinata. "Sono stata io ad
invitarti, ricordi? In caso dovresti essere tu a non volermi, potrei
sembrarti una pazza", mi sussurra da vicino. Sento il suo respiro
arrivarmi ai capelli, inebriarli di quella fragranza dolce e materna
che mi ha subito attirato.
Finalmente ho il coraggio di alzare la testa, giusto in tempo per
bearmi di quello spettacolo che è il suo sorriso. Mi passa
la
punta delle dita sul ciuffo ribelle che mi è appena caduto
davanti agli occhi, prima di voltarsi nella direzione opposta e
spegnere il gas.
Prende poi il pentolino con una presina verde e versa il latte caldo in
entrambe le tazze.
Osservo il liquido bianco che si mescola con il cioccolato, creando un
gioco di colori e di forme particolari. Uno spettacolo che non ho mai
visto.
"Ehi, ti sei incantato?", mi richiama con un risolino.
Ridacchio in risposta, mentre mi alzo dalla sedia e prendo tra le mani
la tazza contenente il latte fumante.
Ci dirigiamo verso il salotto con passi lenti e calcolati, per paura di
versare la bevanda bollente sul parquet dell'ingresso.
Imitandola, appoggio momentaneamente il bicchiere sul tavolino di vetro
di fronte al primo divano, e mi ci siedo rigido.
In tanti nella mia vita mi hanno fatto pesare tutto, mi hanno fatto
credere che ogni cosa io toccassi o facessi fosse contaminata, sporca,
indegna, per questo non mi sento a mio agio nello sfruttare cose
altrui.
La osservo mentre si accoccola sul bracciolo blu scuro, il corpo
rannicchiato come fosse un koala. Un dolcissimo, tenero, adorabile
koala.
"Cosa farai per Natale?", chiede dopo aver bevuto un sorso del suo
latte caldo.
Le mie mani stringono la presa sulla tazza, ma mi limito ad un'alzata
di spalle, come se parlassi di banalità. "Penso che
prenderò un sonnifero e mi metterò a letto",
rispondo
semplicemente, gli occhi fissi sulla sfilza di libri nei suoi scaffali.
"Cosa?", esclama aprendo la bocca, incredula.
Sorrido mesto e ribadisco ciò che le ho appena detto.
"Sì, è così."
"M-ma, Edward...perché? Capisco che non ti piace come festa,
ma
mi sembra un comportamento eccessivo", biascica sbattendo le palpebre.
"Perché non ho niente da festeggiare", ecco la mia brillante
risposta, davvero degna di un premio nobel.
"Come non hai niente da festeggiare?!", si anima immediatamente,
mettendosi dritta con la schiena e voltandosi verso di me. "Il Natale
è la festa più bella che ci sia al mondo! Si
festeggia la
nascita di Gesù, la vita, è come un secondo
compleanno!
Bisogna stare con i genitori, le sorelle, gli zii...tutta la
famiglia!", esclama concitata e con le pupille dilatate.
"Io non ce l'ho una famiglia", ribatto amaro. "E non voglio festeggiare
un qualcosa che per me non è una festa, ma,
bensì,
l'anniversario della fine di tutto"
"Oh."
Mi volto a guardare la sua reazione ed è proprio come mi
aspettavo: la bocca a formare una O muta, gli occhi tristi e curiosi.
Non sa cosa dire, è ovvio, non se l'aspettava.
"Ti va di raccontarmi?", chiede con un filo di voce.
Sarebbe la prima. La prima a cui racconto tutto quanto, la prima che vuole
sapere tutto quanto, il motivo perché sono diventato come
sono.
E' la prima ed è una sconosciuta. Non sa nulla di me, ma mi
vuole conoscere, è la prima ad aver dimostrato un interesse
per
me, per il mio stato d'animo.
"Avevo sette anni e vivevo con i miei genitori nel centro di Chicago",
i miei occhi si perdono nei ricordi: non sono più in quella
stanza calda, con quella dolce ragazza, ma ritornano nelle strade
affollate e piene di vita della mia città natale mentre la
neve
cade fitta.
"Ero figlio unico, amato, viziato e coccolato a dismisura da mamma e
papà. Qualsiasi cosa volessi, loro subito mi accontentavano
senza fiatare. E' proprio così che fecero quella sera, la
vigilia di Natale.", sospiro, mentre altre immagini mi affollano la
mente. "Essendo impegnatissimi con il lavoro, non avevano avuto tempo
di comprare un albero di Natale, ma io lo desideravo, lo pretendevo,
anzi. Perciò presero la macchina e mi lasciarono solo in
casa
con l'intento di andare a prenderne uno e tornare entro pochi minuti.",
mentre parlo, chiudo gli occhi.
"Passava il tempo, inesorabile, e loro ancora non tornavano. Immaginavo
che avessero avuto un contrattempo ma che sarebbero stati lì
con
me entro poco. Quello che non sapevo, invece, era che non sarebbero
tornati affatto", ciò che sto dicendo penetra nella mia
testa
con sempre maggiore consapevolezza, con maggiore senso di colpa dato
che è a causa mia che la loro vita si è fermata.
Sento un sospiro mozzato da parte di Bella non appena comprende appieno
il significato delle mie parole, ma non mi fermo. Voglio farlo per
bene, adesso che ci sono. Voglio ricordarli, voglio ricordare a me
stesso ancora una volta quanto sono stato stupido ed incosciente.
"Ho ricordi molto sfocati da quel momento. Ricordo che
arrivò
mia zia in tutta fretta: piangeva. Le chiedevo in continuazione dove
fossero mamma e papà, ma lei non mi diede alcuna
spiegazione,
anzi, prese qualche mio vestito e mi portò a casa sua. Una
volta
lì mi raccontò la terribile verità. I
miei
genitori, con l'intento di fare presto per tornare da me, avevano avuto
un incidente stradale dal quale erano usciti morti. Alla notizia non
reagii così male: era Natale, entro poco il mio adorato
Babbo
sarebbe passato dal caminetto e li avrebbe riportati.", scuoto la testa
ripensando a quanto ero ingenuo.
"Scrissi la lettera, la sistemai felice sotto l'albero della zia e
andai a dormire tranquillo, incurante delle lacrime sue e dello zio. La
mattina seguente non trovai nessuno nel salotto, soltanto i giocattoli
che avevo chiesto in precedenza. La letterina, in compenso, era
sparita.
"Mi trasferii da mia zia, cambiai scuola e quartiere. Sentivo
costantemente la mancanza dei miei genitori e ogni anno chiedevo a
Babbo Natale che me li resituisse."
Apro gli occhi un attimo, giusto per vedere il suo volto. E' attenta,
colpita dal mio racconto probabilmente, dalla mia enorme
stupidità. Forse si sta rendendo conto di che mostro
è
seduto sul suo divano, in casa sua.
"Come però immaginerai, il mio desiderio non è
mai stato
esaudito e, anno dopo anno, il mio rapporto con il Natale è
divenuto sempre più triste, rabbioso, quasi feroce. Riuscii
a
darmi un po' di pace soltanto quando i miei zii si decisero a dirmi che
Babbo Natale non esisteva e che quindi i miei genitori non sarebbero
mai più tornati"
"Come mai adesso non vivi con loro?", domanda Bella con voce piccola,
leggermente roca.
"Ho abitato da loro fino all'ultimo anno di liceo, poi mi sono
trasferito qui a New York, convinto di avere molte più
possibilità, di trovare un lavoro che riuscisse a mantenermi
sia
la retta universitaria che l'affitto. Ero molto bravo a scuola,
motivato e costante. Mi sarebbe piaciuto laurearmi, ma nessuno era
disposto a darmi un lavoro. A parte William's,
dove lavoro come magazziniere ad uno stipendio con cui a stento riesco
a comprare da mangiare.", mormoro, vergognandomi sempre di
più.
Non ho più altro da dire, il mio racconto è
terminato con
questo filo precario e traballante che è la mia vita, il mio
adesso.
Fisso la tazza di latte appoggiata sulle mie gambe. Ormai il latte si
è raffreddato e tutto il cioccolato sciolto e risalito sulla
superficie, formando uno strato marrone denso e uniforme.
"Mi dispiace moltissimo. So che può sembrarti banale quello
che
sto dicendo, ma è la verità", mormora con voce
intrisa di
emozione.
Si mette in ginocchio sul divano ed appoggia la sua tazza semivuota sul
tavolino di vetro, prima di avvicinarsi a me, cauta e attenta.
Il suo profumo è ancora più vicino, è
buono, caldo, mi rassicura.
"Edward... non appena ti ho visto al negozio, solo e con
quell'espressione triste... mi è venuto come un istinto, un
qualcosa che nemmeno io ti so spiegare. So solo che ho voluto invitarti
a casa mia, nonostante di te conoscessi soltanto il nome. Edward...", i
suoi occhi color cioccolato si fanno più intensi, si
riempiono
di lacrime agli angoli.
"Adesso che so la tua storia, posso dirti con certezza che non
è
colpa tua. Che tante persone care se ne vanno troppo presto dalla
nostra vita ma non è a causa tua: che tutto è
già
stato scritto e non ti devi crogiolare nel dolore... sei un ragazzo
splendido, sia dentro che fuori, devi solo riuscire a ricominciare, a
farti... guidare"
Fisso i suoi occhi, la sua pelle candida, le piccole e leggere
letiniggini, le sue labbra rosse che si avvicinano sempre di
più
a me, che improvvisamente sento sulle mie calde e profumate. Mi sta
baciando. Mi sta dando il mio primo bacio.
Senza neanche rendermene conto, chiudo gli occhi e mi beo di questo
contatto, mi beo di lei che mi ha trovato in una gelida notte di
dicembre, che mi ha accolto in casa sua senza sapere nulla di me, che
mi ha ascoltato...
Si stacca lentamente dalla mia bocca e apre nuovamente le palpebre
mentre piccole e calde lacrime scendono copiose sulle sue guance.
"Tu sei come una stella cometa, Edward. Sei una luce nella notte, sei
una cosa che capita una sola volta nella vita... e ti ringrazio per
esserci, ti ringrazio di esserti affacciato nella mia
quotidianità."
Non riesco a capire le sue parole. Lei non mi deve assolutamente
niente, nulla di nulla. "Bella, ma cosa dici? Tu...non devi
ringraziarmi.", mormoro scacciando dal suo viso le ultime lacrime con
le dita.
"E' grazie solo a persone come te che si capisce il reale senso della
vita, del destino... questa è la magia del Natale, Edward.
Ha
fatto sì che noi due ci incontrassimo, e io non ti voglio
lasciare"
Mi sento felice. Felice come non lo sono da tanti, tantissimi anni. Mi
sento come quando ero piccolo, con i miei genitori attorno a me. Mi
sento felice ed amato, amato come per la prima volta.
"Ti prego, vieni da me domani sera. Festeggeremo il Natale insieme: io,
te e la mia famiglia.", propone accarezzandomi il viso con i
polpastrelli. "Non devi nasconderti, Edward. Non voglio che tu stia a
letto anche quest'anno."
Sento gli occhi pizzicare, segno che le lacrime si sono fermate agli
angoli. Sono queste le lacrime più significative, quelle
più vere. Quelle che non vogliono scendere e scorrere, ma
quelle
che vogliono rimanere lì, una prova concreta di quello che
sta
succedendo.
"Sì", rispondo col fiato corto, avvicinandomi e catturando
le
sue labbra con le mie in un bacio veloce che sa delle nostre lacrime.
"Sì", dico di nuovo, aprendomi in uno dei più
sinceri
sorrisi che abbia mai fatto. Non sto mentendo,
domani verrò davvero. Per festeggiare, con lei. Perché
in realtà è lei la mia stella cometa,
è lei la mia guida, la mia luce nella notte. E io non voglio
perderla. No.
Non ora. Non
adesso che finalmente l'ho trovata.
Non vedevate l'ora
che finisse, vero? XD A parte gli
scherzi, spero davvero che vi sia piaciuta! La neve di questi giorni mi
ha aiutato molto a scrivere (adesso capirete perché a volte
non aggiornavo in orario Missione d'Amore e Your Guardian Angel XD), ma
devo dire che immedesimarmi nei due personaggi non è stato
affatto difficile. Li ho sentiti dentro di me da subito, quando
all'inizio della stagione natalizia mi incantavo a guardare le lucine
colorate dei negozi e delle case. ^^ Vi prego di
lasciare una recensione, anche una piccola piccola, giusto per sapere
se vi è piaciuta o no. Un grande bacio a
tutte! Tantissimi auguri
di Buon Natale, vostra Ele