Nella bottiglia
Tonks non l’aveva rincorso, quando si era staccato dal
capezzale di Bill per imboccare svelto l’uscita. Forse era stato
proprio il suo cambiamento d’atteggiamento a scombussolare tanto
Remus da fermare la sua fuga da lei.
Impossibile scappare da qualcuno che non ti insegue.
“Aspettavi me?” gli chiese torva mezz’ora dopo, trovandolo fermo nel corridoio fuori dalla stanza.
“Nella mia vita ho aspettato nell’infermeria di Hogwarts
poche persone… i miei migliori amici. Silente. Sono tutti morti,
tranne il traditore,” la sua voce si fece bassa, profonda.
“Un traditore, come Piton.”
Tonks cercò il suo sguardo tra i capelli calati sulla fronte. “Vorresti ucciderlo?”
“Sì,” le rispose aspramente, scoprendo gli occhi fissi nel vuoto.
Il suo sguardo era feroce.
“Sono un lupo mannaro.”
Tonks controllò le sue labbra, non le aveva mosse. Il pensiero
si era formato spontaneamente nella sua testa: era la prima volta da
che lo conosceva che pensava a lui in quei termini, ma la cosa non la
turbò minimamente. Lei non fingeva di non avere pregiudizi, era
sincera fin nel fondo dell’anima.
Il suo pensiero era arrivato chiarissimo a Remus che, trionfante,
sembrava pensare di essere appena riuscito a dimostrarle quanto fosse
spregevole come persona. Quanto poco fosse, una persona.
Ma Tonks comprendeva perfettamente il suo desiderio di vendetta, anche lei aveva un conto in sospeso con la sua cara zietta Bellatrix, che intendeva saldare alla prima occasione.
“È vero, tu uccidi,” lo sfidò. “E ci riesci anche molto bene. Guarda me.”
Remus trattenne il respiro con tanta forza da far rumore.
“Io… io…” arrancò, dopo aver indugiato
come sotto Imperius sul suo viso emaciato e smorto, sui suoi capelli
incolori, per poi chiudere gli occhi. Nell’infermeria si era
rifiutato di guardarla.
Tonks aveva faticato a riconoscersi allo specchio, le poche volte in
quell’ultimo anno che si era presa la briga di buttare
un’occhiata alla sua immagine riflessa. Remus aveva assunto la
stessa espressione spaesata che le aveva rimandato lo specchio in
quelle rare occasioni, con lo stesso interrogativo muto fermo tra le
labbra: era davvero lei?
“Io… ti ho guardata. Ti guardo con gli stessi occhi che
hanno esaminato Bill prima che il proprietario iniziasse a
sbranarlo!”
Tonks non combatté contro l’impulso di colpirlo. Con una
sberla lo centrò dritto sulla sua zucca vuota, per poi
d’istinto abbracciarlo e mollarlo in un unico gesto.
“Ho discusso con Silente, quando ho saputo che ti avrebbe mandato
tra i mannari,” gli sibilò contro. “Ero molto, molto
arrabbiata e l’ho avvertito che io, almeno io, non ti avrei
permesso di perderti. Silente è morto, ma il giuramento è
ancora valido.”
Perché lei lo amava così tanto da vedere quello che, come
tutti i membri dell’Ordine, aveva sempre volutamente ignorato:
Silente lo stava usando.
Era incredibile come un amore più grande da difendere, fosse in
grado di schiarire la mente rivelando verità sconcertanti sugli
altri affetti di una persona, fino ad allora ignorate.
Tonks, malgrado il dispiacere per la morte del preside, non poteva
dimenticare l’astio che aveva provato nei suoi confronti per aver
buttato Remus tra le braccia di chi gli aveva divorato
l’infanzia, dritto dentro ai suoi incubi.
Perché mentire a se stessa? Non provava la necessità di
mettere in piedi inutili stratagemmi per sentirsi una persona migliore.
Remus, le braccia incollate al corpo, non disse nulla.
“Tu non volevi andare tra i mannari. Non volevi, non volevi,” lo accarezzò con la voce.
Molly le aveva confidato che non era riuscito a nascondere
l’amarezza per il compito che gli era stato affidato neppure ad
Harry, per amore di cui in passato era riuscito a controllarsi persino
con un amico che gli moriva davanti.
Remus scrollò la testa, pronto ancora una volta a demolire ogni
suo tentativo di difenderlo dagli altri e da se stesso. “Usa il
Legilimens su di me, vedrai come mi sono ambientato bene tra i miei
pari. Forse così capirai perché non mi permetto di stare con te…” trasalì impercettibilmente. “Voglio dire… non ti permetto.”
Si passò una mano tremante sul viso, sembrava stanchissimo.
“Hai rubato per mangiare?” chiese lei, ricordando quello che le aveva raccontato sulla vita dei lupi mannari.
“Come tutti.”
“Ma tu non volevi.”
Lui non ribatté, forse non ne aveva la forza.
“Hai accettato il compito che Silente ti ha assegnato solo
perché è da una vita che ti senti in debito con
lui.”
Remus la sorprese prendendole una mano nella sua, quasi volesse essere
accompagnato da qualche parte, per poi lasciarla repentinamente, come
se essa l’avesse morso.
“Io non volevo,” ammise, gli occhi fissi nel punto dove le
loro mani si erano unite. “E ho paura. Urlo, la notte, ma smetto
subito…” raschiò la voce, liberando un ringhio dal
fondo della gola. “Una volta sarei stato in grado di impormi il
silenzio per non disturbare, ora… ora smetto perché le
mie stesse urla mi spaventano,” sputò con voce dura,
rabbiosa.
Remus rispondeva al dolore sempre alla stessa maniera: con collera.
Tonks si fece carico dei suoi problemi, ma non ne avvertì il
peso, pensò solo di essere la donna più fortunata del
mondo: per una volta, aveva parlato con il cuore in mano. E aveva
scelto lei per confidarsi.
“Lascia fare a me, Remus. Io sono qui per te.”
***
Tonks sapeva che Remus aveva accettato di seguirla a casa sua solo
per debolezza. La morte di Silente, dopo i mesi trascorsi tra i lupi
mannari, lo avevano sfiancato.
Seduto alla tavola della cucina, teneva il capo nel palmo della mano.
“Ecco il rimedio ai tuoi incubi!” annunciò lei,
sbucciando dalla paglia la pancia di un bottiglione di Vino Elfico.
Remus lo guardò appena. “Devo proprio andare, ora…” borbottò, senza però muoversi.
“Quella che sta per arrivare sarà la notte di San
John,” lo trattenne lei. “Passala qui con me, non te ne
pentirai.”
“Mi stai proponendo di ubriacarci per festeggiare il mio
onomastico e poi…” lo sguardo gli scappò sui suoi
seni e lo scollò da essi con una certa fatica.
Tonks finse di non farci caso. Lo amava, ma la propria dignità
era sacra e non intendeva certo convincerlo a restare con una botta e
via!
“Levatelo dalla zucca!”
“Bene,” disse lui, secco. “Perché non voglio che tu pensi che noi due potremmo…”
Tonks lo zittì sventolando una mano e riportò la sua attenzione sulla bottiglia.
“Ecco, guarda qui. Non sarà difficile, visto che ti piace tanto fissare le cose rotonde.”
L’allusione ai suoi seni era palese e Remus ubbidì senza
mostrare alcun imbarazzo, solo l’aria vagamente colpevole di chi
si è fatto pescare sul fatto come un sciocco.
“Sai quello che dobbiamo fare, ora?” lo incalzò.
“Di bere il Vino Elfico non se ne parla, immagino.”
“Fattene una ragione!”
“Oook,” prese tempo lui. “Quindi… cosa dovrei farci con questa bottiglia?”
A Tonks spuntò un sorrisetto divertito. “È una
magia molto antica, professore, mi stupisce che tu la ignori
così di brutto.”
Remus si accigliò, un po’ piccato. “Una magia che ha
a che fare con le bottiglie e la notte di San John?” riassunse,
cercando di concentrarsi.
“Proprio così.”
Ci pensò su, ma alla fine gli toccò arrendersi.
“Non ne so nulla,” ammise, rivolgendo i palmi delle mani
verso di lei.
“Oh,” lo consolò Tonks. “Non ti devi mica sentire una schifezza, comprendo la tua ignoranza.”
“Grazie, gentile da parte tua,” la guardò storta Remus.
“Infatti. Beh, comunque è un incantesimo che mi ha insegnato nonna Tonks.”
“Ossia la madre di tuo padre.”
“Ossia.”
“Ma non è una Babbana?”
Tonks spalancò la bocca, fingendosi costernata per prenderlo in
giro un po’. “E con questo? Sei diventato razzista?”
“No, no, certo,” le assicurò subito lui, pur rimanendo perplesso.
Tonks si divertiva un mondo a metterlo in difficoltà, da quel
che aveva potuto osservare, era una cosa che riusciva facilmente solo a
lei e ne andava fiera. Sapeva che la sua linguaccia era una delle cose
che l’avevano subito attratto di lei. Ricordava come solo un anno
prima si divertissero un mondo quando partivano con una delle loro
discussioni, lo stimolavano le donne al suo livello…
perché in quanto a linguaccia anche lui non scherzava, anche se
sapeva nasconderlo bene.
“Ora ti spiego, è una magia molto semplice,”
picchiettò un’unghia sul vetro della bottiglia.
“Devi rovesciare i tuoi incubi qui dentro.”
“È una maniera macchinosa per affogarli nell’alcol.
Facciamo prima a fare il contrario, mi offri un sorso e…”
Tonks lo fulminò con lo sguardo. “Mi sei diventato anche un ubriacone, adesso? Oltre che razzista.”
“Non sono razzista!”
“Convinto tu… non prendi sul serio la mia magia
perché è Babbana, ma mi rifili la balla che non hai
pregiudizi, bah… Il vino lo travaso e non dentro il tuo stomaco,
lupo assetato di facile sollievo dalle proprie pene,” Remus
arrossì, cosa che le confermò che aveva visto giusto. Per
lei era come una pergamena srotolata. “E ora, zitto e vienimi
dietro, che ci bado io, a te.”
***
Stavano seguendo lo scroscio di un ruscello a ritroso verso l’ennesima sorgente.
La settima, per essere precisi: sua nonna era stata chiara, doveva
mettere nella bottiglia l’acqua di sette fonti diverse,
perché…
“Perché proprio sette?” le chiese Remus, con tutta l’aria di sapere già la risposta.
Decise di lasciarsi interrogare, era un gioco divertente anche per lei.
“È un numero magico: sette come le vite dei gatti, le note
musicali, i metalli simbolici dell’alchimia. Gli anni di sfiga se
rompi uno specchio, sette i fratelli Weasley e gli anni di scuola a
Hogwarts… e poi scusa, che domande mi fai? Sette sono anche i re
di Roma, quindi tu dovresti saperne almeno quanto ne so io della
faccenda degli specchi sfracassati!”
Lo stomaco di Tonks salutò il sorriso che stava spuntando sul
viso sparuto di Remus con una capriola di gioia. Era troppo la migliore!
“È mio fratello che è salito al trono… se ben ricordi, Remus è un filo deceduto.”
“Dettagli!” lo liquidò lei, strappandogli un altro
sorriso. “Eccoci qui, ultima tappa!” esclamò,
accucciandosi sulla riva di uno specchio d’acqua di un blu
intenso, una macchia di cielo stesa tra i tronchi come una coperta da
pic-nic. “Contento?”
“Oh, sono al settimo cielo.”
Tonks non poté non scoccargli un bacio sonoro sulle labbra, quello era il suo Remus!
Non gli diede il tempo di respingerla, era troppo sveglia per permettergli di ributtarla nella depressione.
Immerse la bottiglia nel laghetto, conteneva già tre dita
d’acqua e con cautela ne fece scorrere un’ultimo sorso
all’interno.
La mano di Remus accompagnò la sua nell’immersione, facendo sfilare collane di bollicine tra le dita.
“Attenta!” l’avvertì. “Guarda
laggiù, sotto l’ombra di quell’albero, vedi?
C’è qualcosa che nuota.”
Tonks aguzzò la vista. “La vedo. Un T-shirt che si sgranchisce le maniche con qualche bracciata. Originale.”
Remus le sorrise. “È un Kelpie.”
Comprese subito l’inganno del demone acquatico Mutaforma.
“Ha visto cosa indosso e mi ha copiato il look per convincermi a
raggiungerlo. Evidentemente un’occhiata gli è bastata per
capire che io sulla schiena di un equino col cavolo che ci salgo. Fa
già abbastanza male cadere quando sono già per
terra!”
“Hai detto bene, di solito i Kelpie si trasformano in cavalli. Ma
con te accanto…” Remus la studiò, sembrava felice
di aver ascoltato la sua spiegazione. Felice e a suo agio, cosa che non
avveniva da prima del suo ingresso nel branco dei mannari. “Con
te, è tutto un altro mondo.” Si soffermò sui suoi
capelli tirando un lungo respiro e Tonks si allungò una ciocca
davanti agli occhi.
Non fu stupita di scoprirla di quel colore rosa acceso che solo Remus poteva restituirle.
“Però hai dimenticato di dire che le intenzioni del Kelpie
erano quelle di afferrarti e trascinarti sott’acqua per
divorarti.”
“Carino, Remus, ma avevo tralasciato la parte truculenta di
proposito,” lo apostrofò lei, dandogli una spallata.
“E quello,” proseguì lui impassibile, indicando una
specie di lecca lecca gigante che si trascinava tra le felci, senza mai
perdere d’occhio la sua chioma riportata agli antichi splendori.
“È uno Streeler.”
Tonks annuì in direzione dell’enorme guscio a spirale
della lumaca color pannocchia. “Gli allevatori le hanno liberate
in giro per abbattere i costi di allevamento, al Ministero questa loro
magnifica trovata aveva creato una mezza baraonda.
“È un animale africano, in effetti, e sul nostro
territorio destabilizza la fauna autoctona,” concordò
Remus. Era orgoglioso di scoprirla così ferrata
sull’argomento, e grato per averlo assecondato nei suoi discorsi.
“La particolarità di questa Creatura Magica è
quella di cambiare colore ad ogni ora e il lasciare dietro di sé
una scia di distruzione.”
Tonks osservò corrucciata la vegetazione bagnata dalla bava
dello Streeler avvizzire fino a svanire, a una velocità tale da
sembrare essere stata falciata da un uragano. “Ogni riferimento
alla sottoscritta ovviamente non è affatto voluto,” lo
provocò ridacchiando.
Remus sembrò mortificato. “Sto bene solo con te,”
mormorò. “Sono un egoista, ti cerco ovunque.”
Con la mano che teneva ancora a mollo nel laghetto schiaffeggiò
l’acqua, colpendo l’immagine riflessa del proprio viso.
Non voleva dirlo, gli era sfuggito.
“La cosa è reciproca, sai?” lo rassicurò
Tonks, strattonandosi una manciata di capelli con un senso di appagante
calore che le si allargava nel petto.
Non che avesse mai avuto dubbi in merito, sapeva che lui l’amava,
ma ogni nuova conferma era una gioia grandissima, per lei.
“Ok, l’acqua c’è, ora mi manca solo l’uovo.”
***
Remus aveva scovato delle coloratissime uova di Fwooper,
scegliendone uno particolarmente vivace. Lo stesso che ora, nella
cucina di casa sua, Tonks aveva rotto, dividendo l’albume dal
tuorlo psichedelico.
“Ora ho capito,” decise Remus, la cui curiosità
aveva preso il sopravvento su tutto il resto. “È chiaro,
vuoi fare una frittata con i miei incubi.”
Tonks, che sapeva di tenerlo in pugno, sbuffò. “Quanto sei
impaziente di capire! La cosa bella della magia è ammirarla
senza riuscire a spiegarsela,” lo fissò dritto negli
occhi. “Aspetta qui con me, stanotte. Domattina vedrai. La nonna
mi ha parlato anche del finale a sorpresa.”
“Finale a…” si bloccò, guardando di lato.
Temeva di stare mostrando troppo coinvolgimento e tornò a
nascondersi. “Tonks, io non posso permetterti…”
“Ma sei fissato di brutto, eh! Non ci sto provando, Remus,
dormiamo e basta,” si morse le labbra. “Tu devi crederci
però, se no col cavolo che funzionerà.”
“Lo so, la magia Babbana è solo superstizione.”
Lei non commentò. Remus ancora non sapeva che bastava credere,
per fare avverare cose che si ritenevano impossibili. Lei credeva a
loro due e lui… non ancora.
Ma Tonks era una donna paziente, e non sapeva neanche cosa significasse perdere la speranza.
Versò l’albume nella bottiglia, e lo controllò
galleggiare sulla poca acqua che già conteneva, facendo segno a
Remus di prendere la bacchetta.
***
“C’è un veliero, nella bottiglia!” esclamò sorpreso Remus la mattina successiva.
Era l’alba e la bottiglia, esposta per tutta la notte sotto la
luce della luna, salutava dal davanzale della camera di Tonks i primi
raggi del sole nascente.
“Bello, vero? Si porterà via i tuoi incubi con sé.”
Remus aveva insistito per dormire sul divano e lei, al primo brivido
che l’aveva scosso nel sonno, l’aveva raggiunto
accoccolandosi vicino a lui. Non l’aveva svegliato, si era
limitata ad accarezzargli i capelli, le dita bloccate ad ogni viaggio
da qualche nodo che era riuscita, senza chiedersi come, a sciogliere
nella penombra della stanza.
Amava la sua trascuratezza, le permetteva di dimostrargli il suo
affetto con gesti piccoli che ogni volta davano risultati straordinari.
Remus si era calmato subito ma lei non l’aveva lasciato: per lui
c’era sempre, alle tre di notte come di fronte a una T-shirt
sanguinaria.
Il veliero d’albume, trafitto dai raggi del sole, mandò
morbidi bagliori perlacei prima che i suoi contorni prendessero ad
arrotolarsi su se stessi come volute di fumo, che corsero fuori dal
collo della bottiglia verso il giorno.
Tonks gliele indicò. “Fai ciao ciao ai tuoi incubi!”
Lui scosse la testa, osservandola attentamente. “Non ai miei incubi, Tonks, ma quello che provo per te.”
Tonks sentì il cuore precipitarle nelle pantofole a forma di
calderone, non poteva credere che avesse versato quello, nella
bottiglia! Ma non perse il coraggio. “Dillo, almeno dillo
chiaramente, quello di cui ti stai liberando!”
Remus non ci provò neppure. “Non riesco. Ma lo so che tu lo sai.”
Era vero e malgrado tutto, scelse ugualmente di tendergli una mano, invece di forzarlo.
La sua non era mancanza di carattere, ma una bontà spontanea, un
voler bene senza neppure supporre di avere diritto a un tornaconto.
“Il veliero si è portato via il tuo amore per me?”
gli chiese senza fiato, le labbra che tremavano.
“No.”
“E cos’altro…”
“Si è rifiutato,” la interruppe, parlando al
pavimento e grattandosi la nuca, in evidente difficoltà.
“Quello che provo per te… era un carico così
grande, che rischiava di colare a picco ben prima di raggiungere il
cielo.”
“L’amore che provi per me?”
“Sì. Che provo per te. Io… scusami. Sto bene solo con te.”
Una rapida occhiata ai suoi capelli. Rosa.
Remus aveva finalmente capito che anche lei stava bene solo assieme a
lui, ma Tonks sapeva che non l’avrebbe mai ammesso, ci teneva
troppo a passare per l’egoista che era convinto di essere.
“Così sei… Tu sei bellissima…” si impappinò Remus. “Argento vivo.”
“Ma l’argento non è letale per i lupi
mannari?” riuscì a dire lei, perché neanche
l’enorme commozione che stava sentendo era in grado di zittirla.
“Proviamo,” la invitò, allargando le braccia.
Tonks non se lo fece ripetere, gli saltò subito addosso,
raggiante e sicura che l’avrebbe presa al volo. Poi
l’esplosione di gioia la lasciò respirare, e sollevata tra
le sue braccia, vide il veliero ridotto a un drappeggio sparire nel
sole, uguale a un velo da sposa.
La nonna glielo aveva spiegato: era il futuro, quello che rivelava il finale della magia della notte di San John.
Prima di tutto, approfitto di questa ff per augurare a tutti un Buon Natale :-)
Questa è l'ultima ff che avevo ferma per un contest, quindi per
un po' vi lascerò in pace (ispirazione permettendo ^^)
Ringrazio Circe e Cedric Diggory Tassorosso per aver indetto questo
Contest, per la prima volta Ninfadora si porta a casa qualche premio,
nientemeno che la "regina di Yule", ne è stata molto felice, di
solito la snobbano tutti, per non dire peggio.
Note: quello che Tonks dice riguardo Bellatrix riprende una frase da
lei pronunciata all’inizio del settimo libro. Il suo malumore nei
confronti di Silente si capisce all’inizio del sesto libro,
quando se ne va non appena lo vede. È forse l’unico membro
dell’Ordine della Fenice ad aver litigato apertamente con il
preside, e l’ha fatto per Remus.
“Per favore, non andartene a causa mia,” disse Silente (…)
“No, no, devo proprio andare,” replicò Tonks senza incrociare il suo sguardo.
(HP6)
La magia usata da Tonks è vera e mi è stata raccontata
dalle mie nonne, da mia madre, da mia suocera: il veliero
d’albume si modella sul serio nella notte di San Giovanni (San
John).
Io ci ho ricamato sopra parecchio, ma… provare per credere ^^
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