Provaci
ancora, pennuto! ~
prompt: #071, divine
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«Dai, Eros, per favore. Fammi provare.»
«Assolutamente
no, poppante.»
«Oh,
andiamo, te l’ho anche chiesto per
favore! E dai, cosa ti costa?»
«Cosa
mi costa? Costa l’incolumità degli abitanti dell’intero
universo, ecco cosa!»
«Uffa.» Pollon
pestò un piedino a terra e tirò fuori la lingua. «Sempre
più antipatico.»
Eros
diede sfoggio di tutta la sua dignità, svolazzando sgraziato al di sopra
della sua testa, agitando insieme le braccia e l’oggetto di quella
discussione che era nata con l’alba dei tempi e che – a giudicare
dalla caponaggine di quella peste in gonnella – non sarebbe finita mai.
«Come ti permetti, poppante? Io sono il
dio dell’amore e tu non hai il diritto di rivolgerti a me in questo modo!»
«Io sono la figlia del dio del sole e ti
parlo come mi pare e piace, pennuto che non sei altro!»
«Credi
che con questo atteggiamento otterrai ciò che vuoi? Non ti lascerò
mai provare il mio arco. Tu non sai
niente dell’amore!»
La
smorfia di Pollon scomparve a poco a poco, mentre i
suoi occhioni neri si riempivano di lacrime. Eros
rimase a fissarla a mezz’aria, e d’un tratto si sentì nudo
come un verme. Cioè, sì, era
nudo come un verme – ma, beh, insomma: avete capito, dai.
«Ora
non fare così...»
Ma
gli occhi della piccola, fissi su un punto all’orizzonte, continuavano a
luccicare. Dopotutto non era altro che una bambina – cocciuta come poche,
certo, e più pericolosa delle sbornie di Poseidone,
naturalmente, e anche molto più carina di quasi tutte le dee dell’Olimpo
messe insieme, a dirla tutta: ma in fondo restava una bambina.
Eros
guardò il suo arco, disperato. Sicuramente
non era stata la cosa giusta da dire. Odiava litigare con lei, ma l’alternativa
sarebbe stata ammettere il contrario, che se solo non avesse temuto un
cataclisma le avrebbe ceduto volentieri le frecce dell’amore perché
lei era l’amore e perché
ogni volta che la vedeva così imbronciata lui...
Il silenzio
di Pollon era ciò che di più innaturale ci si potesse aspettare; ed Eros
stava già per mandare all’Ade tutto il suo divino orgoglio, e si
era calato su di lei ed era a un battito d’ala dal suo visetto – «Beh,
poppante, non avevo capito che tu...» – quando Pollon
alzò lo sguardo e lo spinse via con uno strillo schifato.
«E
infatti non hai capito niente, pezzo
di salame! Non sto piangendo per te... Ho il sole negli occhi!»
Se
ne andò con un battere stizzito di sandali sul marmo, scuotendo rabbiosa
i riccioli d’oro, e al povero dio dell’amore con le labbra ancora protese
non rimase che un istante per rendersi conto che il sole negli occhi di lei
non era certo la propria immagine riflessa.
«Tu, pennuto umanoide! Cosa stavi facendo
a mia figlia?!»
Il carro
di Apollo era già tanto vicino da strinargli le ali – e a Eros fu
concesso un altro istante per realizzare che, forse, rischiare che Pollon facesse
ammattire d’amore il mondo intero non sarebbe stata una prospettiva spaventosa
quanto un padre geloso.
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