uuuCapelli ricci e rossi, lunghi e voluminosi. Mi tende la mano, sorridente.
“Andrea, lei è Anna, quella rompina di mia sorella.”
Quando hai undici anni, e per la prima volta vai a casa del tuo nuovo
compagno di classe, Alberto, a fare i compiti, di sicuro non ti aspetti
di trovare di fronte ai tuoi occhi una simile bellezza di diciassette
anni.
Anna ride e sposta una ciocca rossa dal viso. È l’antitesi del
fratello: lui cicciotto, lei magra. Lui liscio, lei riccia. Lui con un
buco al posto degli incisivi, lei una fila di denti bianchi e perfetti.
Io rimango boccheggiante, come un pesce. Penso alla mano sudaticcia che
le ho appena teso, imbarazzato. Anche perché a quell’età, ti piacciono
le ragazzine delle medie, e il massimo a cui puoi tendere è una di
terza. E se riesci grazie a chissà quale miracolo a uscirci, prenderla
per mano (addirittura!) diventi un mito. E queste qui ti sembrano pure
bone; chiariamoci: la notte pensi a una ragazza a cui ancora devono
spuntare le tette!!! Ma che volete farci, quando hai undici anni è
così, prendere o lasciare.
Vi assicuro però, che quando vi capita di incontrare una ragazza del
genere, tutta curve, sei anni più grande di te, le altre svaniscono
come per magia.
Da quel giorno, ogni scusa è buona per andare a casa di Alberto, tanto
che la mamma si abitua a preparare due merende. Ma lei non c’è, mai.
Dico, nemmeno una volta! Alberto parla di inciuci strani con un
ragazzo, e poi della sua migliore amica Gaia, con cui va sempre in
giro. Quanto avrei dato per rincontrare ancora quei ricci!
Poi, un giorno, percorro la strada di casa da scuola. E lei mi è
apparsa davanti, salutandomi con la mano. Chissà a cosa pensava…
Decido di accompagnarla a casa, anche se io ero quasi arrivato. Ciò
significava perdere una buona mezz’ora, ricevere una strigliata appena
rientrato, fornire una giustificazione plausibile per il ritardo, e
probabilmente una punizione.
Lei mi chiede un po’ di me, cosa mi piace, cosa voglio fare da grande.
Ride alle mie battute, dato che sono sempre stato molto spiritoso. E
lei è adorabile, con la sua risata sibillina, la camminata
ancheggiante. Dopo un tempo che mi sembra troppo breve, arriviamo a
casa sua. Si ferma di fronte al portone di legno scuro, e voi potete
immaginare la mia fantasia fin dove si è spinta! Come nei migliori
film, mi pregustavo già la scena: un bacio con la lingua (mi ero dato
da fare con la fantasia!). Nella realtà, si inchina, dato che era più
alta di me di tutta la testa, e mi da un leggero bacio sulla guancia.
La strigliata di mia madre deve essere stata una delle peggiori, ma io non la ricordo, talmente ero felice.
“La madre di Alberto ci ha invitato a pranzo.”
Mia mamma prepara la sua famosa torta allo yoghurt, volenterosa.
“Quando?” chiedo, cercando di mantenere il tono della mia voce il più
neutrale possibile. In realtà ciò che fuoriuscì dalla mia voce fu la
placida imitazione di una papera.
“Domenica.”
Non posso dire di essere stato un brutto bambino. Anzi. Occhi verde
chiaro, bel sorriso, alto. In più ho sempre vestito alla moda, ero
irriverente, sfacciato, ricercato da molte ragazzine. Ma io le
rifiutavo tutte (Alberto non riusciva a capacitarsi!) perché Anna
alimentava le mie giornate, i pensieri dove lei era presente agivano in
me come un carburante.
La domenica arrivò, e il mio proposito di pranzo per due a lume di
candela svanì in un lampo, perché lei non c’era. La madre disse che
aveva litigato col fidanzato, e che non le andava di vedere nessuno.
Poi, verso sera, quando stavamo per andare via, mi sedetti in giardino,
all’ombra di un arancio, nel buio. E lei si avvicinò, cauta. Si sedette
accanto a me. “Che ci fai qui, Andrea?”
Io ristetti, facendo le spallucce. Mi stupii che non riuscisse a sentire i battiti del mio cuore.
Cercai nella mia testa le parole del discorso che mi ero preparato
mentalmente, ma non le trovai. Decisi di improvvisare, e giusto un
secondo prima che io le aprissi l’anima, rischiando di mettermi in
ridicolo a vita, lei parlò: “Hai gli occhi verdi.”
Non era una domanda, quindi niente risposta. Mi limitai ad annuire,
notando nell’oscurità dal volto arrossato e dagli occhi gonfi che aveva
pianto.
“Non trovi che sia strano che ricordi più il colore dei tuoi occhi che quello di tanti ragazzi della mia età?”
Questa volta la domanda c’era, ma io non sapevo la risposta. Lei si voltò verso di me e mi disse: “Sei speciale, Andrea.”
Mi sorride, e prima che possa rendermene conto mi prende decisa il
volto tra le mani, e preme leggera le sue labbra grandi sulle mie, ad
occhi chiusi.
Poi si alza e se ne va, chissà dove, ancheggiando.
“Anna, quel ragazzino ti cerca.”
Gaia, la sua amica, indica qualcuno di sperduto tra la folla di studenti.
“Ma chi?”
“Beh, che ne so. È piccolino, sarà alle medie. Però quello da grande si fa gnocco, promette bene!”
Anna ride e poi lo vede. Andrea, l’amico di suo fratellino. Si
avvicina, con una strana consapevolezza. Si sente una stupida per
quello che ha fatto il giorno prima, senza pensarci.
“Andrea, che ci fai qui?”
“Sono venuto a prenderti.”
Una frase sincera, quella che avrebbe voluto sentirsi dire da altri ragazzi, e non da un undicenne innamorato di lei.
“Sei molto gentile Andrea. Ma…” Anna si prepara ad un discorso che non
avrebbe mai voluto fare, soprattutto non nel piazzale della scuola, ad
Andrea, che di sicuro non se lo merita.
“Tu sei troppo piccolo per me. E lo so che stupidamente ti ho fatto
credere il contrario! Ma ti prego, perdonami, e dimenticami, non lo so,
fai finta di nulla…”
Lui la guarda, triste e incredulo. “Ma io crescerò, e…”
“La differenza di età rimarrà comunque! Capiscimi, ti prego… non posso provare quello che provi tu. Non lo proverò mai.”
Andrea guarda Anna, bella, stagliata contro il sole. Gli sembra triste,
e questo gli rende la consapevolezza dell’impossibilità meno dolorosa.
Abbassa la testa e si incammina verso casa.
Anna ritorna da Gaia. “Ma che voleva?”
“Qualcosa che io non posso dargli.”
Ecco a voi la prefazione... spero di avervi incuriosito... <3 fatemi sapere... Chae.
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