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BUON NATALE JESUS ***
La tavola è già pronta e imbandita. I
bambini si attardano ancora a rimirare i giochi che hanno scartato
quella mattina: la Playstation tre per il più grande, lo Zuzu Petz
per la bambina, la borsa di Hello Kitty per la cugina che ormai ha
quasi tredici anni. Ma la ragazzina mette il broncio, non la voleva
bianca e rosa, la voleva come quella della sua amica, quella
brillantinata.
La televisione è accesa su un canale
che nessuno sta guardando, probabilmente uno di quei film in cui il
bambino incredulo ritrova la magia del Natale grazie a una renna,
un'oca o uno scarafaggio, Tutti sono intenti a scambiarsi convenevoli
e auguri, mentre fanno mostra di sé tartine al salmone, olive e
risate di circostanza.
Ma ecco, che arriva il tacchino ripieno
di tutto l'amore di una madre per la sua cucina e i suoi ospiti.
Questi le fanno i complimenti per il
piatto ben riuscito e i ricchi addobbi di casa. Il presepe non
l'abbiamo fatto, non c'era tempo, abbiamo preso un albero già
pronto. L'albero di Natale infatti non è più quello dell'anno
scorso, l'altro era tutto brutto, le decorazioni erano vecchie,
quest'anno vanno di moda le palline fatte a mano, magari in vetro. E
le luci? Di quelle se non hai almeno una parata da circo nessuno ti
nota. La padrona di casa si prodiga in frivole discussioni.
Finalmente il dolce: nonostante le
calorie già ingurgitate li abbiano già riempiti lo mangeranno
perchè così vuole la tradizione.
Si fa sera, la pancia è ben piena, lo
zio ha vinto un'altra volta a tombola, il nonno si è ormai
addormentato sulla poltrona. I parenti si rinnovano gli auguri
nonostante si rivedranno il giorno dopo. Meglio andare a letto,
domani attende un'altra pingue giornata di festa.
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Trenta metri più sotto, in un tunnel
della metropolitana, il Natale si percepisce più che respirarsi a
causa del poco andirivieni, così insolito in una città urbanizzata
come quella.
Pochi si arrischiano a scendere lì
sotto, solo se non possono farne a meno, e si muovono così
velocemente da sembrare fantasmi di quella neve che lenta sta
scendendo in superficie.
Gli abitanti della fermata di SanRemo,
la fermata precedente a quella per la Stazione Centrale, dormono con
un occhio chiuso e uno aperto per controllare l'arrivo della polizia
o di chiunque cerchi di rubare loro il posto al riparo dal vento
gelido. Il puzzo di alcool delle loro bottiglie si confonde con
quello del piscio del vicino. Solo i cani a fare compagnia e ogni
tanto a vigilare per loro.
Ma oggi, alla fermata SanRemo c'è un
nuovo inquilino. Una donna, impossibile definire un'età dal passo
strascicante che sembra portare il peso di tutto il dolore del mondo
e la pelle raggrinzita dalle notti passate all'addiaccio, ma
chiaramente in stato interessante.
Erano mesi ormai che viveva all'aperto,
mangiando quello che trovava in giro. Sicuramente il bimbo sarebbe
cresciuto con più macchie di voglie che nei, ma era meglio così che
restare nel campo rom dove sua madre avrebbe sicuramente mandato il
suo bambino a elemosinare per le strade non appena avesse mosso i
primi passi. Voleva un futuro diverso per lui ed era fuggita. Non
sapeva ancora come avrebbe fatto, la sua gente non è mai stata molto
benvoluta. Avrebbe voluto parlare un'ultima volta al padre del
bambino, un marocchino di nome Joseph, l'unico che l'aveva trattato
con gentilezza. Avrebbe voluto chiedergli di vivere con lui, formare
una famiglia come quelle che vedeva sui giornali che trovava
nell'immondizia. Ma non c'era stato modo di rintracciarlo. Quando
avevano saputo della sua storia con lei probabilmente avevano fatto
in modo di non fargliela più vedere.
Intanto il tempo era passato ed era
venuto per lei il momento del parto.
Con la paura di essere marchiata e poi
forse rispedita dai suoi aveva evitato l'ospedale e i centri di
accoglienza e si era ritrovata lì, dopo aver preso la metropolitana
per una ventina di volte avanti e indietro per provare a scaldarsi un
pochino e attenuare il dolore che sentiva sempre più crescente.
Si appoggiò alla colonna che portava
alle scale d'uscita e si sentì bagnata: si erano rotte le acque, non
c'era più tempo per cercare aiuto. Gemendo si accasciò al suolo
finchè una nuova fitta la fece urlare.
Uno dei barboni avvolto tra le coperte
la udì e con passo malfermo le si avvicinò. La donna avrebbe voluto
scacciarlo ma era troppo indaffarata e troppo sola per non accettare
l'aiuto che le diede. Forse un tempo era medico, forse veterinario, o
tutt'e due, non lo avrebbe mai saputo, tutto ciò che sapeva era che
lui la stava aiutando a far nascere il suo bambino. La fredda luce al
neon sopra la sua testa brilla come una piccola stella.
Gli altri ospiti del tunnel, richiamati
dalle urla di lei, si avvicinano. Ognuno offre qualcosa per quella
piccola nuova vita: un panino del McDonald mezzo mangiucchiato, uno
straccio per coperta; il cane si mise vicino al piccolo per scaldarlo
con il suo pelo.
“Tieni ragazza, bevi un po', ti
aiuterà a dimenticare” le disse il suo medico “Come ti chiami?”
“Miriam” rispose questa con un po'
di affanno.
“E questo piccolino?”
Aveva pensato molto al nome da dare al
piccolo e uno tra tutti le era rimasto in mente quell'unico giorno di
scuola che aveva frequentato. Il nome che, le avevano spiegato,
evocava speranza di salvezza. Un nome che tutti conoscevano, a volte
citato a sproposito, spesso dimenticato.
“Jesus. Si chiama Jesus.”
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Spazio Autrice
Chiedo perdono. Natale è già passato
e io vi propongo questo breve racconto...è stato difficile scriverlo
cercando di esprimere tutte le emozioni che volevo dare. I nomi sono
completamente inventati (e si vede direte :) ) tranne quelli dei
giochi e beh della famosa catena di fast food.
I riferimenti a fatti, cose, persone
sono del tutto casuali e bla bla. L'ho messa come genere favola
perchè è una storia fantastica in tutti i sensi secondo me.
Ho pensato molto al significato del
Natale e mi è venuta in mente di scrivere questa contrapposizione:
mentre Gesù è nato in una capanna perchè per lui non c'era posto
in una stanza ma nonostante questo era circondato dall'affetto e
dall'amore, il nostro stare insieme è un'abbuffata quasi senza sosta
tra il cenone della Vigilia, il pranzo e la carne e il pesce.
Non è una critica contro nessuno,
semplice constatazione.
Detto questo, ormai vi posso fare Buon
Anno! :)
~
Patty ~
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