Attimi perduti. Riflessi e riflessioni.
Attimi
perduti. Riflessi e riflessioni.
Cade,
dispettosa, ritmicamente, una goccia solinga che, col suo lieve e preciso pioggerellare,
plumbea rapisce i pensieri e li annoda e li guarda fluire inesorabili oltre lo
specchio del lavabo, mentre scivola lenta e si perde per sempre.
Solo l’eco
rimane, un ripetitivo ticchettio stanco risuona ed avvolge la mente che, ancora
frastornata, s’illude e si perde nei riflessi opachi del proprio sembiante.
La stanza
deserta.
Completamente
priva di arredo.
Spoglia.
Nuda, come
il resto della casa d’altronde.
Solo
polvere, rimpianti e flebili sussurri notturni.
In piedi, i palmi inconsciamente serrati alla superficie
liscia e spiacevolmente fredda, un lieve formicolio percorre le dita lunghe e
sottili, bianche le nocche irrigidite.
Fronteggia se stesso: un uomo, un ragazzo troppo cresciuto
forse, poco più che un bambino infondo.
Carne da macello per il suo villaggio. Niente di più, niente
di meno.
Un fantasma anche per se stesso.
Impercettibilmente le
braccia prendono a tremare, dure e contratte sino allo spasmo, tracciate da
sottili venature, le fibre muscolari appena accennate ma scattanti e perfettamente
visibili: le braccia di un guerriero, di chi ha fatto della guerra il suo
credo.
La sua ragione di vita e, probabilmente, un giorno nemmeno
troppo lontano, anche il motivo della sua morte.
Ma non ora, non in questo momento per lo meno.
Tutto è statico, immutato e come sospeso.
Lascia che la vita e gli eventi gli scivolino di dosso
semplicemente, come le gocce d’acqua che, imperterrite, cadono, a tratti lo
cullano, talvolta lo riscuotono dal sopore ed infine svaniscono nel buio.
Esistenza inutile quella di una goccia.
Come quelle che, prive di ogni rispetto, solcavano il suo viso
in quell’infausto giorno … lontano, vero, ma anche tremendamente vivido e vicino nei suoi ricordi.
Ricordi che sperava - e
dio, si era quasi illuso di esserci riuscito- di aver cancellato, eliminato con
un secco colpo di katana, quello che non era riuscito a sferrare sin troppe
volte … e che avrebbe dovuto fargli capire molte cose già allora.
China il capo lo shinobi, incapace di sostenere il suo stesso
sguardo, infastidito da quegl’occhi scuri, profondi, molto probabilmente sofferenti,
ma ormai privi di quella scintilla d’odio che un tempo li animava.
Non c’è più odio?
Cosa c’è allora?
Silenzio.
Indifferenza forse?
…o sollievo?
Ricerca disperata di quella tranquillità a lungo disprezzata
perché debole, priva di onore e che solo ora, che si ritrova a pensare, a
confrontarsi con se stesso, si rende conto di agognare, di desiderare al di
sopra di ogni altra cosa al mondo?
Forse, però, qualcos’altro in fondo c’è.
Un altro motivo per aprire gli occhi ed alzarsi la mattina
c’è.
Probabilmente, anzi, ormai ne è certo, una motivazione per non
disonorare se stesso sino alla fine con una morte indecorosa l’ha trovato, l’ha
sempre avuto davanti agli occhi e non ha mai voluto realmente vederlo.
Non c’era bisogno di sharingan né di byakugan o chissà quale
sofisticata aste oculare per rendersene conto; sarebbe stato sufficiente aprire
veramente gli occhi e vedere.
Non limitarsi a guardare … ma vedere oltre.
Oltre l’apparenza, oltre il suo odio, oltre gli stemmi, i
pregiudizi, i falsi sorrisi e le fottute casate.
Un uomo a torso nudo, unico riparo un piccolo asciugamano
precariamente avvolto in vita, incurante delle gocce che imperterrite scivolano
e vanno ad asciugarsi sull’ampia schiena, sul solido petto, lungo le gambe
muscolose. Nemmeno il tempo pare scalfirlo, come sospeso nel vuoto.
Come incantato si osserva, si scruta assente, vacuo lo sguardo
riflette, ripensa al lontano passato ed al proprio presente.
Fatto di giornate tutte uguali, monotone, disperatamente
volute.
Come un vecchio guerriero stanco, pago di sangue e battaglie,
ricerca la pace in totale ritiro, così lui, cessata di combattere la sua
personalissima battaglia contro i mulini a vento, non desidera altro che
riposare, crogiolarsi nella ripetitività di giornate banali, sempre uguali a se
stesse.
Non sperava altro.
Non credeva di meritare altro.
Si accontentava di osservare, vedere per la prima volta … come
se il solo atto di guardare gli permettesse di poter vivere una sorta di vita
parallela, quasi vicariante, attraverso l’esistenza altrui.
Proprio in quel periodo si era accorto di lui, di quello
strano senso di aspettativa, di attesa, come se parte della sua giornata
ruotasse intorno a quei momenti.
Una specie di rituale quotidiano, gradevolmente ripetitivo,
interrotto solamente per brevi periodi concomitanti con le missione
-inevitabili purtroppo- era giunto a pensare.
Era piacevole trascorrere i pomeriggi così, affacciato alla
grande finestra del soggiorno o pigramente adagiato sul tetto in silenziosa
contemplazione del villaggio, dei suoi abitanti immersi nella loro
quotidianità, del suo team mentre si allenava …
La fatica, gli sforzi continui ed estenuanti, il sudore che
impregna i vestiti e bagna i capelli appiccicandoli al viso.
Osservarlo mentre, in un goffo tentativo di liberare gli occhi
dalle ciocche ormai fradice incollate alla fronte, scuoteva il capo, agitando
la chioma ribelle e disseminando nell’aria minuscole goccioline.
Le spalle muscolose che si contraevano nello sforzo
dell’evitare un attacco, finalmente esposte alla vista mentre, avvolto nella
ridotta divisa estiva, guizzava scattando sulle gambe potenti.
Quanto era cresciuto, quanto erano cambiati entrambi.
Solo gli occhi erano gli stessi, limpidi e disarmanti come
quando, ancora bambini e pressoché sconosciuti, si erano scambiati per un
attimo un fugace sguardo; pochi attimi su quella banchina, un’infinita
tristezza e comprensione reciproca.
Forse l’intesa era già presente allora.
Scrutare ogni suo gesto nella crescente consapevolezza del
fatto che, sebbene ogni suo pensiero fosse ormai rivolto all’altro, non avrebbe
potuto far altro che continuare a guardare, passivo spettatore di una vita che
non gli spettava più di diritto.
Forse un tempo avrebbe potuto cambiare le cose, modificare gli
eventi in suo favore, avrebbe potuto pretendere qualcosa per sé.
Ma non ora.
Non dopo che per così tanti anni lo aveva stoicamente
ignorato, rifuggendo ogni tentativo di avvicinamento.
Non dopo averlo insultato, detestato ed infine nuovamente
ignorato per averlo costretto a rimettere piede in quella terra tanto odiata,
che più di ogni altra lo ha visto soffrire, l’unica che lo abbia reso debole.
Razza strana gli Uchiha … vincono battaglie epiche, evocano
demoni assassini, estinguono interi clan in una notte sola … per poi rendersi
conto che, affettivamente parlando sono ciechi in modo desolante, e non c’è
sharingan ipnotico eterno che tenga.
Disappunto, si dipinge lentamente sul pallido riflesso del suo
viso, le lunghe sopracciglia finemente delineate s’inarcano simmetriche, un
profondo solco ne deturpa verticalmente la fronte.
Scoprire ogni giorno nuove espressioni, ecco cosa si è
sorpreso a fare ultimamente.
Non più un vuoto inespressivismo quasi cereo, quasi sparito il
cipiglio folle e lo sguardo d’odio puro.
Qualche flebile traccia rimane, a fondersi con questi
inaspettati e talvolta preoccupanti moti facciali.
Ecco perché passa ore davanti a se stesso, assottigliando gli
occhi e scrutando insistentemente l’opaca superficie riflettente: per cercarsi,
riconoscersi e ritrovare lentamente il vecchio sé, quel bambino imbronciato da
cui il biondo non riusciva a separarsi.
Perché solo quello ormai gli è rimasto, il ricordo di ciò che
non è più.
O almeno lo credeva.
Ciocche disordinate, ormai poco più che inumidite dal vapore
della stanza, ricadono morbidamente scomposte al lati del volto, sugli zigomi
ben delineati, sul profilo sottile della mascella, l’incavo del collo quasi
perlaceo.
Inclina il capo impercettibilmente, la pelle sottile si tende
sulle clavicole esposte.
Un velo sottile di barba incipiente, il taglio degli occhi
scuri e sprezzanti, le occhiaie che svelano assenza di sonno.
Non quel che si definirebbe un bello spettacolo.
Un tempo non avrebbe permesso a se stesso di lasciarsi andare
così indecorosamente, la perfezione di uno shinobi sta anche nell’attenzione al
corpo, considerato tempio della spirito e soprattutto la più letale fra le armi
ninja.
Forse un tempo non avrebbe lasciato nemmeno che capelli
crescessero così tanto; tuttavia, pensandoci bene, ora non avrebbe disprezzato
una capigliatura più lunga, invecchiando avrebbe ricordato Itachi.
Sfiorando distrattamente quei fili ebano avrebbe ricordato i
momenti trascorsi insieme al suo aniki, la confortante sensazione di sentirsi
amato dalla propria famiglia, l’avvolgente presenza di un fratello affettuoso e
sempre presente, il vuoto desolante nel cuore lasciato dalla morte di tutti,
dall’abbandono di lui.
Gli avrebbero ricordato gli eterni pomeriggi trascorsi sul
piccolo molo, seduto, con lo sguardo perso nel nulla, le gambe sospese nel
vuoto, immobili e prive di appiglio proprio come lui.
…e quel bambino sfacciatamente biondo che, passando sul fare
del tramonto, con le mani affondate nelle tasche passeggiava svogliatamente,
come se nessuna fretta lo spingesse a tornare dai propri cari.
Un semplice marmocchio dalla smorfia insolente, ma dallo
sguardo fin troppo simile al suo, che altrettanto semplicemente quel giorno lo
aveva guardato e gli aveva sorriso.
Non vi era compassione, né pena in quegli occhi cristallini,
solo pura ed immediata comprensione.
Un effimero attimo di perfetta connessione, che però avrebbe
segnato le loro intere vite.
La speranza, ecco probabilmente cosa lo aveva spinto ad uscire
dopo tanto tempo, a prendere un po’ d’aria gli suggeriva la mente, a
sgranchirmi le gambe pensava.
In realtà, dopo innumerevoli giri complessi ed articolati,
studiati appositamente per evitare le zone principali e più trafficate del
villaggio, era giunto proprio la, davanti a quel piccolo molo che, non si sa in
virtù di quale assurda legge fisica aveva resistito completamente inutilizzato
a tutti quegl’anni e persino all’attacco di Pain, come del resto gran parte del
suo vecchio quartiere.
Quando si dice ironia della sorte.
Riscossosi da quell’improvviso stato di trance che fin li
l’aveva condotto, era stato tentato più volte di allontanarsi o, in un
repentino moto di rabbia, di bruciare tutto con un katoon – così avrebbe visto
suo padre chi dei due fratelli era più bravo- ma in ultima analisi desistette
dal malsano intento e, raggiunta la precaria piattaforma di legno ormai marcio,
si sedette senza pensare ulteriormente.
Osservava il panorama, assaporava odori antichi a lui
familiari, il lieve sciabordio dell’acqua, la brezza del tramonto che soffia
leggera fra le canne, il tepore del sole ormai rosseggiante pareva scaldare
anche la sua anima stropicciata.
Inspirava a grandi boccate la quiete silenziosa, una pace che
avrebbe voluto dentro.
Poi un suono, improvvisamente, interruppe la queste e quella
provvidenziale assenza di pensiero.
Tutto riacquistò i suoi duri contorni, la realtà lo
schiaffeggiò per un attimo riaprendo gli occhi.
Un sasso, lanciato da non molto lontano, stava planando
nell’acqua in piccoli salti sempre più lontani … sino ad affondare.
Spaventato all’idea che qualcuno del villaggio lo avesse notato
e seguito per risolvere faccende in sospeso, si voltò repentino per poi
rimanere come congelato alla vista dei suoi ricordi.
Quel biondo sfacciato, quegli
stessi occhi cristallini in quel preciso istante lo stavano fissando, ma questa volta con timore, quasi a voler
chiedere il permesso.
Permesso che non venne mai esplicitamente accordato ma che,
nel silenzio di puro stupore che seguì la realizzazione di Sasuke, venne
interpretato come un tacito invito ad
avvicinarsi. Un silenzio che continuò per diversi minuti anche dopo che Naruto
si fu seduto accanto all’Uchiha. Stranamente non vi era imbarazzo tra loro,
solo muta consapevolezza.
Aveva immaginato tante volte di poterlo avere vicino
nuovamente, ora che non lo avrebbe più rifiutato, ma aveva altresì ormai da
tempo abbandonato le speranze riguardo ad un suo avverarsi.
Evidentemente si sbagliava.
La testa di quell’usuratonkachi era persino più dura di quanto
avesse sempre pensato.
-Fortunatamente- si ritrovò a pensare.
Con la coda dell’occhio prese a sbirciarlo curioso. Di
nascosto.
Pareva quasi su un altro pianeta, tranquillo fissava
l’orizzonte infuocato, il busto inclinato indietro sorretto dalle forti
braccia, le gambe oscillavano quasi a pelo d’acqua con noncuranza.
L’espressione svagata di chi ha avuto una bella notizia e ne sta ancora
assaporando il gusto dolce e a lungo desiderato.
Non capiva.
L’uno accanto all’altro, fissavano l’orizzonte, le gambe
libere di muoversi, le mani, con palmi appoggiati per sostenere il peso del
corpo, sorprendentemente vicine.
Persino in estate, al giunger del tramonto una leggera brezza
rinfrescava l’aria, provocando lievi ondate di brividi lungo le braccia nude.
Ciò nonostante Sasuke poteva avvertire chiaramente il tenue calore che
irradiava dalla vicinanza con il corpo di Naruto.
Come una sorta di aura guaritrice che l’ex compagno di team
possedeva naturalmente. Gli scaldava il cuore e non domandava indietro nulla.
Solo la punta di un dito, il mignolo, connetteva concretamente queste due anime
troppo a lungo tenute separate.
Tuttavia Sasuke non si scostò da tale timido e piacevole
contatto, sgranò gli occhi per una frazione di secondo e poi, come se nulla
fosse accaduto, tornò a fissare quieto l’orizzonte, le due piccole dita
intrecciate più saldamente.
Le cicale frinivano senza sosta fra i giunchi e l’erba alta.
Incredibile quanto un semplice tramonto sapesse rivelare parlando direttamente
al cuore, bastava saperne ascoltare il flebile canto, porgere l’orecchio in
silenzio e lasciarsi trasportare.
Infine, giunta la notte a riflettere sul piccolo lago la sua
preziosa trapunta di stelle, Naruto si era alzato e, guardandolo negli occhi
per un lungo istante, liquido cielo in caduta libera nelle profondità del
petrolio, si era voltato allontanandosi nell’oscurità con passo disinvolto, le
mani affondate nelle tasche.
Sasuke voltò il capo, seguendo con lo sguardo la schiena del
chuunin svanire lentamente nella notte scarsamente illuminata finché non lo
vide sparire del tutto lungo la strada di casa.
Che si fosse ricordato … no, non poteva aspirare a tanto.
Il giorno del suo compleanno, a malapena se ne era ricordato
lui.
Solo allora si decise a muoversi da quella posizione ormai
scomoda e lo vide.
Un copri fronte, logoro, graffiato, i due lunghi lembi di
stoffa nera consumati dagli anni e dai combattimenti. Sapeva che il suo vecchio
copri fronte era rimasto in mano a Naruto, tanto ora non poteva portarlo, ma
non era di certo quello.
Il suo lo ricordava bene, la stoffa era blu, come la maglia
della sua vecchia divisa.
Nero era quello di…
Lo afferrò di slancio, colpito improvvisamente da una chiara
consapevolezza.
Ora era suo.
Non sembra cambiato molto da allora, lo specchio fa forse un
po’ meno paura, e una nuova espressione, per la verità già conosciuta ma troppo
a lungo dimenticata, mostra i suoi tratti ancora un po’ incerti sul quel volto
pallido e delicato.
La fronte è distesa, gli occhi un po’ più luminosi e le labbra
sottili, lievemente distese, s’incurvano da un lato in un curioso sorriso
sbieco.
I capelli sono sempre troppo lunghi, Itachi non vuole
dimenticarlo.
La barba solo di rado viene eliminata a dovere, al diavolo la
perfezione del tempio dello shinobi, difficilmente suo padre lo riprenderebbe.
Le occhiaie forse non se ne andranno mai, segno di un passato
che, almeno la notte, ancora torna a riscuotere il suo tributo di dolore.
Si trascura l’Uchiha, da diverso tempo ormai.
Eppure non se ne cura, perché nonostante gli anni, nonostante
gli eventi, nonostante tutto, c’è qualcuno che ancora rimane al suo fianco e lo
ritiene perfetto così com’è.
Pungente, silenzioso ma autentico,vero … e soprattutto un po’
più in pace con se stesso.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Ebbene sì, shot nata in una notte (quella appena passata),
scritta per la sfida indetta da slice nel MB cafè (ormai questo
è ù.ù).
Banale, se vogliamo, nulla di nuovo all'orizzonte.
Sempre la solita coppia, sempre la solita utopica illusione di un
ritorno, forse un nuovo modo di intendere la relazione fra i due.
Perchè fare del romanticismo un una AU è più
semplice che qui, dove Sasuke è un ex nukenin e Naruto è
... l'eroe del villaggio e ormai futuro Hokage designato.
Sasuke a Konoha è dannatamente difficile da "muovere", la
minaccia dell'OOC è sempre dietro l'angolo. Spero di non esserci
caduta. Voi che ne pensate?
|