My
Invitation
Me
ne sto seduta qui...
in
una sala d'attesa di uno dei tanti ospedali di Londra e attendo...
in
effetti non so cosa io stia realmente aspettando; non so nemmeno cosa
è successo.
L'unica
cosa che riesco a pensare ora è che un attimo prima la mia
vita
sembrava essere diventata finalmente perfetta ed ora... ora si sta
sgretolando intorno a me senza che io possa fare niente per
impedirlo; senza che io abbia anche solo la capacità di
muovere un
muscolo o di distogliere il mio sguardo dal pavimento.
Se
ripenso alla vita che è stata mia fino a poco tempo fa, non
riesco a
capacitarmi di come si sia trasformata da desolata e confusa a
meravigliosa in così poco tempo.
Non
voglio nemmeno pensare alla persona che ero tanto fiera di essere
prima di incontrarlo, con quella sua aria così
insopportabilmente
arrogante e altezzosa.
Così
bello...
Diverso
da chiunque altro io abbia mai visto in tutta la mia vita;
diametralmente opposto a me, eppure così uguale.
Freddo
e cinico con chiunque, bastardo a volte... eppure così dolce
e
premuroso...
Ricordo
di averlo odiato fin da primo momento; lui che, fregandosene delle
regole, era tutto quello che più inconsciamente desideravo
essere:
libero...
L'ho
affrontato come un nemico sin da quando mi ha trattata alla stregua
di una serva, l'ho amato non appena ha fissato i suoi occhi nei
miei...
Quando
con una battuta maliziosa mi sfidò ad uscire con lui,
accettai
coraggiosa, gongolando sicura di me.
Che
sciocca!
Pensavo
di deriderlo per tutta la serata e forse passarci la notte insieme
prima di confessargli che non avevo intenzione di perdere tempo con
lui; l'avrei ferito nella cosa che aveva più cara:
l'orgoglio;
l'avrei usato, l'avrei umiliato...
Ero
salita nella sua macchina con l'intenzione di rovinare tutti i suoi
piani su quell'uscita, decisa a lanciargli frecciate velenose ad ogni
parola, rassegnata all'apatia che caratterizzavano le mie uscite con
uomini del genere, interessati solo ad aumentare il loro ego parlando
delle proprie ricchezze e rivelando di essere, alla fine, solo
patetici; ma quando, seduti al tavolo più elegante della
città, il
sommelier si avvicinò per la scelta del vino, lui si rivolse
a me
con gentilezza chiedendomi un parere, spiegandomi addirittura le
caratteristiche delle varie bevande quando gli dissi che non ne
capivo molto.
Io,
così bisognosa di dimostrare sempre la mia indipendenza a
chiunque,
ero abituata a non far intercedere nessuno per me e a non lasciare
mai che qualcuno prendesse decisioni al mio posto, anche per le cose
più banali e vedendo che lui non si azzardò mai a
scegliere per me,
rimasi piacevolmente colpita.
Iniziai
a studiarlo con maggior attenzione, andando oltre le apparenze che
urlavano sfacciatamente la sua arroganza.
La
serata proseguì tranquilla con quella persona colta ed
intelligente
quale si rivelò, ed io riuscii perfino a divertirmi.
Mi
affascinò tutto di lui: la sua eleganza, la padronanza di
linguaggio, l'ironia nei suoi occhi, la sicurezza che a me tanto
mancava, l'intensità del suo sguardo che sembrava volesse
perforarmi
l'anima...
Nessuno
mi aveva mai fatto sentire in quel modo e il fastidioso svolazzare di
farfalle nello stomaco, mi rendeva ansiosa e a disagio come
un'adolescente inesperta, irritandomi.
Il
tragitto in macchina, che mi ero aspettata imbarazzante e silenzioso,
si rivelò piacevole e naturale; da parte sua non ci fu
nessun
tentativo imbarazzato o affrettato di farsi avanti, nonostante
fossimo già arrivati sotto il portone di casa mia.
Mi
porse la mano, formale, ma non appena avvertì il calore di
quelle
dita su di me, un brivido mi scosse violento costringendomi a
socchiudere gli occhi.
Quando
lo guardai, capii che quella scossa l'aveva sentita anche lui...
Non
ricordo come sia accaduto, ma mi ritrovai schiacciata al muro di casa
con le sue labbra premute sulle mie mentre gli strappavo via i
vestiti con più foga di quel che mi sarei mai immaginata;
con più
desiderio di quanto avessi mai provato in tutta la mia vita,
abbandonandomi semplicemente all'oblio in cui mi spingeva il suo
corpo, esigente...
Quando
i nostri sguardi si incrociarono di nuovo, sconvolti
dall'intensità
appena condivisa, capimmo che non era bastato a nessuno dei due.
Infilai
nella serratura le chiavi che gli avevo impresso sulla pelle delicata
come un marchio nella bramosia del momento e, senza staccare gli
occhi dai suoi, lo trascinai dentro con me.
Quando
la porta alle sue spalle si chiuse, avvertì di nuovo il
calore della
sua bocca sulla mia, incapace di avvertire altro...
Non
cercai il suo abbraccio nel sonno, né di avvicinarmi in un
qualche
modo a lui, ma all'improvviso durante la notte buia sentii il suo
petto caldo dietro la schiena.
Così
confortante per me che da sempre mi ero data conforto da sola...
Quando
la mattina dopo aprii gli occhi, lui era ancora lì...
Le
settimane trascorsero veloci senza che sentissimo il bisogno di
cercare o vedere l'altro; per me quella era stata una delle
esperienze più intense di tutta la mia vita. Era stato tutto
così
perfetto da non volerlo rovinare con i dubbi del dopo o con la furia
distruttrice della realtà.
Così
confinai quelle sensazioni nei meandri più profondi della
mia mente,
e lì rimasero indisturbati fino a quando non rividi i miei
occhi
riflessi nei suoi e sentì quel bisogno bruciare in me,
implacabile a
tal punto da agognare il suo corpo nella sua macchina di lusso in uno
squallido parcheggio.
Non
ci sono state parole inutili, nessuna eclatante dichiarazione da
parte del principe azzurro come da piccola avevo sempre sognato,
nessun chiarimento imbarazzante per quello che era successo;
semplicemente iniziammo a recarci negli stessi posti sapendo che
l'altro sarebbe stato lì ad aspettarci, come due amanti
clandestini
che dovevano nascondersi dalla propria paura di amare e di lasciarsi
amare.
Non
abbiamo mai parlato molto, non serviva se potevamo guardarci negli
occhi; ci bastava solo quello...
Chiudendomi
alle spalle il pesante portone in ferro, una delle tante sere che
stavo per raggiungerlo, rimasi stupita di trovarlo lì,
accanto alla
sua auto ad aspettarmi; una sigaretta tra le labbra a mostrare
un'audacia che non aveva...
sorrisi
impercettibilmente, lui non fumava mai...
Quella
notte, ansante dopo l'amplesso, incrociai quei suoi meravigliosi
occhi grigio-cielo e le parole sfuggirono dal mio controllo come mai
mi era capitato...
-Non
ingannarmi...- avevo supplicato con un tono rigido ed autoritario per
nascondere la mia debolezza.
Quando
mi baciò con un bisogno disperato, avvertì nella
sua stretta un
nuovo calore...
Stringo
le mani con forza...
immobile
su questa sedia scomoda a cercare qualche indizio che mi faccia
capire come sia potuta arrivare a questo.
Sono
stata io quella cieca, o non c'è stato alcun segnale?
Tormento
la mia mente con i ricordi che abbiamo condiviso, ma non riesco a
trovare niente, niente che mi spieghi il perchè sia svenuto
sul
tavolo di quel ristorante poche ore fa, davanti ai miei occhi
impietriti.
Avevo
sentito qualcuno urlare e poi il rumore del bicchiere di vino che
reggevo fino a poco fa, in frantumi sul pavimento.
-Hermione!-
mi sento chiamare da una voce familiare; la mia migliore amica Ginny
è venuta qui.
Come
avrà fatto a scoprire dov'ero?
Vorrei
chiederglielo, ma non trovo il fiato per parlare e rimango immobile a
fissarla mentre sbarra gli occhi sconvolta per il vuoto che ha visto
nei miei occhi.
Cosa
ne è stato di me?
Dove
sono finita?
La
porta al mio fianco si apre, ma non mi muovo.
Avverto
una presenza avvicinasi a me, ma rimanere immobile, come in attesa di
una mia reazione e, quando questa non arriva, la sento sedersi
accanto a me su quelle sedie scomode.
-Signorina
Granger?- mi chiede in un sussurro
sposto
appena gli occhi nella sua direzione, incapace di fare altro, ma
basta a farlo continuare.
La
sua voce è incolore e monotona, probabilmente annoiata
mentre dice
parole per me incomprensibili
tac...
tumore...
cervello...
Ginny
che trattiene il respiro
operazione...
rischioso...
sguardi
ansiosi su di me...
-Signorina
Granger?- mi chiama di nuovo l'uomo
mi
giro inanimata verso di lui, la sua figura mi appare frammentata per
qualche istante, poi ogni pezzo del suo viso torna al suo posto e
vedo i suoi occhi scuri scrutarmi come una folle che sta per compiere
qualche gesto sconsiderato.
Ma
non ne ho la forza...
-Non
potremmo riferirle queste informazioni dato che non è una
parente,-
continua lui -ma il signor Malfoy ha insistito perchè lei
fosse
messa al corrente di ogni cosa. E' stabile adesso se vuole vederlo.-
aggiunge sorridendo leggermente.
Aspetta
inutilmente la mia reazione che non arriverà, prima di
scambiarsi
un'occhiata con la mia amica e poi congedarsi.
Ginny
si siede accanto a me e mi prende una mano; il contatto mi
infastidisce, ma non mi scanso.
Sento
il suo sguardo su di me, così simile a quello del medico
tuttavia
scettico.
-Mi
dispiace.- borbotta sconsolata come se fosse qualcosa semplicemente
spiacevole, senza rendersi conto che sento il mio mondo finalmente
perfetto crollarmi addosso.
Le
palpebre iniziano a tremarmi mentre sento un fastidioso pizzicore
agli occhi; da quanto tempo è che non piango?
-E'
così giovane!- continua lei -avevate anche appena iniziato
ad
uscire...-
Non
voglio più sentirla, voglio solo stare sola, penso mentre il
respiro
inizia a farsi pesante.
-Ti
porto qualcosa?- la sento dire poi e, con un enorme sforzo, annuisco.
Quando
finalmente la mia mano è libera dalla sua stretta e sento il
silenzio intorno a me, poggio la testa al muro alle mie spalle,
scomoda nel mio abito che avevo indossato per piacergli, e mi lascio
investire da tutto quello che è successo.
Chiudo
gli occhi cercando di calmare la disperazione che ho sentito
crescere da quando ho visto il suo viso inanimato sul tavolo e che
ora mi sta lacerando il petto.
Non
voglio piangere, non so più come si fa...
Sento
una mano fredda sfiorarmi il mento e quando alzo il mio sguardo mi
ritrovo riflessa nel suo, come la sera che l'ho rivisto e ho capito
che non era servito a niente evitare di pensarlo.
Lui
ormai era parte di me, era me...
-Hermione...-
sussurra ed io sento tutte le mie difese crollare mentre calde
lacrime mi rigano le guance.
-va
tutto bene.- dice poi con un piccolo sorriso ed io vorrei credergli,
lo
vorrei più di qualsiasi altra cosa, ma non riesco a fare
altro che
fissarlo... ancora...
Non
so per quanto tempo io sia stata ferma nella stessa posizione,
né
come lui sia rimasto al mio fianco stringendomi forte la mano e senza
staccare gli occhi dai miei; so solo che avrei voluto durasse in
eterno...
Spazio
Autrice:
E va bene
oggi mi sto dando alla
pazza gioia con queste fanfiction.
Questo
è il terzo capitolo che
aggiorno nell'arco di neanche un'ora.
Questa
storia, iniziata
parecchio tempo fa, presenta questo capitolo finito e forse altri due
ancora incompleti, ma mi andava di sapere voi lettori cosa ne
pensate.
Non badate
al titolo, preso
dalla canzone depressiva che mi ha dato l'ispirazione (che è
quella
del ballo di Pacey e Joy in Dawson's Creek – telefilm della
mia
infanzia).
Spero di
riuscire ad aggiornare
presto, voi intanto godetevi questa prima parte.
Buon anno
nuovo e a presto!
Anna
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