Imaginary friend, deadly enemy di Beatriz Aldaya (/viewuser.php?uid=98143)
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Imaginary friend, deadly enemy
«No, no! Non si fa così! Dai, Jane...»
il bambino si mise a ridere di cuore.
Ad un tratto esclamò: «Shh! Zitta!»
Tese le orecchie, bloccandosi a mezz'aria, con una matita colorata in
mano. Era steso prono sul pavimento di legno della propria camera,
fianco a fianco con una ragazzina di qualche anno più grande
di lui, dai capelli biondo grano e due occhi grandi e strani.
“Impossibili da leggere e unici al mondo”, pensava
il bambino quando la osservava, “sarebbe grandissimo avere
degli occhi belli come i suoi. Ai miei amici piacerebbero un sacco.
Rossi rubino, come quelli dei cartoni animati...”
I due rimasero in silenzio, guardandosi. Qualcuno saliva le scalette
che portavano al piano superiore con passi pesanti.
«Presto, nascondiamoci!!» bisbigliò
eccitato il bambino, rotolando sulla pancia e finendo sotto il letto.
La sua amica lo seguì a ruota. Si stava strettini,
là sotto, ma i due erano in missione segreta, e un bravo
agente non si lamenta mai. Anche in caso di freddo, caldo, fame e
perdita di orsacchiotti della buonanotte. Così aveva detto
la mamma.
Il nemico entrò in camera. I due dalla loro posizione sotto
il letto potevano vederne solamente le scarpe da ginnastica
sbrindellate e fradice. Evidentemente il nemico aveva camminato in una
palude e aveva...
«Seth? Che fine hai fatto?» ululò il
nemico. Accidenti! La voce era da femmina! Bisognava cambiare il piano
di attacco, tutti sanno che non si possono trattare male le donne.
Anche questo lo diceva sempre la mamma, ma Seth decise che quando si
è in guerra non si possono fare preferenze per nessuno.
Guardò Jane negli occhi: alzò la manina
paffutella facendole il segno convenzionato.
Ma i due vennero bloccati da un altro urlo.
«Seth, vieni qui, hai lasciato il tuo astuccio sul mio letto!
Se non arrivi entro cinque secondi te lo butto a terra! E non provare a
farmi uno dei tuoi scherzi idioti!»
Sentendosi scoperto, il bambino dovette fermare tutta la delicata
operazione, mentre il nemico si lasciava cadere su una sedia emettendo
un sospirone. Poi si tolse le scarpe e le buttò sotto il
letto dove i due amici erano nascosti. A entrambi scappò un
gridolino di sorpresa, soffocato immediatamente, ma ormai il danno era
fatto: la copertura era saltata e dovevano battere la ritirata!
«Ah, ma allora sei là sotto! Esci subito, che ti
stropicci i vestiti e poi la mamma si arrabbia!» disse il
nemico con tono imperioso.
Seth e Jane furono costretti ad abbandonare il rifugio e strisciarono
fuori.
«Ma guarda, sembri un topolino!» lo prese in giro
la ragazza «e ora sistema il mio letto!»
«Tiranna!» la apostrofò il bambino,
facendole una linguaccia e sistemandosi preoccupato i vestiti.
Guardandosi, sussurrò: «Leah, secondo te la mamma
si arrabbia sul serio perchè mi sono sporcato?»
«Se sistemi il letto non ti succederà
niente» pronosticò la sorella, lasciandosi cadere
esausta sulla sedia della traballante scrivania, mentre osservava
compiaciuta il fratellino che si affannava a riordinare tutto.
«Aiutami dai, tira un po' le coperte di
là...»
«Parli con me?» disse Leah, facendo la sostenuta.
«Ma certo che no.» rispose Seth, come se fosse la
cosa più ovvia del mondo, poi si scambiò un
occhiolino con Jane. «Parlo con lei» disse
indicando la ragazza.
Leah lo guardò storto, dopo aver osservato il punto indicato
dalla sua manina paffuta.
«Ah, certo, come ho fatto a non pensarci... la testiera del
letto! Ma sai che a volte sei bello strano?» ed
uscì dalla cameretta strisciando i piedi.
Dopo un'attimo, Seth aveva finito il suo lavoro.
«Grazie per avermi aiutato, Jane! Che facciamo adesso?
Potremmo andare fuori nel bosco a cercare delle noci, che ne
dici?»
Jane fece di no con la testa.
«Vuoi continuare a disegnare?»
Ancora no.
«Cosa facciamo allora?»
La ragazza indicò lo zaino ancora intatto del bambino.
«Compiti?» chiese incredulo quello. Jane fece un
segno d'assenso.
«Ma adesso non ho voglia! Voglio andare nel bosco! Che amica
sei, che mi dici che devo fare i compiti?»
Jane lo guardò mogia mogia e cominciò a
dondolarsi sui talloni. Seth si vide in zona allarme-lacrime, quindi
andò subito ai ripari, e corse di volata ad abbracciare
l'amica del cuore.
«D'accordo, d'accordo, faccio i compiti, ma dopo andiamo nel
bosco!»
Jane gli sorrise contenta.
° ° ° ° ° ° °
° °
«Credo che Seth sia strano forte» disse Leah
entrando in cucina. Sua madre stava tagliando delle verdure per la
cena. Si fermò, pulendosi le mani sul grembiule a fiori. Una
ciocca le scivolò da dietro l'orecchio e guardò
male sua figlia.
«Non devi dire queste cattiverie. Vuoi la merenda?»
e si diresse verso il frigo.
Leah era abbastanza contrariata: voleva mettere in giro la notizia che
suo fratello parlava da solo!
«Mamma, ma parla con le testiere dei letti! E fa gli
occhiolini a persone immaginarie!»
«Ah...» la mamma, che stava tirando fuori uno
yogurt dal frigo, parve abbastanza colpita dalle parole. Bingo!
«Forse giocava. È un bambino con una fervida
fantasia!»
«Faceva un gioco molto stupido.»
«Ha cinque anni meno di te.»
«È stupido lo stesso.»
«Non dire parolacce a tuo fratello.»
Seth entrò in quel momento in cucina, trascinando il padre
appena rientrato in casa per la manica.
«Prima mi ha detto che era un'idiota» intervenne
candidamente.
«Leah...» la ammonì la madre brandendo
la carota che aveva cominciato a tagliare.
«Non è niente vero!» disse la ragazza,
facendogli una linguaccia. Poi sillabò muta la parola
“spia” al fratello. Quello le rispose per le rime,
sempre mimando: “così impari”.
Seth scostò una sedia per Jane, che fino a quel momento se
ne era stata in disparte, e le fece un sorriso per invitarla a sedersi.
Lei rispose con una strizzatina d'occhi e si accomodò. Il
bambino trascinò una sedia lì vicino e si sedette
al suo fianco.
«Mamma, ci fai la merenda?»
Sue Clearwater annunciò che ci sarebbe stato solo yogurt
anche per lui. Seth storse il naso e accettando, disse:
«Due, grazie».
Proprio in quel momento, Harry scostò la sedia dove era
seduta Jane, che traballò e si resse al tavolo per non
cadere. Il papà si voleva sedere sulla sedia già
occupata dalla sua nuova amica! Forse non aveva visto Jane... era
così minuta...
«Papà! Attento!»
«Che cosa succede?» chiese il padre allarmato.
«Non puoi sederti lì! C'è
già Jane.»
Il tempo si fermò.
Harry Clearwater guardò stralunato prima la sedia, poi il
figlio.
Sue smise di tagliare le verdure e si girò verso il tavolo.
Seth guardava con gli occhi spalancati prima i genitori, poi un punto
vicino al padre.
Leah guardò la madre e ruppe il momento di magia.
«Te l'avevo detto, che parla con persone
immaginarie!»
Seth la guardò storto: «Ma cosa stai
dicendo?»
«Leah, che ne dici di andare in camera tua? Devo chiedere una
cosa a tuo fratello.» disse il padre esitante.
Leah sbuffò e cominciò a salire le scale. Appena
scomparve dalla loro vista, Harry si sedette su una sedia, lasciando
cautamente libero il posto di Jane. Venne subito raggiunto dalla moglie.
«Seth, chi è Jane?»
Seth pensò che i suoi genitori non capivano proprio niente
di niente.
«È lei.» disse semplicemente indicando
Jane, che si stava un poco riprendendo dallo spavento di prima.
«Ah... è una tua amica?»
«Oh si, ed è simpaticissima!»
«È un'amica... immaginaria?»
«No!» Seth li guardò, strabuzzando gli
occhi. Sembrava veramente confuso.
«Oh, non è niente, tesoro, vai pure a
giocare.» disse dolce Sue.
Harry e la moglie guardarono il figlio alzarsi e dirigersi verso le
scale. Arrivato vicino la porta della cucina alzò una mano e
strinse il pugnetto in aria, come se stesse dando la mano a qualcuno.
«C'è da preoccuparsi, Sue?»
«No. È un bambino, per lui è un gioco.
Smetterà presto.»
° ° ° ° ° ° °
° °
Seth salì le scale, con Jane che gli stringeva forte la mano.
Entrato in camera, trovò sua sorella Leah seduta alla
scrivania.
«Stavo facendo i compiti.» la informò,
sperando che questo potesse convincerla a lasciargli il posto.
Leah lo guardò sorridendo. Giocava con una ciocca dei lunghi
capelli corvini ed era accoccolata su una sedia quasi sfondata durante
un'epica battaglia a cuscinate. Quella volta, Leah lo stava battendo
vergognosamente: Seth era allora saltato con troppa foga sulla sedia
per colpirla dall'alto, ma la sedia aveva ceduto. Il bambino era dovuto
stare un mese con un piede ingessato.
«Hai un'amica immaginaria?»
Le parole della sorella non volevano essere cattive, erano piuttoste
curiose, ma il bambino si sentì per un attimo solo al mondo.
«Lei è vera!» urlò contro la
sorella. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Il senso di sconforto gli
invase il cuore, e bisbigliò di nuovo, quasi a rimarcarlo:
«Lei è vera...»
Leah gli si avvicinò allarmata.
«D'accordo, non ti agitare» gli disse, e cercando
di calmarlo gli appoggiò una mano sulla spalla.
Nello stesso istante in cui la mano calda della sorella si
posò sulla sua pelle, Seth sentì le dita di Jane
scivolare fra le sue e dissolversi, quasi fossero aria. Il braccio gli
ricadde penzoloni al fianco. Il bambino guardò in alto verso
la sua amica, che era ancora lì. Cercò i suoi
occhi, il suo sorriso che conosceva tanto bene: lei lo guardava, ma i
suoi occhi rubino erano attraversati da un'ombra più scura
del solito. E i suoi denti, i suoi denti erano sempre stati
così bianchi, affilati? Seth rabbrividì.
° ° ° ° ° ° °
° °
Era notte. Leah dormiva rannicchiata sotto le coperte, i capelli
formavano strani disegni sul cuscino.
Seth non riusciva a dormire. Jane come al solito era lì
vicino a lui, ma la presenza della ragazza non aveva il potere di
calmarlo come sempre, produceva anzi l'effetto contrario: il bambino si
sentiva vagamente in pericolo... Strizzò forte gli occhi per
non dover fissare quelli di fuoco dell'amica. Il pensiero dei suoi
denti mortali lo tormentava, proprio come le parole pronunciate dai
genitori e dalla sorella quel pomeriggio, che continuavano a ronzargli
in testa. Che Jane fosse solo nella sua testa? Chiunque fosse, Seth non
sapeva più se la voleva come amica.
Il bambino decise che forse avrebbe potuto dare un sbirciatina.
Sì, magari avevano ragione gli altri, Jane era solo frutto
della sua fantasia. Avrebbe aperto gli occhi e lei non ci sarebbe stata
più.
Ma quando, timoroso, schiuse appena le palpebre, lei se ne stava sempre
lì, i capelli biondi che si muovevano leggermente.
Alzò una mano pallida che quasi riluceva, scintillando alla
luce della luna che entrava dalla finestra, e la posò sulla
guancia di Seth.
Prima il bambino avvertì un gran freddo.
E poi arrivò la fitta lancinante alla testa.
Seth urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Leah balzò sul letto, i capelli aggrovigliati davanti a
viso. Si precipitò sul fratello, che teneva gli occhi
sbarrati e fissi nel buio.
«Seth? Che succede?»
Nello stesso istante, Sue e Harry entrarono di corsa nella stanza. Il
padre teneva una mazza da baseball in mano.
«Seth, Leah, che succede?»
La ragazzina si stava quasi per mettere a piangere, chinata sul
fratello.
«I-io non lo so, stavo so-solo dormendo e, e... Seth ha
cominciato a...»
«Spostati!» le disse il padre, che aveva lasciato
cadere la mazza per terra. Prese il figlio in braccio e seguito a ruota
dal resto della famiglia, caricò il bambino in macchina per
portarlo a casa di Billy Black. Lui avrebbe saputo cosa fare.
Seth urlava, urlava e urlava. Stava per sentirsi male. Il dolore
lancinante alla testa era finito pochi secondi dopo essere cominciao,
ma Jane era rimasta a pochi centimetri dalla sua faccia per tutto il
tempo, ghignando e lanciandogli occhiate di fuoco.
Mentre suo padre lo prendeva in braccio, la ragazza gli aveva
sussurrato all'orecchio: Io esisto.
Era la prima volta che Jane gli parlava. Aveva una voce acuta e
malvagia. Terribilmente dolce.
° ° ° ° ° ° °
° °
Il giorno dopo, Seth ebbe il permesso di restare a casa da scuola. La
mamma gli preparò uno dei suoi piatti preferiti e gli stette
tutto il giorno vicino.
Nessuno era riuscito a capire perchè il bambino si fosse
messo a urlare in quel modo così straziante nel bel mezzo
della notte, e lui si era guardato bene dall'accennare a Jane. Era
sicuro che l'avrebbero preso per pazzo.
La ragazza era rimasta tutto il giorno in un angolino guardarlo, ma
nessuno sembrava vederla. Seth si era ormai convinto che lei esistesse
solo nella sua mente. Un'amica immaginaria... O meglio, il suo incubo
personale.
Quando arrivò sera e fu il momento di andare a dormire, Seth
fu irremovibile: non avrebbe messo piede nella sua camera, e
così i genitori dovettero accoglierlo nel loro letto. Jane
si accovacciò in un angolino di quella stessa stanza, e Seth
dormì tutta la notte aggrappato diperatamente al padre,
sognando le leggende della tribù Quileute che suo padre gli
raccontava sempre quando era più piccolo.
Sognò Freddi dai lunghi denti e dalla pelle diafana, con gli
occhi vermigli e malvagi. E Jane era fra di loro, parlava con la sua
voce affilata e dolce come il miele, lo chiamava a se... Quando Seth si
rifiutava, lei si avvicinava. Appena la sua pallida mano sfiorava la
guancia del bambino, il dolore gli percorreva nuovamente il corpo,
tanto forte e reale da svegliarlo.
E Jane era sempre lì, a scrutarlo dal proprio angolino,
mentre Seth rabbrividiva e silenziose lacrime cominciavano a scendergli
dagli occhi.
° ° ° ° ° ° °
° °
Dopo alcuni giorni, durante i quali Sue e Harry avevano controllato
costantemente Seth e si erano convinti che non sarebbe successo nulla
di strano, i genitori decisero di far tornare il bambino a scuola.
Seth quella mattina entrò in classe circondato da tutti i
suoi amici che festosi volevano sapere perchè era rimasto a
casa. Quando seppero che non era stato molto bene, lo informarono su
tutte le novità che si era perso, come per esempio che la
signora maestra si era arrabbiata così tanto con loro che
era diventata rossa come un pomodoro e per sbaglio aveva pestato i
propri occhiali nella foga di andare a raccoglierli; che Jake aveva
dato un bacio a Cassie e che Barbara aveva vomitato nel cestino.
Un po' delusi dal fatto che l'amico prestava loro poche attenzioni, i
bambini si diradarono presto per andare a colorare la lavagna, mentre
Seth si sedette fissando un punto vicino alla finestra con sguardo
impaurito.
Infatti, seduta fra le due grandi cartine geografiche, comodamente
accoccolata su un banco, c'era Jane. Dalla notte in cui aveva toccato
Seth sulla guancia, non si era più avvicinata troppo e
osservava il bambino da qualche metro di distanza con i suoi occhi
malvagi. Quando Seth la guardava cercando di non farsi notare, lei
sibilava: esisto.
Proprio in quel momento , la maestra entrò in classe e
salutò tutti urlando allegramente: «oggi
interrogo!»
Immediatamnte tutti furono ai propri posti e la lezione
cominciò. Seth cercò di concentrarsi sul proprio
quaderno, ma non riusciva a smettere di guardare Jane. I capelli biondi
di lei ondeggiavano leggermente, come se venissero scompigliati dal
vento, ma in classe non tirava un filo d'aria. La temperatura era anzi
quasi soffocante e tutti erano in maglietta e pantaloni corti.
«Seth! Stai attento!»
«Si, mi scusi»
Seth afferrò una penna e cominciò a scrivere a
casaccio sul quadernone per fare contenta la maestra, ma il non poter
guardare Jane per accertarsi che se ne stesse a debita distanza lo
innervosiva troppo. Dopo un minuto, sperando che la maestra non lo
vedesse, alzò di nuovo la testa e diede una sbirciatina in
diezione della ragazza. Ebbe un tuffo al cuore ed emise un verso di
stupore: lei non c'era più. Si girò per
controllare il resto della classe, ma la voce dell'insegnante lo
bloccò:
«Clearwater, fatti riprendere un'altra volta e passi il resto
della lezione fuori dalla porta!»
Arrossendo per la vergogna e con i compagni intorno a lui che
ridacchiavano, Seth affondò il naso nel libro e
cercò disperatamente di capire qualcosa di quello che
spiegava la maestra. All'improvviso, provò una strana
sensazione di gelo e rabbrividendo si girò: vide Jane a
pochi centimetri da lui. Fece un tale balzo sula sedia che la maestra
lo fulminò e gli gridò in malo modo:
«fuori!»
Corse fuori dall'aula e chiuse velocemente la porta senza dire niente,
sperando che Jane rimanesse bloccata dentro. Vedendo che non succedeva
nulla, si sedette appoggiato al muro, stringendo al petto le ginocchia
e respirando profondamente per calmarsi un po'.
“Tu non esisti. Ci sei solo nella mia mente. Non devo aver
paura di te!” si ripeteva fra sè e sè.
Ma appena il cuore tornò al normale battito e il bambino
riaprì gli occhi, si ritrovò Jane davanti.
«Tu dici?» disse quella, e gli posò la
mano sul braccio.
Di nuovo Seth sentì un dolore insopportabile irradiarsi dal
punto a contatto con la mano da Jane a tutto il resto del corpo, e
cominciò a urlare di dolore e paura, steso nel corridoio
della scuola.
° ° ° ° ° ° °
° °
Otto anni dopo
Tutti erano pronti. I licantropi, carichi e attenti come non mai,
nascosti nel boschetto; i Cullen, schierati al centro del campo,
pervasi da un senso di determinazione; infine tutti gli altri vampiri
che avevano risposto alle chiamate d'aiuto. C'era chi non vedeva l'ora
di combattere, chi sembrava chiedersi cosa ci stava a fare in mezzo a
quel campo che di lì a poco sarebbe diventato un inferno,
chi chiacchierava con un amico.
Jacob era l'unico dei nostri ad essere allo scoperto: vicino ai Cullen,
con le manine della piccola Renesmee affondate nella pelliccia,
superava tutti quanti in altezza e la sua mole massiccia non sarebbe di
certo passata inosservata.
Dal canto mio, ero eccitato. Di lì a poco sarebbe scoppiata
una battaglia in grande stile e anche se la situazione era pericolosa e
abbastanza tragica, non riuscivo a trattenermi. Ci sarebbe stato da
divertirsi!
“Manca solo che tu ti metta a scondinzolare e siamo pronti
per la festa.” cercò di ironizzare mia sorella,
nascondendo la sua preoccupazione.
“Dillo, Leah, te la stai facendo addosso!” le disse
puntandole contro il muso in segno di sfida.
Lei mi ringhiò contro: “Se usciamo vivi da questo
campo te la faccio vedere io, Seth!”
Stavo già per ribattere, cominciando uno dei nostri
battibecchi infiniti, quando sentii Edward sibilare con gli occhi
puntati sulla foresta davanti a noi, e l'attenzione di tutti si
concentrò in quella direzione.
“Che si aprano le danze!” conclusi, mentre Leah
tendeva ogni suo muscolo, pronta ad attaccare.
Dopo pochi secondi, l'esercito dei Volturi fece il suo ingresso nel
campo. Con eleganza e fierezza, i vampiri camminavano
sincronizzati come fossero un sol uomo. D'un tratto la formazione si
schiuse rivelando i pezzi grossi al suo interno: tutti avanzavano con
studiata leggerezza e particolare lentezza.
“Uff, sorella, quanti salamelecchi!”
“Sono d'accordo. E anche il branco di Sam sembra pensarla
così...”
Mi guardai intorno: tutti i lupi fremevano dalla voglia di entrare a
far parte della scena, appoggiando il clan dei Cullen.
Tutti insieme, avanzammo silenziosi ed uscimmo allo scoperto, unendoci
ai vampiri. Potemmo vedere lo sconcerto passare per pochi attimi sulla
faccia dei Volturi, che si bloccarono a un centinaio di metri da noi.
“Wow, i grandi vampiri superpotenti hanno paura!!”
“Seth, finiscila di fare lo scemo.”
“Uh, d'accordo... I pezzi grossi però hanno tutta
l'aria di starsi consultando.”
“Ti informo che anche io ho due occhi e vedo benissimo da me
cosa succede. Non serve che tu mi faccia la cronaca.”
Sempre gentile, la mia sorellina. Non avendo null'altro da fare che
aspettare, studiai lo schieramento dei nostri nemici. Al centro,
c'erano i tre matusa. Come aveva detto che si chiamavano Edward? Mentre
ci pensavo su , lasciai scivolare lo sguardo su tutto il resto del
corpo di guardia. Ad un tratto il sangue mi si raggelò. Chi
era quella figurina bionda vicino ai fantastici tre? Aveva un che di
familiare... Aguzzai il più possibile la vista.
Era una ragazza con i capelli lunghi e biondi, lievemente scompigliati
dal vento. Gli occhi rossi e malvagi, le labbra carnose e il colorito
estremamente pallido.
Per poco le zampe non cedettero. Non ci capivo più niente,
la mente annebbiata e persa nei ricordi... era come il
ritorno di un antico incubo ricorrente che si credeva dimenticato.
Jane, l'amica immaginaria di quando ero piccolo. Era identica a quella
vampira.
Il mio incubo personale, che mi aveva fatto quasi diventare pazzo, era
tornato a perseguitarmi.
“Seth? Tutto bene?” mi chiesero Leah e Jacob,
notando il mio improvviso cambiamento di stato d'animo.
“Si, non vi preoccupate, tutto sotto controllo”
mentii io. Fortunatamente quando si pensa non si può
balbettare. Jacob tornò a studiare i Volturi, ma mia sorella
mi lanciò uno sguardo interrogativo.
“Guarda che non mi freghi, sei una palla al piede da quando
ho cinque anni, sarà pur servita a qualcosa questa tortura!
Dimmi cosa succede”
Incapace di mentire, scosso com'ero, confidai a Leah la
verità.
“Vedi quella vampira minuta e bionda alla destra dei
capi?” chiesi, guardando per terra.
“Si, sembra un membro importante del clan...”
confermò lei.
“Ti ricordi che quando avevo sette anni ho avuto qualche...
problema?” esitai.
“L'amica immaginaria che la tua mente bacata aveva partorito
e le punizioni mentali che ti autoinfliggevi perchè ti
sentivi diverso?” domandò Leah, stranamente
apprensiva.
“Non era andata proprio così, era lei che quando
mi toccava di provocava un dolore matto.” obiettai.
“Veramente lo psicologo aveva dato questa spiegazione delle
autopunizioni...” ribatté Leah.
Sbuffai.
“In ogni caso, non è questo il punto. Il mio
incubo personale era spiaccicato identico a quella vampira
bionda.” confessai.
“Oh...” Leah era perplessa. “Sei
sicuro?”
“Mi ha perseguitato per sei mesi, mi ricorderò per
tutta la vita il suo aspetto, puoi contarci.”
“È una cosa proprio strana.
Inquietante...”
“Già.”
Il silenzio cadde fra di noi. Non riuscivo a staccare gli occhi dalla
vampira. Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo, avevo di
nuovo sette anni ed ero terrorizzato da quella figura. E questa volta
era reale.
“Jacob?”
“Dimmi?”
“Riesci a farti dire come si chiama quella vampira minuta,
bionda, alla destra dei capi?”
Jake rispose dopo qualche minuto: “Jane. Si chiama Jane.
È uno dei membri più pericolosi dei Volturi.
Può far credere alla gente di star provando un dolore
lancinante in tutto il corpo.”
“Oh!” disse mia sorella.
Mi sentivo debole. La testa mi girava. Le parole del mio alfa mi
rimbombavano nella testa. Può far credere alla gente di star
provando un dolore lancinante in tutto il corpo. UN DOLORE LANCINANTE
IN TUTTO IL CORPO.
Per un attimo mi sembrò che tutto il mio possente corpo
fosse percorso da una scossa elettrica e mi sentii una
nullità davanti a quella minuscola vampira, Jane, che
nemmeno sapeva della mia esistenza.
“Leah...”
“Sono qui.”
Risucchiato da ricordi e pensieri, non mi ero nemmeno accorto
che mia sorella si era avvicinata e mi sorreggeva con una spalla.
“Seth, stai calmo. Non ti può fare
niente”
Annui facendo ondeggiare su e giù il mio testone color
sabbia. Poi realizzai che mia sorella stava facendo uno sforzo immane
per non essere seppellita dal mio peso e mi rimisi dritto sulle zampe.
La piccola lupa grigia sbuffò.
“Devo dire ad Emily di farti meno muffins da
mangiare” scherzò, cercando di farmi ridere,
mantenendo però il tono di voce teso.
Mugolai leggermente.
Allora lei riprese un tono solenne e guardandomi negli occhi, disse:
“Qualunque cosa succeda, quella vampira non si
avvicinirà a te durante la battaglia. Ci penserà
prima tua sorella.”
Annuii e, sollevato, leccai il naso a Leah.
“Che schifo! Ho la tua saliva fin dentro al cervello
adesso.”
“Tanto era già poltiglia.”
“Per non parlare del tuo.”
“Ti voglio bene, sorella.”
“Ti voglio bene anche io, Seth.”
Leah strisciò il muso sull'erba, ed io rialzai lo sguardo.
Dopo il primo momento di panico, mi ero ripreso. Quella vampira non
poteva più niente contro di me. Non avevo più
sette anni. Non ero più un bambino solo con le sue paure.
Avevo il branco. Avevo mia sorella.
“Non provare mai più a darmi un bacio
lupesco.” mi minacciò in quel momeno lei,
rialzandosi da terra col muso pulito. Poi, ripensandoci su un momento,
aggiunse: “Non provare mai più direttamente a
darmi un bacio!”
Diedi una risata simile ad un latrato continuando a fissare Jane, a
cento metri da me.
Nello stesso istante, lei alzò gli occhi rossi rubino. Erano
ancora più malvagi di come me li ricordassi. Mostrai i denti
e, per un attimo, in quelle due pozze di sangue, vidi passare la paura.
Jane si tirò su il cappuccio e i suoi capelli biondo grano
scomparvero, facendo rimanere l'esile figura di una qualunque
ragazzina. La mia amica tanto odiata. Oggi eravamo alla resa dei conti.
____
Buonasera! Ho scritto questa storia per un concorso, da cui
però ho tolto l'iscrizione a causa della poca organizzazione
D:
Scopo del concorso era scegliere un personaggio della saga e fare in
modo che un'altro fosse l'amico immaginario di quando era piccolo...
Chiaramente la mia scelta è caduta su Seth e Jane :)
Spero vi sia piaciuta... Se vi va lasciate un piccolo commentino? :)
Angolo pubblicità :)
Bevete Pepsi, scrivete con penne pilot, usate carta riciclata e andate
a leggere la mia opera prima, “i vampiri non si
addormenteranno mai”!
A parte gli scherzi, se vi piace come scrivo, mi farebbe piacere :)
Grazie a chi è riuscito ad arrivare alla fine! Ciao^^
|
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