i_hate_pinkDisclaimer:
il personaggio maschile che non viene nominato (ma è
riconoscibilissimo) non mi appartiene, non pretendo di aver riprodotto
il suo reale carattere. Non scrivo a scopo di lucro.
Ivy ha sempre odiato il rosa. Non sa perché, ma è un colore le cui
vibrazioni la urtano in particolar modo. Successe quando una conoscente
le regalò una sciarpa rosa, quando la commessa della profumeria tentò
in tutti modi di venderle un rossetto rosa e sta succedendo ora davanti
a quel tipo con un’assurda cresta rosa che dovrebbe servire in modo
“esclusivo e rigoroso”, come ha indicato il suo boss. E la cosa suona
decisamente strana detta da lui, visto che storce il naso di fronte al
secondo orecchino al lobo destro di lei, o allo smalto viola, o
all’anello con teschio di Terence: come poteva accettare questi tizi
decisamente….particolari? Appariscenti? Bizzarri? Mistero della fede.
Sta di fatto che prima di discutere gli ordini pensa al suo stipendio,
a quanto le servano i soldi di questa sera e si morde la lingua, senza
proferir parola.
Peccato che ci sia Terence, che non ha certo il dono dell’obbedienza e
che è riuscito a mantenere il posto probabilmente solo perché sarebbe
quasi in grado di ballare il Bolero di Ravel con tre piatti per
avambraccio.
<< Da dove sono usciti questi, dal Biafra? >> brontola
appoggiando i piatti vuoti che ha appena raccolto dal tavolo
incriminato.
<< Non saprei – risponde Ivy – forse sono un po’ troppo pallidi per venire dal Biafra... >>
Il cuoco le consegna due secondi che afferra prontamente.
<< …forse la Corte dei Miracoli è più appropriata >>
Terence le lancia uno sguardo in tralice prendendo altri tre piatti.
<< Tu e le tue citazioni letterarie del cavolo >>
Ivy sopprime una risatina sotto i baffi mentre consegna una costata di
manzo e un’insalata di patate. Terence le lancia occhiate truci
dall’altra parte del tavolo che si sforza di ignorare per non scoppiare
a ridere davanti ai clienti che probabilmente penserebbero che lei li
ritiene ridicoli. Cosa non così tanto distante da realtà poi…e infatti:
occhiataccia da manuale dal tipo dell’insalata di patate con la cresta
rosa. Bingo! Ivy, scoraggiata, crede di essersi giocata la lauta mancia
da parte della Corte dei Miracoli itinerante.
Il servizio continua fino al dessert con Ivy sempre più preoccupata per
l’alzataccia che le spetta. Accompagna con Terence il carrello dei
dolci al tavolo, pronta a servirli ai loro ospiti d’onore.
<< Sembra che ti abbia punto al mosca tze tze >>
La ragazza alza gli occhi al cielo.
<< Son è orario di metafore, Ren, specie se sono così brutte. >>
<< Però per il tuo sarcasmo è sempre ora, piccola strega! –
esclama lui tra con una punta di fastidio – comunque cerca di essere
come dire…un po’ più amabile, perché io la mancia la voglio, ok?
>>
<< zi, badrone >>
Sono troppo vicini al tavolo perché Terence la possa mandare a quel
paese con tutta l’espressività e la gestualità di cui potrebbe (e
vorrebbe) disporre; si accontenta di un’occhiata glaciale che dà ad Ivy
lo spunto per sembrare un po’ meno latte cagliato e un po’ più yogurt.
Servono i dolci, preparano i caffè…velocemente si fa l’una di notte e i
personaggi bizzarri se ne vanno, lasciando una mancia lautissima che
loro si dividono.
<< Chissà, magari non sembravo poi così tanto acida… >>
esclama Ivy pensierosa togliendosi la divisa pezzo per pezzo.
<< Ma va’. È che sono abituati a lasciare mance esorbitanti e non
ci fanno neanche più caso – dice il suo collega, saccente – anzi,
magari se ammiccavi un po’ di più invece di 100 sterline a testa ce ne
lasciavano 200! >>
Il dito medio di Ivy, con l’unghia perfettamente smaltata di viola, fa capolino nel campo visivo del ragazzo.
<< Sei una stronza! >> le urla, per poi schioccarle un bacio sulla guancia.
<< è per questo che mi ami >> replica lei, piatta.
<< Come ti pare. A domani, strega! >>
Lui esce, mentre lei piega il grembiule e lo butta di malagrazia
nell’armadietto. Mentre si infila il cappotto e si imbacucca
nell’enorme sciarpa nera, calcola che le rimangono a tutt’ora, cinque
ore di sonno, calcolando il tragitto fino a casa e una doccia, fanno
quattro: la premessa ideale per addormentarsi a lezione. Sbuffa
irritata uscendo. Le luci sono quasi tutte spente, il locale sistemato,
finiti i conteggi della cassa se ne andranno tutti gli altri. Fa un
saluto generale e fa per andarsene quando il boss si avvicina.
<< Grazie per essere venuta stasera, Ivy. Hai fatto un buon lavoro. Domani sera puoi restare a casa. >>
Ivy borbotta un grazie imbarazzato e sorpreso ed esce prima che cambi
idea. Lui è fatto così, bisogna cogliere la palla al balzo.
È strano, ma non sente sonno o stanchezza, anche se ha trottato per
sette ore nella sala del ristorante. Imbocca istintivamente la strada
centrale, evita sempre le scorciatoie buie di notte. In fondo, la
serata non era andata poi così male: avevano fatto un servizio
strepitoso, lei e Terence, nonostante la cresta rosa di quel tizio la
disturbasse non poco, aveva ricevuto una mancia più che soddisfacente e
persino i complimenti del boss. Pensa anche che dopo la lezione di
domani mattina ha pausa fino al pomeriggio e quindi può anche
tornarsene a dormire e magari, con un caffè doppio, può anche farcela a
svegliarsi presto.
D’improvviso devia verso il parco. I suoi passi sono leggeri: è serena.
E Ivy, quando è serena, fischietta, e comincia a farlo, incurante del
fatto che il parco sia buio pesto, a parte qualche lampioncino qua e
là. Tutta questa felicità va coronata con una pausa sigaretta e, visto
che ha decretato che domani mattina ce la può fare, perché non fumarla
in tutta tranquillità sulla sua panchina preferita in riva al laghetto?
Tra questi pensieri aggrovigliati piacevolmente nella sua testa, si
inoltra sul sentiero di ghiaia bianca rischiarato a tratti regolari dai
lampioni canticchiando “Libiam ne’ lieti calici”, celebre valzer della
Traviata di Giuseppe Verdi. Ivy fischiava concitata camminando al tempo
della musica che fischiettava, nel banchetto immaginario che stava
avendo luogo nella sua testa, mentre frugava con una mano nella borsa
per ritrovare l’accendino, la panchina a due passi.
2…
1…
Sorpresa! La panchina non è libera e il suo attuale occupante si è
pigliato un bello spavento. Ivy smette di canticchiare presa dal
panico. Lo sconosciuto sposta la testa per vedere meglio i suoi
lineamenti. Esce un sospiro di sollievo.
<< Accidenti a te! Pensavo fosse un serial killer >> Un voce maschile matura.
<< Se si annunciassero tutti cantando la Traviata avremmo risolto
parte dei problemi del mondo. Ehi – Ivy è presa dall’orrore – ma tu sei
il tizio di prima! >>
<< Tizio a chi? – esclama indispettito - ma tu sei la cameriera
acida del ristorante! Ringrazia che il caffè era buono altrimenti mio
fratello mica mi convinceva a lasciarti la mancia! >>
<< Touchè >> soffia lei, coprendo il resto della distanza
che la separa dalla panchina. Si siede sull’angolo lasciato libero da
lui perché no, non le va di farsi indispettire da questo tipo dopo
tutti quei pensieri felici, vuole solo fumarsi una sigaretta e godersi
il momento, senza dover per forza discutere con questo qui che spunta
come il prezzemolo ovunque. Prezzemolo rosa per giunta.
<< Ehi, ma che fai? >> chiede lui allarmato.
Lei lo ignora bellamente estraendo lo zippo dalla borsa e una sigaretta dal pacchetto.
<< Guarda che non attacca eh! >>
Unica risposta: uno sguardo interrogativo che brilla nella penombra creata dal lampione.
<< Non riuscirai a sedurmi facendo finta di essere una “bad girl” >>
Per poco la sigaretta non le cade di bocca, mentre non sa se ridere o
sputargli addosso un po’ di sano veleno. Visto che non vuole
arrabbiarsi e vuole rimanere felice per almeno un altro quarto d’ora,
Ivy opta per una risata, dopo aver assicurato la sigaretta tra l’indice
e il medio della mano sinistra.
Lui ricambia lo sguardo interrogativo di poco prima.
<< Senti – dice lei, dopo aver soffocato gli ultimi lembi di riso
che le solleticavano la gola – voglio solo fumarmi questa fottuta
sigaretta e andarmene, sedurti non è di certo in cima alla mia lista
delle cose da fare >>
La fiamma dell’accendino le illumina per qualche secondo il viso in un
bagliore giallognolo. Lui la guarda, curioso, uno sguardo un po’
pesante, che in condizioni normali la irriterebbe non poco.
<< Mi ritieni così brutto? >>
Qualcosa nel suo tono di voce fa già presagire che la risposta positiva
non può essere contemplata, lui sa di non essere brutto e sa che gli
altri non lo ritengono tale, il che la trasforma in una domanda di
circostanza, che gli serve solo a tenere viva questa specie di
conversazione che lei si sta adoperando a sopprimere.
Una boccata di fumo esce dalla bocca di Ivy.
<< No, non sei brutto, è il rosa che mi dà sui nervi. >>
<< Il…rosa? >> evidentemente l’ego del Tizio non è settato per una risposta di questo genere, pensa lei.
<< Sì, i tuoi capelli rosa mi irritano. Mi irrita qualsiasi cosa
sia rosa in effetti. Probabilmente era per questo che stasera non ero
proprio amabile. >>
<< Ma non è rosa! È color melograno! >>
Ivy lo guarda come se avesse appena detto che la luna è di formaggio, ma decide di non esprimersi.
<< Come ti pare >>
Aspira una boccata di fumo insieme al silenzio che è ritornato momentaneamente.
Lui però non si accontenta.
<< Ma cosa diamine stai fumando? >> chiede all’improvviso, fiutando l’aria come un mastino affamato.
<< Sono sigarette olandesi, il tabacco è aromatizzato al cioccolato >> risponde lei, asciutta ma non aspra.
<< Fico! Me ne dai una? >>
Ivy si prende qualche secondo più del dovuto per decidere: comprare le
sigarette costa e lei fraziona all’infinito i pacchetti per spendere
meno. Tuttavia, per una può anche fare uno sforzo. Prende dalla borsa
il pacchetto di sigarette e gliene allunga una insieme all’accendino.
Guarda sconsolata le tre che le rimangono.
<< Suvvia, a Natale siamo tutti più buoni… >> mormora più a se stessa che al suo strambo interlocutore.
Le restituisce l’accendino. Nei suoi occhi si intravede una scintilla di stupore.
<< Natale? Ma è stato due mesi fa! E comunque è solo una sigaretta, santo Iddio… >>
Lei gli lancia un’occhiataccia tremenda.
<< Senti, non so com’è il tuo conto in banca e nemmeno mi
interessa, ma, a giudicare dalle mance che lasci, non sei certo povero
in canna. Io per pagare l’affitto e mangiare lavoro sei sere a
settimana al ristorante e a malapena riesco a comprarmene un pacchetto
ogni due mesi, cioè una sigaretta a settimana più un’extra al mese.
>>
Lui sta per aggiungere qualcosa, ma lei lo blocca aggiungendo:
<< Ah, e per quanto riguarda il Natale, vorrà dire che sono già a posto per il prossimo. >>
<< Extra? >>
<< Sì, extra – spiegò lei – per momenti particolarmente belli o brutti >>
Lui si incuriosisce:
<< E questo che tipo di momento era? >>
Lei riflette un po’ mentre la sigaretta si consuma lenta.
<< Non lo so a dire la verità. Mi sentivo bene, in pace. Era un bel momento. >>
Lui sorride nel buio. Lei finisce la sigaretta e pensa che magari
sarebbe il caso di andare a dormire, ma pensa che sarebbe da maleducata
andarsene mentre lui stava ancora finendo la sua. Così decide di
restare ancora un po’, fissando i riflessi tremolanti della luna
sull’acqua del laghetto.
<< Cos’era quella cosa che cantavi prima? >>
Sulle labbra di lei sorge un sorriso amaro, che spera il buio celi.
<< Era un’aria della Traviata di Giuseppe Verdi. S’intitola “Libiamo ne’ lieti calici” >>
<< Ti piace l’opera? >> indaga lui, prendendo le ultime boccate della sua sigaretta.
<< No, piaceva molto a mia madre però. Mi portava sempre a vedere
l’opera a teatro, quando c’era. Io ho sempre preferito le cose che
potevo comprendere immediatamente tipo, che so, una commedia di
Shakespeare, però la accompagnavo comunque. E mi rimanevano in testa
alcuni motivi. >>
Ivy pensa che la Traviata è come la vita: si è tanto felici e
spensierati, ma non si sa mai quando tutto questo può venirti
sottratto, d’improvviso.
<< Era carino >> sentenzia lui.
<< Credo sia uno dei movimenti più allegri in opera. Poi la scena
del ballo mette allegria. Ti fa sperare che per una volta, forse,
l’opera sarà a lieto fine. Illusione decisamente disattesa. >>
<< Sei una persona fondamentalmente triste, vero? >>
Lei lo guarda, e pensa che sotto a quei ridicoli capelli rosa magari
c’è pure un cervello che funziona ogni tanto. Sì, lei è una persona
triste. Perché quando si è tristi, si assapora meglio la felicità,
mente lei.
<< Fondamentalmente non ti fai mai gli affari tuoi? >>
<< Mi limito a farmi gli affari di chi considera ridicoli i miei capelli >> provoca.
<< Allora ti farai gli affari di un mucchio di gente, immagino. >>
<< A volte eviterei di farmi quelli di mio fratello, però vivendo insieme è impossibile. >>
Lei crede che la conversazione stia assumendo toni troppo privati.
Sente che se stesse a sentirlo, magari, il tizio coi capelli rosa
potrebbe starle simpatico. E, oltre al fatto che quei capelli rosa la
irriterebbero continuamente, si affezionerebbe a lui e questo rende le
persone stupide. Lei non vuole essere una persona stupida, è già una
persona triste ed è più che sufficiente. Preferisce rimanere una
persona triste che odia il rosa.
<< Ora è meglio che vada, altrimenti domattina chi si sveglia? >>
<< Già, anche io vado, altrimenti manderanno la CIA a cercarmi. Grazie della sigaretta. >>
Lei recupera la borsa e si alza in piedi. Lui fa altrettanto. È più alto di lei, ha il fisico asciutto.
<< Ciao. >>
<< Ciao. >>
E le loro strade si separano.
Comincia a fare caldo, nonostante piova sempre. Il binomio la
atterrisce sempre, Ivy. Il caldo va col sole, la pioggia va col freddo,
gli ibridi sono tollerati solo durante le mezze stagioni. Ma, visto che
“non esistono più le mezze stagioni” e il globo manda tempo atmosferico
e temperature a random, Ivy si è stancata di stizzirsi se non apprezza
il tempo che c’è. Così guarda la pioggia che tintinna sul vetro con un
bicchiere di tè freddo in mano. Oggi di studiare non se ne parla
proprio, la testa va per conto suo in luoghi che esistono solo nelle
storie di Lewis Carroll, decisamente inadatte alla coltivazione del
sapere umano. Il cellulare squilla.
<< Ciao Ivy >>
È il Boss.
<< Ciao. Dimmi. >> lo sguardo apatico verso la pioggia si riflette nel suo tono di voce.
<< Dovresti passare di qui. È urgente. >>
<< Arrivo. >>
Ivy attacca e si prepara ad uscire, con il senso dell’attesa che comincia a corrodere piano piano la fortezza dell’apatia.
Le gocce cominciano a caderle sulla testa. Si è dimenticata l’ombrello, di nuovo.
<< Vabbè, pazienza >>
Arriva in poco tempo al ristorante e bussa sul vetro facendosi vedere,
il Boss le apre. Ora il suo cuore rimbomba per l’agitazione di un
colloquio con il suo capo celeberrimo per la mancanza di magnanimità.
<< è arrivato questo per te stamattina. Non volevo che gli altri lo vedessero, allora ti ho chiamato oggi. >>
Un pacco marrone, talmente malridotto che sembra aver attraversato
mezzo oceano su una zattera le viene consegnato dall’uomo, la cui
attesa, negli occhi, è quasi pari al suo stupore. Ivy prende il pacco e
si siede ad uno dei tavolini sparecchiati del locale. Il boss le dà un
tagliacarte per aprirlo e lei esegue l’operazione con cura maniacale,
quasi con paura. All’interno, tra due strati di carta da imballaggio,
una stecca di sigarette e una lettera.
Ciao Ragazza Che Odia Il Rosa,
non mi avevi detto il tuo nome e così
ho deciso di farti recapitare il pacco al ristorante (sperando che
lavori ancora lì). Mio fratello dice che queste sigarette sono le
migliori della West Coast. Spero che abbia ragione, perché ti dureranno
per un bel pezzo. Perlomeno fino alla mia prossima visita.
Saluti
J.
P.S. ora ho i capelli blu, spero sia di tuo gradimento
Ivy scoppia a ridere, ringrazia il capo che la guarda confuso e se ne
va. Ha smesso di piovere adesso e l’asfalto ha quel profumo che si
sente solo dopo un temporale. Ivy percorre la strada con calma, col
sorriso. Si ferma solo quando arriva alla panchina in riva al lago.
Scarta con cura il pacchetto, prende una sigaretta e la accende. Pensa
a sua madre, che le diceva sempre che fumare fa male, nonostante
fumasse a sua volta, pensa alla sua amica Kenny, che le ha fatto
provare la prima sigaretta, pensa a Gandalf e al tabacco da pipa di
Pianilungone, a suo padre, che decisamente non approverebbe e alla sua
coinquilina che odia la puzza di fumo, a Ren, che la prende sempre in
giro…
Ed è felice di essere una persona stupida che odia il rosa.
Nugae
Questa è la prima opera che scrissi che avesse per protagonista un
personaggio noto. La protagonista si chiama sempre Ivy, ma non c'è
nessun collegamento con "Voglia di cozze", era un periodo che ero in
fissa con questo nome...uhm, in effetti lo sono ancora xD
|