If you were dead or still alive,
I don’t care,
[I never cared about, I never cared about]
I don’t care,
And all the things you left behind,
I don’t care,
[You won’t be there for me, you
won’t be there for me]
Che tu sia morta o ancora viva
Non mi importa
[Non me ne sono mai curato, non me ne sono mai
curato]
Non mi importa
E di tutte le cose che ti sei lasciata indietro
Non mi importa
[Non sarai lì per me; non sarai
lì per me]
Dialogo
sopra il massimo sistema del
mondo
-
Attenzione: il
seguente scritto potrebbe contenere
un alto tasso di cinismo e disillusione, maneggiare con cura e tenere
fuori
dalla portata dei bambini -
«Io l’ho sempre amato, sempre. Non
è un qualcosa che possa collocare in una linea
temporale… Non ricordo nemmeno
quando ho capito di esserne innamorata. È come aver intuito
di essere nata
proprio per lui, il che
è anche assurdo,
visto e considerato che ci sono più di sei miliardi di
persone che popolano
questo pianeta: è piuttosto ingenuo pensare di trovare la
propria anima gemella
a pochi chilometri da te, no? L’amore non è altro
che la forza dell’abitudine.
Ti stufi di aspettare, sei curioso di provare, ti metti con la persona
con cui
senti di andare più d’accordo e ti illudi che sia
l’uomo giusto. Ma quante
cazzate».
Il loro rapporto è iniziato così,
con una sigaretta consumata ed un’altra rifiutata, lenzuola
sfatte e vestiti
gettati confusamente sul pavimento. E, immancabilmente, i lunghi
discorsi di
Monica.
«Come mai tutta questa acidità?»,
chiede Adriano, spegnendo la luce sul comodino e chiudendo gli occhi,
accarezzandole piano l’interno del gomito, facendo scorrere
le dita fino alla
pelle sensibile del polso, più e più volte.
«È colpa di quell’idiota. Oggi
è
venuto da me in ufficio, ci mancava poco che gli tirassi dietro il
computer.
Idiota», ripete lei, scalciando nervosamente il lenzuolo che
si è ammassato ai
piedi del letto. Prende fiato, sente la rabbia gettare il suo velo nero
e sporco
sulla realtà. Poi ci ripensa, chiude la bocca, rimane a
soppesare il peso sul suo
petto, a sentire quant’è ampio. Di nuovo,
quell’assurda incapacità di prendere una
scelta semplice come quella di parlare o di non parlare, di amare o
odiare, di vivere
o di sopravvivere le fa venire il capogiro. Non era così.
Non era così prima di
incontrare lui.
«Ancora arrabbiata? Pensavo ti
fosse passata», risponde Adriano, lasciando che la sua mano
giocherelli
distrattamente con i capelli castani dell’altra.
«Ma figurati. Oggi viene, si
siede accanto alla mia scrivania, mi osserva lavorare e si mette a
parlare
della sua fidanzata. E, sai, ho provato dei sentimenti
contrastanti… Ho pensato
a come avrei reagito qualche mese fa, e mi sono intristita.
Probabilmente sarei
affondata nel mio dolore, e avrei provato la tentazione di ucciderlo,
di
prenderlo a calci finché non avesse gridato
pietà. Invece oggi sono rimasta a
fissarlo, apatica, chiedendomi perché non chiudesse quella
bocca e non desse
ossigeno al cervello. Ma è completamente andato? Sa che lo
amavo, e viene a
raccontarmi di lei? L’unico istinto che ho avuto è
stato quello di infilargli
la testa dentro ad un water e premere lo sciacquone, sperando che
scomparisse
come lo stronzo che è».
Adriano si sistema meglio contro
i cuscini e contro di lei. «Ti importa ancora qualcosa di
lui, ma almeno hai smesso
di dartene la colpa - non completamente, ma hai iniziato».
«Non mi importa più nulla di lui!»,
ribatte lei, forse troppo in fretta. Lui sorride, scendendo a baciarle
la pelle
sottile che ricopre lo sterno, stringendole con forza un fianco.
«Non mentirmi… Più ripeti che non
te ne importa, più il tuo sentimento, in realtà,
è grande», sostiene Adriano,
chiudendo gli occhi. Conosce già il velo di
contrarietà, orgoglio e afflizione
che per qualche istante si andrà a sovrapporre ai lineamenti
dell’altra. Anche
questo è uno dei difetti di Monica: il credersi capace di
superare qualsiasi
cosa, anche solo volendolo. Ma non è così che
funziona, la volontà agisce fino
ad un certo punto, se la mente e lo spirito non sono pronti ad un
cambiamento.
E lei sta bene così, nelle sua
bambagia sporca fatta di amarezza e cinismo. È quasi
incredibile la capacità
dell’uomo di arrivare ad amare la propria sofferenza,
l’intensità con cui si
abbandona ad essa, con una voluttuosità velenosa e
logorante, insana. Non c’è
nulla di sano ad amare il proprio dolore… Ma capirlo e
accettarlo, uscire dal
proprio passato scrollandosene i liquami biancastri è ancora
peggio. Significa toccare
il fondo e rimanere abbastanza equilibrato e lucido per risalire. E
Monica non è
più fatta per il mondo della superficie. O forse,
più semplicemente, il suo era
un fondo troppo profondo.
«Sono tutte cazzate. Io lo odio, è
uno stronzo e… Ed è così. Lo odio,
punto».
Il sorriso di Adriano è amaro, ma
è un sorriso: quando lei si arrabbia, perde la calma e anche
la capacità di formulare
correttamente un suo pensiero, trovandosi ad arrossire e a balbettare
come una qualsiasi
timida al mondo, e lui ama questa sua parte. Amaro, però,
perché lei non si è ancora
stancata di giocare a nascondersi dietro ad un dito.
«Accetta la realtà. Non ne sarai più
innamorata quanto prima, ma non sei riuscita ad eliminare il tuo
sentimento. L’hai
solo trasformato in qualcosa che ti facesse meno e più male,
contemporaneamente.
Probabilmente, nemmeno te ne sei resa conto…»
Monica stringe i denti, la linea del
mento si fa più dura. Questo è il momento in cui
deve combattere con l’orgoglio,
e sa già chi ne uscirà vincitore.
«È tardi, torna a casa».
Appunto.
Ma Adriano non dice nulla. Si limita
a guardarla finché lei non abbassa gli occhi, riottosamente
e di malavoglia.
«Ci torno, non preoccuparti… Posso
almeno farmi una doccia qui, prima di andare?»
Monica fa segno di sì, stringendo
nervosamente il lenzuolo tra le mani e voltando la testa per evitare di
vederlo
alzarsi, nudo. Un’altra ammissione di colpa: quando crede che
la sua coscienza sia
pulita, non ha alcun problema a fissarlo come si fissa un uomo nella
sua interezza,
con meno imbarazzi di un bambino allevato senza malizia.
Solo quando la porta di legno chiaro
si è chiusa dietro al ragazzo, Monica si lascia scivolare
nel letto, il corpo caldo
che contrasta poco piacevolmente con il cotone freddo, gli occhi
aperti, sbarrati,
puntati sul soffitto, mentre qualche lacrima senza singhiozzi scende e
contorna
il suo viso. La vista le si offusca, ma è un attimo: si
asciuga rabbiosamente con
un lembo del lenzuolo e si gira su di un fianco, nascondendosi
completamente sotto
le coperte, tirate sin sulla testa.
La luce che ancora penetra nonostante
la barriera artificiale e il calore provocato dal suo stesso respiro
sembra vogliano
asfissiarla: e lei si scopre ad agognare quella sensazione fisica di
soffocamento,
così simile a quella che prova dentro di sé. Il
suo corpo ha un tremito, le viene
la pelle d’oca; il panico si impadronisce di lei e scosta con
un gesto secco le
coperte. Rimane così, scoperta sino ai fianchi, con un
braccio a coprirsi un seno
e l’altro appoggiato diagonalmente sopra il ventre, ricoperta
di un lieve velo di
sudore ghiacciato.
A volte si chiede se impazzirà. E
rimane così finché l’amante non esce
dal bagno, e la trova in quella posizione;
la saluta con un mormorato “ci
vediamo”,
che lei nemmeno dà segno di aver sentito.
Adriano resta fermo a fissarla per
qualche istante; poi, con una rabbia inspiegabile persino a
sé stesso, afferra di scatto
il suo giubbetto e se ne va.
Ha già i suoi problemi; si è ripromesso
che non si sarebbe più fatto coinvolgere da quelli degli
altri.
Ma ogni giorno diventa più duro, se
ne rende conto. Se ne rende conto benissimo.
***
«Mi manca…», sussurra lei,
accorgendosi con paura delle lacrime, le ennesime, che premono contro
le sue
palpebre per uscire. È solo stanca, stanca di piangere,
stanca di stare così.
Stanca di farsi vedere così.
Non è una persona debole, non lo
è mai stata; odia commiserarsi, ma in questi ultimi mesi
sembra essersi
trasformata in una larva umana, per nulla combattiva, e la cosa la
terrorizza.
Come la terrorizza il pensiero di appoggiarsi di nuovo a qualcuno, a
qualcosa,
ma da sola stavolta non ci riuscirà. Non riuscirà
a venirne fuori.
«La verità è che non gli servo
più… Non gli sono mai servita, e questo fa male,
fa dannatamente male! Fa male
al mio orgoglio, al mio orgoglio di donna, fa male a me!»
Prende fiato con rabbia, mentre Adriano
le carezza piano la testa. «Passerà anche
questo».
Davvero?
***
Adriano lascia che Monica gli sfili
con delicatezza quasi impalpabile la sigaretta dalle dita. La porta
alle labbra,
aspirandola a fondo, sicuramente non con l’esperienza di chi
non l’ha mai fatto.
La guarda stringendo per un attimo gli occhi, e lei spiega:
«Fumavo, una volta».
Fissa il soffitto, reclinando appena il capo, mentre richiama alla
memoria qualche
ricordo più o meno lontano, più o meno recente.
«Poi ho semplicemente cambiato dipendenza».
E Adriano lo sapeva, lo sapeva ancor
prima che lei lo dicesse.
Ogni persona porta dentro di sé
una luce, che gli permette di andare avanti anche quando tutto sembra
perduto.
Quando si è spenta quella di Monica?
***
Adriano la guarda con la coda
dell’occhio, si massaggia il ventre piatto con una mano e
prende il pacchetto
di sigarette appoggiate sul comodino con l’altra.
Distrattamente,
indolentemente, così come tutto ciò che fa.
Sembra appartenere ad un altro
mondo. Monica è ipnotizzata da lui, dalla fiamma vivida che
accende la
sigaretta, dalle volute di fumo che salgono verso l’alto,
dalla bocca che
imprigiona delicatamente la stecca bianca. È sempre uno
strano dolore quello
che prova stando con lui, ma non come quello che sente quando pensa a
Massimo,
non il fardello pesante e opprimente che ancora conserva dentro di
sé, freddo e
statico. È una ferita fresca, pungente e calda; in qualche
strano modo, rassicurante.
«Non dovresti fumare così tanto,
ti si rovinano i denti», commenta. Il ragazzo sorride: solo
lei riesce a fare
certi commenti con quella naturalezza, commenti che si addicono
più ad una madre
che ad una ragazza.
«Ho un buon dentista», mormora,
con quel tono stanco che lei ormai ha imparato a riconoscere tra tanti.
Sa di
solitudine, orgoglio e nicotina. Di voglia di vivere. Con lui i
discorsi
post-sesso sono quanto di più surreale possa esistere, si
perde nel
raccontargli del suo dolore, di ciò che la vicinanza
dell’uomo che è riuscito a
spaccarle – davvero
– il cuore le
provoca ogni giorno. Lui si limita ad ascoltare, senza dare giudizi
né simili,
conscio del fatto che in una situazione del genere i consigli non
servano a
nulla.
«Ma tu… Tu non ti sei mai
innamorato?», gli chiede, con una punta di
curiosità nelle sue parole; alla
ricerca costante della risposta perfetta, quella che confuterebbe per
sempre il
suo dubbio più grande. Perché se
c’è una cosa di cui è convinta,
è proprio
quella. Nessuno sa amare, nessuno sa amare tranne
lei.
«No, non direi», risponde
Adriano. «Innamorarsi è pericoloso, finirei con il
non poter più fare questo
lavoro e non riuscirei più a pagarmi gli studi;
l’amore è una cosa per vecchi e
ragazzine immature, che si riempiono la testa con queste sciocchezze.
Poi
guarda come si finisce», continua, dandole
un’occhiata sbieca. Monica non si
risente per quelle parole, è la prima a dire di essere stata
una stupida ad
essersi invaghita in quel modo tanto assurdo e assoluto.
«E allora questo conferma la mia
tesi. Gli uomini non sono capaci di amare». Non che la cosa
la stupisca, ne è
convinta da un anno ormai. «Gli uomini come sesso, intendo.
Una donna viene
cresciuta con queste stupide idee sentimentali, incontra una persona e
si
convince che sia l’anima gemella. Si sposano, hanno dei
figli, lui la tradisce,
divorziano e lei si trova sola come prima, anzi, più
di prima, privata com’è delle sue
illusioni, della sua giovinezza.
Mi sai spiegare dove sta l’amore in tutto questo?
È solo una stupidaggine
derivante dalla nostra cultura. Abbiamo paura di rimanere
soli».
Le considerazioni di Monica sono
sempre acide, ciniche, disilluse. Eppure, logiche. Non si scalda quando
parla
di questo argomento, nonostante sia evidente che per lei sia diventato
un
tarlo, una vera ossessione. Pensa e ripensa a questo quesito
continuamente, al
lavoro, a pranzo, con le amiche, ma solamente con lui, in quel letto,
lo lascia
affiorare. Le loro parole paiono prendere vita, formare immagini tanto
nitide e
fugaci quanto il fumo che esce da quella sigaretta. E tutto
ciò che quella
nebbia nasconde è solamente un grande perché,
il che cosa non vada in lei, la
domanda…
«E tu? Tu non hai paura di rimanere
sola?»
«Io… Io sono
sola. Che senso ha temere la realtà? Non ho altre
alternative».
«E ti va bene così? Ti va davvero
bene così?»
Monica lo osserva, e per un attimo
l’assenza di emozioni in quello sguardo lo fa tremare.
C’è qualcosa di profondamente
sbagliato, Monica non è sola: Monica vuole
essere sola. E nello stesso tempo, non lo vorrebbe.
«Non ho più intenzione di usare così
il mio cuore. È stanco, se fosse per lui smetterebbe di
battere». Eppure, eppure
continua a battere, con dolorosa testardaggine; come un guerriero che,
sovrastato
dai nemici, abbattuto a terra, calpestato, continua a desiderare di
vincere. Pur
non avendone la possibilità.
«Perché vuoi arrenderti?», chiede
Adriano. Lei gira con dolcezza il capo, e fa un sorriso triste.
«Perché non ho più nessuno per cui
combattere».
Tanto è tutto lì, è sempre tutto
lì:
ci sforziamo di negarlo, ma è l’amore che fa
girare il mondo. E non l’amore verso
il proprio principe azzurro inesistente, no: è
l’amore verso chi ci ha creati, verso
chi dipende da noi, verso chi potrebbe essere salvato da noi e non ci
riesce comunque,
verso l’imperfezione. Verso sé stessi.
Arrivare a dire: basta con questo, mi fa
male, non voglio più
farlo, non voglio più continuare così,
è egoismo. Sbagliato? No. Significa amare
sé stessi, ed è il primo passo per qualsiasi cosa.
Monica si è talmente poco amata, è
stata talmente poco egoista, che ha continuato ad amare la propria
personale fonte
di sofferenza, e ha prosciugato, zittito, violentato quegli ultimi
barlumi d’amore
verso sé stessa. Ora non si ama più,
Sé stessa è stufa di essere trattata
così.
Le ha offerto tante volte qualcosa per cui vivere - e non sopravvivere - ma lei è stata
muta, sorda, cieca davanti ai suoi timidi
tentativi.
E, forse, ora è lo stesso amore che
si rifiuta di tornare da lei.
Ma a Monica va bene così. Perché sola
non significa necessariamente stare bene… Ma comincia a non
importarle più cosa
la faccia stare bene o no. Ed è solo il primo passo verso il
baratro.
***
«Mio padre era davvero innamorato
di mia madre», dice, a sorpresa, Adriano. Monica si
è quasi addormentata, non apre
gli occhi, ma con una lieve carezza sulla sua spalla gli fa capire di
continuare.
Gli si è accoccolata contro, una gamba nelle sue, il braccio
sul suo petto, e quel
buio quasi totale dà al tutto una sensazione di
intimità così profonda e
sconvolgente che il ragazzo deglutisce, con la gola secca e le
vertigini. «Le
ha chiesto di sposarlo perché era totalmente ammaliato da
lei, e anche quando
ero piccolo, non li ho mai visti litigare… Lei era
dolcissima, e lui la
adorava. E adorava me».
Perché il ricordo del bene passato,
perduto, fa sempre così male?
«E poi?», chiede Monica, sapendo
che non è finita lì. Non può essere
finita lì, i lieto fine non esistono.
«È morto quando avevo quasi
undici anni. Mia madre… mia madre è quasi
impazzita dal dolore. Non è mai più riuscita
a riprendersi».
Adriano si è allevato da solo, quindi.
Ha vissuto per anni nella solitudine, con davanti agli occhi il
risultato di quell’amore
che tutti cercano, ma ben pochi sanno gestire.
«Sarebbe stato meglio se si fosse
amata di più», sussurra, con quel
“sarebbe stato meglio se avesse amato un po’ di
più me” che
aleggia nell’aria.
Monica socchiude gli occhi, pensando
che quella donna, in fondo, le assomigliava. E che forse Adriano era
destinato ad
incrociare il proprio destino con quelli distrutti
dall’amore…
***
«Smettila di farti del male in questo
modo», la prega. «Smettila di cercare a tutti i
costi qualcuno da accusare - tu,
lui, chissà chi altri - e arrenditi alla realtà:
ormai è così, e avere un capro
espiatorio non cambierebbe i fatti».
Perché Adriano le si rivolge in quel
modo? Sembra quasi seccato… È dunque riuscita a
stufare anche lui? È quindi una
persona così orribile?
«E quindi, cosa dovrei fare?
Dimenticare tutto e andare avanti facendo finta di nulla?»,
mormora, profondamente
amareggiata. Per quanto possa dargli ragione, il suo atteggiamento
l’ha ferita.
Ma non glielo dirà, o correrebbe il rischio di esasperare il
suo giudizio.
«La verità è che hai passato mesi
e mesi ad odiarlo, e non ci sei mai riuscita fino in fondo. Continui ad
odiare
te stessa perché credi che la colpa sia solo tua, lo additi
come uno stronzo
per giustificarlo, per dare un senso a ciò che ti ha fatto -
che in realtà è
nulla, e lo sai anche tu. Devi accettare il fatto che non sempre
ciò che ci
accade ha un senso, non vi sono persone da incolpare. Prima lo capirai,
prima
riuscirai a lasciarti questa storia alle spalle».
Monica rimane a lungo in
silenzio, mentre la sua mente è attraversata da pensieri
contrastanti. Adriano
è la sua panacea, è vero, ma non ricordava quanto
fosse amara la medicina.
Riflette amaramente su quanto si sia divertita a dirgli che lui stesso
non
vuole affrontare la realtà, fare i conti con la
verità; e ora ne paga lo scotto.
Non sono poi tanto diversi. Tutti amano la verità, quella
comoda però: quella
reale è odiosa al mondo, anche a chi si vanta di esserne il
paladino.
«Devo andare», dice, evitando di
guardarlo negli occhi; si sente piccola, misera e sporca. Come se fosse
ricoperta di piaghe dolorose e Adriano una fiamma viva che cerca
sì di
cauterizzare la ferita, ma al tempo stesso brucia così tanto
da far rimpiangere
di aver scelto quella cura, pur se è necessaria per stare
meglio. Gli uomini
non tollerano il dolore.
Adriano sa. Adriano sa
perfettamente di aver centrato il problema, sa che era il tempo giusto
per
farlo. Ora però non può fare
nient’altro che spingerla verso la comprensione
degli avvenimenti, deve stuzzicarla per far emergere di nuovo quel suo
lato
ormai sommerso dai detriti di una menzogna, uno stato d’animo
sbagliato durato
troppo a lungo.
È per questo che non smette di
osservarla mentre si prepara. Sa che lei, pur se girata, riesce a
sentire i
suoi occhi sulla sua schiena, sul capo, sulla linea del
collo… Come la carezza
di un amante, come la frustata di un nemico.
«C’è ancora del caffè nella
moka,
se vuoi buttalo via e fattene dell’altro».
Adriano non risponde. Stanno
conducendo una conversazione silenziosa, in cui lui le ripete fino allo
sfinimento ciò che vorrebbe che lei facesse, mentre le
stringe le braccia con
energia e cerca di costringerla a fare quello che le ha detto, anche
con la
forza. Lei ha le lacrime agli occhi, si sente vulnerabile e violata,
vuole
ancora aggrapparsi a quell’illusione ed è
esacerbata dalla consapevolezza che
ora non potrà più farlo.
Forse è il momento più doloroso
di tutto il processo, il capire che si è sofferto tanto per
nulla.
E
Monica è troppo orgogliosa per farlo.
***
L’aria calda fa da contrasto con quella
gelida, e Adriano scuote la testa dopo essersi tolto la cuffia, i
ciuffi di biondi
capelli umidi per il nevischio che si attaccano malvagiamente al suo
collo. Si toglie
il cappotto sgocciolante, abituandosi in fretta alla sensazione di
caldo e di benessere
che la casa gli dona, e va in camera.
Si è addormentata, se ne accorge
subito. Si spoglia in silenzio, sbottonando i polsini della camicia con
calma,
senza fretta, sfilandosi i pantaloni e mettendoli alla rinfusa sopra il
basso
comodino dalla sua parte, preoccupandosi solo di estrarre il telefonino
spento
dalla tasca dei jeans per evitare di farlo inavvertitamente cadere la
mattina
dopo. Si siede sul letto, rimanendo perplesso dallo strano stato
d’ansia che
l’ha colto appena varcata quella soglia. È uno
stato irrazionale, se ne rende
conto, eppure non riesce a calmarsi nemmeno avvicinandosi alla donna,
facendo
sfiorare le gambe con le sue.
È girata sul fianco, ma con il
corpo volto verso il materasso, quasi voglia proteggere sé
stessa mettendo al
riparo il luogo dove stanziano gli organi vitali – sottile
psicologia la sua,
come sempre. Si dorme proni per proteggere la parte di sé
più debole, si mostra
la schiena al mondo perché, in caso di attacco, si possano
avere più
probabilità di sopravvivenza (vecchie reminescenze
primordiali, dopotutto) –
mettendo le braccia a difesa del petto, le mani congiunte come se
fossero in
preghiera. Da lei ci si aspetta la perfezione, perennemente, ed
è quasi
scioccante scoprire come lei riesca a raggiungerla sempre, persino con
i
capelli spettinati, persino con una semplice canottiera attillata e il
lenzuolo
spiegazzato come sfondo.
In qualche modo è come se lei, la
perfezione, la incarni sul serio. L’orlo della canotta
è risalito lungo la sua
schiena, nel sonno, e lascia intravvedere un lembo della pelle
abbronzata.
Adriano poggia il capo sul suo stesso cuscino, facendo attenzione che
il suo
respiro non vada a solleticare il collo di lei, per non svegliarla. Il
lenzuolo
di sotto è caldo tutt’intorno a Monica, disegna
quasi un’ombra invisibile, ed è
una cosa che lo fa impazzire, che gli riporta alla mente memorie
piacevoli:
quando da bambino andava a rintanarsi, d’inverno, nel letto
della madre,
abbracciandola per sentire il suo calore trasmettersi anche a lui. Era
una cosa
buona, ed è bello farsi contaminare da qualcosa di buono,
una volta tanto.
Il respiro della donna è calmo,
regolare, lento ed inframmezzato da lunghe pause tra l’atto
di inspirare e
quello di espirare. Poggia una mano sulla base della sua schiena,
delicatamente, scorgendo la linea della colonna vertebrale; la percorre
con un
polpastrello, la accarezza piano, senza osare alzare di un
po’ la canotta…
Quasi che quella perfezione non possa essere violata da lui.
Alla fine, fa scorrere il braccio
destro lungo il suo fianco, in un semi-abbraccio che fa coincidere la
sua mano
con quelle di lei, ancora unite, e appoggia la fronte
sull’incavo del suo
collo, piegando la testa in una maniera bizzarra che la mattina dopo
gliela
farà pagare cara. Eppure, il sentire le dita di lei fremere
e impossessarsi
delle sue di riflesso, nel sonno, gli fa dimenticare qualsiasi altra
cosa.
***
«Quanto tempo è passato dalla prima
volta che ti ho chiamato?», chiede Monica, una sera, mentre
cerca nelle riviste
un post-it con un numero importante da chiamare. Adriano ci pensa su.
«Sei mesi? Più o meno…»
Monica annuisce, mentre torna a sedersi
sul letto, a gambe incrociate, e compone il numero di lavoro. Lui la
fissa mentre
parla con aria seria, sicura di sé, e si domanda se
è così che lei appare agli altri:
determinata, una fortezza. Qualcuno si è mai accorto del
lieve pallore che non l’abbandona
mai? Della sua stanchezza? Qualcuno le ha mai chiesto come sta? O forse
è l’unico
a conoscere quel lato di Monica, solo perché si sono
conosciuti dopo la grande tragedia
successa con Massimo?
Il pensiero un po’ lo spaventa, un
po’ lo rende orgoglioso; e neanche lui sa spiegarsene il
motivo. Monica gli prende
una mano e gioca con le sue dita, e lui è colpito dalla
naturalezza di quel gesto.
Può una cosa tanto piccola essere il simbolo di
qualcos’altro?
«Non la piantava più…»,
sibila Monica,
guardando con astio il ricevitore. Si massaggia le tempie e lo sente
sorridere contro
la pelle della sua spalla. «Non ti capita mai di avere
problemi con il lavoro? Con
l’università?»
Adriano sa perfettamente che se quella
domanda gli fosse stata posta da qualcun altro, difficilmente avrebbe
risposto,
punto sul vivo. Invece, si ritrova a considerare i pro e i contro della
sua attività
con lucidità e ragionevolezza.
«Credo che un lavoro privo di problemi
non esista…», conclude, con lentezza.
«E i tuoi amici? I compagni del corso?»
Adriano fa spallucce. «Non lo sanno.
Sarebbe complicato se dovessi isolarmi anche da loro».
«E perché?» Sebbene Monica sia
più
grande di lui, a volte gli sembra davvero ingenua. Oppure, è
l’incapacità di giudicare
male il prossimo a priori che la rende così?
«Perché è un lavoro immorale, e non
si è in grado di capire una situazione se non ci si trova
nel mezzo».
Monica riflette a lungo, ma non
si sente a disagio in quel discorso. «Ti senti in
colpa?»
«Perché dovrei sentirmi in colpa
per ciò che faccio? È un lavoro, e in questi
tempi è l’unico modo sicuro di
avere i soldi mensili necessari per tirare avanti ancora un
po’. L’unica cosa
che mi infastidisce è il falso buonismo che pervade ogni
dannatissima notizia
di attualità, e dall’altra parte
l’assoluto bisogno di trasgressione che ne
scaturisce. Perché dovrei dare ragione a chi si fa garante
della moralità e poi
fa abortire la figlia pur di non creare uno scandalo? Perché
dovrei essere
dalla parte di chi si droga, si rende un imbecille e ne va pure fiero?
Perché
devo a tutti i costi schierarmi in una fazione che odio e
che non mi rispecchia?»
Monica ascolta in silenzio,
facendo tesoro di quelle parole che in un certo senso sanno di
Verità.
«Io dovrei avere meno dignità di
un impiegato che non sa quando verrà licenziato, che
tradisce la sua fidanzata
(non sono ancora nemmeno sposati!),
bestemmia quando si dice uno dei più ferventi cattolici e in
nome di questo
disprezza le altre etnie, andando contro al suo stesso credo? Ma perché?»
Il dolore, la rabbia sono
evidenti nel suo tono. Monica sente le lacrime salire agli occhi, e non
sa bene
neanche spiegarsene il motivo. Adriano si prostituisce di propria
volontà, ha
percezione del suo corpo ed ha deciso di utilizzarlo in modo che da
esso possa
ricavarne un vantaggio. Non uccide, non ruba.
L’intimità di ognuno è cosa
privata; perché tanto scalpore per uno dei lavori
più vecchi del mondo?
«Dovrei essere messo alla gogna
per qualcosa di cui un numero inimmaginabile di persone usufruisce? Le
stesse
che sono le prime a puntare il dito contro il peccato altrui? Diffido
della
troppa moralità, della troppa poca flessibilità:
sono segni di una stupidità
pericolosa o di un’intelligenza ipocrita che se ne fa
scudo».
Adriano si è sempre detto immune alle
critiche, sordo al dolore. Eppure, non è forse il grido
silenzioso di una delle
tante vittime della nostra crudeltà, della nostra
incapacità di essere coerenti
e privi di pregiudizio?
«Perché poi dovrei credere di
meritare l’inferno più di qualsiasi altra persona?
Perché dovrei credere che
quel Dio che ci ha lasciato un insegnamento, e quello soltanto, quello
di
amare, mi ami così poco da non intendere le mie ragioni,
comprenderle? Perché
io dovrei essere dannato e un maniaco sessuale pentito no? Non faccio
del male
a nessuno, ma faccio il mio bene. Un bene futuro, certo, ma il mio
egoismo – o
amor proprio, dipende da come ti diverti a vederla – non mi
permette di non
agire così. Dovrei essere contento di qualcosa che non
amo?»
Monica posa una mano sulla sua testa,
interrompendo lo sfogo. Lei ha capito. Lei c’è. Le
parole non servono più.
***
Si toccano con la familiarità dei
corpi che si conoscono a fondo, senza nessun imbarazzo o timidezza. Non
è il
rapporto tra una donna senza più voglia di cercare
l’amore e un prostituto;
nemmeno quello di una donna più grande e un ragazzo. Adriano
ha smesso di
rifletterci, quando se n’è reso conto: con gli
altri, non si sente in dovere di
fare più di quello che gli è chiesto, a meno che,
ovviamente, non ci sia un
extra sul suo compenso. Con lei, invece, gli viene naturale rimanere in
quel
letto fino a notte fonda, a volte fino alla mattina, solamente per
parlare di
cose astratte e prive di senso. Monica ormai non lo chiama
più, se non proprio
quando sente che non riuscirebbe a resistere al buio da sola;
è lui che, una
volta finito lo studio e gli altri servizi, le capita in casa a
qualsiasi ora,
avvalendosi del duplicato delle chiavi che possiede.
Il ragazzo non la vede più come
una cliente, ma più come una specie di amica, di amante. La
apprezza come la donna
intelligente, acuta e sarcastica che è; gli piace
comportarsi come un uomo, con
lei, non come un surrogato di qualcuno né come un amatore
passivo. Monica lo
vede per quello che è: un ragazzo che fa il suo lavoro, un
lavoro come un
altro, in cui è lui a decidere clienti, orari e salario. E
Adriano vede ciò che
è lei: una ragazzina delusa troppo presto e troppo a fondo
per potersi
riprendere, con una solida corazza di disprezzo e livore che nasconde
la sua
curiosità, la sua purezza e la sua profonda
ingenuità. Si proclama tanto dura
ed indifferente, ma è l’unica a trattarlo come un
essere umano. Non è forse una
contraddizione per coloro che credono di appartenere alla parte buona
del mondo
e che non esiterebbero un attimo a cacciarlo da casa loro, una volta
saputo il
suo mestiere?
Ne è profondamente attratto,
questo sì. Ma non ne è innamorato.
I loro spiriti sono affini e
forse, senza quel determinato passato alle spalle, si sarebbero potuti
considerare anime gemelle. Ma Monica non crede più
nell’amore e Adriano non ci ha
mai creduto, in fondo.
Continua a baciarla, troppo concentrato
per sorridere di quel suo strano modo di appropriarsi delle sue labbra:
lei ha
un sistema tutto suo, che definirebbe quasi “a bocca
aperta”.
Gli piace. Di solito fa sesso con
donne truccate piuttosto pesantemente, il maquillage una maschera che
permette
loro di sostenere un ruolo che non è loro naturalmente. Lui
si adatta,
acconsentendo di buon grado a quella sorta di recita, impersonando di
volta in
volta qualcuno di diverso: è un gioco divertente,
affascinante, ma non vuole
rimanere con loro fino alla mattina. Significherebbe vedere la maschera
sbavata, la parte interpretata svanita nel nulla: dietro al trucco, ci
sono
solamente donne troppo impaurite dalle proprie sembianze per riuscire
ad
accettarsi completamente, e questo le rende noiose, banali, poco
interessanti.
Comuni.
Monica invece possiede quella
sorta di noncuranza verso sé stessa, il non calcolare
volutamente la propria bellezza,
che le permette di addormentarsi tra le sue braccia senza curarsi poi
dell’aspetto che assumerà al risveglio:
sarà la stessa, niente trucchi, niente
artifizi, niente assurdo bisogno di correre in bagno a ripulirsi con
delle
salviette appena sveglia, preferendo rimanere con lui piuttosto che
nascondergli
una parte di sé stessa.
Lo affascina vedere quegli occhi
verdi fissarlo, lo sguardo così profondo per natura e non
accentuato
dall’eye-liner. Le sue labbra socchiuse lo attraggono, ama
sentire il suo petto
solleticato dai lunghi capelli, una cortina che si abbassa anche su di
lui
quando lei gli è sopra. È l’unica
persona in grado di curare il suo cinismo ed
il suo menefreghismo con una dose di uguale cinismo e spontanea
bellezza.
No, non ne è innamorato, lui non
sa cosa significa l’amore, non ci crede.
Ma lui non ha mai amato la
verità.
***
«Mi ha… distrutto il cuore,
semplicemente. Non credo che sia qualcosa che si possa recuperare con
il tempo».
Il suo sguardo è lontano, puntato
su qualcosa che ad Adriano non piace affatto. Ma tanto è
così, non si può
cambiare: per quanto le loro vite possano considerarsi in un qualche
modo
patetiche, per quanto a volte abbiano gli stessi istinti
autodistruttivi… Lui riuscirà
ad andare avanti, sempre. Lei invece è come invischiata in
qualcosa da cui non potrà
mai liberarsi completamente.
«Forse dovresti solo lasciare
cicatrizzare la ferita, senza continuare a stuzzicarla
troppo».
«Vedi, in realtà è solo un conto alla
rovescia di cui non vedo le cifre, ma so che
c’è… Manca poco, ormai».
«Sai che non mi piace che tu
faccia certi discorsi», ribatte lui, accigliandosi. Si sente
scrutare
intensamente, ma non si gira a fissarla.
«Non è colpa mia se non ami
sentirti dire la verità», risponde lei in un
sussurro, prima di alzarsi,
raccattare della biancheria pulita e dirigersi verso il bagno. Adriano
sospira,
profondamente amareggiato, e si passa i palmi delle mani con forza
sopra gli
occhi. Aleggia una brutta sensazione sopra quella camera, il che lo
spinge a
ripresentarsi spesso da lei, quasi come un fratello maggiore che debba
controllare che la sorellina non faccia casini. Scosta le lenzuola,
recuperando
i vestiti ed infilandoseli lentamente, con il rumore di sottofondo
dell’acqua
che piove nella doccia. Quando è lì si sente
agitato ed insoddisfatto, con il
bisogno di fuggire per preservare qualcosa di sé che ancora
non conosce: ma
appena se ne va, ecco che torna il presentimento, martellante, di dover
tornare
a visionare il suo operato.
Sa che non può controllare gli
eventi, ma è come ha detto lei: non ama sentirsi schiaffare
in faccia la
verità, il senso della realtà è
qualcosa che non tollera.
«Devo tornare a casa per prendere
dei libri», dice, alzandosi dal letto su cui si era seduto
quando la vede
entrare. Lei lo guarda per qualche attimo, i capelli bagnati che le
incorniciano il volto ora pallido, le labbra serrate in quella che si
potrebbe
definire l’espressione materiale di una decisione.
«Va bene. Io avrò un po’ da fare
in questi giorni, quindi non venire prima di
venerdì», gli comunica, avviandosi
a recuperare l’orologio che ha lasciato sul comodino.
L’ansia di Adriano cresce
e si trasforma in un cubo di ghiaccio e chiodi nel suo petto, ma
allunga
comunque la mano per prendere il giubbotto abbandonato su una sedia ed
infilarselo. La testa gli gira, si sente sull’orlo del
baratro.
«Allora… Passo venerdì,
sì»,
borbotta, la testa china sulla zip da agganciare e tirar su. Monica gli
si
avvicina e lo blocca gentilmente, infilando le mani nel cappotto ancora
aperto
e abbracciandolo, il viso premuto con forza contro il suo petto. Il
respiro di
Adriano si fa irregolare quando contraccambia l’abbraccio,
tanto che lei avverte
il cambiamento insolito e solleva il viso, interdetta, per fissarlo con
quello
sguardo così cristallino. Adriano trattiene il fiato per un
paio di secondi,
prima di baciarla. Non sa neanche perché lo stia facendo, il
cervello si è
scollegato all’improvviso, non riesce nemmeno a pensare;
è come se il desiderio
gli stia scorrendo dentro le vene, bruciando dolorosamente e
piacevolmente
insieme. Vuole fare l’amore con lei, di nuovo,
perché c’è qualcosa che non riesce
a dirle a parole, e se ne è reso conto solo adesso; eppure,
non si spinge oltre.
«Adriano», lo richiama ad un
certo punto, e solo in quel momento si rende conto che la sta fissando
senza
dire o fare nulla da ormai diversi minuti. Di aver spezzato il loro
equilibrio.
Si scioglie dall’abbraccio, non sapendo bene come e se sia il
caso di
giustificarsi.
«Ci vediamo venerdì, stavolta non
prendo i soldi».
Si affretta verso l’uscita e le
sorride, per la prima volta un po’ impacciato, prima di
chiudersi la porta alle
spalle. Monica rimane a guardare malinconica il punto in cui
è svanito,
accarezzandosi con un filo di preoccupazione il braccio. Sospira, e
torna in
bagno per finire di prepararsi.
Sarà più dura di quello che aveva
previsto, dopotutto.
***
La casa è semplicemente vuota,
senza di lei.
Adriano chiude gli occhi e si
appoggia ad un muro, mentre la comprensione di ciò che
è successo gli martella
le tempie e va ad aggravare il senso di angoscia che da giorni si
è annidato
nel suo petto. Legge distrattamente il biglietto che Monica gli ha
indirizzato,
prende i soldi che gli ha lasciato in un cassetto (bastano non solo per
finire
gli studi senza bisogno di lavorare, ma probabilmente gli avanzeranno
anche per
il futuro) e si sofferma un attimo di più per guardare quel
letto che tante
volte li aveva ospitati. Gli viene da sorridere vedendo le lenzuola
perfettamente piegate sopra i cuscini: che senso ha riordinarlo quando
non
verrà più usato?
Ha voglia di urlare, e se ne va
frettolosamente, senza voltarsi, fuggendo da quel presente ormai
diventato
passato.
Monica non poteva essere salvata,
ecco tutto. Perché chiedersi il perché,
perché cercare una risposta? Sarebbe
solamente inutile, non gliela restituirebbe comunque.
Chiude gli occhi, pensando
solamente al fatto che la odia. La odia perché non
è stata capace di amarsi, la
odia perché non è riuscita a fidarsi di lui.
Si odia, perché non è riuscito a
fare abbastanza. E odia anche la debolezza umana, che porta al lento ed
inesorabile spegnimento della fiammella che ci alimenta.
«Sei una bugiarda. Non si butta
via una vita se non si ama la persona che ci ha portati a compiere
questo gesto».
È una consapevolezza che gli
lascia l’amaro in bocca, la voglia di urlare. Sapere di
averla persa per colpa di
un altro (è anche questo ciò che fa male,
ciò che fa dannatamente male: lei
non è mai stata sua, non in quel modo
completo e assoluto, è stata sempre dell’altro)
lo riempie di rancore, un rancore che sale ad ondate dal petto al viso,
accarezzandolo
con feroce piacere. Ad un tratto si alza una folata di vento gelida e
fortissima,
che quasi gli impedisce di respirare. Trattiene il fiato, allora, e si
chiede quanto
una persona possa resistere senza ossigeno… Le lacrime
lottano prepotentemente per
uscire, e lui rimane lì, nel freddo gennaio di Torino, con
le mani in tasca e il
cuore a pezzi (la testa confusa, la testa assente, la
testa assente), solo come un animale tradito e abbandonato
dal proprio
padrone. È stato uno stupido a lasciarsi coinvolgere a quel
modo?
Estrae la mano che continua a stringere
il piccolo ciondolo che Monica ha abbandonato a casa. Il metallo si
è riscaldato
e sembra quasi più caldo della sua stessa pelle. Ci pensa un
attimo, ma poi lo lascia
scivolare nuovamente in tasca. È ancora troppo presto per
perdonare.
Fa male. L’uomo rinnega il dolore.
L’uomo non sopporta il dolore.
Sul biglietto c’era scritto, in fondo,
un’aggiunta frettolosa e quasi dovuta:
Avrei
potuto amarti. Ma non ho voluto.
Fa male. L’uomo rinnega il dolore.
Ma lui non rinnega lei.
Adriano è andato a casa sua venerdì,
i piedi che battevano forte sul marciapiede per scaldarsi e la sciarpa
bianca
che ondeggiava dietro la schiena, vittima delle sferzate violente del
vento, e
non ha trovato nessuno.
Adriano è andato a casa sua tante,
troppe volte da quel venerdì. E non vi ha mai più
trovato nessuno.
‘Cause
I swear, I swear
I don’t
care… At all.
Perché lo giuro, lo giuro
Non
me ne importa… Affatto.
[Apocalyptica feat.
Adam Gontier]
Il titolo è ripreso da uno dei
componimenti di Galilei, ovvero “Dialogo sopra i due massimi
sistemi del
mondo”, che io non ho mai avuto il piacere di leggere.
Ammetto però che
quest’appellativo ha stuzzicato la mia fantasia,
così ho deciso di riportarlo
al singolare: Dialogo sopra il massimo sistema del mondo, che poi
sarebbe l’amore
(che è la forza vera che fa girare il mondo, ciò
che produce odio – ovvero la
sua assenza – e balle varie. Spiegato, già perde
tutto il suo fascino, vero?),
tema centrale della storia.
Se il personaggio di Adriano vi
pare campato per aria, c’è da dire che conosco
(indirettamente) un ragazzo che
fa il suo stesso lavoro per andare avanti, dopo il fallimento
dell’azienda del
padre: non me lo immagino proprio come un rozzo masticatore di cicche,
scusate.
Monica, se qualcuno vi ha fatto caso,
passa tre delle cinque fasi del dolore collegato al lutto, quelle
centrali: negazione,
rabbia, auto recriminazione, depressione, accettazione. La negazione
è stata saltata
perché al momento dell’inizio l’aveva
già superata, all’accettazione non è
riuscita
ad arrivare. Rabbia e auto recriminazione sono spesso collegati,
perché, checché
se ne dica, le fasi non sono così
“nette” come vogliono lasciarci credere. Ci sono
momenti di rabbia anche nella depressione (un risveglio di coscienza),
a volte torna
la negazione. L’unica fase che si distacca totalmente
è l’accettazione, sebbene
a volte non riesca a essere così “pura”
come dovrebbe.
Se posso essere sincera, mi sono accorta
del percorso di Monica solo quando ero arrivata praticamente alla fine.
Un po’ come
se si fosse scritta attraverso me.
È… difficile parlare di questa storia.
La sento talmente personale che ci è voluto un bel
po’ prima che riuscissi a parlarne
con qualcuno, prima di farla leggere a qualcuno, tanto che ringrazio
chi mi ha incoraggiata
e spinta a pubblicare. È stato doloroso scriverla,
soprattutto nei primi tempi,
tanto che forse mi sono bloccata perché ero arrivata ad un
punto tale da non poter
continuare oltre, all’epoca. Ecco perché la storia
mi sembra mozza: molto di
ciò che ho scritto è successivo,
e non possiede più quello stato d’animo che
l’ha generata. Mi sembra di aver partorito
qualcosa di incompleto, e so che lo è, ma purtroppo ho perso
le parole che ci sarebbero
dovute essere originariamente. Eppure, non me la sentivo più
di non finirla, era
diventato un tarlo. Pubblicarla, lo ammetto, ha richiesto
l’utilizzo di un altro
bel paio di maniche.
Lo scritto è piuttosto cinico e
velenoso, ho lasciato venir fuori dei miei intimi pensieri e ho dato
loro una
forma scritta: la trama è del tutto assente, serve solo per
rifletterci un po’
sopra e, chissà, magari aprire un dibattito con la propria
coscienza. Io, con
la mia, ho già dato.
Vi consiglio l’ascolto della canzone
da cui è partito tutto: amo profondamente il testo, il
significato nascosto, gli
esecutori, il video… Credo sia una delle mie canzoni
preferite; la potete trovare
qui.
Se vi fa piacere, fatemi sapere
ciò che ne pensate tramite una recensione ^^ A me ne farebbe
altrettanto.
À
bientôt, mes amis!
|