imm. 1
Questa è la mia prima
fanfiction nel fandom di D.Gray-man <3 Sono una veterana di EFP, ma
ho cominciato a leggere questo manga solo da poco (era sempre in hiatus
._.).
Ma, come dire, è stata
un'illuminazione. Tra l'altro, per qualche ragione mi sono
affezionata al pairing Allen/Link. Lo so, è senza
speranza. Adoro le Lavi/Kanda ma sono finita a scrivere una Linklen per
nessuna ragione. Ah, devo ringraziare XShadeShinra, è stata involontariamente colpa delle sue storie se mi sono ridotta così...
More about the concept:
Partendo dal presupposto che per
quanto Link sia disumano rimane in fondo un essere umano (oh, quei due
puntini mi ricordano il lollosissimo Mu di Aries), avrà anche i
suoi momenti di debolezza, no? Questa fanfiction è un
approfondimento sul mondo interiore di Link. Perché, per quanto
mi dispiaccia, fino al punto in cui siamo arrivati nel manga non
c'è spazio per l'ammore per questa coppia (magari coi nuovi
capitoli.... boh). Dopo una lunga consulta con la mia adorata
HarleyQuinn /
Genio del Male che si è letta in anteprima la faccenda, abbiamo
deciso che Link è IC. Se aveste delle critiche, fate pure.
Ah, sono cinque capitoli. Ne ho già scritti quattro.
Titolo: Prigione
Capitolo: 1/5
Rating: Giallo
Genere: Angst (un po'
°^°), introspettivo, what if...? (che non lo è
più per chi avesse letto le ultime scnas)
Avvertimenti: shonen-ai
Immaginazione
1.
Prigione
A
volte Link se lo immagina.
La
prigione sarà un luogo freddo e umido, estremamente inospitale. Immagina la
luce soffusa e spettrale sgocciolare dalle pareti come una speranza
inafferrabile appesa dietro il vetro di lampade sfrigolanti. Odore di sporco e
polvere ad ogni angolo. Può anche vedere la polvere sollevarsi a mulinelli ad
ogni suo passo – perché ora sta camminando nel corridoio stretto, regolare e
dritto come la pronuncia di una condanna dalle labbra regolari e dritte con una
voce regolare e dritta come quella di Levellier – e vibrare nell’aria tesa, e
sotto la lieve luce ambrata intessere disegni astratti, e poi precipitare.
E
la porta. Anche quella può vedere. Legno massiccio, di una consistenza ruvida,
viscida. Sulla superficie, uno strato di muffa incrostato dall’umidità. Avrà
cardini grossi come le sue mani, e chiodi e spranghe e catenacci che pendono a
mezz’aria arrugginiti, e una serratura, un’altra serratura, un’altra serratura
– ce ne saranno almeno quattro, e tutte verranno aperte da chiavi diverse e
affidate a diverse guardie, e la fessura infinitesimale dalla quale non passerà
nessun rumore, nessun odore, niente di niente.
Immagina
come sarà posare la mano sul legno nodoso e bagnato, immagina far scivolare le
chiavi oliate una ad una, e i cigolii sinistri del ferro che dovrà scorrere sui
perni e ritirarsi nell’incavo della parete come un serpente nella sua tana,
solo con un sibilo metallico ancora più raggelante. Ed aprire infine la porta.
Immagina di attraversare la soglia trattenendo il respiro, trattenendo ogni pensiero,
come quando si varca il portale di una chiesa o qualsiasi altro recinto sacro,
e c’è una certa elettricità sospesa nell’aria. Si guarderà attorno, fingerà
distacco.
Ma
sarà spaesato, impaurito, orripilato. Sarà pieno di pietà e di compassione,
pieno di una profonda tristezza, di un’amarezza che non avrebbe il dovere di
provare, ma che scaverà un vuoto nel suo stomaco e gli riempirà la gola di
parole che non verranno articolate in alcun suono. La stanza – la cella sarà
buia quasi totalmente, e sarà piccola, e sporca e fredda come tutto il resto
della prigione. Sarà un quadrato scavato di pietra, dura e brutale, dall’odore
di qualcosa di marcio – legno e persone e pasti abbandonati – che si consuma
lentamente digradandosi in materia morta.
E
nell’angolo più buio –
Link
se lo può immaginare. Allen, seduto nell’angolo più buio. Sarà un gomitolo di
se stesso. Sarà pallido ed emaciato, e la pelle del suo viso giovane tesa fino
a sfiorare le ossa, zigomi e occipite e mento più esposti, e i grandi globi
argentei dei suoi occhi prominenti attorno all’alone scavato delle sue orbite.
Ma saranno occhi di una vuotezza impressionante, di un biancore perlaceo, un
nitido biancore come quello dei lenzuoli, dei sudari. Per cui il suo bel volto
sembrerà più una maschera mortuaria, l’orribile maschera di un teschio.
Se
lo può immaginare, un piccolo scheletro sofferente rannicchiato sul fondo di un
piccolo spazio, un cubicolo appena più grande di una bara. Avrà spesse catene
legate alle mani e ai piedi. Avrà lividi sui polsi e sulle sottili caviglie
dove il ferro stringerà torturando la pelle. Avrà crampi alle gambe e fitte
alla schiena per essere stato seduto troppo a lungo. Avrà la bocca secca perché
non potrà mai parlare con nessuno. Rifiuterà l’acqua e il cibo.
Si
lascerà morire.
Lentamente,
rannicchiato nell’angolo buio di una piccola cripta, Allen si lascerà morire,
stanco, appesantito, logorato.
Link,
immagina, Link vorrebbe – allungare la mano, e toccarlo. I suoi capelli bianchi
gli ricadranno sul viso-teschio, e nei suoi sedici (magari diciassette) anni
somiglierà al guscio raggrinzito di un vecchio pronto ad accogliere la morte.
Forse
potrebbe aver lottato. Per un po’. Ma una cosa Link sa con assoluta precisione,
ed è che se Walker entrasse – o quando entrerà, perché entrerà prima o poi – nella
prigione dell’Ordine, non ne potrebbe uscire mai più da vivo. Mai più. E anche
uno come Allen, dopo mesi, dopo anni in una tomba larga qualche metro, di
pietra umida e polvere e –
Link
immagina cosa potrebbe dirgli. Niente. Alla fine non gli direbbe niente.
Immagina che vorrebbe dirgli – “andrà tutto bene, troveremo una
soluzione, questa guerra un giorno finirà,” ma sa che ognuna di queste parole
sarebbe una bugia. Immagina di parlargli dei suoi compagni, di vittorie, di
sconfitte, di sacrifici, di conquiste. Immagina di chinarsi su di lui, di
scostargli la frangia dagli occhi, una cascata di fili chiari come la luce
stellare ora offuscati dalla polvere e dallo sporco, - “Ti porterò fuori da
qui, ti farò compagnia, perché – io ti –“- ma non ha il coraggio di immaginare
fino a questo punto. Per cui lascia cadere il pensiero, pesante come una di
quelle catene che si sono materializzate attorno alle sottili caviglie di
Allen.
E
poi, Allen non risponderebbe. Nella sua immaginazione, sì, avrebbe un fremito
di vita, improvvisa, baluginante negli occhi come il riflesso fosforico della
luna, un piccolo lampo di speranza, e senza parlare, respirando solo un po’ più
affannosamente, alzerebbe lo sguardo abbastanza da fissarlo. Quella speranza,
quella piccola, miserevole speranza impolverata lo accenderebbe come la luce
fioca ed incerta delle lanterne fuori dal corridoio – lampade ad olio, uno
stoppino breve e imbevuto di gas che si consumerà presto ma farà luce per un
po’ – un po’ fino alla sua prossima visita. Nella sua immaginazione Allen si
potrebbe aggrappare a quel breve suono, a quel breve gesto, e andare avanti
ancora qualche giorno. Ancora qualche –
E
poi immagina – a volte succede, è più
forte di lui – immagina labbra screpolate e pelle ruvida, immagina di toccare
le sue spalle davvero troppo magre, quasi scarnificate, scapole e clavicole e
tendini così in superficie da sembrare un rilievo sul suo corpo, immagina un
bacio…
Ma
a questo punto preferisce sospirare e pensare (immaginare) che accadrà molto
prima della sua prigionia, molto prima che i begli occhi di Allen, chiari come
argento, come dischi lunari, si incavino in orbite desolate, molto prima che il
suo volto sorridente si tenda in una maschera inespressiva, molto prima che il
suo bel collo si pieghi in un angolo doloroso, e che le sue mani flessuose si
screpolino per il freddo e l’umido e per il troppo grattare contro la
superficie ruvida delle pareti, e il suoi polsi, e le caviglie, le sue sottili
caviglie bianche indossino un bracciale blu emaciato di lividi.
Prima,
quando Allen è ancora così bello, una creatura a suo modo splendente – di luce
lunare.
Prima,
come ora. Come adesso.
Come
–
Allen si stira appena, allungandosi sul
letto, mentre Timcampi affonda nella curva del suo collo e rotola sul lenzuolo.
Lascia scivolare il giornale dalle mani e i fogli cadono disordinati sul
pavimento.
“Walker, non distruggerlo, non l’ho
ancora letto.”
Per un istante, un istante quasi
impercettibile, c’è ancora una traccia dell’amarezza del sogno nella sua voce.
Ma la presa di coscienza sulla realtà è quasi immediata, e Link torna al se
stesso come deve dimostrarsi ad una velocità spiazzante.
“Scusa,” Dice. “Ma non c’è nulla di
interessante.”
“Avrai letto solo i titoli.”
Allen tace per un secondo, esitante. Poi
ammette: “Sì…”
Timcampi risale sulla spalla e gli
mordicchia il lobo dell’orecchio. Allen si volta verso la parete, pensieroso.
Link lo osserva – li osserva entrambi – ed
ora che nessuno lo vede può addolcire lo sguardo, può per qualche istante
essere di nuovo l’immagine di se stesso che non ha spazio nella realtà, ma che
esiste nella sua fantasia (e forse a tratti è persino più felice, più sicuro). La
punta della matita indugia sul foglio compilato a metà – si è interrotto – si è
interrotto alla domanda: Possibili segni
della conversione: - la compila ogni giorno, ogni giorno scrive: nessuno, e ogni giorno tira un simbolico
sospiro di sollievo, pensando a quanto ancora potrà permetterselo, a quanto
ancora gli resterà, a quanto tempo resterà ad entrambi prima di prigione,
corridoio, cella, catene, e clavicole sporgenti e lividi sulle caviglie e tutto
il resto –
Timcampi morde più forte il lobo di
Allen per attirare la sua attenzione.
Link volta il foglio e legge col suo
solito sguardo impassibile l’intestazione della pagina successiva, sempre la
stessa, sempre uguale: Resoconto del
giorno 29/10/18XX e due fogli bianchi pronti a essere riempiti di
stupidaggini come il fatto che l’orecchio di Walker sanguina appena e lui si
alza, corre in bagno a tamponarselo, e allora anche Link si alza, si avvicina,
si appoggia allo stipite della porta e osserva ogni cosa con la mente altrove.
***
Oh, vi prego <3 donatemi un minutino del vostro tempo. Sono
una povera studentessa oberata dal lavoro. L'ho scritta con tutto il
mio cuoricino.
Comunque vi ringrazio in anticipo <3
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