Sorci,
Mostri e “Polipate”
Un
urlo di polmoni squarciò l'aria assieme ai miei sogni.
Mi
alzai a sedere con un scatto secco e una coperta di cui non conoscevo
la provenienza cadde sul pavimento del salotto; la guardai per
qualche istante, frastornata, mentre mio figlio continuava a sgolarsi
dalla culla posta in camera mia. Era uno scricciolo di moccioso, alto
neanche un metro e che cascava in terra ad ogni passo, ma aveva una
voce potente.
Mi
passai una mano sugli occhi, gemendo, e gettai i piedi giù dal
divano.
«Il sorcetto ha fame.»
Apparve Aoi con il piccolo in
braccio, che si era momentaneamente calmato ed era tutto intento a
ciucciarsi il colletto della camicia del suo salvatore. Fino a pochi
mesi prima quest'ultimo si sarebbe ritratto schifato, ma aveva
acquistato -era stato costretto ad acquistare- la pazienza
necessaria a tenersi in braccio il piccolo Ruki e a cambiarsi almeno
tre volte al giorno.
«Arigato.» alzai lo sguardo
allo sgangherato orologio da parete «Ha anche ragione, piccino,
avrebbe dovuto mangiare un'ora fa.»
Mi alzai tendendo le mani e il
piccolo si incastrò fra le mie braccia prendendo d'assalto la mia
maglietta.
«Mangia troppo, diventerà una
piccola mongolfiera.» mormorò il maggiore, scompigliando al
fratello quel ridicolo ciuffetto spelacchiato di capelli neri come la
notte che aveva ereditato dal padre. Con un piccolo sospiro pensai
che sarebbe diventato uguale a lui, e che quegli occhi erano solo
l'ennesima prova concreta a sostegno di tale mia previsione.
Scacciai l'ondata intensa di
dolore con un grosso respiro: fin da quando Ruki aveva tratto il
primo, piagnucolante e rumoroso respiro, mi ero ripromessa che
l'ultimo mio figlio non sarebbe cresciuto in mezzo ad un lutto
doloroso e angoscioso. Avevo riversato in lui tutto l'amore che
potevo dargli, relegando l'angoscia in un angolo buio e dimenticato
della mia mente, e lui mi aveva ricambiato diventando una luce così
potente da rischiarare e rasserenare anche quel cantuccio oscuro
della mia vita.
«Tu mangiavi molto più di
lui.» lo analizzai con un'unica occhiata critica «E sei secco come
uno spaghetto.»
Aoi sbuffò, alzando gli occhi
al cielo, con una smorfia eloquentissima che pareva deridermi per la
mia costante apprensione. Ruki ridacchiò, e sporse le mani verso il
fratello, il quale, sorridendo, sbuffò ancora. Arrivammo in cucina
in un concerti di sbuffi e squillanti scoppi di risa.
«Il sorcio si è svegliato?»
Lanciai un'occhiataccia
risentita ad Uruha, comodamente spaparanzato sulla sedia a dondolo di
mia madre, i libri di scuola aperti sul tavolo e abbandonati a loro
stessi.
«Non è un sorcio.» affermai
indispettita, alzandolo poi fino al mio volto e facendo sfiorare i
nostri nasi «È un topino!» cinguettai poi gioiosamente, provocando
l'ennesima sonora risata.
«Dei, fermatela prima che si
metta a tubare!»
Ignorai il secondo figlio in
ordine di arrivo e cassai la risata del primo con una sdegnosa alzata
di spalle.
«Andate a svegliarmi i gemelli,
piuttosto.» brontolai fingendo irritazione, mentre, posizionato Ruki
in bilico su di un braccio e appurato che non avesse intenzione di
fare il funambolo sul mio fianco (cosa che capitava regolarmente),
cominciai a riscaldargli la merenda.
Con la coda dell'occhio vidi Aoi
e Uruha sparire nel corridoio.
Sorrisi, mentre “il mio
topino” tendeva quelle braccine lunghe quando un mio piede verso il
pentolino, sporgendosi quasi fino a caderci dentro.
Aoi si era auto-proclamato mia
personale guardia del corpo, nonché deterrente umano di ogni mio
spasimante e baby-sitter a tempo pieno della restante prole (che
all'epoca era costituita da Uruha solo) da quanto il mio primo marito
ci aveva abbandonati; era rimasto così deluso e amareggiato dal
tradimento di quello che era in assoluto il suo eroe, che aveva
relegato tutto al secondo posto, lasciando la cima del podio alla sua
famiglia.
Era stato un fedele guardiano e
ancora oggi penso che sia stato, assieme al fratello che allora non
aveva ancora compiuto cinque anni e che di certo non poteva capire il
motivo dell'improvvisa assenza del padre, l'unico appiglio che mi
abbia permesso di tornare alla vita dopo una disperazione di tale
entità.
Quando poi erano nati i gemelli,
aveva semplicemente perso la testa.
Innamorato cotto, di un amore
fraterno così insormontabile ed intenso che raramente riuscivo a
tenerli in braccio senza che lui pretendesse di coccolarsene uno. Li
guardava come se fossero figli suoi, con una devozione tale
che riservava solo a loro e ad Uruha, che però era decisamente
troppo grande per essere preso in collo e spupazzato.
«...e c'era un mostro.» asserì
seriosamente Reita entrando in cucina, la fronte corrugata e una
manina stretta attorno allo stesso colletto che Ruki aveva ciuccato
pochi minuti prima, seduto comodamente su un braccio di Aoi.
«E tu che hai fatto?» gli
domandò questi con interesse.
«L'ho ucciso, ovvio.» dichiarò
pomposamente quel nanetto di bambino con una smorfia sprezzante sul
viso «E Kai mi ha dato una mano.» aggiunse poi, sporgendosi dalle
braccia del fratello per assicurarsi che il gemello li stesse
seguendo, come effettivamente stava facendo, dormendo, in collo ad
Uruha.
«Vedi?» proseguì poi,
ritornando ad accomodarsi in braccio ad Aoi «Dorme perchè abbiamo
fatto tanta fatica.»
Sporse le labbra in
un'espressione pensosa.
«Era un mostro molto grande.»
considerò poco dopo, mentre il maggiore lo sistemava sulla sua sedia
e gli metteva davanti una ciotola enorme di cereali. Ma lui non li
degnò di un solo sguardo.
Si accorse di Ruki e in quel
preciso istante il mondo perse tutta la sua attenzione.
Scivolò a terra e mi raggiunse,
guardando il piccoletto dal basso, il quale, appena si accorse dello
sguardo adorante di Reita, lanciò uno strillo, scalciando ed
esigendo si stare in braccio a lui.
Lo stesso amore reverenziale che
Aoi provava nei suoi confronti, lui lo dava tutto a quello scricciolo
urlante.
È
la cosa più preziosa, mi aveva
confidato un giorno guardandolo dormire sul divano, seduto
scomodamente sul tappeto solo per permettere al piccolo di continuare
a stringerli l'indice che gli aveva afferrato prima di cadere
addormentato.
Aveva quattro anni e ancora la
spiacevole abitudine di succhiarsi il pollice, il giorno in cui Ruki
aveva aperto per la prima volta quegli occhi enormi trovandosi lui
davanti al naso.
Quel
che si dice, amore a prima vista.
E del tutto reciproco.
Tanto Reita lo trattava come
fosse una statua di cristallo da venerare, tanto Ruki lo premiava e
ricambiava coi suoi sorrisi più splendenti e coi suoi baci
appassionati.
Temevo che, con la nascita del
piccino, sarebbero sorte gelosie, che io ricordavo come appuntamenti
quotidiani con mio fratello, ma era stato subito palese che Reita lo
avrebbe protetto fino all'ultimo respiro.
Kai, dal suo canto, era
innamorato del mondo e non sarebbe stato capace di far male ad una
mosca; se giocando Ruki gli rubava una macchinina, lui gli sorrideva
amabilmente (e dava mostra di quelle paffute fossette che tutti
dovevano ancora capire da chi avesse preso) e dedicava la sua
attenzione alle costruzioni e se il piccolo gli rubava anche quelle
lui passava ai peluches, non senza un altro, grandissimo sorriso.
E se non era intento ad ammirare
ciò che lo circondava con gli occhi spalancati e la risata sempre
pronta, dormiva.
Al tempo la pediatra del
policlinico si era allarmata dal fatto che saltasse il pasto della
notte, ma io ero così contenta che almeno lui dormisse
tranquillamente nonostante il gemello si prodigasse in acutissimi
gorgheggi spaccatimpani, che non avevo neanche preso in
considerazione l'ipotesi di svegliarlo per dargli da mangiare.
«Posso avere Ruki, kudasai?»
Feci un cenno ad Aoi e lui
sollevò Reita, permettendogli di sedersi sopra il tavolo.
Diventava un piccolo gentiluomo
quando voleva qualcosa; non avevo dubbi sul fatto che da grande
avrebbe avuto un successo strepitoso con le ragazze: quei sorrisoni a
metà fra il colpevole e il malizioso riuscivano già allora a
sciogliere donne navigate e esperte come mia madre.
Quando assisteva a scene simili,
storceva il naso brontolando qualcosa riguardo l'igiene, ma io
preferivo quella situazione a pericolose ed instabili arrampicate di
fortuna sulle sedie. E dopotutto Aoi era sempre lì, vigile come una
sentinella.
E, al limite, Reita riusciva a
fregarla con un solo sorrisetto, qualche kudasai smieloso e
sbattimenti vari di ciglia.
Poggiai accanto a loro la
ciotolina col frullato di frutta e posi Ruki in braccio al fratello,
il quale si premurò di farlo sedere sulle sue gambe incrociate,
passando una mano dietro la sua schiena per sostenerlo.
«Cucchiaini piccoli, Rei,
miraccomando.»
Lui annuì tutto concentrato e
lasciò di buon grado che Ruki gli tirasse i capelli.
Gli diedi le spalle con
tranquillità.
Kai sonnecchiava abbarbicato al
collo di Uruha il quale me lo passò con un sorriso.
«Kai-chan? Chibikko?»
«C'è un mostro...» miagolò
assonnato, stringendomi e nascondendo il volto nel mio collo.
«Ma come? Tu e Reita non
l'avete ucciso?»
Dopo un mmmmhh
sonnacchioso, si allontanò di poco, strofinandosi un occhio con la
manina chiusa a pugno, in un gesto che ogni sacrosanta volta mi
scioglieva il cuore. Perchè se ormai ero immune ai bronci astuti di
Reita, non avevo ancora imparato a difendermi dalla dolcezza
disarmante del fratello.
«L'abbiamo ucciso?» domandò
confuso.
Gli sorrisi, cercando di
pettinargli l'ingestibile chioma di capelli arruffati.
«Kai non ti ricordi?»
intervenne Reita, mentre io faceva sedere il mio addormentatissimo
figlio sulla sua seggiola; questo guardò il fratello gemello come se
non lo avesse visto per secoli e secoli, svegliandosi di botto, e gli
regalò un sorriso enorme colmo di ammirazione. Reita era sempre
stato il più scalmanato, il più vivace, il più testardo e il più
casinista, praticamente l'opposto di Kai, il quale da parte sua
covava un'adorazione pressoché sconfinata verso di lui.
«Quando tu lo tenevi per le
antenne io l'ho intrappolato e ucciso! Così!» berciò infervorato,
brandendo il cucchiaino pieni di frullato come se fosse una sciabola;
Ruki seguì quelle rotazioni con la boccuccia spalancata finchè Aoi
non ebbe cuore di lui (e della cucina) e si decise a togliere il
cucchiaino dalle manine di Reita (il quale continuò incurante a
gesticolare come una piovra impazzita) e a infilarlo in bocca al
piccolo, che lo ringraziò ingoiando con gratitudine e ridacchiando.
Uruha fissò la scena con un
sopracciglio incollato all'attaccatura dei capelli, ma sbuffò una
risatina rassegnata.
Ad un'occhiata esterna si poteva
pensare che considerasse un peso l'asilo nido che gli si attaccava
alle gambe ad ogni passo; perchè se Aoi era considerato alla stregua
di un papà molto giovane (e nulla avrebbe potuto renderlo più
felice di questo), lui era visto come il maturo fratello maggiore,
che meritava tutta la stima e il rispetto che quei tre piccoli
mocciosetti potevano avere.
Lui rispondeva tiepidamente a
tutto quell'affetto, in modo goffo, quasi maldestro.
Chi non lo conosceva bene
scambiava il terrore folle di deluderli come indifferenza, o anche
fastidio o disprezzo.
«Rrrrrruaah!»
Soffocai una risatina nel
vederlo sobbalzare come se gli avessero infilato un cubetto di
ghiaccio nella felpa. Indirizzò lo sguardo verso Ruki, il quale
sghignazzò felice, beandosi della sua attenzione, prima di venir
distratto dai movimenti di Aoi.
«Io come mi chiamo, pidocchio?»
Storsi il naso di fronte al
nuovo nomignolo. Dovevo ancora scendere a patti con “sorcetto” e
“pulce”.
«Iiiiii!» rispose estasiato
Ruki, tendendo le braccine verso il “papà”, il quale lo prese in
braccio volentieri, permettendogli di buon grado di mordergli una
guancia.
«Fai progressi pulce, ti
mancano solo due vocali.» commentò acidamente, anche se con quel
sorriso smisurato in volto dubitavo che qualcuno gli avrebbe creduto.
«Io ti consiglierei di stare
attento, nii-san... non vorresti mai ricevere un bacio con la lingua
al sapore di frullato di pera come quello che mi ha dato ieri il
sorcio.» mormorò Uruha, fingendo di rabbrividire dal disgusto.
«Mmmmaaaa!» esclamò tutt'un
tratto il piccolo, fissandomi con curiosità.
Aoi e Uruha finsero con gran
discrezione di notare l'unica lacrima che mi aveva solcato la
guancia. Ma lo stesso non si potè dire di quella sottospecie di...
budino affettuoso di Kai.
«Perchè piangi?» mi domandò
con gli angoli della boccuccia inclinati verso il basso in un comico
sblack.
«Era preoccupata per voi,
gemelli. Un mostro così grande è molto pericoloso, temeva che vi
avrebbe fatto male.» dichiarò convinto Aoi porgendomi Ruki, il
quale era ben felice di passare di braccio in braccio come un sacco
di patate.
Reita rimase con una mano
inchiodata all'aria, improvvisamente rabbuiato.
«Non volevamo farti paura...
vero Kai che non volevamo?»
Il fratello scosse la testa con
così impegno e foga che rischiò di cadere dalla sedia.
«È tutto a posto, pulcini. Non
vi preoccupate.» mormorai con un sorriso, reprimendo a forza la
voglia di scoppiare in lacrime. Se di commozione di fronte a cinque
perfette parti della mia anima o di malinconia per il padre che non
era riuscito a prendersene cura, non lo sapevo.
Uruha si grattò il mento con
fare indifferente. «Io direi che può starci una polipata
alla mamma.»
Sbarrai gli occhi, terrorizzata.
La temibile polipata era
stata un'invenzione del mio secondo marito. In teoria era un
abbraccio generale, ma in pratica risultava essere un groviglio di
gambe, braccia e appendici varie di difficile snodamento.
Non ebbi tempo di mettermi al
riparo; alzai sopra la testa Ruki per evitare che venisse coinvolto
dentro la morsa e chiusi gli occhi, preparandomi al peggio. Kai e
Reita mi si attaccarono uno per gambe, rendendomi impossibile ogni
movimento, Aoi mi placcò da dietro, assumendo il compito di barriera
contenitiva nel caso che un topino a caso cadesse dalla presa e Uruha
mi saltò al collo.
«Polipataaaaaaaaa!» gridavano
i gemelli da qualche parte attorno alle mie ginocchia, mentre io
sentivo il mio solido baricentro spostarsi sinistramente all'indietro
e la risata di Aoi dentro l'orecchio.
«Sto cadendo...» mormorai
soffocata dall'abbraccio del secondogenito.
Fu cosa di pochi istanti.
Piombai caduta a sedere, praticamente trascinata in terra da Aoi, il
quale si premurò di coprire col proprio corpo qualsiasi superficie
dura o aguzza contro cui Ruki avrebbe potuto ferirsi. Questi rimbalzò
dolcemente contro il torace del fratello maggiore, appendendosi poi
ai miei capelli come ad una liana.
Controllai in pochi istanti che
fossimo tutti interi prima di scoppiare a ridere.
Kai e Reita, non trovando
ginocchia disponibili a cui attaccarsi, optarono per cingermi i
fianchi.
«Mamma?»
Non sentivo molto spesso Aoi
chiamarmi 'mamma'. Una volta smesso di chiedersi quando il suo papà
sarebbe ritornato, aveva smesso anche di usare quegli appellativi per
chiamare i genitori, sia me che il padre adottivo.
«Dimmi...» mormorai contro il
suo collo, mentre Kai, Reita e Uruha discutevano sulle effettiva
dimensioni del mostro, anche se è meglio dire che Uruha stuzzicava
Reita sostenendo che il mostro fosse grande appena quanto un micino e
Reita si infiammava come la benzina.
«Ti voglio bene.»
N/A:
Okay, non sono in cerca di
giustificazioni per la mia follia dilagante (ultimamente si è
scoperto pure che è contagiosa... che hide-sama ve ne scampi e
liberi), ma volevo mostrarvi da dove ho preso spunto per sta... cosa
xD
In
un'intervista di Kai a Jrock Revolution (non so di che anno sia, ma
parlano del PULSE WRIGGLING TO BLACK Tour e di Stacked
Rubbish, quindi più o meno è di quel periodo) ad argomento vario.
Ed
ecco una delle perle (una fra tante, quell'intervista mi fa morire
dal ridere xD):
Ci sono state delle lettere
che ti hanno davvero colpito? KAI: [...] Ovviamente ci sono
state anche molte lettere allegre, come quella di una fan che ci ha
detto che, visto che aveva cinque figli, li aveva chiamati con i
nostri nomi. I due che aveva chiamato KAI e REITA erano
gemelli. Gli altri erano RUKI, URUHA e AOI.
*ride*
Rileggendola ora ho notato che è
più smielosa di quel che avevo previsto, ma oh, così è venuta e
così rimane. Non sarò certo io a mettere in dubbio i rari colpi
d'ispirazione che ultimamente mi vengono.
Esattamente un anno fa postavo
Watch me bleed.
Secondo il mio modesto parere
almeno a livello di umore, direi che le cose sono migliorate.
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