Titolo:
Il pianoforte
accordato
Fandom:
Harry Potter
Personaggio/Coppia:
Remus/Tonks
Prompt:
072. Riparato
Rating:
Verde
Conteggio
parole: 2108
Riassunto:
“ Tonks
guardò le sue mani scivolare con delicatezza sui tasti
bianchi e
neri, mentre il suo intero busto sembrava accompagnare
quell'armonioso motivo, e si sentì invadere da un calore
disarmante”.
Disclaimer:
I personaggi della storia appartengono a J.K. Rowling.
Note
dell'autrice:
Una mia amica mi
ha fatto notare che in nessuna delle mie fan fiction compare mai
l'espressione “veste da mago” e che nessuno dei
miei personaggi
ne indossa mai una, quando nel libro, in effetti, maghi e streghe
indossano abiti Babbani solo in certe occasioni - e quando lo fanno,
in genere, lo fanno male. Lei è convinta che io sia stata
influenzata dai film, dalla cravatta di David Thewlis in PoA e dallo
straordinario panciotto di Gary Oldman in Ootp. La spiegazione che ho
dato a questo quesito è stata piuttosto diretta: nessun mago
può
essere considerato sexy se indossa una cosa ridicola come una
vestaglia da notte. Ma stiamo scherzando? No, dico, ma avete presente
come diavolo è fatta una veste da mago? Andate su Gugòl,
digitate “veste mago” e provate a immaginarvi
l'uomo della saga
che ritenete più figo infilato in una di quelle stupide
tende.
Per
cortesia, siamo seri. Il mio Remus Lupin non
indossa vesti da mago, ma vecchi, logori e minuziosamente rattoppati
completi da uomo stile “vecchia scuola”. E non ha
nemmeno
l'aspetto di David Thewlis, in effetti – senza nulla togliere
al
grandissimo attore che è.
:)
Scritta
per l'allucinante sfida della Big Damn Table
indetta da Fanfic100_ita
– e
della quale sono già riuscita a completarne più
di un quarto! Mi dichiaro completamente e incontrovertibilmente
allibita.
Tonks
aveva preso
l'abitudine di riposare a Grimmauld Place quando terminava il suo
turno di guardia. Inizialmente, aveva accettato solo per mettere a
tacere le paranoiche insistenze di Moody, ma si era presto resa conto
che addormentarsi in una casa dove non era da sola, in un modo o
nell'altro, la aiutava a calmare l'agitazione della notte trascorsa
all'Ufficio Misteri.
Era
quasi l'alba quando
era sgattaiolata fuori dal Ministero sotto al Mantello Invisibile di
Moody e si era Smaterializzata davanti al numero dodici di Grimmauld
Place. I lampioni erano ancora illuminati e gli abitanti del
quartiere ancora profondamente addormentati, ma qualche colomba
tubava già fra i rami del parco lì accanto.
Trattenendo
un
sbadiglio, Tonks strinse gli occhi e ripensò intensamente
alla
grafia serrata con cui Silente aveva vergato le parole “Il
Quartier Generale dell'Ordine della Fenice si può trovare al
numero
dodici di Grimmauld Place, Londra”.
D'un
tratto, fra il
numero undici e il numero tredici comparve una rovinata porta di
quercia che doveva essere stata incredibilmente raffinata. Alti
finestroni a sesto acuto e decorati cornicioni parevano uscire dalla
pietra stessa, contorti come carta straccia e anneriti dal tempo e
dalla trascuratezza.
Tonks
si avvicinò a
passi lesti ai gradini d'entrata, estrasse la bacchetta e
picchiò
alla porta una volta. Si udirono innumerevoli rumori metallici prima
che la porta si aprisse con un raccapricciante cigolio.
Scivolò
all'interno con estrema cautela: il suo ultimo desiderio era di
svegliare qualcuno alle prime luci dell'alba a causa della sua
goffaggine.
«Lumos»
sussurrò nell'oscurità.
La
punta della sua
bacchetta illuminò il lungo androne dalla tappezzeria umida
e
scolorita. Si avviò a passi leggeri, sollevando
completamente le
suole dei pesanti anfibi che indossava e posandoli con estrema
premura sulla moquette lisa. Quando ebbe oltrepassato l'intero
corridoio senza cadere o provocare rumore, si lasciò
scappare una
grossa imprecazione di sollievo. Era arrivata a pochi metri dalle
scale, quando sentì un'indistinta melodia aleggiare fino a
lei.
Curiosa, si diresse verso la direzione dalla quale pareva provenire
la musica. Le ci vollero pochi istanti per raggiungere la porta del
salotto. Abbassò delicatamente la maniglia e
infilò la testa nella
stanza.
Remus
sedeva con
elegante compostezza allo sgabello del vecchio pianoforte che era
appartenuto ad Arcturus Black. Indossava una camicia bianca, sdrucita
lungo l'orlo dei polsini ma perfettamente stirata, e un gilè
dal
taglio elegante, ma scolorito e rattoppato in molti punti. Tonks
guardò le sue mani scivolare con delicatezza sui tasti
bianchi e
neri, mentre il suo intero busto sembrava accompagnare
quell'armonioso motivo, e si sentì invadere da un calore
disarmante.
Remus
riusciva ad
attrarla più di quanto non avesse mai fatto qualunque altro
uomo –
e questo andava davvero contro ogni logica, perché sembrava
che in
comune non avessero davvero nulla. Lui era calmo, compito ed era in
grado di apparire signorile e distinto anche indossando abiti lisi di
seconda mano; lei era chiassosa, disorganizzata e portava T-shirt
sgargianti, jeans rotti e stivali di pelle. Lui era colto e con
un'incredibile attitudine alla lettura; lei era sveglia e imparava in
fretta, ma non avrebbe mai sopportato di stare sui libri per tutto
quel tempo. Lui era sempre galante e le apriva la porta per farla
passare in continuazione; lei s'intendeva di musica punk, gomme da
masticare e parolacce.
A
volte, Tonks si
domandava come fosse possibile che una come lei potesse trovare uno
come Remus tanto affascinante. Non era ancora riuscita a darsi una
risposta.
Tonks
si rese conto
solo in quel momento che Remus aveva terminato di suonare ed ora
scrutava con aria pensierosa i tasti del pianoforte. Non si era
ancora accorto della sua presenza, così Tonks
picchiò un paio di
volte contro lo stipite di legno. Lui trasalì e si
voltò di colpo,
spaventato. Quando la riconobbe, perfino le sue spalle parvero
rilassarsi e lei non riuscì proprio a trattenere una
risatina.
«Ehi,
Grifondoro senza
coraggio, vuoi uno strappo per il paese di Oz?».
Remus
le rivolse un
sorriso un po' storto.
«Come
hai fatto a
sapere che ero qui?».
«Ho
seguito la strada
di mattoni gialli, naturalmente» scherzò lei,
strappandogli uno
sbuffo divertito. «Poi ho sentito la musica e bum!
Sei stato
beccato in flagrante».
Lui
aggrottò le
sopracciglia, confuso.
«Hai
sentito la
musica?» chiese. «Strano. Ero convinto di aver
lanciato un
Incantesimo Imperturbabile alla stanza».
«Anche
i migliori
sbagliano, professore. Non abbatterti, la prossima volta
sarà quella
buona» lo prese in giro Tonks. Si avvicinò al
sofà e si lasciò
cadere malamente fra i cuscini. «È l'alba,
Remus» commentò con
voce tetra.
«Notevole
spirito
d'osservazione» ribatté lui, voltando il busto
verso di lei e
scrutandola in tralice.
«Che
ci fai sveglio?».
«Non
riuscivo a
dormire».
«Suoni
sempre il piano
quando non riesci a dormire?».
«Ero
solo dispiaciuto
che un oggetto di questo calibro non fosse stato accordato da
anni»
rispose con gentilezza Remus, sfiorando appena la tastiera.
«È un
pianoforte della scuola di Stein: probabilmente uno dei migliori
costruttori al mondo. Mozart e Beethoven suonarono e composero sulle
tastiere di un pianoforte di poco diverso da questo. Non oso nemmeno
immaginare a quanto possa ammontare il suo valore – i tasti
sono di
ebano e avorio e...» s'interruppe improvvisamente e le
rivolse uno
sguardo vagamente imbarazzato. «Ma non è certo mia
intenzione
annoiarti con la cronistoria di un pianoforte».
Tonks
era rimasta a
fissarlo con le labbra arricciate in un sorriso affettuoso. La sua
voce roca aveva qualcosa di ammaliante e quando parlava di argomenti
che toccavano sinceramente i suoi interessi, i suoi occhi sembravano
accendersi di entusiasmo ed il suo volto segnato appariva d'un tratto
più giovane e sereno.
Solo
qualche sera
prima, lei gli aveva domandato se conoscesse il funzionamento di un
Athanor, il particolare forno utilizzato dagli alchimisti. Con tutta
la sua sorpresa, Remus le aveva spiegato a grandi linee la difficile
sovrapposizione dei piani di cottura dell'Athanor e aveva aggiunto
degli sconcertanti riferimenti filosofici. Infine, le aveva
consigliato un brano di un'opera latina a cura di un certo alchimista
francese di nome Rupescissa di cui lei ignorava totalmente
l'esistenza. Tonks aveva sempre odiato Storia della Magia, ma il modo
in cui lui parlava e la sua delicata gestualità erano
maledettamente
coinvolgenti. Sapeva che se avesse avuto Remus come professore
avrebbe probabilmente conseguito un M.A.G.O. Eccezionale anche in una
materia noiosa quanto Storia della Magia.
«Non
mi stai
annoiando» lo tranquillizzò dopo qualche istante
di silenzio,
appoggiando il mento al dorso della mano. «Stavo solo
pensando a
come cavolo sia possibile che tu sappia anche
accordare un
pianoforte. Di', c'è qualcosa che non sai fare, Mago di
Oz?».
Lui
rise.
«Credevo
di essere il
Leone senza coraggio».
«Sei
il tuttofare
della mia esistenza, Remus. Devi essere per forza il Mago di
Oz».
«Ti
assicuro che sono
molte le cose che non so fare. In effetti, non credo nemmeno di
essere riuscito a fare un buon lavoro con questo pianoforte. Lui
doveva essere accordato da anni ed erano anni che io non accordavo
nulla, se non le stringhe delle mie scarpe. Una pessima
combinazione».
«Dove
hai imparato?»
s'informò curiosamente Tonks, accoccolandosi sul
sofà come un
gatto.
Remus
arrangiò un
sorriso timido.
«Mia
madre era
un'insegnante di piano ed era convinta che per essere dichiarato
tale un gentiluomo dovesse necessariamente essere in grado di
suonare il pianoforte».
«Suonava
anche tuo
padre, quindi?».
«Assolutamente
no»
ribatté lui con voce distante. «Credo sia il solo
motivo per cui il
loro matrimonio sia resistito per oltre quarant'anni».
Tonks
rise.
«Di
cosa si
occupava?».
Sul
volto di Remus
scese improvvisamente un'ombra scura. Abbassò la testa e
intrecciò
fra loro le dita nelle mani, con lo sguardo fisso sulla punta logora
delle sue scarpe. Tonks si rimproverò mentalmente di avergli
posto
una domanda tanto personale. Stava per scusarsi, quando lui fece un
profondo respiro e alzò di colpo gli occhi.
«Lavorava
all'Ufficio
Regolazione e Controllo delle Creature Magiche».
Tonks
dischiuse le
labbra in una muta esclamazione di sorpresa. Non ci voleva un genio
per capire per quale motivo Remus fosse tanto riluttante a parlare
del lavoro del padre.
«Scusami»
si affrettò
a dire, sentendosi fastidiosamente avvampare. «Non avrei
dovuto
chiedertelo».
«Non
è certo un
segreto. Tutti sanno cosa faceva mio padre».
Lei
inclinò
interrogativamente il capo e Remus le rivolse un mesto sorriso.
«È
stato Direttore
dell'Unità di Cattura fino a... beh, fino a quando il suo
lavoro non
si è ritorto contro di lui. Lui e la sua squadra davano la
caccia a
Fenrir Greyback da mesi, ormai. Sembrava dovesse essere un lavoro
relativamente semplice, ma Greyback dimostrò di avere un
senso
dell'umorismo piuttosto particolare e... direi che conosci
già la
fine della storia».
«Cazzo»
imprecò a
mezza voce Tonks dopo qualche istante di tetro silenzio. «Se
avessi
saputo che questa storia sarebbe stata così deprimente,
Remus, ti
avrei chiesto di parlarmi di fatine, folletti e farfalline».
Remus
la fissò
intensamente qualche istante, prima di rivolgerle un sorriso di
genuina riconoscenza.
«Ti
ringrazio».
«Di
cosa?».
«Di
non aver mostrato
compassione».
Si
voltò di nuovo
verso il pianoforte e riprese a suonare un leggero motivetto. Tonks
ebbe la netta impressione che lui stesse cercando di sfuggire da
quella conversazione. Lei si alzò in piedi, si
avvicinò a lui e
sfiorò la montatura di legno con il polpastrello
dell'indice. Era
perfettamente immacolato dalla polvere. Sorrise fra sé:
Remus era un
concentrato di prevedibilità e incomprensione incredibile.
Tonks
rimase appoggiata
al pianoforte e ascoltò la sua melodia delicata –
un po' troppo
triste, forse. Osservò il modo in cui i suoi capelli
scivolavano in
morbide ciocche ingrigite davanti al suo volto e i sinuosi movimenti
delle sue lunghe dita sui tasti bianchi e neri. Mentre lo guardava,
sentì ancora quell'improvvisa sensazione di calore alla
bocca dello
stomaco. Fu questione di un attimo prima che capisse che non si era
presa una cotta per Remus: se ne era completamente innamorata.
Quando
l'ultima nota
svanì nell'aria del salotto, Remus sollevò la
testa verso di lei e
le sorrise appena. Lei si chinò verso di lui, sfiorando
appena la
tastiera.
«Io
non capisco un
cavolo di pianoforti» disse lei con serietà,
scrutandolo
attentamente negli occhi. «Ma credo che tu lo abbia riparato
bene,
dopotutto».
«Non
era rotto» la
corresse docilmente lui. «Era solo da accordare».
«Remus,
sto cercando
di sfornare una perla di filosofia che neanche Merlino...! Ti
spiacerebbe smettere di essere così saccente per un altro
paio di
secondi?».
Lui
rise di nuovo.
«Come
stavo dicendo
prima che qualche pedante professore mi interrompesse...»
riprese
Tonks con vivacità. «L'hai messo a posto
bene».
Remus
inarcò perplesso
un sopracciglio, con le labbra arricciate in un sorriso divertito.
«Dov'è
la filosofia
in tutto questo?».
«Hai
aggiustato il
pianoforte» decretò lei con ovvietà.
«E non ti è importato
quanto vecchio potesse essere, quante volte potesse essersi rotto o
quante tarme lo avessero divorato nel corso degli anni. Non te ne
è
importato niente e lo hai ugualmente riparato».
«Qual
è
il filo
logico di tutto questo?».
Tonks
fece un sorriso
storto e si raddrizzò.
«Non
tutto è
importante e non a tutti importa di tutto»
dichiarò solennemente,
prima di ruotare sui tacchi e dirigersi verso la porta. «E
tanto
dovrebbe importare a noi tutti, no?».
«Ninfadora,
cosa--?».
«Non
chiamarmi
Ninfadora, Remus».
«Tonks»
la chiamò
infine, mentre lei abbassava la maniglia. «Cosa significa
quell'assurda filastrocca?».
Lei
si voltò e gli
rivolse un sorriso birichino.
«Significa
che a me
non importa niente, professore».
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