mi chiamo max
Mi
chiamo Max.
Ho diciassette anni.
E da un anno vivo da solo.
Abito in una casa di campagna nella periferia di una città.
Avevo anche un giardino.
L’ho cementato.
Odio il sole e non esco mai allo scoperto.
Nonostante ciò ho inspiegabilmente due occhiaie permanenti.
Non amo parlare.
Di solito mugugno.
Sono molto sintetico.
Si vede.
Ho un nome da cane.
Non solo.
Anche i capelli.
Marroni.
Corti.
Arruffati.
No, non ho le pulci.
Mi piace l’insalata.
Senza condimento.
Tendo a guardarmi spesso i piedi.
Li trovo molto interessanti.
Non rido e non scherzo.
Evito.
Sono sciatto nel vestire.
Pigro.
Dormo quando sono sveglio.
E sono sveglio quando dormo.
Sono favorevole all’isolamento
In sostituzione alla pena di morte.
Spero anch’io che i panda si riproducano.
In isolamento.
Non guardo la televisione.
Sono convinto che la televisione guardi me.
Non sono idoneo a nessuna forma di vita sociale.
E per questo non voglio che la vita sociale si introduca a casa mia.
Odio il suono del campanel…
Drrrrrriiiiiinnnnn…..
Max
appoggiò la matita, si alzò dal piccolo
tavolo in legno su cui stava scrivendo il proprio testamento, e
ciabbattò con calma verso la porta d’ingresso.
Giunto di fronte all’entrata, alzò lentamente il
braccio per spostare lo spioncino.
Ci sbirciò dentro.
Si appoggiò al muro e, con la mano con cui prima aveva
scostato lo spioncino, aprì leggermente la porta, ancora
ancorata al chiavistello.
“SalvesonoLouisBeckmandellaGrass&WaterCorporation!Sonovenutoperfarleunpiccoloaccennopubblicitarioinmeritoalgiardinaggiolavarietàdellepiantepiùamatedaiclientiglistrumentidalavoropiùpraticiesicurilenuoveproposteinmeritoallepiantagionipiùallamodacheviinvideràl’interovicinato!Sperodinonrubarledeltempopreziosomaleassicurochecimetteròmenodiunminuto!Nonsiamomicaquiapettinarelebamboleancheperchènonèilmiosettore!Sepuògentilmenteaprirmilaportalemostreròl’interocatalogoepotremoiniziareaparlaredinaturadatocheilprologodiproceduraèfinito!”
Max lo guardò.
Non aggiungo aggettivi perché Max non aveva una vasta gamma
di espressioni.
Ne aveva una.
E si chiamava…
“Zero voglia di vivere.”
In realtà c’era anche l’espressione
“Che cazzo vuoi.”, ma erano talmente simili che si
potevano confondere molto facilmente.
Però si era impegnato molto per creare quella variante.
In questo caso riuscì a farle entrambe simultaneamente.
Si guardò l’orologio.
Meno di un minuto....
“Via.” gli disse poi apatico.
“Comescusi?Nonhosentitobeneforsedovrebbeaprirelaportacosìnondeveurlareperfarsicapir…”
“Vada via.”
Aggiunse il verbo alla frase.
Ed era un caso raro perché solitamente bastava il suo
sguardo omicida a far andare via tutti i pubblicitari e i venditori
porta a porta. Ma quel biondino logorroico in giacca e cravatta
sembrava una mosca dura da far fuori…
“Nonhocapitodinuovo!” disse Louis avvicinando
l’orecchio alla porta
“Scusidev’essereilfattochestamattinamisonosvegliatoallecinqueedevoessereparecchiorintontitomaripetochesemiaprisselaportaio…”
“Vada via se ci tiene alla propria vita.”
Aveva arricchito il periodo.
E sembrava avesse davvero una gran voglia di ucciderlo. Come se di
fronte a sé avesse avuto una grande coppa di gelato che non
vedeva l’ora di assaggiare.
Anzi.
Di prendere a morsi.
Ovviamente tutto ciò era impercettibile, perché
racchiuso nell’unica espressione facciale di cui era dotato.
Quella standard.
“Zero voglia di vivere”.
Max guardò di nuovo l’orologio.
Il vecchio orologio da polso del nonno.
Ma il signor LouisBeckman (tutto attaccato) sembrava non aver voglia di
smuoversi. Anzi, più Max lo guardava, più gli
ricordava un cane in attesa che il padrone gli lanciasse il bastone.
E in questo caso il padrone era lui.
Anche se aveva un nome da cane.
“Senta, signor Beckman, le consiglio
vivamente….”
“Su, giovane, togliamoci ogni formalità!!!Avremo
più o meno la stessa età, io non voglio esserti
d’impiccio ma capiscimi, è il mio lavoro, devo
comprarmi lo skate nuovo, la tavola si è spaccata in due
come un uovo la settimana scorsa, e più faccio
pubblicità più vengo pagato, e più
vengo pagato più guadagno, e più guadagno
più…”
Max entrò in modalità insonorizzata.
Smise di ascoltarlo.
Il ragazzo pubblicitario aveva sì messo finalmente qualche
pausa tra una parola e l’altra, ma ciò non
cambiava comunque la situazione.
Guardò di nuovo l’orologio da polso.
Sospirò, alzando le spalle.
Tanto ormai….
Tolse il chiavistello alla porta e, prima che potesse aprirla
completamente, il signor LouisBeckman sfrecciò dentro la
casa inneggiando un “Grazieeee!”, il tutto alla
velocità della luce.
Luce.
Che brutta cosa.
Richiuse pian piano la porta, abbassando la maniglia e richiudendo il
chiavistello.
Poi si diresse, ciabattando, verso il divano e la poltrona, posti al
centro della stanza.
E sui quali ovviamente il signor LouisBeckman si era già
allegramente accomodato.
Si sedette sulla poltrona aggrappandosi ai due bracci laterali e
abbassandosi lentamente, come fanno gli anziani divorati
dall’artrite.
Chiuse per un attimo gli occhi.
Quando li riaprì il signor LouisBeckman era
già a metà del suo sermone…
“…perchèvedeutilizzandoquestotipoditagliaerbaconilparentalcontroldiminuisceilrischiocheibambinivenganoinvestitidaunadecinadilamerotantiesenecompradueentrolaprossimaestateilterzolopagalametàeleregaliamoancheuncespugliodibiancospinoinvistadelNatalesuccessivo!Nonlesembraunacosamagnifica?”
-Non-le-sembra-una-cosa-magnifica-?-
Dopo che il suo cervello in un paio di secondi ebbe scomposto la frase,
capì che si trattava di una domanda, e potè
quindi dare la propria risposta.
“Sì.” disse alzando lo sguardo dai
propri piedi al signor LouisBeckman.
Ma comunque non del tutto convinto della propria risposta.
“Magniiificoooo!!!!!Alloraperchènonordinaquestoquestoequest’altro?Aheanchequestoquimasecompraquestosiricordichec’èl’omaggiodiquest’altro!Eseaggiungealcarrelloancheunblablablablablablablablablablabla!!Blabla?”
Max non aveva capito nulla questa volta.
Il signor LouisBeckman l’aveva colto impreparato.
Forse aveva aumentato la velocità o forse aveva detto
veramente “…Blablablabla..”, prendendosi
gioco di lui.
Mah.
Comunque.
Il problema era che, non avendo capito la domanda, non sapeva quale
risposta dare.
Con un sì rischiava di vendere la propria anima al diavolo.
Con un no….
Anche con un no.
Torniamo a noi.
Era sconcertato.
Tentò di dimostrarlo con il viso.
Ma aggiungere nuove espressioni al proprio arsenale non era cosa
semplice.
Come fare del giardinaggio in un giardino cementat….
Aspetta.
Ecco la soluzione!
“Io non ho un giardino.” disse con una freddezza
invidiabile ad un igloo.
“…equindisevuoleaderireall’offertanoipossiamo…...COSAAAA????????”
Il signor LouisBeckman sembrava grandemente stupito.
Scioccato, oserei dire.
E la parola “cosa”, l’aveva
stranamente scandita benissimo…..
“TU-NON-HAI-UN-GIARDINO?!?!?!?”
“No.” disse Max indifferente, alzando le spalle.
“NEMMENO UNO SUL RETRO?!?!?!?
“No.”
“UN’AIUOLINA PICCOLA PICCOLA?!?!?!?”
“No.”
“UN ALBERO?!?!?!?”
“No.”
“UN BONSAI?!?!??”
“No.”
“UN VASO DI FIORI?!?!?”
“No.”
“UNA PIANTA GRASSA?!?!?!?!?!?”
“No.”
“E ALLORA P-E-R-C-H-E’ STO PERDENDO TEMPO CON
TE???????”
“Non saprei.”
Poteva non sembrare, ma Max rimase molto stupito di come ora il signor
LouisBeckman riuscisse a scandire le parole alla perfezione, anche
quando non era necessario.
E’ proprio vero che quando la gente si arrabbia mostra
un’altra faccia di sé….
“ALLORA PERCHE’ MI HAI FATTO
ENTRARE??????????” gridò il giovane LouisBeckman
mettendosi quasi le mani nei capelli.
I suoi lunghi capelli biondi…
Per un attimo Max li vide tutti a terra, sparsi sul pavimento.
“Veramente…” tentò di
puntualizzare.
Era stato lui a voler entrare.
Questa era la fine della frase.
Che però non terminò perché, prima che
potesse dire altro, il signor LouisBeckman prese in fretta e furia la
propria valigetta e i depliant che aveva sparso per tutto il salotto,
tolse con rabbia il chiavistello alla porta, e se ne uscì in
collera, tutto scomposto e arruffato.
La cravatta blu semi-slacciata gli dondolava a destra e a sinistra come
un pendolo, e la camicia azzurrino chiaro gli fuoriusciva da un lato
dei pantaloni.
Max si mise sull’uscio a guardarlo mentre si allontanava,
tenendo un braccio appoggiato sul proprio fianco e uno allo stipite
sinistro della porta.
E pensare che doveva essere lui ad essere in collera, dato che il
ragazzo-pubblicità aveva voluto entrare a tutti i costi di
prepotenza…
Va beh, tanto…
Improvvisamente uno stormo di piccioni che voleva ad altitudine
stranamente bassissima sfrecciò sopra il signor
LouisBeckman, e avviò all’unisono un attacco di
beccate di gruppo.
Questa volta Max tentò di cimentarsi in una smorfia di
dolore.
“OHHHHHHHHH, CAZZOOO!!!!!!!!!!! ALLONTANATEVI BASTARDI!!!!!
BRUTTI TOPI CON LE ALI!!!!!!!!!!!!” gridò il
giovane LouisBeckman scuotendo le braccia come se volesse spiccare il
volo anche lui.
Ma lo stormo di uccelli, anche se si era già sfogato,
continuava a svolazzargli attorno e ad infastidirlo quando,
d’improvviso, dal giardino del vicino spuntarono tre gatti
neri che non solo gli attraversarono la strada, ma che incominciarono
anche a saltargli addosso tentando di raggiungere i pennuti che gli
svolazzavano sopra.
“PORCA PUTTANA, VE NE VOLETE ANDARE,
BESTIACCE??????????” gridò ancora il signor
LouisBeckman tirando calci a casaccio nel tentativo di centrare almeno
uno dei felini.
Ma il povero pubblicitario non si era accorto che in quel momento
all’appello mancava un gatto, il quale era andato a svuotarsi
lo stomaco.
A vomitare, per intenderci.
Questa volta però non addosso al signor Louis… ma
in prossimità dei suoi piedi.
Alche non vi dico lo scivolone quando per sbaglio ci capitò
sopra….
Max continuò ad osservare dall’uscio il signor
LouisBeckman nella sua lotta per la sopravvivenza e, quando lo vide
scivolare a terra per aver pestato il rigetto del gatto, lo
compatì, dedicandogli un piccolo pensiero spassionato...
“Ahio.”
Il giovane pubblicitario tentò disperatamente di uscire dal
piccolo giardino cementato, passando dall’interruzione della
staccionata di cinta, ovvero dall’entrata.
Ma gli risultò parecchio difficile dato che era ancora sotto
attacco da parte di tutti gli animali.
Girava su sé stesso come una trottola impazzita e muoveva le
braccia come un pollo altrettanto pazzo.
Fatto sta che però, gira a destra gira a sinistra,
riuscì a centrare l’uscita, e si avviò
sul marciapiede.
Beh.
Diciamo che il marciapiede lo sfiorò con un
passo… perché si ritrovò direttamente
sul margine della strada principale.
Il problema era che… non se n’era nemmeno accorto.
Occupato com’era nella sua lotta, non fece caso al fatto che
una bicicletta si stava pericolosamente avvicinando a lui.
Ma ,fortunatamente, riuscì a scansarla all’ultimo.
Portandosi, però, verso il centro della strada.
Alche un carro funebre, che passava proprio di lì per caso,
non fece in tempo a frenare e….
Max richiuse la porta.
Abbassò la maniglia e assicurò il chiavistello.
Poi ciabattò verso il piccolo tavolino di legno.
Si sedette.
Guardò il foglio su cui stava scrivendo inizialmente, prima
di essere interrotto dal pubblicitario.
Lo prese tra le mani.
Lo accartocciò.
E lo buttò nel cestino che stava a fianco ai suoi piedi.
Prese un altro foglio.
Se lo mise davanti.
Impugnò la matita.
E cominciò a scrivere.
Mi chiamo Max.
Ho diciassette anni.
E quando una persona passa con me più di un minuto e tredici
secondi, viene attaccata pesantemente dalla sfiga.
Io ci provo ad avvisarla.
Ma il più delle volte non mi ascoltano…
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