- Prologo -
Un magico
momento
Era una spiaggia tropicale da sogno.
La sabbia bianca e sottile somigliava allo zucchero, le palme alte e
affusolate si inchinavano al cospetto
dell’immensità del mare. La distesa oceanica
risplendeva delle tonalità del tramonto, mentre il sole si
preparava a tuffarsi nell’acqua splendente di miriadi di luci
scintillanti. Lo sciabordio della risacca cullava l’atmosfera
perfetta. Una leggera brezza agitava i capelli della giovane coppia
seduta sulla sabbia, i loro abiti estivi e le grandi foglie delle palme
che sussurravano parole d’amore a quel tramonto
d’incanto.
Julian sospirò di beatitudine, poi si volse a guardare Amy
accoccolata al suo fianco. Anche lei osservava incantata la sfera
infuocata del sole che si immergeva fra le onde dell’oceano.
Il cielo di quello splendido tramonto era di un rosso intenso che a
oriente sfumava già nel violetto del crepuscolo.
Fece correre la mano sul braccio nudo della giovane in una carezza
seducente che le provocò un brivido di piacere su, lungo la
schiena lasciata scoperta dal tessuto a fiori dell’abito
estivo.
“Questo luogo è bellissimo e goderlo insieme a te
è un’emozione stupenda.”
Amy arrossì, perdendosi nel suo sguardo pieno di desiderio.
“Oh Julian…” mormorò.
Lui sorrise, abbagliato dallo spettacolo dei suoi occhi scintillanti
del riflesso del sole al tramonto. Avvicinò il volto a
quello di Amy e sfiorò con le proprie le labbra protese
verso di lui, in un bacio che si fece subito ardente come il fuoco. Le
braccia di Julian circondarono quel corpo femminile così
perfetto nell’adattarsi al suo, ma proprio
nell’istante in cui si lasciavano cadere tra la sabbia, il
trillo crudele e improvviso di un telefono annientò la magia
del momento. Si guardarono costernati, poi la sorpresa di Amy
mutò in collera.
“Julian rispondi!”
Il ragazzo si frugò addosso in tutta fretta, alla ricerca di
un cellulare che era sicuro di non avere con sé. Si
tastò nelle tasche della camicia, poi in quelle dei
pantaloncini, cercando la fonte di quel trillo da incubo che continuava
insistente. Fu inutile.
Amy si scostò, affondando irritata le dita nella sabbia.
“Julian? Allora?”
“Non sono io.” si guardò intorno ma non
vide nulla che potesse dare una spiegazione agli squilli che gli
stavano penetrando penosamente nel cervello, seguiti dall’ira
della fidanzata. La spiaggia era deserta a parte loro stessi, gli
alberi e l’immensità dell’oceano. E un
telefono.
Amy puntò su di lui un dito minaccioso e accusatorio.
“Fallo smettere, Julian!”
“Vorrei davvero, ma non so come!”
Tornò a frugarsi disperato nelle tasche ma niente. La fonte
di quel suono non veniva fuori e, Julian lo vedeva, Amy stava perdendo
la pazienza. Il sorriso con cui lo aveva affascinato giusto una
manciata di istanti prima era scomparso dal suo volto. Gli occhi con
cui adesso lo guardava, che finora avevano sprizzato amore e
passione, erano socchiusi e carichi di collera. Come se il
cambio repentino del suo umore non fosse già sufficiente a
esternare la sua contrarietà, Amy si alzò.
“Quando imparerai a spegnere quel maledetto cellulare? Le tue
fan ti chiamano in continuazione, in ogni momento! Pure in
questo!”
“Ma Amy!” Julian si tirò su con uno
scatto e le prese una mano per trattenerla “Ti assicuro
che…”
Lei lo spinse indietro, lui inciampò tra i dislivelli della
sabbia, perse l’equilibrio e crollò
seduto. Il cielo arrossato del tramonto scomparve, le palme
scomparvero, l’oceano scomparve, la sabbia scomparve e
scomparve persino Amy.
Intorno a lui il buio delle tende tirate della sua stanza e una debole
luce che si insinuava ai lati del tessuto, lasciando scorgere le ombre
scure della scrivania, dell’armadio, della libreria, della
sedia, della porta. La spiaggia tropicale non c’era
più, il suo sogno si era dissolto portandosi via Amy, i suoi
baci, il suo amore e fortunatamente anche la sua collera. Soltanto una
cosa era rimasta. Quel maledetto suono squillante che stava continuando
a perforargli i timpani.
Per sottrarsi al micidiale trillo della sveglia, nascose esasperato la
testa sotto il cuscino e tese una mano verso il comodino, urtando un
pesante libro in bilico sul bordo del ripiano.
L’intensità del tonfo sul pavimento gli fece
capire che si trattava del manuale di chimica che aveva tentato di
studiare la sera prima, senza troppo successo. Muovendo ancora le dita
a casaccio, gettò a terra la matita e probabilmente, anche
il cellulare. La sveglia, invece, continuava a trillare. Si
tirò su di scatto e lanciò un’occhiata
carica di odio all’orologio.
-Sono in vacanza, maledetto te!-
In quel momento prese atto di due cose: che erano le sette e che non
era la sveglia a fare tutto quel fracasso.
-Arrivo, arrivo!- sentì sua madre affrettarsi nel corridoio
-Pronto?-
Diamine! Era il telefono di casa! E per averlo svegliato doveva aver
squillato a lungo. Ringraziando cielo e terra che il trillo fosse
cessato, dopo aver affibbiato un paio di insulti molto sentiti a chi
disturbava a quell’ora, Julian sprofondò di nuovo
tra le lenzuola pronto a riprendere il sogno così
bruscamente e spietatamente interrotto, convinto che adesso le cose con
Amy sarebbero andare molto meglio, fino a concludersi in bellezza. Non
fece in tempo a pensarlo che sua madre bussò alla porta.
-Julian, tesoro… è per te.-
Il ragazzo si girò sulla schiena, gli occhi al soffitto
spalancati di infastidita incredulità. Chi gli voleva
così male da chiamarlo tanto presto? Forse
l’onirica vendetta di Amy aveva travalicato il sogno? Non
sentiva la fidanzata ormai da tre giorni, a parte un paio di suoi
messaggi telegrafici che però secondo lui non facevano
testo. Nonostante le avesse insistentemente chiesto spiegazioni sulla
sua sparizione improvvisa, non era riuscito a scoprire dove fosse
andata a cacciarsi e la cosa si stava facendo inquietante,
nonché foriera di scomodi dubbi. Solo la fiducia immensa e
incondizionata che poneva in lei riusciva a scalzare il sospetto di un
doloroso tradimento. Un tradimento del quale, anche tornando indietro
con i ricordi, non riusciva ad avere sentore. Quattro sere prima,
quando si erano incontrati l’ultima volta e l’aveva
invitata a cena per la sera successiva, lei gli aveva detto senza
sbilanciarsi che aveva già un impegno e quando Julian aveva
rilanciato la proposta per la sera ancora dopo, Amy aveva nicchiato con
un sorrisetto di circostanza, facendogli capire al volo che rifiutava
l’invito per quello e i giorni seguenti. Il dubbio di non
essere al corrente di qualcosa si era insinuato in lui
all’istante. Aveva persino pensato che ci fosse sotto lo
zampino di sua madre, con la quale la fidanzata ultimamente andava
d’accordo a giorni alterni. Ma quando aveva cercato di
indagare più a fondo, Amy gli si era avvicinata con
tutt’altre intenzioni e tra una cosa e l’altra si
era poi dimenticato di informarsi. Forse, pensandoci ora, la sua era
stata una ben riuscita manovra diversiva.
-Julian!- la voce di sua madre si fece più vicina e
più insistente -Julian, vieni a rispondere.
C’è Philip Callaghan al telefono. Dice che
è importante.-
Philip Callaghan! Se si fosse trattato di Amy sarebbe saltato
giù dal letto… ma Philip! Nulla di quello che
doveva dirgli poteva essere così urgente, tanto
più che tra poche ore si sarebbero visti! Non poteva
aspettare e parlargli più tardi? Che fretta c’era?
-Julian!- insistette la donna, lasciando trapelare un velo di fastidio
sufficiente a indurlo ad alzarsi. Sua madre era la persona
più petulante del mondo.
-Arrivo…- scalciò via le coperte e
balzò giù dal letto, restando impigliato con una
gamba nel lenzuolo. Inciampò tra le pieghe della stoffa e
cadde in ginocchio -Merda!-
-Julian!- lo rimproverò lei al di là della porta
-Sai che detesto sentirti parlare così!-
-Non sto parlando!- gridò di rimando. Stava imprecando,
porca miseria. Possibile che sua madre non capisse la differenza? E poi
perché non era ancora uscita? In genere lei e suo padre alle
sette erano già fuori casa. Agitò un piede per
sganciarsi dal lenzuolo aggrovigliato al polpaccio come
un’edera, calciando il cuscino dall’altra parte
della stanza. Quando fu finalmente libero incespicò sulle
pantofole. La fugace impressione di essersi alzato quella mattina
più goffo di un elefante in un negozio di cristalli
contribuì ad accrescere il suo malumore. Soffocò
una nuova imprecazione per non farsi udire da sua madre e non doverla a
sua volta sentire, poi raggiunse la porta. Intravide il cappotto di
panno blu oltremare della signora Ross svolazzare sulle scale e la sua
voce avvertire il papà che stava arrivando. Erano in ritardo
come al solito. Presto, molto presto, suo padre avrebbe ripreso
l’abitudine di andare in ufficio in anticipo o più
tardi, evitando così di fare una parte del tragitto con lei.
Julian agguantò il cordless appoggiato sulla libreria del
corridoio e Philip rispose con voce mielosa al suo poco cordiale
grugnito.
“Ciao Julian, come stai?”
-Che or’è lassù da te?-
La scortese domanda che gli rimpallò il ragazzo,
lasciò l’altro interdetto. Seguì un
attimo di silenzio, durante il quale Julian soffocò uno
sbadiglio e Philip pensò in fretta e furia al modo migliore
per rendere il compagno più affabile. Julian lo
batté sul tempo.
-Insomma, cosa vuoi? Stavo dormendo!-
“Mi dispiace di averti svegliato ma è
importante…” esitò “Sai
dov’è Amy?”
Una sorta di allarme scattò nella mente ancora assonnata di
Julian, il dubbio che aveva rifiutato di mettergli radici nella mente.
-Amy? Mi hai telefonato per parlare di Amy?-
“No, non…”
-Cosa c’entra Amy?- l’idea, angosciante e
inaccettabile, prese forma definitivamente -L’hai forse vista
con qualcuno?- qualcuno che non era lui, ovviamente. Impossibile,
pensò un istante dopo. Philip abitava troppo lontano.
Però forse qualcuno poteva averla vista con qualcun altro e
non avendo il coraggio di avvertirlo, aveva lasciato
l’incombenza a Philip. Ma perché Philip?
“No, no! Che vai a pensare? Non è niente di tutto
questo!” lo tranquillizzò togliendogli un bel peso
“Piuttosto, rispondi alla mia domanda.”
-Cos’è un indovinello? O forse mi stai
ricattando?-
“Julian, non ti scaldare così! Non ti sto mica
insultando! Ti sei alzato con il piede sbagliato?”
-Mi sono alzato all’ora sbagliata!-
Philip soffocò un sospiro, iniziando sul serio a pentirsi di
averlo chiamato. Forse avrebbe dovuto telefonare a Bruce, o magari
direttamente a Holly.
-Ieri sono rimasto a studiare fino a tardi e grazie a te
avrò dormito sì e no cinque ore.-
“A che ora hai messo la sveglia? Devi prendere un
aereo… o lo hai dimenticato?”
-Magari lo avessi dimenticato! Non ho nessuna voglia di partire!-
Philip prese definitivamente atto del fatto che chiamarlo non era stata
una buona idea.
“Va bene, come non detto.”
-Non provare a riagganciare! Dimmi dov’è Amy,
piuttosto, visto che almeno tu lo sai. Perché tu lo sai e io
no? Lo sai, vero?-
“Sì, lo so. Amy è con Jenny, Patty ed
Evelyn.”
La notizia lo incuriosì. Amy, Patty ed Evelyn si conoscevano
ma lei e Jenny non si erano mai incontrate. Tirò
giù con un piede il pigiama che sull’altra gamba
era rimasto arrotolato sotto il ginocchio, lasciando il polpaccio
esposto al freddo mattutino.
-E perché? Cosa ci fanno insieme? Soprattutto dove?-
“Sono in… montagna.” Philip si tenne
vago, il tono di Ross non lo invogliava a spiattellargli la
verità. Lo sentiva così di malumore che
probabilmente, invece di schierarsi dalla sua parte come aveva sperato,
avrebbe finito per prendersela con lui. E allora addio complice!
Insomma, aveva fatto proprio male a chiamarlo.
-Insieme? In montagna dove?! Callaghan, piantala con gli indovinelli!
Mi sono stancato!-
“Come vuoi. Amy è a Shintoku con le
altre.”
-Shintoku. Perché mi sembra di aver già sentito
questo nome?- all’improvviso capì e gli ultimi
residui di sonno scomparvero d’incanto -Diavolo, Philip! Mi
stai dicendo che ci saranno anche loro?-
“Proprio così.”
-Il mister lo sa? E gli altri? E Holly?-
“Sei tu il primo a saperlo.”
-Grazie tante! Bel regalo! Adesso sono finito nei guai
anch’io, per complicità.- stufo di parlare in
piedi e ormai ben sveglio, si trascinò scontento lungo il
corridoio, entrò nello studio del padre e si
lasciò cadere sulla poltrona -Come stanno le cose in
realtà? Chi ha organizzato tutto?-
“Pensavo che rivedere Amy ti avrebbe fatto
piacere.”
-Certo che mi fa piacere! Ma se Gamo lo viene a sapere finiamo tutti
nei guai! In guai seri!- per un attimo gli balenò nella
mente l’espressione dell’allenatore furiosa a
prescindere e l’insopportabile eco dei suoi rimproveri.
Rabbrividì -Tu vuoi sentirlo? No, vero? Bene, neppure io!-
“Se nessuno glielo dice non verrà mai a
saperlo.”
-Questo lo so! Ma Holly? Secondo te anche lui sarà felice
dell’invasione?-
“Credo di sì, perché no? È
per questo che ti ho telefonato. Visto che lo vedi prima di me intanto
puoi avvertirlo.”
Julian ammutolì e Philip, all’altro capo del
telefono, trattenne il fiato. Il silenzio durò mezzo
secondo, poi Ross esplose.
-No! Neanche morto! Non dirò nulla, non avvertirò
nessuno! Voglio restarne fuori!-
“Ci entrerai lo stesso e sai perché?
Perché Amy è a Shintoku e penseranno che sei
d’accordo anche tu!”
-Non avresti dovuto fare una cosa simile!-
Philip mentì, appena un pochino.
“Cosa c’entro io? Jenny mi ha telefonato soltanto
quando ormai erano tutte lì!”
-Chi le ha detto dove saremmo andati?-
“Amy non lo sapeva?”
-Philip, non farmi scemo. Non sei stato proprio tu a suggerire al
mister quell’hotel?-
Seguirono alcuni istanti di silenzio.
“Me l’ha consigliato Jenny.”
-Immaginavo.-
“Cosa avresti fatto al mio posto?”-
-Lasciamo stare. Diamine! Hai fatto un casino!-
“Io non ho fatto niente.”
-Hai ragione, non ancora.-
Philip ingoiò l’accusa, aggrappandosi
all’ultimo filo di speranza.
“Allora avvertirai gli altri?”
-Ti ho detto di no! Rifletti un istante, Philip. Se lo sapessero prima
di partire qualcuno potrebbe decidere di restare a casa. Mark o Benji,
per esempio. O peggio ancora potrebbero andare a spifferare tutto al
mister. Immagini cosa succederebbe? Io sì. Lasciamo che ci
pensino loro.-
“Loro chi? Le ragazze?”
-Secondo me è la cosa migliore.-
Philip valutò la controproposta. Forse Julian non aveva
tutti i torti. Di fronte al fatto compiuto, o meglio di fronte alle
ragazze presenti, i compagni avrebbero ingoiato.
“A che ora arrivate?”
-All’una meno un quarto.- Julian soffocò uno
sbadiglio e si grattò un ginocchio -Visto che ormai sono
sveglio credo che chiamerò Mark, tante volte gli venisse in
mente di inventare una scusa per filarsela all’ultimo
momento. Gamo questa volta non gliela perdonerebbe. E dato che siamo
già nei guai fino al collo, è meglio evitare
altri problemi.-
“Credo anch’io. Ci vediamo più
tardi.”