Quel pazzo,
piccolo
e potente
sorriso
Ero solo un bambino quando vidi, per
la prima e non ultima
volta, la morte.
Non posso spiegare cosa provai in
quel momento, anche se le sensazioni
sono tutt’oggi sgradevolmente presenti nella mia vita.
E non posso neanche spiegare gli
attimi seguenti. Un misto
di gioia, paura, tristezza, angoscia, tranquillità,
serenità, ansia.
Pazzia. Così lo chiamano.
Ricordo il respiro affannoso dei miei
amici che correvano
per mettersi in salvo. Ricordo le loro lacrime, i loro abbracci con i
genitori,
le loro carezze e i loro piccoli, seppur potenti, sorrisi. Ricordo la
disperazione negli occhi dei londinesi, ricordo i cuori infranti e le
promesse
dimenticate, i movimenti caldi e amorevoli e tragici, tutto insieme.
E anch’io avevo il respiro
affannoso. Anch’io avevo la
disperazione negli occhi. E anch’io avevo il mio abbraccio e
il mio piccolo,
seppur potente, sorriso.
Quel pazzo,
piccolo e potente sorriso che mi illuminava il volto disperato e rigato
di
lacrime di quel giorno.
Quel pazzo,
piccolo e potente sorriso che qualcuno mi aveva tirato fuori.
Ricordo quel qualcuno. Quel qualcuno
mi salvò da una morte
certa. Due volte.
E che ora è davanti a me.
Non posso spiegare neanche le
sensazioni che provo in questo
momento, risentendo la sua voce e osservando i suoi lineamenti
perfetti.
Studiando i suoi occhi profondi e le sue espressioni enigmatiche, provo
qualcosa di insolito per il resto del mondo, ma tristemente comune per me.
Pazzia, lo
chiamavano.
Perché io, adesso, la
chiamo Amore.
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