Come
sangue e neve.
A
lui piaceva molto il bianco.
Era
un colore freddo, accecante, ma nello stesso tempo avvolgente,
rilassante. Gli piaceva così tanto che il suo ragazzo gli aveva
concesso di far girare tutta la casa su quel colore. O quasi tutta.
Ricordava
perfettamente l'istante in cui il bianco era diventato il suo colore
preferito in assoluto.
Era
stato quando Yutaka era uscito dal camerino, il corpo color caramello
infilato dentro un completo bianco, che risaltava ancora di più e
sembrava mille volte più luminoso in contrasto con la sua pelle, coi
capelli scuri, con gli occhi neri come la notte. Era stato il momento
in cui aveva eletto il bianco come sovrano fra i colori. Persino il
suo amato nero e il suo viola sensuale perdevano il loro in favore
del bianco.
Ricordava
che quel giorno era stato costretto a raccogliere la sua mascella dal
pavimento.
Yutaka
stava bene con indosso qualsiasi
cosa, ma vestito di bianco sembrava un dio.
«Posso
aiutarla?»
Erano
venti minuti che girava a vuoto.
Avrebbe
potuto puntare direttamente il bancone all'ingresso per ottenere in
pochi istanti l'informazione che gli serviva, ma inspiegabilmente
appena entrato aveva perso tutta la voglia di vederlo e si era messo
a camminare per i corridoi, sperando si sembrare qualcuno che sapesse
perfettamente dove voleva andare.
Aveva
avuto paura.
«Hai.
La... stanza 17?»
Era
tutto sbagliato.
Lui
era sbagliato, i jeans che indossava erano sbagliati, e quella maglia
verde con la sagoma scura delle gambe di una donna era sbagliata.
Il
numero della stanza era sbagliato.
Le
pareti bianco spento erano sbagliate, i pavimenti bianco sporco, le
divise di un bianco freddo, era tutto sbagliato.
«In
fondo al corridoio, giri a sinistra. Le camere dalla 13 alla 17 sono
là.»
«A-arigato.»
Quel
patetico balbettio era sbagliato.
Quando
erano andati a vivere assieme, aveva scoperto in lui un'insana
e morbosa passione per il rosso.
Aveva
intuito che quel colore potesse piacergli particolarmente il giorno
cui, vedendo Takanori con i capelli color fuoco, gli era andato
incontro saltellando, le mani giunto sotto al mento e un gridolino
poco in tono con l'immagine di batterista rock.
Ryo
aveva passato due settimane buone ad immaginarsi la sua
cresta in rosso.
Uruha
l'aveva dissuaso da fare qualche pazzia appena in tempo.
Aveva
capito fosse fra i suoi colori preferiti, non che covasse verso il
rosso una ossessione
così intensa.
La
loro camera da letto era un tripudio non indifferente di nero, bianco
e rosso.
Le
pareti erano rosso sangue, lo scheletro del letto in ferro nero, le
lenzuola giocavano tutte sul bianco e sul nero, anche se Yutaka era
riuscito ad infilarci in mezzo un cuscino rosso cui si aggrappava
ogni notte, cuscino che lui avrebbe fatto sparire all'istante se
avesse potuto.
Primo,
perchè centrava come un cavolo a merenda con qualsiasi lenzuolo
avessero mai provato.
E
poi... dormiva anche lui in quel letto, perchè doveva abbracciare
proprio un cuscino pulcioso?
«Ce
ne hai messo di tempo.»
Uruha
era appoggiato al davanzale della finestra, una sigaretta spenta fra
le dita, lo sguardo leggermente severo.
«Non
trovavo la camera.»
«Balle.»
Gli
regalò un sorrisetto mesto.
«Già,
balle.»
Da
quando era entrato non aveva degnato quel letto del più minimo
sguardo. Sentiva che sarebbe potuto crollare come un castello di
carte se solo avesse visto quanto stonava quel
bianco sul suo Yutaka.
Il
primo ad aprirgli gli occhi era stato Aoi.
Non
sapeva bene come, ma Yuu era sempre stato particolarmente abile a
farlo aprire come i petali di un fiore. Uruha
era il suo migliore amico, senza ombra di dubbio, a lui diceva tutto,
quando si rendeva conto di cosa frullasse nella sua testa. Ecco, Aoi
lo aiutava a comprendere quello che poi lui sarebbe andato a dire a
Uruha.
A
volte si sentiva a disagio a non capirsi da solo.
Avevano
cominciato a prendere in giro Takanori per uno stupidissimo paio di
pantaloni rosa e per farsi consolare (ma soprattutto per eliminare il
broncio del vocalist prima che Kai arrivasse e potesse vederlo) gli
avevano giurato sui loro gioielli di famiglia che sarebbe stato da
incanto
(avevano detto proprio “incanto”) con qualsiasi colore.
Ryo
non si ricordava come erano arrivati a parlare di Kai, ma non appena
Aoi aveva cominciato a buttare qua e là qualche commento, la
sigaretta fra le labbra, fu come se si ricordasse all'improvviso
qualcosa di importantissimo e scordato.
«Ha
bisogno di te, Ryo.»
«Lo
so.»
Uruha
aveva rimesso la sigaretta nel pacchetto, con dei gesti nervosi e
bruschi. Poi aveva alzato gli occhi sul suo viso, guardandolo come se
potesse scavargli l'anima con un piccone e cullare fra le proprie
dita quel cuore pulsante e terrorizzato.
«Starà
bene.»
«Lo
so.»
L'avrebbe
abbracciato e carezzato a lungo, gli avrebbe sussurrato parole
confortanti, si sarebbe fatto carico della sua paura e avrebbe
lasciato al suo posto solo pace e calma. L'avrebbe riposto nel torace
solo quando l'avrebbe visto riposare quieto.
«Ryo?»
«Mh?»
«Non
devi... aver paura.»
«Lo
so.»
Sai
perchè? Perchè confrontato con noi altri quattro, lui ha la pelle
molto più scura, sembra quasi abbronzata.
Era
del colore del caramello, o di un biscotto.
Poi
ha i capelli e occhi molto scuri.
Erano
entrambi color cioccolato.
Ruki
ha la pelle praticamente bianca, infatti quando veste di nero è
ultraterreno. Kai invece no. Vestito di nero la pelle e gli occhi
scuri perdono tutto il loro fascino, si confondono con gli abiti.
Invece
il bianco esalta la sua pelle, i suoi occhi, li sottolinea.
Il
bianco gli stava addosso come una seconda pelle, una seconda,
perfetta pelle creata da Madre Natura solo per lui.
Uruha
mi aveva salutato pochi silenziosi minuti dopo.
Solo
in quel momento mi ero azzardato a voltare lo sguardo.
La
sua pelle color biscotto aveva perso colore, era pallida, sciupata.
Quegli occhi scuri color cioccolato erano chiusi.
Il
bianco della stanza lo soffocava, lo legava. Avrei voluto
strapparglielo di dosso e avvolgerlo nel mio nero, nel mio viola. O
anche nel suo rosso, se gli piaceva. Avrei colorato il mondo intero
di rosso, anche col mio sangue se avessi potuto strappargli quel
bianco di dosso.
Mi
avvicinai lentamente, quasi temendo che compiendo movimenti troppo
affrettati avrei potuto ferirlo.
Ancora.
Solo
in quello mi accorsi e abbozzai un sorrisetto.
Svegliati
Yutaka, svegliati e guarda il tuo rosso.
~
«Hai
una minima
idea di quanto tu mi abbia fatto spaventare?»
Bip...
bip... bip.
Evidentemente
dormendo dovevo aver inconsciamente accorciato le distanze. Mi
ricordavo di essermi addormentato accanto al letto, su quella
scomodissima poltrona; di certo non di essermi chinato sul materasso
e avergli preso una mano.
Mi
ero svegliato e la prima cosa che avevo visto erano stati i suoi
occhi. Era rannicchiato di fianco, e stava disteso scomodissimo solo
per poter respirare sulle mie labbra.
«Gomen
ne.» mormorò fingendo di essere dispiaciuto, ma si vedeva lontano
un miglio che moriva dalla voglia di sorridere.
Bip...
bip... bip.
«Sei
un baka. Perchè stavi correndo così forte?»
Lui
inclinò il volto, come se si aspettasse che io conoscessi già la
risposta alla domanda che avevo posto.
«Stavo
venendo da te.»
«Mica
scappavo.»
«Lo
so.»
«E
quindi?»
Lanciai
un'occhiata seccata alla macchina che monitorava il suo battito.
Quando finalmente avevo scoperto che non era assolutamente in punto
di morte, l'infermiera mi aveva spiegato che quell'odioso
marchingegno era solo una precauzione, che lo tenevano in
osservazione solo perchè aveva subito un leggero trauma cranico e
che volevano accertarsi che fosse tutto a posto.
Bip...
bip... bip.
Avevo
scoperto che aveva quell'aria da straccio sbattuto e comatoso solo
perchè le infermiere erano state costrette a sedarlo per farlo stare
seduto. Mi avevano raccontato che non ne voleva sapere di arrivare
tardi. Da me.
«Mi
sono solo lussato una spalla...» mormorò di nuovo, ora sinceramente
dispiaciuto.
«E
graffiato il volto.»
Aveva
le labbra leggermente abrase dall'asfalto e un taglio più netto che
tagliava un brutto gonfiore sulla fronte.
Rosso.
«Niente
che mi abbia messo in pericolo di vita.»
Già,
niente.
Cadendo
dalla moto io mi ero conciato ben peggio.
Il
punto era che Uruha non
me lo aveva detto!
«Meglio.»
sbottai, più brusco di quanto volessi.
Della
telefonata avevo capito solamente il nome del mio ragazzo, l'ospedale
e qualche vago farfugliare a proposito di una moto. Ero arrivato
all'ospedale nella metà del tempo che ci avrei mezzo rispettando i
limiti di velocità, ma l'idea di vederlo stare male mi aveva fatto
perdere anche i minuti che avevo guadagnato.
Bip...
bip... bip.
«Non
possono spegnerla, cazzo?»
Calò
uno scomodo silenzio, tagliato e interrotto solo dal battito del suo
cuore.
«Ryo...»
«La
odio.»
Mi
voltai; ero sempre stato restio a sciogliere il muro di riservatezza
che mi divideva dal mondo, anche con lui, ma sentivo che in quel
momento continuare a dargli le spalle lo avrebbe ferito.
I
suoi occhi color cioccolato mi scrutavano, preoccupati, cercando
inutilmente dentro essi un motivo che giustificasse la mia asprezza
nei suoi confronti.
«Non
voglio sentire battere il tuo cuore; vivrei nel terrore che si
spegnesse all'improvviso. Preferisco sentirlo silenzioso,
immaginarmelo e illudermi che non possa fermarsi mai.»
Bip...
bip... bip.
«Ryo...»
mormorò con delicatezza; dopo aver attestato melensamente di
dipendere totalmente da lui, avevo abbassato lo sguardo, imbarazzato,
le guance bollenti. «Io... dei,
ti amo. Ti amo, cavolo, ti amo.»
Lo
guardai a lungo, fisso. Non riuscii a staccarmi da quello sguardo per
un lasso interminabile di tempo.
«Cosa
ho fatto per meritarti?» sbuffai stancamente, appoggiando il capo
sul suo grembo.
«Per...
meritarmi?»
«Tu
mi ami e io sono... beh, non sono nessuno. Non merito tanto.»
«Ryo...»
esalò quasi indignato «Tu mi hai permesso di vivere un sogno e lo
fai ogni santo giorno. Mi hai regalato prima un fratello prezioso e
poi il compagno più... speciale
che potessi mai desiderare; e mi hai concesso la gioia di non dover
scegliere fra i due. Tu... mi hai insegnato a suonare il basso e-»
«Se
quello lo chiami suonare...»
Neanche
una formica avrebbe potuto farmi meno male del lieve schiaffetto che
mi diede sulla nuca.
«Baka,
io parlavo seriamente! Ci sono mille e più motivi perchè tu-»
«Ti
amo anche io.»
Silenzio.
Silenzio.
«Ryo...»
fu quasi un soffio quello che mi raggiunge e spezzò la tensione.
Gli
risposi con un solo sguardo.
«Mi...
mi baci?»
Le
mia dite gli chiusero gentilmente le labbra ancor prima che
terminasse la frase, uccidendo dolcemente le sue parole prima ancora
che mi rendessi conto che, da quando avevo messo piede in quella
stanza fredda, non l'avevo ancora baciato.
Borbottai
un vago insulto rivolto alla mia persona mentre mi avvicinavo al suo
volto.
Bip...
bip, bip, bip...
Era
tutto a posto.
La
sua pelle color biscotto era a posto, stava riacquistando colore, la
mia maglietta verde con la sagoma delle gambe di una donna era a
posto, ora che lui ne aveva stretto lentamente un lembo, quegli occhi
color cioccolato erano a posto, ora che mi guardavano, aperti, ed
erano brillanti, lucidi, vivi
e quel bianco freddo che lo circondava e che non riusciva a placare
il calore del suo sguardo era a posto e...
Bip,
bip, bip, bip-bip-bip-bip.
«Yutaka...
il tuo cuore...» bisbigliai sulle sue labbra, così vicino che
parlando le avevo sfiorate, desiderando solo di farle mie per
l'eternità.
Bip-bip-bip-bip-BIP-BIP-BIP-BIP.
«Mi
fai sempre quest'effetto, Ryo, anche solo avvicinandoti.» rispose
con una risatina, mentre le sue guance si tingevano di un delizioso
colore rosato che mi faceva perdere la testa ogni volta. Fece
scivolare una sulla mia nuca.
Avrei
voluto strappargli i fili che legavano il suo torace a quella
macchina infernale solo per collegarci il mio, e fargli sentire di
quando il mio cuore andasse in orbita anche solo per un sorriso, per
uno sguardo e di quanto fosse impazzito a suo tempo non appena
l'avevo visto uscire da quel camerino vestito di bianco.
Emise
un minuscolo verso soddisfatto, un piccolissimo mmh
che raggiunse la mia mente come il colpo di una pistola e annullò
all'istante l'universo che mi circondava.
Il
suo cuore batteva contro i palmi delle mie mani mentre mi baciava e
nello stesso tempo era un furioso sottofondo, sfocato, attutito, ma
non per questo meno impetuoso.
BIP-BIP-BIP-BIP-BIP.
«Ah,
ecco spiegato il mistero!»
Conclusi
il bacio frettolosamente, agganciando la figura di Yuu sulla porta
come un caccia-bombardiere aggancia il suo nemico. Gli volevo un bene
dell'anima, ma avrei potuto farlo fuori solo per aver interrotto il
nostro bacio e quello che stavo cominciando a considerare il più
bello e il più spaventoso suono del mondo.
Fece
un cenno all'infermiera, che aveva gettato uno sguardo preoccupato
dentro alla stanza.
«Vede?
È tutto a posto.»
Puoi
dirlo forte, amico mio.
«Io...
sono mortificata. Ho visto... il monitor, sembrava impazzito...»
«Non
si preoccupi.» la tranquillizzò Yutaka, rafforzando la presa sulla
mia nuca.
Bip,
bip, bip, bip... bip... bip... bip.
«Mi
scusi...» la mia debole intromissione suonò come l'impacciato
richiamo di un coniglietto. Mi schiarii la voce, seriamente in
imbarazzo. «Quando lo rilasciate?»
Yutaka
ridacchiò. «Non sono mica un carcerato...»
L'infermiera
ci sorrise timidamente. «Fra pochi minuti viene a visitarla il
dottore, e poi può tornare a casa.»
Mi
raddrizzai -dopo essermi accorto che avevo assistito alla
conversazione semi-sdraiato su di lui- e aspettai che Yuu e
l'infermiera ci lasciassero nuovamente soli.
Se
conoscevo anche solo un po' quel lunatico chitarrista, in quel
preciso istante stava raccontando a Uruha e Ruki della scenetta del
bacio e dell'infermiera, sghignazzando senza pietà.
Guardai
Yutaka intensamente.
Non
era quello il bianco che più gli donava. Era troppo... freddo,
aspro. E neanche un bianco un po' più dolce e cremoso gli si sarebbe
accostato meglio del bianco della mia pelle.
Sbuffai.
Meglio che quel dottore si sbrigasse.
Gli
lasciai un piccolo bacio sulla fronte, allontanandomi abbastanza in
fretta perchè il suo cuore non ricominciasse a ballare la polka con
quel dannato macchinario e sfuggii al suo abbraccio ridacchiando e
riprendendo posto sulla poltrona. Lui abbozzò un broncio, prima di
lasciarsi cadere nuovamente sul letto.
«Voglio
stare un po' da solo con te...»
Gli
sorrisi.
«Voglio
arrivare presto a casa e vestirti di bianco.»
~
«Lo
sai che non sono fatto per le sorprese!» si lamentò per l'ennesima
volta, mentre tentavamo un suicidio di coppia sulle scale; appena gli
avevo fatto intendere che in camera da letto ci sarebbe stato un
regalo per lui avevo dovuto faticare per costringerlo a chiudere gli
occhi.
E
visto che quando si parlava di sorprese Yutaka andava fuori di sé
dalla curiosità, alla fine avevo dovuto chiuderglieli io stesso con
le mani. Ero stato, in parole povere, costretto
a stargli appiccicato come una cozza, salendo le scale incollato
alla sua schiena.
«No,
rettifico. Sei tu uno stronzo che non mi dai neanche un indizio.»
«Yutaka,
lo vedrai fra esattamente sette secondi, che senso ha?»
«...sei
uno stronzo comunque!»
Quando
fummo in camera e gli permisi di vedere poco mancò che si mettesse
ad urlare.
«Rosse!
Per tutti gli dei, Ryo, sono rosse!»
Anche
l'ultimo, valoroso baluardo bianco era scomparso in un turbine di
lenzuola rosso sangue, di una tonalità appena più scura delle
pareti e appena più chiara del tappeto.
Se
non altro ora il pulcioso cuscino aveva senso.
Ero
ferme a questo ponderazioni cromatiche quando lo vidi arraffare di
tutta fretta qualcosa dal cassetto e nasconderlo dietro la schiena.
«Cos'hai
lì Yutaka?»
Abbozzò
un sorrisetto compiaciuto. «Lo vedrai fra esattamente sette secondi,
Ryo. Perchè dovrei rovinarti la sorpresa?»
«Perchè
tu a differenza mia soffri terribilmente il solletico.»
Mi
guardò terrorizzato, prima di battere saggiamente in ritirata.
Sentii la chiave del bagno ruotare ansiosamente nella serratura e mi
immaginai il mio ragazzo appoggiarsi alla porta chiusa e asciugarsi
la fronte, con un comico fiuuu
fra le labbra.
Le
lenzuola rosse erano state una bella sconfitta per me. Fra l'amore
con lui in mezzo al bianco era ultraterreno.
Certo,
tutto il resto della casa era bianco in fondo; non avevamo ancora
sperimentato tanto, ma ero sicuro che anche issarlo in mezzo sul
ripiano bianco della cucina sarebbe stata un'esperienza non poco
interessante.
La
pretesa di avere una camera da letto immersa nel sangue era ben poca
cosa.
Apparve
all'improvviso.
Lui
e quella pelle color biscotto, lui e quei capelli dal colore scuro,
avvolgente, lui e quegli occhi color cioccolato che riuscivano a
sciogliergli ogni singolo neurone che aveva nel cranio.
«Posso
anche morire ora.» mi scappò dalle labbra, nel vederlo avvolto da
un semplicissima paio di pantaloni bianchi, morbidi, larghi. Non
indossava altro.
«Non
ci provare nemmeno.» mormorò sulle mie labbra, salendomi a
cavalcioni con un movimento così naturale ed elegante da travalicare
anche la sensualità del gesto; nessuno avrebbe potuto imitarlo senza
sembrare una prostituta navigata.
Lo
rovesciai sul letto, pregustandomi già il momento in cui quelle
iridi ora così maliziose si sarebbero sciolte in un fluido di
languido abbandono.
Quando
lo vidi disteso sul letto, il volto già arrossato, le labbra
graffiate tese in un sorriso dai molteplici significati, cominciai a
rivalutare il rosso in contrasto alla sua pelle e a quei pantaloni.
Rosso
e bianco.
Un
connubio perfetto di sangue e neve nel cui centro perfetto stava la
mia unica ragione di vita.
«Yutaka?»
«Mmmmh?»
«C'è
una sola cosa meglio di te con addosso dei vestiti bianchi.»
Mi
guardò con gli occhi liquidi.
«Cioè?»
«Toglierteli.»
Fine.
N/A:
Cinquecentesima
fiction del fandom! *stappa spumante dolce*
Nessunissima
pretesa, semplicemente l'altro giorno ridacchiavo fra me e me su un
ipotetico Ruki in un letto d'ospedale, di un Reita che lo bacia e
della macchina che impazzisce. Poi ho ripensato ad un discorso fatto
con Aelite riguardo Kai e il bianco (finalmente una ReitaxKai, da
quanto tempo non ne scrivevo una? é.è).
E
poi ho colto l'occasione per esprimere un concetto che mi si è
impiantato in testa da quando ho cominciato a fantasticare a
proposito di una pseudo coppia, lei capelli rossi, lui capelli
bianchi. Come sangue e neve.
Ringrazio
infinitamente chi ha recensito la mia baby-shot *^*
Mata
ne,
Mya
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