Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono creazioni della premiata ditta Moffat/Gatiss. I diritti appartengono alla BBC e la seguente fic non vuole lederli in alcun modo. L'autrice non guadagna niente dalla pubblicazione della stessa.
Note dell'autore. Questa storia
è un adattamento in chiave moderna de "L'enigma di Reigate" mixato con
una rielaborazione del fantasma che in XXXHolic compare negli episodi
"Temptation" e "Choice". E, giusto per far vedere quanto sono brava a
plagiare, c'è pure un pizzico di Poe.
(Traduzione a cura di Madame Butterfly
- link al permesso di traduzione qui
- la storia originale la potete trovare a questo indirizzo.
E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se
sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)
FROZEN
La solitudine è la prima cosa che Dio vide
non esser buona. - John Milton
1.
La gola di Sherlock prudeva.
Cercò di schiarirsela discretamente, ma un piccolo suono doveva essere
sfuggito lo stesso perché Sally si fermò nel bel mezzo di una frase e
lo guardò con un cipiglio aggressivo.
"Scusa, c'è qualcosa di divertente
in una ragazza morta a ventiquattro anni?"
"Naturalmente no," Sherlock rispose calmo, lieto che il suo profondo
timbro vocale da baritono non tradisse con facilità la leggera
raucedine che era irritantemente presente da un paio di giorni a quella
parte. Il fatto che lei l'avesse intesa come una risata soffocata era
stato un caso fortuito. Tipico, ma fortuito.
"Mi stavo semplicemente chiedendo quando saresti arrivata al punto di questo piccolo rendezvous."
Sotto il tavolo, John gli mollò discretamente un calcio in uno stinco.
All'occhiataccia di Sherlock, prese un sorso del suo caffè per
nascondere quello che era certamente il sorrisino che adottava ogni
qualvolta gli era concesso di replicare alla mancanza di diplomazia di
Sherlock.
Bastardo.
Rifiutando di essere disciplinato, Sherlock lo ignorò e si adagiò
contro lo schienale rivolgendo uno sguardo freddo al sergente Donovan.
La bocca di lei si era piegata in una smorfia alla sua replica pungente
e aveva chiuso gli occhi mentre si prendeva un comprensibile momento
per dominarsi. Quando aprì nuovamente gli occhi, fu professionale e
distaccata come Sherlock non l'aveva mai vista.
Si chiese se stesse prendendo lezioni da Lestrade.
"Il punto," continuò il
sergente, "è che Lestrade vuole che ti occupi dell'omicidio di
Hampstead."
Sherlock emise un suono spazientito. "Be', questo è ovvio, altrimenti
non ci avresti convocati qui. Ma cosa fa credere a Lestrade che io
voglia immischiarmi in questo caso? Nulla di quello che hai detto
finora mi è sembrato anche solo remotamente interessante."
Sally lo guardò con disprezzo. "Interessante?
Sei uno schifoso bast-"
"Dato il prestigioso quartiere in cui ha avuto luogo l'omicidio," la
interruppe Sherlock, con un tono piatto fatto apposta per irritarla,
"immagino che ci siano delle pressioni politiche affinché questo
crimine venga risolto velocemente e senza troppo clamore."
Sally non rispose ma la stretta delle dita intorno al suo tè chai fu
abbastanza eloquente. Sherlock si sporse in avanti in modo tale da
incombere su di lei mentre chiariva il punto, nonostante immaginasse
che l'effetto sarebbe stato rovinato dall'atmosfera disgustosamente
gioiosa del Java The Hut.
"Non mi interesso di politica," disse con voce bassa e precisa,
socchiudendo gli occhi minacciosamente. "Non ho alcun interesse nel
diventare un burattino nelle mani del governo britannico."
"Semplicemente non vuoi fare nulla che tuo fratello potrebbe
potenzialmente approvare," se ne uscì John, gioviale. Sherlock gli
lanciò un'occhiataccia che chiaramente non sortì alcun effetto, se i
calmi occhi azzurri e il tranquillo sorso di caffè erano di qualche
indicazione. Al contrario, sembrava divertito e Sherlock rivolse un
fugace pensiero carico di nostalgia ai giorni in cui era capace di
intimidire qualunque persona con cui venisse in contatto.
Sally emise un suono disgustato. "Come te ce ne sono due? Dio ci aiuti."
Sherlock la ignorò. "La cosa davvero
interessante è che Lestrade ha mandato te," disse con un sorrisetto
mentre l'espressione di Sally si faceva di pietra. "In special modo
dato che sa in che rapporti siamo. Rapporti che - vorrei sottolineare -
sono interamente il risultato dei tuoi insulsi tentativi di screditare
sia me che i miei metodi." Spostò elegantemente la gamba prima che John
gli mollasse un altro calcio.
"Chiaramente Lestrade è persuaso a credere che mandarti personalmente
da me per chiedere assistenza possa tenere a bada la mia insolenza
abbastanza da farmi acconsentire di occuparmi di questo caso."
Il sergente stava stringendo i denti, le narici che fremevano
leggermente. Accanto a lui, John appariva vagamente preoccupato.
Sherlock si adagiò allo schienale e lasciò che un sorrisetto trionfante
gli increspasse le labbra.
"Dunque, coraggio," disse sarcastico. "Chiedilo."
Gli occhi di Sally divennero velenosi per la rabbia mentre apriva la
bocca per rispondere.
**
"Te la sei cercata, sai," disse John, tornati all'appartamento, mentre
Sherlock si lamentava della chiazza di chai sulla sua camicia. Poteva
solo essere grato che avesse mancato il cappotto.
"Allora li aiuterai?" continuò John.
Sherlock guardò in su da dove stava cercando di pulire il davanti della
sua camicia, senza molto successo. "Naturalmente li aiuterò. Lestrade
ha chiesto di me personalmente ed è lungi da me rifiutare di mettere le
mie capacità a disposizione della polizia quando è così ovviamente in
difficoltà."
L'occhiata che John gli lanciò fu così chiaramente incredula che sentì
le proprie labbra tentare di curvarsi in un sorriso.
"In più sono consapevole che la bolletta del riscaldamento scade la
prossima settimana e che se non vogliamo che ce lo taglino del tutto
dobbiamo pagarla per intero."
Avevano usato il riscaldamento molto di rado nelle scorse settimane,
preferendo raggomitolarsi sotto montagne di coperte, ma la bolletta era
salita lo stesso. L'appartamento aveva solitamente appena un paio di
gradi in più rispetto alla temperatura esterna, fredda e autunnale. La
cosa faceva impazzire Mrs. Hudson.
"E infine," se ne uscì Sherlock, "siamo rimasti quasi senza tè e
HobNobs. Ad una situazione simile bisogna porre rimedio immediatamente."
Gli HobNobs erano i preferiti di John e il sorriso che Sherlock ottenne
in risposta alla sua casuale osservazione fu abbagliante.
Si voltò prima che John si accorgesse che c'era senza ombra di dubbio
un'espressione orribilmente instupidita sulla sua faccia e - per essere
sicuro che non fosse visibile - iniziò a togliersi la camicia
facendosela passare sopra la testa, borbottando qualcosa riguardo il
nauseante odore di cardamomo e chiodi di garofano.
Alle sue spalle, sentì John emettere un suono strozzato prima di
scusarsi e lasciare improvvisamente la stanza, facendo sbattere la
porta dietro di lui.
Sherlock si bloccò, sorpreso per quell'uscita improvvisa, la testa
ancora tra le pieghe del tessuto blu. Era stato impaziente di discutere
i particolari del caso con John sopra scatole di cibo cinese o il take
away di qualunque ristorante fosse tra le loro preferenze della
settimana. Averlo visto ritirarsi così improvvisamente era stato...
deludente.
La miscela speziata del chai gli assalì nuovamente le narici e
starnutì. Due volte.
Che seccatura.
**
I particolari del caso erano i seguenti:
Billie Kirwan, ventiquattro anni, era cameriera nella tenuta di
Hampstead appartenente ai Cunningham, un'antica famiglia benestante la
cui fortuna era legata al commercio e alla navigazione fin dal
diciannovesimo secolo. Dipendente nella casa da due anni, era stata
trovata due giorni prima ai piedi dell'imponente scalinata che scendeva
nell'atrio: collo spezzato e testa fracassata da un oggetto pesante
attualmente non identificato. Secondo l'inchiesta, era stata la caduta
da un'altezza pari a quella della scala a causare la sua morte.
Non aveva amanti di cui i suoi datori di lavoro fossero a conoscenza e
la sua sola parente in vita era una madre malata che viveva fuori da
Ipswich. Era stata una studentessa nella media e non aveva voluto
continuare ulteriormente gli studi. Era arrivata con buone referenze
per via di una posizione simile ricoperta in adolescenza e il suo solo
passatempo conosciuto consisteva nella regolare frequenza con cui si
recava al cinema più vicino, presumibilmente a vedere commedie
romantiche.
Tutto questo era contenuto nel fascicolo che il sergente Donovan aveva
provveduto a Sherlock, i dettagli meticolosamente annotati e i fatti di
interesse liberalmente sottolineati e cerchiati con una penna viola.
Si trattava di spazzatura, naturalmente, anche se c'erano dei punti
interessanti nelle foto della scena del crimine: c'era qualcosa che
colpiva nelle scene del corpo disteso in modo scomposto sul tappeto
persiano, i ritratti nelle pesanti cornici immobili come sentinelle e i
pannelli di luce dorata provenienti dalla lampada Tiffany davano un
senso di melodramma alla scena. Somigliava in qualche modo alla
copertina di un violento thriller romantico.
Il corpo era stato trovato dall'anziana Mrs. Edith Cunningham quando
era scesa in cucina per tentare di combattere l'insonnia con una tazza
di latte, approssimativamente all'una e trenta di notte. I membri
maschi della famiglia - Edgar, il figlio di Edith, e il nipote Alec -
avevano dichiarato di aver lavorato fino ad un'ora estremamente tarda
nell'ufficio della società di navigazione Cunningham quella notte e di
non essere rincasati finché non erano stati avvertiti dell'incidente.
L'ultimo membro della famiglia, la moglie di Edgar, Delia, stava
presumibilmente dormendo. Da diverse annotazioni fatte alle
trascrizioni degli interrogatori svolti sul posto - inclusa una con la
medesima penna viola che diceva "Lunatica!!!" - Sherlock dedusse che
Delia Cunningham soffriva probabilmente di psicosi o di un inizio di
demenza precoce.
Non c'erano segni di scasso e nessuna orma, impronta, fibra o composto
non identificati sopra o vicino al corpo. Una vicina telecamera per il
monitoraggio del traffico che inquadrava il cancello d'entrata mostrava
che dopo il tramonto nessuno era entrato o aveva lasciato la proprietà
nella direzione della strada.
La teoria avanzata - da Alec Cunningham, notò Sherlock - era che la
morte di Billie Kirwan fosse stato uno sfortunato incidente conseguenza
della scoperta da parte della cameriera di alcuni ladri. C'era stata
un'ondata di furti nella zona recentemente. Tutti in splendide, dimore
storiche come quella appartenente ai Cunningham, e il giovane
Cunningham aveva insistito ostinatamente nel dire che questo era solo
un altro crimine attribuibile agli stessi malviventi, anche se con un
più terribile finale.
Sally sembrava d'accordo con quella teoria e una buona parte del file
era composta di copie dei rapporti degli altri casi: cinque in totale
nell'arco dei precedenti quattro mesi, tutti perpetrati mentre i
padroni di casa erano assenti.
Sherlock diede un'occhiata veloce ai rapporti e poi, con un movimento
improvviso, gettò via i documenti usando una mossa segreta che
consisteva in una notevole torsione del polso e della quale andava
discretamente fiero. Il fascicolo scivolò lungo il pavimento e si
infilò sotto il divano, fuori dalla vista.
"Sherlock!" lo rimproverò John, chinandosi per recuperare il file. "Non
è così che vorresti che gli altri trattassero le tue prove, no?"
"Bah," Sherlock scartò l'idea. "Quei documenti saranno inutili quando
vedremo la scena del crimine e interrogheremo i residenti. Sarei
davvero sorpreso se non ci fosse
qualcosa che nelle indagini preliminari è stato dimenticato. E
attribuire questo alla banda di ladri che evidentemente si aggira lì
intorno mostra una mente particolarmente poco creativa, la qual cosa -
suppongo - è poco sorprendente visto che l'investigatore incaricato è
Sally."
John lo ignorò e si mise a sfogliare i rapporti. "Cosa ti fa pensare
che non abbiano relazione con il caso? Cinque furti in un quartiere
agiato sembra una pista di cui dovresti tener conto."
"Nei casi precedenti, i ladri si erano assicurati che nessuno fosse
presente prima di entrare."
"Forse pensavano che la casa fosse vuota e hanno semplicemente commesso
uno sbaglio."
"In questo caso sono riusciti a non accorgersi della presenza di tre
individui. È molto più di un 'semplice errore', non sei d'accordo?"
John lo guardò, la fronte corrugata in quella maniera che non mancava
mai di far desiderare a Sherlock di spianarla con un dito. Si trattenne.
"Forse i ladri volevano a tutti i costi qualcosa che si trovava in casa
e non potevano aspettare," rispose John, un po' testardamente, secondo
l'opinione di Sherlock. "Non dovresti tener conto di ogni prova
disponibile?"
"Molto bene," disse Sherlock, di malavoglia, sventolando la mano verso
i documenti. "C'è qualche schema negli oggetti rubati dai ladri?"
John diede un'occhiata ai rapporti. "Be', si tratta soprattutto di
dipinti. Qualche gioiello di famiglia. Tutto il denaro a portata di
mano. Un uomo di nome Pirie ha perso il busto antico di Nefertiti che
aveva posizionato in biblioteca e un grosso rubino che aveva messo al
sicuro nella camera da letto."
Passò ad un altro rapporto. "Nel caso degli Acton, solo lo studio è
stato rovistato e i ladri se ne sono andati con un volume di Homer, due
candelabri placcati, un fermacarte, un barometro di quercia e un rotolo
di spago."
"Notevole," disse Sherlock con aria assente, la mente che faceva un
balzo in avanti. Gli fece eco saltando in piedi con entusiasmo, pronto
a iniziare la caccia.
Sfortunatamente, il balzo in piedi fece in modo che il prurito che
sentiva in gola scavalcasse i confini sotto forma di un breve e secco
colpo di tosse. Fece del suo meglio per camuffarlo in modo da far
sembrare che si stesse semplicemente schiarendo la gola, ma poté vedere
che John non l'aveva bevuta.
Il dottore lo scrutò sospettosamente, la fronte nuovamente corrugata.
"Da quant'è che ce l'hai?"
"Un giorno o due," disse Sherlock con noncuranza. "Nulla di cui
preoccuparsi. Abbiamo una scena del crimine da investigare. Andiamo!"
John non si mosse ma incrociò le braccia e sollevò le sopracciglia come
stesse considerando la situazione. "Sciroppo per la tosse," disse
infine. "Prenderai lo sciroppo per la tosse prima di andare, giusto per
stare tranquilli. Non meraviglierai nessuno con i tuoi monologhi
deduttivi se sputi fuori un polmone nel bel mezzo di una frase."
"Io non faccio monologhi," disse Sherlock in tono offeso. "E sono molto
lontano dal punto di 'sputare fuori un polmone', come dici tu."
John borbottò vagamente. "Continueresti a lavorare anche se fossi
all'ultimo stadio di tubercolosi acuta."
"Adesso stai facendo il drammatico."
Vedendo che John non aveva intenzione di cedere, emise un sospiro
teatrale di sconfitta e si voltò per salire le scale verso la stanza di
John. "Bene," disse, testardo. "Ma uso la tua scorta."
Sorrise mentre John sbuffava alle sue spalle. "Come tu ne avessi una."
**
Sciroppo per la tosse preso e promessa di rivelare eventuali altri
sintomi estorta, arrivarono di fronte alla tenuta dei Cunningham.
Era un'enorme, cupa struttura - barocca, in apparenza - situata ben
discosta dalla strada. Un muro fatto degli stessi mattoni scuri correva
lungo il perimetro della proprietà e rafforzava l'impressione di
intensa privacy. Perfino il rumore del movimento sulla strada
trafficata dove era situata la casa sembrava fermarsi al limite
previsto.
La qual cosa, pensò Sherlock, era eccellente in quanto si poteva
sperare che facesse smettere anche il tormentato suono di un violino
suonato da qualcuno poco più in giù nella strada.
L'uomo vide la sua (sofferente) occhiata e la interpretò come un invito
ad avvicinarsi. Era vestito a strati, con vestiti piuttosto vecchi, in
varie tonalità di marrone e un cappello a larghe falde calcato sugli
occhi. Sherlock era pronto a passargli oltre quando notò che lo spazio
intorno alla custodia del violino indicava la frequente presenza
dell'uomo in quel particolare tratto di marciapiede.
Il violinista fece un piccolo salto a tempo con la melodia che stava
suonando, avvicinandosi, e smise misericordiosamente di suonare mentre
si fermava di fronte a loro, inchinandosi con fare teatrale.
"Buon pomeriggio, signori," disse con accento marcato e sorriso
affascinante. "Gradite una melodia? Magari qualcosa che vi sollevi lo
spirito in una così gelida giornata?"
"Hmm," disse Sherlock, noncurante. "Quello che ci solleverebbe lo
spirito è qualunque tipo di informazione ci può provvedere riguardo
quella residenza laggiù."
L'uomo sembrò confuso per un momento finché John non fece un gesto
verso la proprietà dei Cunningham.
Fece un ampio sorriso quando capì a che residenza ci si riferiva. "Ahh,
volete una storia di fantasmi?"
"Storia di fantasmi?" gli fece eco John.
"La tenuta è infestata, sapete?" Si sporse verso i due, alito fetido e
cappotto cencioso che puzzava di muffa. Sherlock fece immediatamente un
passo indietro e notò - con divertimento - che John stava fermo al suo
posto, con le ginocchia bloccate in quello che era indubbiamente un
senso dell’educazione profondamente radicato.
Il violinista proseguì: "Era il 1840. Un donna e la sua bambina furono
trovate brutalmente assassinate in quella casa. Erano da sole in una
piccola stanza all'ultimo piano che era stata chiusa a chiave
dall'interno, con una sola chiave esistente, ma in qualche modo alla
donna - anche lei una cameriera, se non ricordo male - era stata quasi
staccata la testa. E la sua povera bambina era stata strangolata e
ficcata nel camino."
"È terribile," disse John con sincerità. Poi, perché ci si aspettava
che lo chiedesse, "L'assassino è stato preso?"
Il violinista sorrise con ferocia, un bardo tutto preso
dall'intrecciare un racconto per il suo pubblico. "Nient'affatto,
signori, è questa la parte più tragica. La polizia dell'epoca non
riuscì a capire come avesse fatto l'assassino ad entrare e uscire dalla
stanza chiusa così come non poté dedurre chi fosse quel demonio."
Si fece ancora più vicino e abbassò la voce. "E probabilmente si trattò
davvero del diavolo."
A dramma concluso, fece un passo indietro e riprese un tono di
conversazione. "C'è chi dice che l'intero posto sia infestato. Era
posseduto allora ed è posseduto oggi, prima dai fantasmi di quelle due
tristi vittime e ora quella terza servetta. Se io fossi in voi,
signori, starei molto lontano dalla casa e dalla famiglia che ci vive."
Sherlock alla fine trovò qualcosa di interessante nel racconto
dell'uomo. "Oh? Che cosa sa dei Cunningham?"
Il violista storse il viso con disgusto. "Brutte storie, per lo più. In
particolare sul vecchio. Ho sentito certi racconti dei domestici di
quella casa - quelli che c'erano prima, intendiamoci - da farmi venire
la pelle d'oca."
"Dubito dell'accuratezza della sua affermazione, ma capisco il
significato implicito," rispose seccamente Sherlock. "Nello specifico
cosa ha sentito?"
Per la prima volta da quando li aveva avvicinati, l'uomo si fece
quieto. Rivolgendo loro un lungo sguardo pensieroso, sorrise cauto e
poi distolse lo sguardo, come imbarazzato.
"Be', ecco, io non sono altro che un povero musicista, no? Tutto ciò
che possiedo è il vestito che ho addosso, il mio violino e la mia
parlantina, come vedete."
Sherlock sollevò le sopracciglia. "Ha un appartamento a Barking, una
donna che vive con lei e come minimo due figli," disse senza mezzi
termini. L'uomo lo guardò a bocca aperta, scioccato. "Nondimeno, le
daremo venti sterline se le sue informazioni si riveleranno utili oltre
che divertenti."
"Err, sì," disse l'uomo, preso alla sprovvista. Si ricompose
rapidamente, le tracce del commediante svanite in vista del potenziale
profitto. "Ho sentito da un mio amico - lavorava lì facendo consegne e
roba simile prima che lo licenziassero - che il vecchio Cunningham si
prende delle confidenze con le dipendenti donne, se capisce quello che
intendo. Non che sia una cosa strana, voglio dire, ma Cunningham è
peggio di molti altri. Non accetta un no come risposta e non si fa
scrupoli a minacciare chiunque potrebbe accusarlo."
"Minacciare in che modo?" chiese Sherlock.
Il violinista si strinse nelle spalle, la sua attenzione catturata da
un gruppo di turisti che camminavano con calma verso di loro. "Eh,
grazie al denaro. Insinua che ha degli amici influenti in posti
influenti e che ognuno di loro sarebbe lieto di rovinare la vita a
qualcuno, su sua richiesta. Dice che tiene la polizia in tasca."
Si volse verso di loro e porse il palmo della mano con aspettativa.
Sherlock gli mise in mano l'ammontare promesso ma non lasciò subito la
presa.
"Altro?" chiese, socchiudendo gli occhi.
"Il figlio, Alec. È irascibile come suo padre, da quanto ho sentito. Ma
fatelo bere e vi stordisce di chiacchiere. Voci dicono che per la
compagnia gli affari non vanno bene come invece vorrebbero far credere.
Naturalmente," sorrise di nuovo, "io sono solo un povero violinista,
no?"
Sherlock lasciò la banconota e l'uomo la fece scivolare nella tasca del
suo cappotto. Riprese la sua facciata baldanzosa mentre puntava sui
turisti.
"Dentro, subito," disse Sherlock tra i denti. "Quell'uomo è una
minaccia per ogni amante della musica."
John rise ma si sbrigò lo stesso a seguirlo giù per il viale. "Davvero?
Pensavo che il suo modo di suonare somigliasse un po' al tuo."
Ricevette in risposta un'occhiata fulminante.
**
Sally li aveva battuti sul tempo, della qual cosa Sherlock fu vagamente
impressionato, visto che lui non aveva avvisato nessuno del suo arrivo.
Era nello studio, appollaiata cautamente su un divano troppo imbottito,
una fragile tazza da tè - già freddo, a giudicare dall'assenza del
vapore - tenuta con cura in mano. Appariva stranamente nervosa.
Davanti a lei stavano sedute due donne. La prima, che Sherlock
identificò con Edith Cunningham, era una donna dall'ossatura robusta e
lo sguardo duro, con capelli grigi tirati indietro in una stretta e
intricata crocchia. Le sue labbra sottili erano serrate in
un'espressione di condanna, fosse per la sua conversazione con Sally o
per la situazione in generale. Sherlock avrebbe scommesso sull'ultima.
La seconda era una donna di mezza età, molto fragile e con acquosi
occhi blu che saettavano con aria assente da un punto all'altro della
stanza mentre sorseggiava da quella che pareva essere una tazza vuota.
Presumibilmente Delia, la svampita moglie di Edgar e madre di Alec. Si
riscosse quando Sherlock entrò nella stanza e si dileguò attraverso una
seconda porta che dava in quello che probabilmente era il salotto.
Nessuno si mosse per fermarla.
"Mm, questi devono essere i suoi colleghi, sergente Donovan," disse
Edith Cunningham. Il suo sguardo era freddo e calcolatore.
"Sì, signora," rispose Sally con un sorriso forzato che non le
raggiunse gli occhi. "Uno dei nostri consulenti, Sherlock Holmes, e il
suo collega, il dottor John Watson."
Mentre John eseguiva lo scambio di saluti che l'educazione richiedeva,
Sherlock esplorò la stanza, ignorando lo sguardo critico di Sally.
Aveva deciso di tenere su il cappotto entrando in casa, dove uno
spiffero gelido gli provocò un brivido lungo la spina dorsale, e lui
ficcò le mani più profondamente nelle tasche mentre scorreva con gli
occhi la libreria. Dalla conversazione ricavò che Alec ed Edgar
Cunningham erano fuori in ufficio ma che Alec aveva progettato di
arrivare a casa presto per rispondere ad ogni domanda rilevante a
proposito della nottata in questione.
"Sherlock," disse Sally a denti stretti, la voce lievemente inceppata
dall'uso del suo nome di battesimo. "Non ti unisci a noi? Stavo giusto
aggiornando Mrs. Cunningham sui progressi nell'investigazione."
Sherlock si concesse altri trenta secondi per tirare giù un libro ed
esaminarlo (per rendere chiaro a Sally che non doveva in alcun modo
prendere l'abitudine di dargli ordini) prima di prendere posto su una
sedia imbottita dall'odore stantio, con un gesto teatrale.
La polvere che si sollevò a causa del movimento gli fece prudere il
naso, ma la presenza di Sally lo costrinse a trattenere lo starnuto.
Prima che Sally potesse riprendere il suo chiacchierio, lui si
intromise.
"Lei ha trovato il corpo, corretto?" chiese bruscamente a Mrs.
Cunningham.
Lei sollevò un sopracciglio imperioso. "Corretto."
"A che ora?"
"Poco dopo l'una e trenta del mattino." Fece una pausa significativa.
"Credo di aver già detto alla polizia tutto ciò che potevo sapere che
fosse di una certa rilevanza."
"Sono certo che lei abbia detto alla polizia tutto ciò che ritenevano
fosse rilevante, d'altro canto, se fossero riusciti ad estrarre ogni
fatto considerevole, sarei decisamente sorpreso."
John si intromise. "Ci sarebbe d’aiuto sentirli da lei direttamente,
signora," disse in tono conciliante, lanciando a Sherlock uno sguardo
di rimprovero che lui decise immediatamente di ignorare.
Mrs. Cunningham sembrò placata, ma Sherlock poté vedere che Sally
guardava torvamente nella sua tazza da tè.
"Molto bene," disse Mrs. Cunningham, con dignità. "Faccia le sue
domande."
"Lei ha detto alla polizia che si è recata al piano di sotto a
quell'ora per una tazza di latte che la aiutasse a dormire. È rimasta
sveglia per molto tempo prima di trovare il corpo?"
"Stavo leggendo nella mia camera," affermò lei come se pensasse che lui
avesse sottinteso qualcosa di offensivo.
"Tutta la notte?"
"Approssimativamente dalle nove, quando mi sono ritirata nella mia
stanza, fino a quando ho trovato Miss Kirwan."
"Aveva la luce accesa?" chiese Sherlock.
"Naturalmente," disse lei, alzando un sopracciglio. "Sarebbe stato
difficile leggere altrimenti."
"E qual è la sua stanza?"
"Non riesco a capire lo scopo di queste domande, detective," rispose
lei con impazienza.
"Mi sto semplicemente chiedendo, signora, se la luce della sua camera
sarebbe risultata visibile ad eventuali ladri che cercassero di
entrare. Qualsiasi luce, anche quella di una lampada da lettura, li
avrebbe avvisati della presenza di persone nella residenza."
Mrs. Cunningham fece una pausa. "Ci sono stati dei periodi durante la
notte in cui ho spento la lampada per cercare di dormire."
"E c'è riuscita?"
"No," disse, socchiudendo gli occhi. "Per questo ho sentito la
necessità di una bevanda calda."
"Ha sentito qualcosa durante la notte? Qualche rumore insolito?"
"Certamente no. Avrei avvisato la polizia se mi fosse venuto in mente
qualcosa che avevo dimenticato di dire."
"Ha magari sentito il suono di Miss Kirwan che si muoveva in casa?
Visto che l'ha trovata nell'atrio completamente vestita, molto
probabilmente è stata in piedi l'intera notte."
Mrs. Cunningham non rispose subito e, per la prima volta da quando era
entrato nella stanza, guardò Sherlock con qualcosa di più di un
malcelato disprezzo.
"Mi sono assopita ogni tanto," disse alla fine. "È possibile che non
abbia udito il rumore di Miss Kirwan con i ladri in questa particolare
occasione. Mi rincresce di non poter essere di maggior aiuto."
Sally parlò per la prima volta durante il colloquio, chinandosi in
avanti sul divano mentre si rendeva conto dell'insinuazione nella frase
di Mrs. Cunningham. "Crede che Billie Kirwan fosse in combutta con
loro?"
"Non ne sarei sorpresa," rispose, rigida, Mrs. Cunningham. "Era una
ragazza furtiva, sempre ad appostarsi dietro gli angoli. Edgar l'ha
assunta andando contro il mio giudizio."
"Sì," subentrò nuovamente Sherlock. "Capisco che Mr. Cunningham sia
responsabile della maggior parte delle assunzioni. Del personale
femminile, almeno."
Il volto di Mrs. Cunningham si congelò in una rabbia fredda e
improvvisa. "Cosa sta insinuando esattamente, signore?"
"Sta zitto, Sherlock," sussurrò John da un angolo della bocca.
"Sto insinuando che suo figlio è conosciuto per intrattenere relazioni
inappropriate con il personale femminile della tenuta, potenzialmente
relazioni non consensuali," disse in tono piatto, gli occhi puntati sul
volto di Mrs. Cunningham per scoprire ogni segnale di colpa o di
imbarazzo.
Non ce n'era nessuno. Oppure, se c'era, era coperto dalla stessa gelida
rabbia che era apparsa quando prima aveva menzionato suo figlio.
Si alzò. "Sergente Donovan, voglio parlare con il suo supervisore
immediatamente. Questo colloquio è terminato." E detto ciò marciò fuori
dalla stanza, la schiena dritta e rigida, e il bastone che le conferiva
l'aspetto di una regina, più che di un'invalida.
"Argh!" Il suono di disgusto e frustrazione di Sally suonò alto nello
studio. "Ti ammazzo! Ti rendi conto di quanto hai messo in pericolo
questo caso?! Lo so che vai matto per i piccoli, sordidi segreti
nascosti, ma avevo sperato
che tu riuscissi a trattenerti se te lo chiedeva Lestrade!"
"Le voci su molestie sessuali nei confronti del personale della tenuta
sono importanti al fine dell'investigazione," sostenne Sherlock, la
voce chiara e concisa. "Se non volevi che investigassi, non avresti dovuto
chiedere il mio aiuto."
Le mani di Sally si aprivano e chiudevano ad intervalli irregolari,
senza dubbio desiderose di serrarsi intorno al suo collo. Invece, prese
il suo cellulare, la faccia disgustata mentre navigava tra i contatti.
"Sparisci dalla mia vista prima che io prenda l'attizzatoio e faccia
qualcosa che non ti piacerebbe."
Mentre Sherlock si allontanava a grandi passi verso la porta, lei lo
chiamò. "Ancora meglio, vai del tutto fuori dalla casa. Non ho bisogno
che innervosisci qualcun'altro mentre io sistemo il casino che hai
combinato."
"Bene," disse lui, a denti stretti, proiettandosi verso la porta a
passo svelto.
John lo aveva seguito, ma si fermò nella veranda all'ingresso
guardandosi indietro con incertezza.
"Penso di poter prendere le tue difese, se si dovesse arrivare a
questo," disse con tono sarcastico.
Sherlock si arrabbiò. "Sono perfettamente in grado di difendermi da
solo," rispose, irritato.
"Hmmm," borbottò John, evasivo, tirando fuori il suo cellulare, senza
dubbio in un tentativo di contattare lui stesso Lestrade. Quando
guardò in su verso Sherlock, si accigliò. "Va a sederti a sbollire in
un café o altro. Un qualche posto caldo. Non hai bisogno di camminare
fuori con questo tempo."
Senza attendere la risposta di Sherlock, si voltò e tornò dentro casa,
chiudendo accuratamente la porta dietro di lui.
"Quello che non mi serve è
una balia," disse alla porta.
Aveva notato un café in fondo alla strada quando erano arrivati nel
quartiere. Sollevando il collo del cappotto per proteggersi dal vento,
si voltò con risolutezza e iniziò a camminare nella direzione opposta.
**
Fu alla terza volta che passava su e giù lungo la strada che notò il
piccolo parco cinto da mura, con il cancello arrugginito. D'impulso, lo
spinse per aprirlo ed entrò.
Dentro era completamente deserto e reso ancor più malinconico dal parco
giochi abbandonato e dalle panchine sparpagliate sotto gli alberi
spogli e nell'erba secca. Il vento soffiò con forza per un momento, un
dito di ghiaccio giù per la nuca, e lui sprofondò più a fondo nel
cappotto, ordinando ferocemente a sé stesso di non tremare.
Il cielo aveva il colore dell'acciaio. La solida coperta di nuvole
poteva sembrare soffocante nella sua vicinanza, ma l'impressione che
dava la scena nel suo insieme era di un'intensa solitudine.
I rami secchi di un'edera morta da tempo si avvinghiavano tenacemente
alla staccionata intorno al piccolo parco chiudendo fuori segnali di
vita e abitazioni che cercavano di spingersi dentro. Anche se c'erano
case e negozi ad appena un paio di metri, erano come rimossi.
Camminò lentamente lungo il sentiero, calciando con noncuranza i mucchi
di foglie con cui i suoi piedi venivano a contatto. Fu momentaneamente
tentato dall'idea di un giro sulla giostra quando si ritrovò
improvvisamente a trasalire.
"Che fai qui?" venne una voce da dietro di lui. Si girò rapidamente, il
cuore in gola per la frase completamente inaspettata, e vide una donna
che sedeva tranquillamente su una delle panchine del parco.
"Sto pensando," replicò in ritardo con voce brusca, i battiti del cuore
che rallentavano mentre il suo corpo elaborava che non c'era pericolo.
"Be', forse dovresti sederti. Farsi del male non stimola i processi
mentali,” disse la donna, suonando divertita.
Sembrava sulla cinquantina ma portava la sua età estremamente bene, con
soltanto delle piccole rughe intorno agli occhi e alla bocca che la
tradivano. I suoi occhi erano di un grigio tempestoso che ricordavano
le nuvole di un temporale, i suoi capelli avevano un colore simile. In
contrasto con la sua pelle chiara, l'effetto era impressionante. Dava
l'impressione di qualcosa di sbiadito, pallido e delicato, come una
vecchia fotografia. Ma per tutto questo era bellissima.
Senza averlo coscientemente pensato, Sherlock si ritrovò seduto accanto
a lei sulla panchina.
Aveva i capelli tirati su in un elegante chignon e tenuti fermi da una
forcina con una pietra di un profondo blu all'estremità. Spiccava
vividamente sullo sfondo grigio e gli occhi di Sherlock non poterono
far altro che perdercisi. Gli strappava qualcosa nella memoria, anche
se non riusciva a capire esattamente perché.
Lei sembrava così profondamente triste, e ciò lacerava qualcosa dentro
di lui.
"Cosa fa qui?" chiese Sherlock. "Non è esattamente il genere di tempo
in cui godersi un parco."
Il suo piccolo sorriso in risposta alla sua affermazione rivelava che
lei ne aveva riconosciuto l'ironia, ma non glielo fece notare.
"Mi piace questo periodo dell'anno," disse quietamente.
"Ci vedo molto poco che possa essere catalogato come piacevole."
"Lo trovo pacifico," rispose lei, sorridendo lievemente.
Il vento si insinuò nuovamente attraverso il cappotto di Sherlock, che
tremò leggermente. La sua compagna sembrò non accorgersi del freddo.
"Non voglio intromettermi nella sua solitudine," disse, preparandosi ad
alzarsi.
La mano di lei, delicata e dalle ossa sottili come la sua, si chiuse
sul suo polso, gentile come quella di una madre. Le dita erano
terribilmente gelide, e lui automaticamente mise le mani attorno a
quelle di lei per scaldarle. Per un istante, la sensazione di qualcosa
di elettrico sembrò passare attraverso di loro.
"Stai come me per un po'," disse, guardando in su verso di lui con i
suoi occhi tristi. "Qui trascorro il mio tempo in pace, ma anche così
in solitudine. La tua compagnia sarebbe ben accetta."
Qualcosa nella forma dei suoi occhi toccò qualcosa nella memoria di
Sherlock più di quanto avesse fatto il suo ornamento tra i capelli, e
lui si ritrovò ancora una volta seduto sulla panchina.
"Posso rimanere solo per un po'," disse. La voce gli uscì contrita
nonostante avesse inteso farla suonare severa.
Lei gli sorrise, semplicemente, prima di volgere lo sguardo al parco
vuoto e rimuovere le sue mani, lasciando l'area che aveva toccato ancor
più fredda: un piccolo punto di gelo intenso che sembrava diffondersi
attraverso il suo corpo. Sherlock resistette all'impulso di sfregarsi
le mani mentre il calore sembrava gli fosse improvvisamente succhiato
via.
Sedettero insieme in un silenzio pieno di pace.
Nota del traduttore. Questo - a mio avviso - splendido racconto conta tre capitoli. Il secondo lo sto traducendo in questi giorni e spero di potervelo far leggere presto, in ogni caso non prima di fine mese, mi sa. *sospira* Se doveste trovare errori nella mia traduzione, siate gentili e fatemelo sapere. Spero comunque di aver fatto un buon lavoro, questa fanfic e l'autrice se lo meritano proprio. |