Dormire, da quanto
non lo faccio decentemente? Sembra facile: basta chiudere gli occhi, liberare
la mente e abbandonarsi al buio. Basterebbe poco, anche un’ora. Un sonno
pulito, libero da incubi. Non mi sembra di chiedere molto, no?
Per non cadere in
tentazione, mi preparo a bere il mio quinto caffè. Inspiro profondamente e ne
assaporo l’aroma ricco e penetrante. Libero la mente, non penso ad altro.
Mentre fisso lo sguardo all’interno del bicchiere, il liquido comincia ad
assumere le forme più strane: prima è soltanto un piccolo e innocuo cerchio
nero all’interno di uno più grande, poi il colore cambia. Non più nero, ma
rosso. Rosso sangue.
Scuoto la testa
immediatamente, volgendo lo sguardo altrove. Buttò giù il caffè tutto di un
fiato, poi mi ritrovo a guardare distrattamente verso i divanetti malconci del
salotto: Sam si è addormentato circa tre ore fa, Bobby ha tenuto duro mezz’ora
di più. Anche io sono stanco morto e quella sedia laggiù in fondo sembra mi
stia chiamando. Le palpebre cominciano a farsi pesanti, ormai credo che anche la caffeina stia perdendo la sua
efficacia. Quanto tempo è passato dall’ultima vera dormita? Considerando anche
gli anni passati di sotto, direi molto. Troppo. Mi alzo di scatto: non ho
intenzione di cedere. Evito i libri sopra al tavolo: se per Sam questi sono oro
colato, a me provocano soltanto ulteriore sonnolenza. Le chiavi dell’Impala
nella tasca posteriore dei jeans si scontrano con qualche spicciolo, formando
un dolce tintinnio. Forse, uscire non sarebbe una cattiva idea, ma dove potrei
andare? Non c’è nessun posto dove sentirmi a mio agio, niente che possa farmi
sentire bene. Soltanto uno mi attira terribilmente…
ed è l’ultimo dove dovrei desiderare di tornare. Se chiudo gli occhi, posso
sentire una voce che chiama il mio nome. Lentamente. Una cantilena inquietante
che mi ripete insistentemente di andare fuori.
Che cazzo mi sta
succedendo? Va bene, ragioniamo. Non dormo da mesi praticamente, sentire voci è
normale, no? Non sto uscendo di testa, vero? Cerco di calmarmi, ma è diverso
dalle altre volte. Dura troppo a lungo e, diavolo, sono sveglio! Questi
problemi li ho soltanto quando dormo, perché sta succedendo adesso? Sto
peggiorando? L’ultima caccia che abbiamo affrontato sono state due stupide
streghe, che mi abbiano fatto un incantesimo?
“Sam?” lo chiamo
debolmente, quasi a non volerlo davvero svegliare. Ho bisogno di aiuto, ma non
riesco ad alzare la voce. Ci provo, ma più di un sussurro non esce fuori.
Sento l’impulso
irrefrenabile di uscire, di andare verso quel qualcosa. No, non sono le
streghe. So di chi si tratta, lo so eccome.
Sei tu, vero?
Ovviamente. Chi
altro potrebbe essere così fottutamente sadico da farmi provare emozioni
contrastanti nello stesso momento? Chiudo gli occhi per qualche istante e, in
questi pochi attimi, posso percepire l’aria gelida e penetrante, l’odore acre
del sangue che s’impregna nella mia pelle. Posso sentire la sua voce, bassa, ma
decisa, inquietante e rassicurante in ugual misura. Sto diventando matto? Sì,
senza alcuna ombra di dubbio.
Pazienza, figliolo. Devi avere pazienza.
Apro nuovamente gli
occhi. Basta, non posso andare avanti così. Tiro fuori le chiavi dalla tasca e
mi precipito fuori, chiudendo piano la porta per non svegliare nessuno.
Quello che mi
abbraccia fuori è un panorama magnifico. È la prima volta, dopo anni e anni,
che mi soffermo a guardare il cielo notturno. Mi appoggio al cofano
dell’Impala, mando giù lunghe sorsate di birra, beandomi del suo sapore, amaro,
ma intenso. Sorrido. Se Bobby mi trovasse qui, proverebbe a esorcizzarmi e non
avrebbe tutti i torti. Insomma, che diavolo mi sta succedendo? Questo non sono
io! Dovrei andare in un bar e fare sesso con la barista, dovrei spassarmela:
maledizione, sono salvo! Dovrei fare tante cose. Dovrei. Nonostante questo, sono
qui fuori a pensare stronzate e ubriacarmi da solo come un coglione. Invece di
essere felice di aver avuto una seconda occasione, sento la mancanza di quel
figlio di puttana. Ed è davvero grave!
No. Tutto questo
non va bene. Deve finire, prima di cadere in un fottuto buco nero.
Apro la porta per
tornare in casa, deciso a prendermi un calmante. I ragazzi ancora dormono; se
mai mi vedessero bere una schifezza simile, Sam mi ucciderebbe, quindi dovrò berlo
di nascosto, senza fare rumore. Peccato che il mio corpo non voglia
collaborare. Quando appoggio un piede sul primo dei tre scalini d’ingresso,
forti brividi mi scuotono la schiena e un crampo allo stomaco mi costringe a
piegarmi. Che diavolo è? Demoni? No, non sento alcun odore di zolfo e sono
completamente solo qui fuori. Ho fatto indigestione? Impossibile, ho mangiato
molto meno del mio solito: Sam, infatti, era molto preoccupato, non smetteva di
tormentarmi con le domande.
Streghe. A questo
punto, devono essere state loro. Quasi senza rendermene conto, tiro un sospiro
di sollievo. Pensavo che fosse ancora quella stronzata dello stress post
traumatico di cui mio fratello mi parla continuamente.
Ne devi parlare, Dean. Non ne uscirai mai, parla con me.
Che accidenti ti
posso dire, dannazione? Nessuno può sapere com’è quel posto! E poi, come vuoi
che sia stato?
Un altro crampo mi
distoglie dai pensieri. Basta pensare, devo fare qualcosa. Cerco di reagire: se
non mi muovo a rientrare in casa, rimango secco qui. Non riesco a darmi la
spinta necessaria per tirarmi su, o forse sono io. Voglio davvero che finisca
tutto questo? Oh, maledizione! Certo che voglio! Faccio un grande sforzo e mi
appoggio al muro portante, tentando di rialzarmi. Gli occhi si appannano, non
riesco quasi a respirare: mi fa male il petto.
Ti prego, Sam. Svegliati.
Sento le gambe
sempre più pesanti, non mi reggo più neppure sulle ginocchia. Sono costretto a
poggiare le braccia a terra. Fango e terriccio si appiccicano alle mani sudate
e formicolanti. Mi gira la testa e mi stendo, cercando di regolarizzare il
respiro. Qualcuno viene verso di me. Quando sorride, capisco subito di chi si
tratta.
È qui. Mi ha
trovato.
Il terrore si
affaccia sul mio volto: è decisamente incazzato. Me ne sono andato, l’ho
lasciato giù da solo come un cretino. Tento di ritrarmi, di scappare, ma non
posso fare niente. Non riesco a muovere neppure un muscolo, è come se avessi
dei pesi attaccati e, se muovo la testa, rischio di perdere conoscenza da
quanto mi pulsa. Se la situazione non fosse tragica, potrei giurare di vedere
le classiche stelline che ruotano attorno alla mia testa come nei fumetti.
Si avvicina sempre
di più, ormai posso persino sentire il suo odore: sangue.
Mi sfiora i capelli
con una mano, mentre con l’altra mi blocca un braccio a terra. Come se ce fosse
bisogno.
Con due dita mi
sfiora il polso. Un bruciore intenso s’irradia fino alla punta delle dita.
Cerco di ritrarmi, ma rafforza la sua presa. Tremo. Rovescio la testa
all’indietro, smettendo di opporre resistenza. Mi chiama, ma non rispondo: non riesco
a parlare e a muovermi. Gli impulsi che partono dal mio cervello sembrano non
arrivare alle varie destinazioni. Non riesco neppure a dire una fottutissima
parola. È come se le mie parti del corpo non fossero più collegate tra di loro.
Finalmente, un lieve lamento mi sfugge dalle labbra, quando m’intima di
calmarmi.
Che fa, prende per
il culo? Come cazzo faccio a stare calmo? Ripete il mio nome e continua ad
accarezzarmi i capelli.
Di colpo il dolore
svanisce, lasciando spazio ad un fresco sollievo.
“Andiamo, ragazzo. Svegliati!”
Apro gli occhi di
scatto.
Di fronte a me, mio
fratello e Bobby.
“Grazie al cielo,
Dean, mi hai spaventato a morte!”
“Sam?” lo chiamo,
afferrando la mano che mi tende per aiutarmi a rialzarmi.
“Che diavolo è
successo?” chiedo spaesato.
Un lieve tepore mi
fa capire che sono dentro casa. Le mie mani sono pulite. Sudate, ma non c’è
nessun segno di lividi e ghiaia. Mi guardo attorno, cercando un qualsiasi
indizio che possa farmi capire che è stato tutto reale, che non mi sono inventato
niente. La speranza va a farsi fottere in meno di dieci secondi:
“Dimmelo tu, ti
abbiamo sentito urlare” mi racconta.
Merda.
Mi spettino i
capelli, nervoso. Ho avuto un altro incubo? A quanto sembra, sì. Bene, sta
peggiorando sempre di più. Grandioso!
Non riesco a
tenermi in piedi. Mio fratello si avvicina preoccupato. Mi sorregge e, seppure
riluttante, mi vedo costretto ad accettare il suo aiuto. Mi aiuta a sedermi
sulla poltroncina al centro della sala. Bobby mi porge una tazza di the caldo,
guadagnandosi uno sguardo poco gentile. Perché devo bere questa schifezza? Io
voglio alcool, ho bisogno di una sbronza! Devo ubriacarmi, non dormire.
“Non fare storie e
bevi” ordina. Abbasso lo sguardo, mentre prendo con il pollice e l’indice il
manico della tazza per non bruciarmi: è bollente. Sam comincia a parlare, ma
non riesco a capire che cosa dice: non lo sto ascoltando. Mi concentro sul
sapore amaro della bevanda e continuo a guardare verso il basso. Sono
estremamente imbarazzato.
“Dean?”
“Sam.” lo
rimprovera Bobby.
Cosa mai potrei dirti, Sam? Lasciami stare, ti prego.
Trovo lentamente il
coraggio di guardarlo negli occhi. Forzo un sorriso e poso il bicchiere sul
tavolo.
“Cosa?”
“Ricordi tutto,
vero? E chi diavolo è Ala, Dean?” però,
va dritto al punto, il fratellino.
M’irrigidisco e
smetto di sorridere. Deglutisco, mentre cerco di ricordarmi come si respira.
“Ancora? Sam, non
ricordo niente. Chiaro?” rispondo sbottando. Da come mi guarda, capisco che non
gli basta. Sa che sto mentendo, il bastardo. Infatti. Mi chiede degli incubi,
vuole sapere che cosa sogno, senza risparmiare i dettagli.
“Non lo so! Quando
mi sveglio, non ricordo niente!” mi alzo, passeggiando in tondo per calmarmi.
Barcollo e rischio di cadere a terra, ma per fortuna, Sam capisce che deve
lasciarmi i miei spazi e non accorre in mio soccorso. Forse, è troppo
arrabbiato per farlo.
Sospiro. Da quando
comincio a pensare male di mio fratello? Da quando dubito delle sue intenzioni
e del suo affetto per me? Dal momento esatto in cui ho detto quella dannata
parola.
“Sam, te lo giuro,
non ricordo niente. Possiamo tornare a dormire adesso?” lo imploro, ignorando i
miei pensieri che continuano a correre veloci. Impazienti. Sembra non vedano
l’ora di uscire dalla bocca. M’impongo di tenerli rinchiusi lì dentro, in un
angolo remoto della mia mente. Non devono essere tirati fuori. Quella parte di
me deve restare chiusa, sepolta per sempre. Peccato non sia questo ciò che
voglio.
Ti prego, Sam, smettila di chiedere. Non farmi parlare.
“Va bene” si alza.
Il suo tono è teso, vuole solo sapere che cosa mi sta succedendo per aiutarmi,
ma come potrebbe? Sam non può fare niente per me. Nessuno può.
“Dato che siamo
svegli, perché non proviamo a salvare il Mondo?” propongo, indicando i vecchi
libri, impolverati e ancora aperti, sulla scrivania grande.
“Ottima idea” mi
asseconda Sam. Sorrido. Grazie.
Prima di
raggiungere la grande libreria, mi passa accanto:
“Non puoi
continuare così, ti ucciderà…” sussurra, ma riesco a
sentire il tono roco, quasi spezzato. Faccio finta di non aver sentito, non ho
proprio nessuna voglia di mettermi a discutere.
Mi getto su un
libro a caso e comincio a leggere. Sfoglio ogni singola parola con il dito
indice, non voglio pensare ad altro, se non a quello che c’è scritto. Non
importa se non serve alla nostra indagine, se non è di aiuto. Mi basta tenere
la mente occupata, lontana da Lui. Almeno per un po’.
Sono molto
concentrato, non sento niente. Le voci di Sam e Bobby mi risultano
lontanissime, come se si trovassero nella stanza accanto. Mi accorgo
dell’apparizione di Castiel solo perché mi compare proprio accanto.
“Spazio personale,
Cass. Ne avevamo già parlato, ricordi?” lo rimprovero. Si sposta di un micro
passo. Lo guardo accigliato e lo allontano spingendolo, portando la distanza a
un metro circa.
“Calamity Jane, rispetta gli accordi” ammicco con un
sorriso.
Chiudo il libro che
mi sta davanti e incrocio le braccia, pronto ad ascoltare le sue parole. Sul
viso ha un espressione tesa e decisa allo stesso tempo. Deve essere successo
qualcosa di grave.
“Un altro sigillo
da salvare?” chiedo.
Mi alzo per
prepararmi a uscire. Se è venuto per questo, dobbiamo sbrigarci, non possiamo
aspettare.
“Dove?” mi fermo.
Non si tratta dell’Apocalisse. Bene, un giorno di riposo non fa mai male.
“Abbiamo notizie
importanti: in città è arrivato un Demone molto potente” comincia. Sto per
interromperlo, ma mi fulmina con lo sguardo. Decido di farlo finire, non voglio
vedere com’è Cass quando è incazzato. Potrei ritrovarmi a essere il prossimo
tacchino arrosto della cena del Ringraziamento.
“Questo Demone è
molto pericoloso, viene definito come il braccio destro di Lucifero in
persona.”
Merda.
“Il suo nome è Alastair”.