SALVI TUTTI!
“Diciotto
morti”, annuncia la radio. Il timer era stato puntato per le
sette, come di consueto, e quella mattina il suo risveglio fu
accompagnato da quella notizia di morte.
“Diciotto
morti e altrettanti feriti”, annunciava lo speaker con una
voce ipocritamente piagnucolante, con quell’atteggiamento di
finta commozione che nasconde così male la soddisfazione di
un giornalista nell’aver ottenuto il programma.
“Diciotto
morti”, continuava a ripetere quell’uomo che, senza
un volto, aveva risvegliato milioni di persone con la sua voce
falsamente commossa. E mentre pronunciava quelle parole, in
realtà, i suoi pensieri, erano rivolti altrove.
“E anche
oggi sono andato in onda io. Domani col cazzo che Maria Adele mi chiama
‘fallito’. La stronza. Vieni a vivere a
casa mia, ti autoinviti, più che altro, vivi grazie allo
stipendio che porta a casa il sottoscritto, per di più ti
ritiri dall’università e inizi a fare la mantenuta
a tempo pieno ed hai il coraggio di chiamarmi fallito. Stronza. Ma te
lo do io il fallito. Che già mi vogliono in televisione. E
poi te lo immagini ‘sto po’ po’ di
bonazzone a mezzo busto? Eh? Te lo do io il fallito,
stronza..”.
“Diciotto
morti”, annuncia la radio, e Gianluca è
già in cucina davanti una tazzina di caffè scuro.
“Cazzo,
diciotto morti!” sussurra a se stesso mentre soffia sul
caffè bollente. Poi lo tira giù con un sorso, si
brucia la lingua, impreca, poi di nuovo in piedi e va a farsi la barba.
Davanti lo specchio appannato, in bagno, pensa a quanto sarà
meraviglioso il Natale quest’anno, che Giuliana torna da
Londra e si sta tutto il ventitré spaparanzati sul divano a
coccolarsi. Che poi, porca di una miseria, possono stare da soli solo
per il ventitré, che gli altri giorni il parentame reclama
presenze.
“Ma porco
dio!”, grida dirigendosi verso l’armadietto. Lo
apre, prende una salvietta disinfettante e se la passa sul taglio
trasversale dal quale fa capolino una linea di sangue. Poi finisce di
prepararsi e va in ufficio.
“Ma lo senti
che hanno ammazzato diciotto persone?” lo accoglie quel
barilotto della Giovanna con sette mesi di figlio in grembo. Gianluca
annuisce, poi si chiude dentro la stanza e chiama Giuliana col telefono
dell’azienda.
Giovanna rimane un
po’ perplessa a guardare la porta chiusa, poi passa il suo
sguardo sulla radio ancora accesa. “Diciotto
morti”, continua la giornalista con voce profonda e commossa
(oh, questa sembra vera!). “Ma va’ che poi
m’angoscio e mi nasce sconsolato!”, dice il
barilotto spegnendo la sua angoscia con un ‘tac’
sotto il dito. Poi torna ad archiviare le pratiche di “quella
gran testa” del suo capo che non le paga i contributi,
però la lascia lavorare sino ad un minuto prima del parto.
Per “arrotondare”….
Com’è umano lei…
“Che appena
mi nasce come me l’organizzo sto casino? No, to’,
le archivio adesso ‘ste carpettine gialle che poi mi sa che
mi rimangono sul groppone… Ohi, mi mangerei una iris
fritta… ma mi farebbe male a
quest’ora…?”, guarda l’ora e
da’ una risposta ai propri pensieri. “Che sarebbero
pure le nove e un quarto, mica presto presto..”, vede
arrivare Viola col suo cappotto color cammello.
“Vio’, andiamo al bar?”, le chiede.
“Giova’
sto arrivando adesso!”. Faccina pietosa da
pre-mamma-afflitta-da-voglia-di-iris-fritta-alle-nove-del-mattino.
Viola color cammello
cede e ci si va a prendere una iris fritta e un cappuccino,
va’.
“Oh,
Giova’, son morte diciotto persone, sai?” col suo
accento toscanaccio da Viola color cammello.
“Sì,
l’ho sentito stamattina mentre preparavo colazione al
piccolo…”
“Uh, il
piccolo! E com’è? E’ emozionato per il
fratellino nuovo?”
“Emozionato,
oddio, non sembra gliene freghi poi tanto…”
“Ma no,
sarà sicuramente emozionato! Lo sono io che non è
nemmeno mio fratello!”, con la sua voce da bambina un
po’ troppo cresciuta e un po’ troppo ingenua da
Viola color cammello.
Entrano al bar e
ritrovano la notizia.
“Diciotto
morti”, dice una radio che non si sa
dov’è nascosta da quando hanno provato a
rubargliela, a quel gran pezzo d’uomo di Marietto.
“Ohi, Mario,
ce ne hai più iris fritte?”
“Macché,
tutto finito…”
“Ah! Ora
nasce con una voglia a forma di iris fritta!”. Stupidaggine
delle nove e mezza da Viola color cammello. Poi continua:
“Allora Giova’, che pigli?”
“Ma magari
un cornettino alla crema e un caffè..”
“Allora due
caffè e il cornetto…”. Ordinazione
soddisfatta da Viola color cammello.
Poi Giovanna si gira e
saluta Luigi.
“La mia
collega preferita!”, esplode, lui, in un sorriso.
“Luigi
smettila di farmi la corte che c’ho un figlio e tre quarti a
carico! Non ti conviene!”
“Il
“tre quarti” è
simpaticissimo!”, ride ancora, Luigi. Poi tossisce un
po’ e torna dentro il giornale. “Diciotto
morti”, legge. Chiude quei fogli e pensa: “Cazzo,
diciotto morti”. Poi esce dal bar, fingendo di andare a
sbattere per caso con la mano sul culo di Giovanna.
“Diciotto
morti”, riprende a pensare in strada quel Luigi un
po’ stempiato che le fa la corte, a Giovanna, da quando
andavano al liceo.
“E poi uno
pensa cattiverie… Ti sei fatta mettere incinta due volte da
due stronzi che poi sono scomparsi ed io che ti sbavo dietro da
più di dieci anni non mi caghi di striscio… che
stronza che sei, mia piccola Giovanna…”, poi si
infila dentro il portone dell’ufficio. La portiera lo saluta
da dietro il vetro della guardiola. I centotré chili di
mamma acquisita sorridono a quel Luigi stempiato, innamorato.
“Olà,
mamma Rosa, che mi dici?”
“Figlio mio
che ti devo dire? Ma lo hai sentito che sono morte diciotto
persone?”
“Eh, lo so
mammina… che cucini per pranzo?”
“Faccio la
trippa.. apparecchio pure per te?”
“No,
mammì. Che l’altra volta mi sono schizzato tutto
di sugo…”
“E io ci
metto un bavaglino a questo qui!”, ridacchia la mamma. Poi si
salutano e Luigi innamorato sale le due rampe che lo portano allo
stanzone dei computer.
E la
“mamma” rimane lì, ferma. Lo guarda con
i suoi centotré chili di amore pseudo-materno salire quelle
due rampe. Poi pensa ai diciotto morti, poi di nuovo al suo
“figliolo” che sbava dietro a quella zoccola di
Giovanna almeno da dieci anni.
“Nonna, vado
a scuola…”, e Amanda è già
schizzata sul motorino. E la nonna-mamma Rosa-portiera esce dalla
guardiola con balzo felino.
“E a
quest’ora sicci va’ a scuola?”
“Nonnì,
c’è okkupazione…”, e lo dice
col cappa.
La nonna-mamma
Rosa-portiera torna a sedersi dietro il vetro. Riaccende la radio e i
diciotto morti sono ancora lì, ma lei cambia e mette su
“Radio Maria”, che a quest’ora si dice il
rosario.
“Ave Maria,
piena di grazia..” e già la prima pallina
è fatta. “..il Signore… sì,
ma se scopro che a questa occupazione si bacia con i ragazzi gliela
faccio passare io la voglia.. l’okkupazione..”, e
questa volta lo dice anche lei col cappa.
E Amanda col motorino
ci arriva subito a scuola, che ci sono già Aurelio e Mattia
che squagliano il pezzo di fumo.
“Che te ne
fumi una con noi, Ama’?”
“Ma sei
scemo che non sono manco le dieci..! Dov’è
Stefi?”
“Ma forse
è dentro col Capo..”
Amanda saluta i due
fumanti ed entra dentro. Che c’è una puzza di
rinchiuso che non si respira. Vuole vedere Stefi, poi pensa che magari
lei sta sbavando dietro al Capo e lascia stare. Amanda va’ a
zonzo, poi vede Stefi che è col Capo e un altro
po’ di gente.
“Che si fa,
qua?”, chiede allora all’amica sbavante.
“Maurizio
sta commentando la notizia dei diciotto morti…”
risponde Stefi, si sorridono, poi lei torna a sbavare.
“.. e sono
morti per che cosa? Che questi cazzo di governanti fascisti del cazzo
ce li mandano a migliaia a morire, cazzo, e poi dicono che erano in
missione di pace… peccato che lo sanno solo loro che
è una cazzo di missione di pace…”, poi
il “Maurizio-Capo” viene
“cazzo” interrotto, perché
“cazzo” uno si è ubriacato e adesso,
“cazzo” vero, sta distruggendo una
“cazzo” di aula.
Stefi abbraccia Amanda
e le dice in un orecchio che si sono baciati, lei e il Capo. Amanda le
sorride, poi vede con la coda dell’occhio il Capo che ci
prova con la sorella dell’ubriaco. Lo vede pure Stefi e il
sorriso le scompare dalla faccia. Si va a chiudere in bagno e Amanda la
segue.
“Ma cosa
cazzo mi aspetto? Lui è così meraviglioso e
stupendo.. ed io per un bacio già mi immagino
chissàcchè!”. Stefi piange seduta
accanto a quel cesso sporco di una settimana di occupazione.
“Ma che ci
piangi, Stè? Che è uno stronzo, Maurizio non lo
sapevamo? ..Che ha pure preso qualche chilo e sembra un
ippopotamo!”. Amanda sorride all’amica in lacrime.
Stefi ricambia il sorriso, si asciuga le lacrime. Poi ride, ma le viene
ancora da piangere.
E l’ubriaco
in realtà si chiama Marco e va in seconda, che tutti ancora
lo prendono un po’ per il culo.
E ci pensa Marco che
sono morte diciotto persone, però la grappa alle dieci e
mezzo è pesante e si mette a vomitare dappertutto. Ora si
che lo prenderanno per il culo! Vede con la coda dell’occhio
quel mezzo barilotto del Capo che ci prova con sua sorella e si
incazza, poi si siede per terra e non capisce più niente.
E le ore
all’occupazione trascorrono velocemente, che già
è ora di pranzo, e Amanda vede di andare a recuperare il
motorino. Uscendo si scontra con Matilde, che più brutte non
ce n’è. L’occhialuta brufolosa chiede
scusa ad Amanda che però è già andata
via, poi raccoglie i libri che le erano cascati e raccoglie anche un
po’ di prese per il culo perché lei è
una di quelle che si porta i libri all’occupazione. Trattiene
le lacrime sino all’angolo della strada, poi scoppia.
“Ma non
potevo morire io al posto di uno di quei diciotto?”, pensa
Matilde. Poi entra a casa e finge di essere felice.
“Com’è
andata a scuola, tesoro?”
“Mamma
c’è occupazione, te l’ho detto
ieri..”
“Ah, e ti
diverti a questa occupazione, tesoro? Con i tuoi amici immagino
combinerai un sacco di ragazzate! Però vedi di studiare un
po’, eh?”.
Matilde annuisce. E
sua madre non sa che lei non ha amici, che non fa altro che studiare
pur di non pensare a quant’è merdosa la sua vita,
e che la parola “ragazzate” non si usa
più da un migliaio di anni.
A tavola il dottor
padre di Matilde commenta le diciotto morti con assurde difese al
governo di destra che è al potere, parlando sopra il
telegiornale. Poi dice che va via di corsa perché ha una
riunione in ospedale. Ma Matilde sa che si incontra con Patrizia. E lo
sa anche sua madre.
Il dottor
padre bacia la madre sulle labbra. Poi Matilde in fronte. Esce dalla
porta e va via sino a domani mattina sul presto.
Il dottor padre entra
in auto e guida fino all’appartamento di Patrizia che lo
aspetta con un grembiule a fiori e la tavola apparecchiata.
“Ti ho
preparato il pranzo…”, fingendo di essere una
moglie. “Hai sentito di quei diciotto morti?”,
vorrebbe, Patrizia, intavolare una tipica discussione da
“famiglia a tavola”, ma il dottor padre di Matilde
non ha fame e le sta già togliendo gli slip da sotto il
grembiule a fiori.
E quando sono le
quattro di pomeriggio il dottor padre prende e va via. “Ma
non dovevi rimanere questa notte?”
“Sì,
ma non vorrei che mia moglie…”, ed è
già fuori dalla porta. Passa da un fioraio e compra delle
rose per sua moglie.
E Patrizia rimane sul
letto mezza nuda. Si copre col lenzuolo, poi scoppia in lacrime. Va a
farsi una doccia, si infila dentro un tutone felpatone da meccanico
infreddolito e si accende la tv.
“Diciotto
morti”, e lei pensa che le piacerebbe fare la moglie.
“Sotto le macerie c’è ancora
qualcuno”, ma il dottor padre non lascerebbe mai la famiglia
per sposare lei. Sarebbe uno scandalo. Però lei ne
è innamorata, e allora va bene così.
Continuerà a non fare la moglie. Poi si affaccia al balcone
e vede che Mauro sta entrando al panificio.
“Mauro!”,
grida con la sua voce squillante da “non-moglie”.
Lui si gira e la
guarda, e la trova infinitamente bella.
“Mi prendi
un panino che poi ti do i soldi?”
Mauro annuisce, poi si
infila dentro il negozio. Quando esce lei non è
più al balcone e allora lui capisce che lo sta aspettando
sul divano di fronte la tv. Apre il portone del palazzo, sale le scale
e apre la porta del proprio appartamento. Lascia il pane sul tavolo
della cucina, porta con se solo il pacchetto del panino di Patrizia.
Chiude la porta e sale da lei.
Bussa, ma la porta
è accostata e così lui entra e la trova sul
divano. Lei sorride e gli prende il pane dalle mani. Lo invita a
sedersi e gli racconta tutto del dottor padre. Entrambi concordano sul
fatto che è uno stronzo, ma lei conclude con la solita
affermazione: “Ma io lo amo!”. Poi sono
già le sette e mezza e inizia il telegiornale della sera.
“Diciotto
morti”, e Mauro le sorride, le dice che se potesse essere una
donna vorrebbe essere come lei, poi torna al suo appartamento dove lo
aspetta Francesco con la pasta già impiattata.
“Dov’è
che sei stato?”, indaga Francesco sorridendo.
“Dalla
piccola Patrizia che non si rende conto che dovrebbe posarlo a quello
stronzo di dottore!”. Poi si posano un bacio sulle labbra e
cominciano a mangiare.
Diciotto morti. E poi
un’altra serie di vite. E nessuno se ne importa se sono morti
in diciotto, perché tanto, gli altri, siamo ancora tutti
vivi.
Le espressioni gergali utilizzate in questo racconto sono volute, non sono errori di copiatura o altro
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