Autrice: Silvar
Tales (sul
sito);
Deidaradanna93 (sul
forum).
Titolo:
Appendici
- storie sepolte -
Personaggi
/
Pairing: Sasori
/ Deidara
Rating:
Arancione
Warnings:
yaoi; what if?; one-shot; missing moments; lime; nonsense
Canzone
scelta:
Black Sabbath
- Heaven
and Hell
NdA:
Ho
deciso di non inserire frasi della canzone all'interno del testo, o
allegate a ciascuno dei capitoli o delle parti interessate. Spero che
sia riuscita comunque a rendere il significato.
Questa
è la mia prima vera e propria nonsense, e credo che sia
davvero
tanto nonsense. Anche se un senso, in fondo, ce l'ha. Ho diviso la
one-shot in capitoletti, ma non per questo mi sento di chiamarla una
long-fic, non so, spero solo che non sia una struttura un po' troppo
confusonaria! Beh, un po' lo è di certo visto che la stessa
trama è
confusonaria, o meglio, è nascosta. Tutti i paragrafi che
non
portano il titolo di “heaven” o
“hell” -ad eccezione
dell'epilogo- sono ambientati nel passato, durante la vita -diciamo
così, terrena-
dei due protagonisti.
A
proposito dei
protagonisti, questa volta non ho proprio potuto fare a meno di usare
loro due.
Non
solo perché è
la mia coppia per eccellenza, ma anche perché ho sempre
paragonato
Deidara a un angelo e Sasori a un demone, soprattutto per il loro
aspetto. Pensando a loro due come coppia, mi piace quindi notare
questa coincidenza.
Appendici
-
storie sepolte -
Appendice
1 - Vetro
“Ricordi
ancora,
le stelle del cielo?”
Odiava essere
scambiato dagli altri per uno che amava i sentimenti.
Lui amava ben altro,
ciò che era altro dal mondo disordinato in cui viveva.
“Ricordo
gli occhi
dolci, e la tua guancia”
E una lacrima nera a
bagnarla.
Il segno del nulla.
Nessuno ad
ascoltarlo, e il nulla ancora a rispondergli riflettendo la sua
domanda.
“Specchio...”
Ciò che era fatto
di vetro, e che lo stava fissando.
Amore, vita, e il
risultato sfumava nel nulla.
Qualsiasi addizione
conduceva al nulla.
Tutto si
semplificava, tutto diventava uniforme.
L'immagine di
qualcosa che non teneva più nelle braccia, ma nei ricordi.
Qualcosa che voleva
distruggere anche dalla sua testa, per nobilitare il suo trapasso.
Una voce che gli
urlava.
Sasori,
qualcuno ti sta chiamando. Abbandonalo e vai in quella direzione, che
illumina la tua strada. Forse chissà, girovagando, lo
ritroverai. Ma
non lo riconoscerai.
Il
tempo esemplifica la realtà, e lui non può fare a
meno di rivestire
la propria pelle di ciò che conteneva dentro. Sarai capace,
Sasori,
di vederlo?
Stringeva in pugno
quel pezzo di stoffa, si tagliava la pelle con il ferro graffiato.
Tutto ciò rimane.
Tutto ciò ancora si deve compiere.
Lo specchio lo
guardava ancora, sbeffeggiandolo, chiarificandogli la sua debolezza.
Era finito.
La sua vita era
finita.
Il libro della sua
psiche gli raccontava tante storie, che faticava a mettere assieme,
che faticava a dargli un senso.
La loro vita, i loro
giorni, il loro tempo, erano finiti.
Cosa poteva esserci
dopo?
Altre vite di altre
persone, altri corpi calpestati e usati, altre guerre, altri mostri,
altre chimere.
E un fiore di loto
in riva al loro stagno.
“Deidara...”
Deidara
è fuggito avanti.
Deidara
se n'è andato, come un cerbiatto spaurito ha compiuto i suoi
ultimi
balzi leggiadri nel corso di questa vita.
È
fuggito avanti.
Sarai
capace di vederlo?
Appendice
2 - Heaven
I
suoi sogni
derubati erano il pegno per quei corridoi, brillanti di sole.
Qualcosa che
assomigliava al sole, oppure una luce ancor più fastidiosa.
Un'eterea figura
femminile piroettava alla fine di quel tunnel, che collegava il
grigio della vita che stava lasciando a quello sgradevole mare di
bianco. Era davvero sicuro di volerla raggiungere? Era davvero sicuro
di voler lasciare ciò da cui effettivamente stava fuggendo?
Perché,
nonostante tutto, qualcosa nel suo istinto gli diceva che, in ogni
caso, non avrebbe potuto decidere. E che quello che si stava
lasciando alle spalle, qualunque cosa fosse, lo stava lasciando per
sempre.
Non avrebbe potuto
decidere.
Il grigio da cui era
risalito, era la sua vita? Erano i suoi sogni incompiuti?
Erano quelle cose
che avrebbe voluto realizzare, e lui era quella persona che avrebbe
voluto mostrare al mondo. Ma ora, vagava verso una meta ignota, e
anche si lasciava dietro una partenza indistinta.
Da dov'era giunto?
Qual era la sua destinazione?
Non lo sapeva, ma
non poteva far altro che avvicinarsi alla figura che intravedeva,
attraverso quei corridoi dorati. Negli infiniti specchi a parete,
riconosceva un corpo.
Un corpo alto,
muscoloso e proporzionato; due occhi celesti, una cascata di capelli
biondi.
Quello poteva essere
stato il suo corpo? Non lo ricordava.
Non ricordava il suo
nome, il suo corpo, la sua storia. Era come se fosse nato di nuovo.
Forse, era così.
Forse, la landa
grigia da cui proveniva, dove aveva trascorso un'esistenza, non era
altro che un punto di partenza per un altro inizio. Ma quale?
La donna evanescente
lo guardava dall'alto, fondendo i loro occhi. Qualcosa le avvolgeva
il corpo nudo, di estremamente spumoso e ampio. I capelli erano
avvolti in battuffoli candidi sulla nuca, i suoi piedi invece,
sparivano nel pavimento di cielo. E lei piroettava senza mai
fermarsi, senza però mai distogliere gli occhi da lui.
“Deidara”
Sentì, nella sua
testa.
Improvvisamente, si
ricordò del suo nome.
“Angelo”
Sentì una seconda
volta la sua voce, pronunciare un'ultima menzione.
E le porte che aveva
di fronte, si aprirono. Abbandonò così la stanza
degli infiniti
specchi, e nel passare, lasciò un altro pegno.
La figura aveva
distorto i piedi, e nella piccola voragine sotto di lei, scorse
sangue.
Diretto a un mondo
inferiore.
Appendice
3 - Hell
Due
cose ricordava,
e non era ben sicuro di quale delle due l'avesse condotto alla fine.
Un veleno che si
insinuava nei tessuti del suo corpo, bevuto di propria
volontà. Gli
aghi che gli bloccavano il respiro, le ghiandole che s'ingrossavano e
poi inevitabilmente cessavano di funzionare. Il battito cardiaco che,
alla fine di una dolorosissima quanto breve agonia, moriva. Cosa
l'aveva condotto al suicidio?
Non ricordava. Solo
gli sembrava assurdo che lui potesse commettere un atto del genere.
Ma poi, ricordava
un'altra cosa.
Correva su un campo
di battaglia, su un terreno minato di ferri incrostati di ruggine e
cadaveri. Correva, e non verso l'attacco. Anzi, rammentava ancora ora
la sgradevole sensazione della fuga disperata. Poi veniva braccato, e
una volta raggiunto, lo sapeva, era la fine. Ricordava che in un
attimo rovinava a terra, investito dall'enorme forza della belva
aizzata, che subito scovava il collo e glielo azzannava, affondando
con impensabile capacità i lunghi canini nella carne.
L'ultimo
ricordo, il rumore di ossa strappate fuori dalla pelle lacera, e il
ringhio della bestia soddisfatta, che se ne cibava.
Uno scontro andato
male, probabilmente. Era quello, che gli aveva donato la morte?
Perché di morte si
trattava, ne era certo.
In quell'aria
venefica non c'era traccia di alcun soffio vitale.
Giungeva in una
landa grigia, pregnante di anime carbonizzate.
Davanti a lui, una
gola di roccia partoriente gettava allo sbaraglio centinaia di corpi
anonimi.
Ciò che essi
vedevano, una volta usciti dalla cavità, era l'inferno.
L'inferno nella sua
veste di calma incontenibile, estesa su una landa assurda da
contemplare per un occhio umano, dove non si percepiva nemmeno il
più
esile soffio di vento. Tutto era stabile, e soffocante.
Foglie bianche, o
batuffoli di cotone sgretolato, volteggiavano, spinti da un respiro
che non esisteva.
Lui si guardò
intorno, non capendo.
Non aveva percorso
la stessa strada che era riservata a tutte le comuni anime. Non era
uscito dalla galleria, era di fronte ad essa, e sulla spalla teneva
un'insolita arma, che reggeva con il braccio destro. Una lancia,
dalle eleganti fattezze.
Si toccò la
schiena, e sentì due ali piumate richiuse contro il suo
corpo, che
scendevano fino a toccargli le cosce nude.
“Sasori”
Guardò
istintivamente in alto, non capendo da che parte provenisse la voce.
Si accorse solo in quell'attimo che su quella terra scorrevano fiumi
di sangue, provenienti dall'alto, da un mondo superiore.
S'insinuavano tra le rocce lucide, correndo come torrenti in piena
nelle piccole gole e nelle varie gallerie, per poi saltare come
cascate su altri anfratti, formando pozzanghere rosse nelle
depressioni della parete.
Era uno spettacolo
agghiacciante, ma stranamente non gli diede alcun effetto.
“Sasori”
Chiamò ancora la
voce. Capì allora che proveniva da dentro la sua testa.
Sasori... era quello
il suo nome? Non ricordava...
“Demone”
Appendice
4 - Sera
“Deidara?”
Ancora lo cercava.
Avrebbe dovuto
allontanarsi da lui. E invece no, lui lo attraeva da morire. E
allora, ancora lo cercava.
Avanzò a piedi nudi
sulla passerella di legno, che dava sullo stagno.
Era sera.
Ogni cosa era
colorata di soffusi riflessi bluastri, la quiete era immersa nei
canti degli uccellini notturni, e nel mansueto moto delle acque,
animate dallo scrosciare di una piccola cascatella. Quell'angusto
luogo si trovava sul retro di un semplice albergo montano, e loro si
trovavano lì per riposarsi da una semplice missione di
ricerca.
Deidara era seduto a
gambe incrociate sullo scalino di legno chiaro. Con un dito sfiorava
la superficie cristallina dell'acqua, rompendola in mille cerchi
concentrici. Sasori gli si avvicinò, sedendosi cauto al suo
fianco.
“Che
vuoi?”
Chiese lui, un tantino sgarbato. “Niente” si
affrettò a dire
l'altro, scuotendo appena la testa e abbassandola.
No, non l'avrebbe
perdonato per quello che aveva fatto. Anzi era stato uno stupido
anche solo a sperarlo.
“Deidara?”
Tentò
di nuovo, per poi riscoprire dolorosamente gli occhi del ragazzo
lucidi.
Non avrebbe mai
voluto questo.
Lo baciò
cautamente, toccandogli il collo e i capelli. Sentendo il suo profumo
traspirare attraverso le sue labbra.
“Baciami...
baciami ancora” inaspettatamente, lo invitò a
continuare.
E lui continuò, e
il ragazzo assentì.
E questa volta
fecero l'amore.
I fiori di loto si
schiudevano, galleggianti nello stagno.
Un fiocco di luna
curioso li sfiorava, e poi tornava a nascondersi tra le nuvole.
Appendice
5 - Hell
“Vuoi
giocare? Vuoi giocare ancora?”
Un'aria
infuocata di fuliggine, e il fumo buio macchiato di sangue.
Odore
di carbone e vortici di piume nere si spiralizzavano nelle correnti
ascensionali sospinte dai falò.
I
cancelli pesanti chiusi da una catena.
Quanto
avrebbe resistito ancora?
Aveva
catturato l'angelo, la bestia dalle lunghe ali grigie.
Una
creatura incatenata dalla pelle una volta candida, ora segnata dalle
corde che ustionavano e stringevano le spalle e le gambe, il collo
sinuoso piegato in alto, macchiato di nebbia caliginosa e del suo
stesso liquido puro.
I
capelli biondi impregnati di quell'aria mortifera.
Stringeva,
stringeva le corde il demone, e fissava gli occhi celesti della
preda, e mordeva la chiara guancia, e sfregiava le sue carni.
Silenziose
urla.
“Ancora,
vuoi giocare?”
Battiti
smorzati.
Bacio
sanguinoso.
Gli
occhi del demone riflettevano sangue e annullavano l'immagine
dell'angelo, che si assuefaceva alla sua libidine.
Si
sarebbe unito col suo opposto.
Scontro
di forze contrarie, carne bruciata sulla graticola.
Fuori
la pace, dentro il caos.
Si
sarebbe cibato delle sue carni spoglie.
L'avrebbe
preso con sé e unito col proprio corpo.
Nasceva
di nuovo.
Urla
silenziose, di nuovo.
Di
nuovo.
“Scriverai
la tua storia epica?”
Silenzio.
Lo
afferrò rudemente con le braccia, nascondendo il suo corpo
nudo
nelle aguzze ali nere, ferendo e strappando le sue candide.
“Silenzio”
Non
aveva potere. Non aveva occhi per capire il suo cuore.
Non
afferrava con sincronia il suo fremito.
Sarebbe
morto.
E
loro due, insieme, diventavano finiti, con un principio perverso ad
animarli e uno crudele a spegnerli.
Sarebbe
morto.
Appendice
6 - Epilogo
L'angelo
malato tolse dai polsi i lacci polverizzati, spazzandosi via la
polvere di dosso e tremando sulle gambe.
Tutto
quanto era coperto di una patina nevosa, di macabri pollini volatili.
La
fine era prevalsa sulla realtà infernale.
Di
lui solo alcune piume nere rimanevano, scolpite
nell'aria
immobile. Tutto era spento.
Non
crepitavano più i falò maligni.
“Sasori?”
Assurdamente
chiamò il demone, la bestia con cui si era appena unito, e
la voce
gli si ghiacciò in gola.
Le
sue ali spezzate gli ricadevano inermi lungo la schiena nuda.
Cercava,
cercava...
Ma
che cosa? Ma che cosa?
Un'ombra
che si era dissolta.
Non
era più angelo, non era più demone.
Ora,
era il nulla. E il nulla aveva soffiato via le loro essenze fragili
come pensieri, in un altro universo inesistente.
Aveva
chiuso gli occhi, e gli stessi occhi aveva riaperto sul vuoto.
E
nel buio delle palpebre chiuse, aveva rivisto una fiamma rossa di
passato, uno scorcio della sua esistenza compiuta, e qualcuno che gli
ricordava...
Chiudeva
di nuovo gli occhi sul mondo, e aveva paura di riaprirli sul nulla.
“Mi
sono perso”
Un
ultimo tocco, e la morte.
Qualcosa
che era già successo.
Non
esisteva niente, oltre.
Solo
un angelo, che continuava a camminare.
*Ispirata
a "Heaven and Hell" dei Black Sabbath
trad. :
PARADISO E INFERNO
Cantami una canzone, tu
sei un cantante
Fammi un torto, tu sei
un portatore del male
Il diavolo non
è mai un artefice
Il meno che dai, tu sei
un beneficiario
Così
è ancora e ancora e ancora e ancora, è paradiso e
inferno, oh bene
L’amante della
vita non è un peccatore
La fine è
solo un iniziatore
Il più intimo
che porti al significato
Il più presto
saprai che stai sognando
Così
è ancora e ancora e ancora e ancora, oh è ancora
e ancora e ancora e ancora
Va avanti ancora e
ancora e ancora, paradiso e inferno
Posso dirti, sciocco,
sciocco!
Bene se sembra essere
vero, è un illusione
Per ogni momento di
verità, c’è una confusione nella vita
L’amore
può essere visto come una risposta, ma nessuno sanguina per
la ballerina
Ed è ancora e
ancora e ancora e ancora…
Dicono che la vita
è un carosello
Gira veloce, devi
cavalcarlo bene
Il mondo è
pieno di re e regine
Chi acceca i tuoi occhi
e ruba i tuoi sogni
È il paradiso
e l’inferno , oh bene
E ti diranno che il nero
è davvero bianco
La luna è
solo un sole di notte
E quando cammini nelle
sale dorate
Devi tenere
l’oro che cade
È il paradiso
e l’inferno, oh no!
Sciocco, sciocco!
Devi sanguinare per la
ballerina!
Sciocco, sciocco!
Cerca la risposta!
Sciocco, sciocco,
sciocco!
~
~ ~
~
Post
Note: questa
storia, che battezzo come la mia prima nonsense, si è
classificata
prima (beh, eravamo in quattro...) al Contest “Rock'n Roll,
Naruto!” indetto da GreedFan sul forum di efp. Per me
è stata una vera e propria sorpresa, perché
stavolta per davvero la storia non mi piaceva, e tuttora continua a non
piacermi. Ma proprio per questo sapere che a qualcuno è
stata di gradimento e che forse altri la gradiranno, mi riempie di
felicità ^-^ ! Devo assolutamente
fare i miei complimenti alla giudice per la sua velocità e
per la
sua precisione nello stilare giudizi e punteggi, per cui la ringrazio
infinitamente! ^^
Ah già,
e naturalmente la ringrazio per i bellissimi bannerini!! Sono
stata felicissima di aggiudicarmi
quei due premietti, soprattutto il premio yaoi, che agognavo da
tanto... *-*
Orbene, detto questo credo che non
servano altre parole superflue, per cui copio
e incollo il giudizio qui di seguito:
1°
Classificata + Premio Yaoi e Premio Lighning
Correttezza
grammaticale e lessicale:
10/10
Originalità:
9,5/10
IC/Trattazione
dei Personaggi: 10/10
Attinenza
della canzone scelta:
9,5/10
Giudizio
Personale: 4,5/5
Totale:
43,5/45
Il
problema di questa oneshot è la sua indescrivibile bellezza.
"Indescrivibile", nel senso che mi trovo in difficoltà
persino nello stilare il giudizio.
Sulla
grammatica, come puoi vedere, non ho nulla da dire. Definirla
"perfetta" sarebbe sciocco, perché nulla si può
dire
realmente perfetto, ma non vi ho trovato imprecisioni tali da
giustificare l'abbassamento del voto anche solo di un decimo. Il tuo
stile sembra nato apposta per la oneshot, e accompagna la trama in un
connubio incredibile di atmosfere candide ed eteree e lande grigie e
fumose.
I
cinque decimi che ho tolto alla voce "originalità" sono
dovuti al fatto che una trama simile è abbastanza scontata,
con una
canzone come Heaven and Hell, ma il modo eccelso con cui l'hai
sviluppata mi ha trattenuto dal togliere di più.
L'attinenza
è quasi totale, tranne che per qualche minima sbavatura,
mentre i
personaggi sono trattati con una maestria che denota anche una
notevole
esperienza con questo pairing... sbaglio, forse? Deidara e
Sasori sono perfettamente delineati, nonostante tu non spenda righe e
righe sulla loro
caratterizzazione: bastano pochi, appropriati
tocchi, ed eccoli resi in tutto il loro spessore.
Una
storia che mi è piaciuta davvero moltissimo, al punto da
portarmi a
piazzarla sul podio.
Un
primo posto davvero meritatissimo.
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