alba

di talpy
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E' l’alba e la rugiada ancora imperla l’erba verde e fredda. Sono qui, seduto sul bagnato, con i piedi nudi e le scarpe in mano, solo. Smetto per un attimo di pensare e mi fermo a guardare l’alba magica in collina, che come un tempo si alza lenta tinteggiando di un delicato rosa il cielo cupo e pigro. Mentre il mondo si sveglia io sento la stanchezza dell’essere lasciato indietro da una vita che è tornata a scorrere veloce. No, non provo più, guardando l’alba, quello che provavo prima, quando le tue dita affusolate si legavano alle mie e la tua risata ubriaca mi solleticava le orecchie. L’alba ha perso parte del suo fascino, perché il suo rosa pallido non si mischia più al rubino infuocato dei tuoi capelli, che sciolti e arruffati ti cadevano scompostamente sul viso esangue. Le tue gambe snelle non sono più piegate in modo maldestro sull’erba fredda che, dicevi, ti rinfrescava dalla tua arsura, dalla tua bramosia di quando mi saltavi addosso in modo sciocco e sensuale e mi stampavi baci dolci sulla bocca. I miei piedi nudi non sono che un’imitazione di quella tua sfrontatezza ingenua che ti portava a bagni inopportuni nel lago gelato, a corse notturne per il castello, a incontri proibiti sotto il cielo di stelle, a cicche accese in guferia, a dormite sulle panche dello stadio. L’alba tiepida mi solletica ricordi di un passato caldo, ma il presente è sorto, e tu non ci sei più.




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