SummerLoving
Summer Loving
"Sarà
gioco o amore chissà? Nelle sere d'estate si fa!"
Cit. da Grease
"Summer Nights" nella versione italiana "Sere
d'Estate"
Prologo
Giovedì.
-Mi
raccomando!- ripeté Giulio per l'ennesima volta. - Ti vengo
a
prendere a mezzogiorno, che abbiamo il pranzo dai nonni. Sai che ci
tengono a salutarti prima che tu parta.- Cecilia fissò il
paesaggio
sfuggire via alla sua vista, attraverso il finestrino dell'auto.
-Okay,
papà.- mormorò con voce atona. L'auto
cominciò a rallentare,
permettendole di afferrare tutti quei particolari del paesaggio
metropolitano che prima non erano altro che pennellate indistinte di
grigio, con qualche sbavatura di colore qui e là,
apparentemente
priva di senso. Sospirò sollevata quando infine si
fermò,
permettendole di scorgere con chiarezza il grigiore della
città che
faceva risaltare l'insegna colorata del piccolo bar dove aveva
appuntamento con le sue amiche. Scoccò un bacio sulla
guancia di suo
padre e scese il più velocemente possibile dall'auto. A
pochi metri
da loro, Claudia l'aspettava, le braccia incrociate al petto, il suo
solito sorriso sprezzante sul volto. "Sei in ritardo",
sembrava dirle, "come sempre". Non è che
Cecilia
fosse una ritardataria cronica. Era Claudia che arrivava in anticipo,
per il puro gusto di farla sentire inadeguata.
-Pronta
per il trasferimento in Burundi? Ah no scusa, è a Cagliari
che vai.-
disse Claudia con sarcasmo, storcendo il naso e calcando le ultime
parole con tono disgustato. - Ma che hai fatto per farti mandare in
esilio? Dai, tuo padre ti deve aver beccato con uno! Con Simo,
è
così! Cioè, può essere solo questo il
motivo, se no tuo padre ti
avrebbe mandato tipo in Costa Smeralda, non a Cagliari. Non
c'è
niente lì! Neppure le pecore.- Cecilia evitò di
rispondere
riempiendosi la bocca con una cucchiaiata di gelato.
In
realtà lei ricordava Cagliari come una bella
città, anche se i suoi
ricordi erano vaghi. Ricordava che suo padre la portava a passeggiare
tra le stradine della marina, tanto strette che una sola automobile
ci passava a stento. Lui la prendeva sulle spalle mentre qualcuno,
non ricordava bene chi, arrancava dietro loro,e suo padre per
far loro dispetto quasi correva, facendola sobbalzare come se si
trovasse su una giostra. Ricordava i gelati mangiati sotto il sole
cocente d'agosto, il mare, e quel costumino tutto fronzoli e
fiocchetti che sua madre le aveva comprato per l'occasione, e i
complimenti che il padre le faceva quando lo indossava.
Ma
Claudia come poteva capire, come poteva riuscire a grattare la
superficie e vedere la sua tristezza, a captare il suo bisogno
disperato di sincerità e conforto? Lei viveva in un mondo di
veline e
tronisti, dove se non ti adegui, se non frequenti i posti giusti e la
gente giusta non sei nessuno.Non c'era spazio per le amicizie sincere,
non c'era spazio per lei in quel mondo. Cecilia aveva desiderato
disperatamente
farne parte, come se questo avesse potuto cambiarla, cambiare
l'immagine che aveva di sé perché fosse adeguata
a ciò che gli
altri volevano lei fosse. Si era sbagliata. La faceva sentire ancora
più diversa, in qualche modo inadeguata.
-Già...
Non so che gli prenda...- borbottò avvilita. - Come mai le
altre non
sono venute?- Chiese poi, cercando di sviare la conversazione verso
argomenti meno compromettenti. Se le avesse detto che era stata lei a
chiedere a suo padre di lasciarla partire, ma che Cagliari era stato
l'unico posto in cui l'avrebbe lasciata andare da sola,
perché solo
lì sarebbe stata controllata a vista, Claudia avrebbe
sottolineato
come fosse sempre stata così codarda, e che se fosse stata
al posto
suo avrebbe fatto quello che voleva, se le andava.
-Non
avevano tempo, partono anche loro la prossima settimana, non te lo
ricordi?- E come poteva dimenticarsene dopo che avevano organizzato
una vera e propria festa d'addio con tanto di regali e lacrime di
commozione, come se stessero partendo per la guerra per non far
più
ritorno? Invece Cecilia poteva pure sparire nel nulla e nessuna di
loro se ne sarebbe preoccupata, a dimostrazione che non la ritenevano
abbastanza importante. - Loro sì che vanno in dei posti
fantastici.
Laura va a Sharm, e Mara in Costa Azzurra. E tu dove vai? Tra le
pecore! Che schifo!-
Cecilia
mise su un sorrisetto di circostanza. Non lo sapeva perché
le era
amica. Se lo chiedeva ogni giorno e ogni volta le era impossibile
trovare una risposta. Non si ricordava per quale motivo l'avesse
ritenuta simpatica, perché aveva desiderato entrare a far
parte
della sua ristretta cerchia di amicizie. Ora capiva perché
era tanto
ristretta: Claudia era odiosa, stupida e ignorante, ma lei non aveva
abbastanza forza per allontanarsene. Come la falena non riesce ad
allontanarsi dalla fiamma, attirata e intrappolata dalla sua luce,
splendida e letale, evanescente ma capace di segnare la pelle
indelebilmente. L'aveva attirata la sua sicurezza, ma con quella la
feriva ogni qualvolta poteva, rimarcando sempre con l'evidente
intento di farle del male quanto manchevole fosse in ogni cosa
facesse.
Cecilia
mise giù la coppetta del gelato. Aveva preso una piccola,
misera
coppetta da un gusto, mentre Claudia una cialda da tre gusti con le
immancabili decorazioni di biscotto che probabilmente avrebbe dovuto
pagare lei. Buttò un'occhiata all'orologio al suo polso. Le
undici.
Era passata solo mezz'ora e lei non poteva resistere un minuto di
più, doveva andarsene, era questione di sopravvivenza: un
altra ora
con lei e avrebbe detto addio alle sue facoltà intellettive.
-
Accidenti, è tardi!- disse con una vocetta nervosa,
alzandosi in
fretta.- Devo proprio andare, mio padre mi aspetta a casa, lo sai che
se tardo un minuto gli prende una sincope.- mentì
spudoratamente.
-Sì,
sì certo, divertiti nel profondo sud.- le disse l'altra,
ridendo con
quella sua risatina acuta e frivola che Cecilia detestava. Le
sembrava, a volte, che ridesse solo nel tentativo di perforarle un
timpano. -... e grazie per il gelato. Non dovevi proprio!-
Come
volevasi dimostrare. Come se avesse potuto rifiutarsi.
Quando
suo padre la vide tornare, per poco non gli prese davvero una
sincope.
-Mi
hanno accompagnato i genitori di Clà.- liquidò
così la questione,
prima che gli venisse una crisi di panico. Cecilia aveva imparato che
a volte era preferibile mentirgli, se non altro per la sua salute. -
Vado a finire le valigie.- e corse a chiudersi in camera prima che
suo padre potesse farle qualche domanda a cui non poteva o non voleva
rispondere.
Una
volta nella sua stanza sedette sul letto, accanto alla valigia
già
piena ma ancora aperta. Stava facendo la cosa giusta? Stava scappando
da un padre troppo apprensivo e da delle pessime amiche, tutte cose
che invece avrebbe dovuto affrontare. Non aveva altri motivi per
andare dove stava andando.
Si
guardò intorno. Le pareti della sua camera erano rosa
pallido e
ricoperte di poster di quegli stupidi musical disneyani che facevano
impazzire le sue amiche ma che lei trovava detestabili, intrisi
com'erano di finto perbenismo all'americana, dove tutti sono perfetti
e felici. Il suo letto aveva la testiera in ferro battuto bianco,
così come bianco era il resto del mobilio. Tutto era
così pieno di
ghirigori che non l'aveva sorpresa quando Claudia l'aveva rinominata
“la stanza della principessina di papà”.
Si
alzò e si avvicinò ad uno dei poster: il bello di
turno le
sorrideva vacuo e immobile, con la tipica espressione vuota che
lascia alle adolescenti la libertà di illudersi che in
quegli occhi
fissi ci sia un po' d'amore anche per loro, o solo per loro. Ma lei
lo sapeva che non era così, che quello non era che un pezzo
di carta
e che lei quell'attore non l'avrebbe mai incontrato. Non le importava
neppure. Sollevò le mani e le posò sul poster,
facendo scorrere i
polpastrelli sulla carta lucida e liscia fino ai bordi superiori,
dove artigliò la carta e...Strap! Un colpo secco e
strappò via il
poster.
Gli
angoli rimasero incollati alla parete, tenuti su dal nastro adesivo
che fu quasi liberatorio rimuovere pian piano con un unghia.
Altrettanto liberatorio e terapeutico fu vedere nuovamente la parete
pulita e libera da quella spazzatura. Uno dopo l'altro, questa fu la
sorte che toccò ad ognuno di quei poster. Tutto venne
appallottolato
e scalciato sotto il letto. "Lontano dagli occhi, lontano dal
cuore.", si disse. Fu entusiasmante, il rumore della carta
strappata quasi era riuscito a rilassarla. Si stava riprendendo i
suoi spazi. Era come svoltare pagina e cominciare a scrivere un nuovo
capitolo della sua vita.
Quando
tornò a guardarsi intorno i muri di nuovo immacolati le
diedero
l'impressione che la stanza si fosse fatta più ariosa e
luminosa, e
fu certa di stare facendo la cosa giusta, per il momento. Sarebbe
tornata in un posto dove aveva vissuto dei momenti speciali con suo
padre, quando ancora non la soffocava con la sua apprensione, quando
sua madre non se n'era ancora andata e loro erano una vera famiglia,
dove l'avrebbero accolta (sperava) con sincera gioia. Nessun altro
l'avrebbe accudita meglio di come avrebbe fatto Clelia Marongiu,
amica di vecchia data di suo padre. La ricordava vagamente, ma le era
rimasto impresso il ricordo di lei che la riempiva di dolcetti alle
mandorle avvolti in carta colorata. Aveva quindi per istinto
un'ottima opinione della donna, anche se questa si basava su un
momento tanto lontano nel tempo che probabilmente non aveva senso
alcuno credere che l'idea che si era fatta di lei potesse avere
fondamento.
L'unica
pecca? Lei aveva due figli: uno di diciannove anni e una di
diciassette, sua coetanea, con cui, costretta da sua padre, aveva
scambiato qualche email. Tale Bianca Marras sembrava un tipino
esuberante, fin troppo per i suoi gusti, una di quelle ragazze che
non te la manda a dire, ma aveva avuto anche l'impressione fosse, a
modo suo, una ragazza a posto, una di quelle di cui ci si
può
fidare. Odiava essere forzata a socializzare però, e avrebbe
dovuto
farlo visto che i Marras l'avrebbero ospitata in casa loro per ben
cinque settimane. Aveva quindi deciso di essere molto gentile con
tutti loro, ma senza aspettarsi nulla e sperando loro non si
aspettassero nulla da lei. Che serà serà, insomma.
Suo
padre invece credeva le avrebbe fatto bene avere un'amica della sua
età che non fosse Claudia o Laura o Mara, e non sembrava
essere
preoccupato della presenza del ragazzo. Di solito il solo pensiero
che un ragazzo potesse interessarsi a lei lo mandava in
escandescenze. Di questo Alberto però non si preoccupava
affatto.
Lui credeva che, siccome avevano giocato insieme quando erano dei
bambini, dovessero considerarsi l'un l'altro come fratello e sorella.
Lei non si ricordava neppure il suo volto, figurarsi se l'avrebbe
potuto considerare come un fratello.
Cecilia
diede un'ultima occhiata alla sua stanza, ripulita dalla spazzatura,
infilò alcune maglie che suo padre le aveva lasciato, ben
piegate e
stirate, sul letto e le infilò in valigia. Ormai vi aveva
messo
tutto il necessario. La chiuse e la tirò giù,
posandola sul
pavimento. Tornò a sedersi sul letto. Aveva bisogno di
occupare il
tempo, altrimenti non sarebbe passato mai. Si alzò
nuovamente solo
per andarsi a sedere alla scrivania. Accese il suo nuovo notebook,
regalo di sua madre. Era rosa. Bastava questo particolare a farle
comprendere quanto poco sua madre la conoscesse: lei odiava il rosa.
Ma non si aspettava nulla di meglio da lei.
Non
sapeva cosa fare. Non era mai stata una grande amante della
tecnologia, che riteneva una scomoda necessità. Stare
davanti ad uno
schermo era una perdita di tempo, ma considerando il fatto che ne
aveva a iosa quello poteva essere un modo accettabile di occuparlo.
Pensò di dare un'ultima controllata al suo account di posta
elettronica nella speranza vana di ricevere un'email da Mara o Laura,
o meglio nella speranza di scoprire che qualcuno si era ricordato di
lei. E un'email c'era, ma non era né di Mara né
di Laura: era di
Bianca. “Buon viaggio. Soldato!” diceva l'oggetto
del messaggio.
Le pareva incredibile che una ragazza che quasi non la conosceva le
avesse davvero scritto solo per augurarle buon viaggio. In tutto
quello che Bianca le scriveva, email lunghissime e piene di faccine
sorridenti, c'era qualcosa di autentico. Sembrava sincera e molto ben
disposta nei suoi confronti. Quando l'aprì sorrise nel
notare lo
stile in cui le aveva scritto quella volta.
Soldato,
attenti! U_U7
Mancano
un giorno e tredici ore all'ora X. Qui è tutto pronto per la
missione.
Il
campo base è stato allestito, ed è pronto per
essere occupato.
Si
attende il Suo arrivo.
Alcuni
avvenimenti importanti sono accaduti, eccoli riassunti: mamma sclera,
non sa dove fare l'uovo, continua a pensare a cosa possa piacerti, e
se dividere la camera con me sarà un problema. Urgono misure
drastiche ma rassicuranti.
Insomma,
siamo tutti in fibrillazione! XD Sarà divertente averti qui!
:-)
Mamma
mi ripete di continuo che dovrò essere gentile con te (come
se non
fosse scontato U.U ) e non farle fare brutta figura.
Mi
ha raccontato che l'ultima volta che sei venuta in vacanza da noi io
giocavo con il fango e tu mi guardavi inorridita... Oh...
Improvvisamente capisco perché ha paura di fare una
figuraccia! ^_^”
Tranquilla, ho smesso di giocare con il fango... Sono passata alla
plastilina! XD
Ehm
ehm... Comunque... Si aspettano comunicati dal fronte.
Tenente
Bianca a rapporto, soldato! U_U7
P.S.
Buon viaggio, Cecilia! :-) Ci vediamo domani all'aeroporto.
***
-Ripetimelo
un'altra volta: perché non puoi venire alla mia festa
domani?-
Chiese Giorgia per la terza volta. E ogni volta che lo costringeva a
ripetere le sue motivazioni, il suo volto sembrava somigliare sempre
più alla maschera di un merdules:
deformato dalla rabbia più
che dalla fatica, più simile ad un demonio che ad altro,
buono solo
a far prendere paura. Perché Giorgia era così,
buona e cara quando
le faceva comodo, ma guai a contraddirla. Era la ragazza più
viziata
che avesse mai conosciuto. Ad Alberto pareva insopportabile.
-Ancora?
Te l'ho detto, ho un impegno con i miei.- replicò
sospirante, stanco
di doverlo ripetere per l'ennesima volta.
-Certo!
Ti aspetti pure che ci creda, quando non mi dici neppure cosa devi
fare!- sbuffò la ragazza, incrociando le braccia sotto il
seno,
sempre ben messo in evidenza da esagerate scollature e probabilmente
da dei push-up. Non che ad Alberto dispiacesse quel
“panorama”.
Ciò che non gli piaceva era il modo in cui Giorgia ostentava
le sue
belle curve.
-Devo
andare in aeroporto a prendere la figlia di un amico di mia madre
che, prima che tu me lo chieda, si chiama Cecilia e arriva da Milano.
Contenta ora?- disse esasperato, mentre cercava di concentrarsi
intensamente sulla guida e la strada davanti a lui, illuminata dai
fari dell'auto, per non pensare a quanto lei riuscisse a irritarlo
oltre il sopportabile ogni volta che apriva la bocca.
-Ah,
certo! Ti pareva! Se non ci fosse stata di mezzo una ragazza non
avresti mai mosso il culo da casa! Una continentale del cavolo, poi!
E scommetto che è bionda e ha gli occhi azzurri, ovvio! Se
non fosse
così, ovviamente, non ti scomoderesti di certo. Mi fai
schifo e
basta, Alby!-
Alberto
sbuffò. Le prime avvisaglie di un brutto mal di testa
cominciavano a
farsi sentire. - Lo faccio perché mi costringe mia madre. Se
non lo
facessi non mi presterebbe la macchina nuova, e sul vecchio catorcio
che i miei mi hanno passato tu non saliresti mai.- aggiunse in tono
accusatorio, mentre svoltava l'angolo in una stradina del centro di
Cagliari e parcheggiava davanti dal portone della ragazza.
-Si,
come no! Fattela comprare la macchina, i tuoi sono ingegneri, mica
dei poveracci! Sei... Sei proprio uno stronzo! Sai che ti dico, con
te non ci esco più!- si slacciò la cintura di
sicurezza con uno
scatto furioso, tanto che sembrava volesse strapparla e portarsela
via, magari per appenderla al muro della sua camera come trofeo di
guerra dato che, per ovvi motivi, non poteva prendere il suo scalpo.
Aprì lo sportello con tanta forza da farlo quasi sbattere
contro il
muro accanto, e Alberto rabbrividì al pensiero che per la
rabbia
avrebbe potuto pure ammaccare intenzionalmente l'auto nuova dei suoi
genitori. La ragazza invece si militò a scendere senza
neppure
salutare, sbattendo la portiera con tutta la forza di cui era capace,
tanto da far vibrare i vetri dei finestrini. Alberto attese che
avesse attraversato la porta di casa e l'avesse richiusa alle sue
spalle, più per educazione che per sincero riguardo nei suoi
confronti. Solo quando finalmente fu lontana dagli occhi (e ancor di
più dal cuore) poté rilassarsi. Posò
la testa contro il volante e
mormorò - Grazie Signore, grazie! Questa ragazza mi fa
venire voglia
di farmi prete! Ma chi me l'ha fatto fare?- si chiese e subito
rispose – Stefano, ecco chi me l'ha fatto fare!- sbotto,
maledicendo mentalmente l'amico, fratello di Giorgia, che l'aveva
dipinta come una “ragazza dolce e
tenerosa”. Sì, Giorgia
era dolce... Come una tigre pronta a divorare la sua preda.
Una
come lei non l'avrebbe augurata neppure al suo peggior nemico. Era
una bella ragazza, ed era stato questo ad attirarlo, più
delle
immeritate lodi con cui Stefano l'aveva imbottito e rabbonito, come
la fiamma attira la falena prima di bruciarne le ali. E come se fosse
fiamma era rimasto scottato. Carbonizzato, avrebbe più
propriamente
detto Alberto.Giorgia
era tutto ciò che più detestava: immatura,
viziata, arrogante e
permalosa, e saccente oltre ogni sopportazione. Erano usciti insieme
sporadicamente nell'arco di qualche mese, ma lei dopo il primo
appuntamento aveva cominciato a comportarsi come una moglie gelosa. E
cosa peggiore, era appiccicosa e possessiva come se Alberto avesse
tatuato su una natica "proprietà di Giorgia Perra".
Aveva provato a farle capire che non aveva alcun interesse a
proseguire quella frequentazione, ma lei faceva finta di non aver
afferrato l'antifona. Trovava, invece, sempre il modo di costringerlo
a uscire da soli, senza farsi alcuno scrupolo a mentire. Ormai
cominciavano a essere tante le volte in cui si sarebbero dovuti
vedere con il solito gruppo di amici e che stranamente tutti
davano forfait, esattamente come quella sera.
Le
sue parole, quindi, suonavano piacevoli, così desiderabili
alle sue
orecchie. "Speriamo si trovi un altro povero idiota in
fretta" si disse mentre ingranava la prima e ripartiva,
commiserando il povero diavolo a cui sarebbe toccata in sorte una
ragazza come lei.
-Allora,
l'hai mollata, quella?- chiese sua madre, ancora prima che si fosse
chiuso la porta di casa alle spalle.
-Ciao
mamma! Sì tutto bene, grazie per avermi salutato
così
affettuosamente!- Alberto si affacciò in salotto, dove i
suoi
genitori, sdraiati su un divano e abbracciati come due fidanzatini,
guardavano un documentario alla T.V. Era una delle loro serate tipo:
documentario, coccole, una coppa di gelato e poi via a dormire. Da
quel che poteva vedere, due coppette in plastica vuote e abbandonate
sul tavolino del salotto, avevano già concuso la fase dell'
“ingozziamoci
di gelato fino
a star male”. - Vi avverto... Non
voglio altre sorelline
in mezzo alle scatole, eh! Mi raccomando, le precauzioni!- Suo padre
si limitò a lanciargli un cuscino, senza degnarlo di
ulteriore
risposta.
-Ma
che scemo che sei!- disse invece sua madre, alzando appena il capo
dal petto del marito. - Comunque non hai risposto: l'hai mollata
sì
o no?- Era chiaro che sua madre non aveva preso in simpatia Giorgia.
Ma chi avrebbe mai potuto trovarla simpatica?
-No...
Ma mi ha mollato lei!- rispose il ragazzo, ridendo. Suo padre scosse
il capo e rise con lui, dicendo alla moglie: - Clelia, é uno
che si
riprende in fretta, meno male!-
-Meglio
così! Non dovrai neppure sentirti in colpa! - rispose
Clelia. - Sono
contenta. Quella là non ti merita proprio.- si
preoccupò di
sottolineare. Era sua opinione che non esistesse donna al mondo che
potesse meritare un ragazzo come il suo Alberto, che era
così
affettuoso, intelligente, altruista e ancora una lista quasi infinita
di pregi che il suo cuore di mamma le faceva credere suo figlio
possedesse. Bisogna dire che non erano lodi del tutto immeritate, ma
la donna non era disposta ad ammettere che il suo bambino adorato
potesse avere anche dei difetti. Ben
diversa era l'opinione di suo marito Angelo, che nel loro Alberto
vedeva un buon miscuglio di pregi e di difetti che se mantenuti in
costante equilibrio l'avrebbero portato lontano, ovunque volesse
andare.
Il
ragazzo non rispose se non con un sorriso e un rotear degli occhi.
Inutile discutere con sua madre, che non si rendeva conto che a
diciannove anni non era più il suo bambino. Non avrebbe
potuto
tenerlo segregato in casa per tutta la vita. Presto, molto presto
avrebbe spiccato il volo, doveva solo trovare il momento giusto per
parlarle. Ma quel momento sembrava non arrivare mai.
-Va
bene, vi lascio soli prima che mi facciate altre domande
imbarazzanti. Tu...- puntò l'indice contro suo padre, per
poi
portarlo a un occhio. - Giù le mani da mia madre, ti tengo
d'occhio.- Le sorrise e salì in camera sua.
L'angolo
dell'autrice:
Ebbene si, sono
tornata con una nuova storia, un poco più leggera di
Hopelessly devoted to you, che per ora è in pausa (non vi
preoccupate non vi farò aspettare mesi per un capitolo :-)
). Posto il primo capitolo a mò di valutazione, come mio
solito, ma in ogni caso man mano che li scriverò
pubblicherò anche il resto della storia. Spero vi piaccia, e
in caso, vogliate dare uno sguardo anche alle mie altre storie. :-)
Piccole precisazioni: un merdules è una tipica maschera
sarda:
Merdules
Mentre con il termime "continentale" noi sardi indichiamo chi vive in
continente, ovvero nella penisola italiana. Non è un termine usato con valenza negativa o come dispregiativo, ma semplicemente lo usiamo per differenziare noi isolani da chi abita nella penisola.
Detto questo, se ci sono altri dubbi, chiedete pure.
Un salutone! ^.^
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