CAPITOLO
1
Meeting
Il
caldo torrido dell'estate aveva reso i prati ben curati e le aiuole
fiorite della famiglia Potter piuttosto secchi e ingialliti. D'altra
parte, con una media di trenta gradi all'ombra, non ci si poteva
aspettare che crescessero rigogliosi. È appunto in una
tranquilla
mattinata di giugno dell'estate 1971 che ha inizio la nostra storia,
con la signora Dorea Potter intenta a cercare di ridar vita a delle
orchidee ammuffite.
-Oh
insomma! Se potessi fare a modo mio...- sbuffò irritata,
scostandosi
dagli occhi un ciuffo di capelli castani. Se non avesse rischiato un
richiamo dal Ministero, avrebbe già estratto la bacchetta e
fatto
risorgere quelle dannate piante!
-Secondo
me faresti prima a dargli fuoco, mamma- intervenne James Potter,
unico ed adorato figlio della famiglia. L'undicenne stava
tranquillamente sezionando una malcapitata cavalletta, staccandole le
zampe una alla volta.
-James
insomma, che schifo! Non puoi trovarti dei giochi meno vomitevoli?-
lo rimproverò sua madre, lasciando perdere le ormai defunte
orchidee.
-Ma
mamma, i giochi meno vomitevoli non sono divertenti!- sbuffò
il
ragazzino contrariato, aggiustandosi gli occhiali rotondi sul naso.
Dorea
alzò gli occhi azzurri al cielo, considerando suo figlio
ormai un
caso perso. James aveva solo undici anni, ma si era già
rotto una
gamba lanciandosi da un dirupo con la scopa rubata al padre Charlus
mentre erano in vacanza in Scozia, aveva ricevuto ben dieci richiami
dal Ministero, il più grave per aver cercato di affatturare
suo zio
Tiberius volontariamente, e
non da ultimo, aveva quasi fatto esplodere la villetta di famiglia
con chissà quale intruglio preparato clandestinamente.
E queste
erano solo le
malefatte minori del giovane rampollo di casa
Potter, che non
vedeva l'ora di andare a Hogwarts per imparare nuovi, pericolosi modi
per danneggiare sé stesso e gli altri.
-Mamma,
quando andiamo
a comprare la bacchetta?- chiese James per la millesima volta durante
la giornata, seppellendo con le mani la cavalletta deceduta per
smembramento.
-Te l'ho
già detto,
quando tuo padre avrà un attimo di tempo per venire con noi.
Sai
che è molto impegnato- gli rispose Dorea, passata ora ad
occuparsi
delle begonie appassite.
-E
quando avrà un po'
di tempo? Insomma, uno ha bisogno di tempo per scegliere il gufo, la
divisa...la scopa...- aggiunse piano James, sognando manici di
scintillanti.
-James,
tesoro tu non avrai
una scopa al primo anno- sospirò sua madre, tremando al
pensiero del
bambino che si librava per i cieli a velocità folle.
-Ma
papà aveva detto
di sì!- protestò quest'ultimo offeso,
schiacciando una fila di
formiche rosse per ripicca.
-Ucciderò
tuo padre, ricordamelo- borbottò Dorea, alzandosi da terra e
pulendosi le mani sul grembiule da lavoro. In quella, notò
del
movimento nella villetta di fronte alla loro. Grossi camion se ne
stavano parcheggiati davanti al vialetto e alcuni uomini stavano
scaricando dei mobili, anche piuttosto belli, notò Dorea.
-James
guarda, abbiamo
dei nuovi vicini!- esclamò entusiasta. Era una persona molto
socievole, che amava fare nuove conoscenze e amicizie.
-Wow,
speriamo siano
mag...- iniziò a dire James allegro, ma la madre lo
interruppe:
-Non
dirlo!- sussurrò
allarmata. Lo Statuto di Segretezza non era da prendersi alla
leggera.
-Uffa,
che noia!!! Non
si può mai dire e fare nulla di interessante!!- si
lamentò James,
che si era messo a sua volta ad osservare il trasloco che stava
avvenendo. Sperava che nella nuova famiglia ci fossero dei bambini:
lui era l'unico del suo quartiere e si annoiava parecchio a stare
sempre da solo. Come per magia, dalla casa sbucò una
bambina, che
corse lungo il vialetto per andare a recuperare da uno dei furgoni
una grossa scatola. Era anche pesante evidentemente, perché
la
bambina non riusciva a sollevarla e si stava limitando a trascinarla
faticosamente.
James
pensò di andarla
ad aiutare, ma poi la sua attenzione fu attirata da uno scarafaggio
gigante; con un ghigno lo afferrò, pronto a sottoporlo alle
peggiori
torture.
*****
Arizona
stava sudando,
e non poco. Quella maledetta scatola pesava davvero troppo, per una
ragazzina gracile e mingherlina come lei, e non riusciva proprio a
capire perché non potesse portarla dentro suo fratello
Teddy, che
era alto e spesso come un armadio.
Stava
appunto per
desistere dalla faticosa impresa, quando lo scatolone, come
per
magia, si sollevò di pochi centimetri da terra e
iniziò a
galleggiare accanto a lei; fece ancora qualche metro, per poi
depositarsi all'ingresso della nuova casa della famiglia Anderson.
Arizona
la fissò,
spaventata. Non era la prima volta che le succedevano cose di quel
tipo. Una volta, quando abitavano ancora a Charleston, nella Virginia
occidentale, una sua dispettosa compagna di scuola (Kelly McPearson
era una delle poche cose che non sarebbe mancata ad Arizona) le aveva
fatto lo sgambetto mentre andavano in mensa, facendole venire un
livido grosso come un'arancia sul ginocchio. Arizona aveva paura che
sua madre se ne accorgesse e che le chiedesse spiegazioni: non voleva
confessarle l'ennesimo incidente. Così, aveva passato le due
ore di
matematica del pomeriggio a sperare che quel livido sparisse
miracolosamente, ma sapeva che non era possibile: eppure, quando si
era controllata il ginocchio prima di tornare a casa, la pelle era
rosea e liscia. Nulla, il livido non c'era più. Oppure c'era
stata
quella volta che per giocare Teddy le era saltato addosso, con tutta
la sua notevole massa, e senza accorgersene la stava soffocando: non
sapeva come ma Arizona era riuscita a toglierselo di dosso, con una
forza che non poteva appartenere al piccolo corpo di una bambina di
otto anni. A pensarci bene l'aveva spedito contro una mensola,
rompendo anche il vaso preferito di sua madre.
Episodi
come questi le
succedevano sempre, e lei era sempre più impaurita: aveva
cominciato
a credere di non essere normale e non aveva mai avuto il coraggio di
parlarne, per timore di essere presa per pazza.
-Arizona
cara, ti
spiacerebbe andare a chiedere ai vicini se hanno un cacciavite? Temo
che i nostri siano fra le cose che devono ancora arrivare- la voce di
sua madre, Elisabeth Anderson, l'aveva raggiunta, strappandola ai
suoi cupi pensieri sullo scatolone.
-Un
cacciavite...?
Si...vado...- le rispose Arizona con qualche secondo di ritardo.
Attraversò
il prato e
la strada, notando in un secondo momento che le sue scarpe da
ginnastica erano tutte sporche. Si vergognò di andare dai
vicini
conciata in quel modo, ma d'altra parte Arizona si vergognava sempre
di sé stessa. Aveva una massa indomabile di ricci biondo
grano, che
lei portava quasi sempre legati, due banali occhi castano chiaro e un
nasino all'insù, spruzzato di lentiggini. Portava
l'apparecchio ai
denti, perché gli incisivi superiori si accavallavano, e
perciò
s'imbarazzava a parlare e ridere. E poi era magra, troppo magra; sua
sorella Virginia, dall'alto dei suoi diciotto anni, le diceva sempre
che sembrava un chiodo, piccolo ed inutile.
Sperando
di non
sembrare stupida come si credeva, Arizona si avvicinò alla
signora
con il grembiule verde, che stava strappando erbacce dal prato.
-Ehm...mi
scusi...-
iniziò titubante. Con la coda dell'occhio notò un
ragazzino che
poteva avere la sua età e si imbarazzò ancora di
più.
-Sì,
cara?- le rispose
Dorea gentile.
-Avreste
un cacciavite?
Siamo nuovi di qui, ci siamo appena trasferiti e ecco
insomma...l'avreste?-
-Certo
cara, aspettami
qui, te lo vado a prendere-.
Dorea si
alzò,
domandandosi che diavolo fosse un cacciavite, e sparì in
casa.
James
intanto stava
osservando la nuova arrivata piuttosto curioso e visto che lei se
stava lì impalata ed in silenzio, decise di presentarsi.
-Ciao,
io sono James-.
-Oh!
Ciao, mi chiamo
Arizona- rispose la ragazzina, arrossendo come faceva sempre quando
le toccava presentarsi. Odiava il suo nome, ma i suoi genitori erano
decisamente patrioti: a sua sorella era toccato il nome Virginia, in
onore dello stato in cui gli Anderson erano vissuti per generazioni,
mentre suo fratello doveva il suo nome a Theodore Roosvelt, il
miglior presidente che l'America avesse mai avuto secondo suo padre.
-Arizona?!
Che razza di nome è?!- le chiese James, con il suo solito
tatto.
-Me
lo chiedo anche io. È americano, comunque- rispose lei,
fissandosi
le scarpe.
-Wow,
sei americana allora! Che figo!- esclamò James entusiasta e
Arizona
sorrise, cercando di non scoprire troppo l'apparecchio.
-Ehi,
ma che cos'hai ai denti?- aggiunse poi il piccolo Potter, vincendo il
premio per l'indelicatezza.
“come
non detto” pensò Arizona.
-Ecco
è...un apparecchio-
-Oh...ti
fa male?- le chiese, studiandola come un insetto.
-No,
adesso no, ma quando l'ho messo un sacco- rispose Arizona, che si
sentiva le guance andare a fuoco. Fortuna volle che in quel momento
Dorea tornasse con cacciaviti di diversa misura fra le mani.
-Ecco
cara, teneteli pure quanto volete- le disse porgendoglieli.
-Grazie...signora...?-
-Potter,
Dorea Potter. Questo è mio figlio James, spero non sia stato
maleducato con te-.
Arizona
ripensò ai commenti del ragazzino occhialuto e si
limitò a scuotere
la testa, prima di tornare alla nuova casa. Decisamente, sentiva che
non le sarebbe piaciuto per nulla vivere lì.
******
-Chastity,
sono estremamente delusa da te. Sei pur sempre una Rosier, ci si
aspetta una certo comportamento da una Purosangue-.
La
piccola Charity Rosier, di quasi undici anni, si morse forte il
labbro, sino a sentire il sapore del sangue, pur di non rispondere a
sua madre, Olympia Rosier. Non aveva ancora capito bene per cosa la
stesse sgridando, ma era certo che c'entrasse suo fratello Evan.
Aveva cinque anni più di lei e pensava che non ci fosse
niente di
più divertente che torturarla.
-Madre,
io...-
-Zitta-
la interruppe fredda la donna e Charity pensò che sua madre
faceva
davvero paura, con quegli occhi grigi così freddi e
spietati.
Sebbene fosse giugno e nella loro tenuta di campagna facesse molto
caldo, Chastity iniziò a sudare freddo. Sentiva che anche
quel
giorno non avrebbe mangiato. E non per una semplice punizione. Le
sarebbe piaciuto capire almeno perché.
-Non
devi mai, mai entrare in contatto con i Babbani. Sono indegni anche
di calpestare il nostro stesso suolo, credevo di avertelo insegnato-
proseguì Olympia e Chastity finalmente capì.
Il
giorno prima stava giocando in giardino, quando uno dei bambini che
abitavano nella casa di fronte era venuto a chiederle se voleva
giocare con loro. Chastity aveva risposto di no, secca, e quello se
n'era andato. Evidentemente Evan l'aveva vista e aveva fatto la spia
come sempre. Ed ora sua madre la stava sgridando duramente.
Ascoltando le sue parole, Chastity desiderò ancora una volta
di
poter vivere un'infanzia normale.
NdA:
Allooooora...probabilmente
chi mi segue in Poisonous Lily mi ucciderà, dato che
è passato
quasi un mese dall'ultimo aggiornamento...però ci sto
lavorando e
arriverà a breve, non temete!!! Venendo a questa storia, il
personaggio principale è Arizona Anderson, una NataBabbana
di
origini americane che si troverà ad Hogwarts negli anni dei
Malandrini. Oltre a lei, ci saranno altri personaggi originali, tra
cui Chastity Rosier. Dei Rosier non si sa molto, se non che Evan
Rosier è uno dei più fidati Mangiamorte,
così mi sono inventata
un'ipotetica sorella minore. Con lei ed Arizona ritroveremo
ovviamente James, Sirius, Remus e Peter, ma anche Lily e tutti quelli
che sono stati protagonisti di quegli anni.
La
storia non è completa, scrivo i capitoli man mano, anche a
seconda
delle recensioni, perciò non so dire con precisione quando
sarà il
prossimo aggiornamento...non più tardi di un mese, comunque.
Spero
che il primo capitolo vi sia piaciuto, anche se abbiamo solo momenti
d'infanzia di tre dei nostri protagonisti. Nei prossimi due capitoli
penso di metterne altri con protagonisti Lily, Sirius, Remus e Peter,
di modo di avere una loro visione prima di incontrarli a Hogwarts.
Okay,
vi ho annoiati a sufficienza credo...perciò se avete delle
domande
sarò lieta di rispondervi tramite posta :)
Con
affetto, Miss_Slytherin
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