Il
canto
della sirena
Lo sciabordio delle
onde che si
infrangevano sulla fiancata della nave, facendola dondolare pigramente,
risuonava nella testa di Islanda, che oziava appoggiato al parapetto. I
suoi
occhi viola scrutavano l’orizzonte che si andava riempiendo
di nuvole: una
tempesta era in arrivo, e loro si erano già preparati ad
affrontarla. Dietro di
lui, Svezia, Finlandia e Norvegia, seduti accanto al timone, dove si
trovava
Danimarca, parlavano assieme. Gli giungeva chiaro il suono che poteva
definire
“della loro amicizia”, ma per quanto potessero
cercare di coinvolgerlo, lui
proprio non riusciva ad unirsi a loro. Poteva solo starsene
lì in disparte, a
contemplare il cielo, il mare, l’azzurro infinito che si
faceva sempre più
scuro e minaccioso. Nonostante si impegnasse duramente, non riusciva ad
escludere completamente le parole degli altri quattro, ma non riusciva
nemmeno
a capirle. Era tutto un ronzio che si confondeva, e si perdeva
nell’ululato del
vento appena alzatosi. Poiché l’incessante rumore
del mare iniziava a dargli
sui nervi, quel giorno particolarmente tesi, decise di ascoltare i loro
discorsi, girandosi a guardarli. Tino, ovvero Finlandia, sorrideva ad
ogni cosa
gli altri dicessero, ma tremava leggermente. L’alto uomo
biondo accanto a lui,
Berwald, pensando che Finlandia tremasse per il freddo, gli mise sulle
spalle
una pesante coperta, ma egli reagì con un violento sussulto,
tremando ancor
più, e urlando in maniera molto femminea. Svezia dispiaciuto
abbassò lo
sguardo, mentre Finlandia cercava di scusarsi in ogni modo possibile.
Islanda
seccato scosse lievemente la testa nel guardarli.
“Possibile che quei due siano così
cretini? Possibile che non siano ancora riusciti a chiarirsi? Mah.
Dopotutto
non sono affari miei.”
Passò dunque ad esaminare gli altri due:
Norvegia e Danimarca. Suo fratello aveva la solita espressione apatica
sul
viso, e guardava con fare scocciato la persona con cui stava parlando:
Danimarca, che più che pensare al timone si distraeva,
punzecchiando il suo
caro Norvegia.
«Dai, Norvegia! Giusto per passare il
tempo! Qui vogliamo tutti ascoltare le tue storie!»
«Lasciami stare, idiota.»
«Eddai! Forza! Lo so che sei bravo a
raccontare!»
«Ti ho detto di no! Smettila!»
Sbuffando, il ragazzo in disparte seguì
tutta la lunga discussione, che si concluse con un Danimarca vincitore
ed un
Norvegia costretto a narrare le innumerevoli leggende della sua terra.
Troll,
ninfe, geni, demoni… nonostante il vento che gli
s’insinuava nelle orecchie,
poteva sentire le belle parole con cui il fratello descriveva quelle
fantastiche creature. A quel punto tutti, tranne Svezia, troppo
impegnato a
fissare Finlandia, pendevano dalle sue labbra, e volevano allo stesso
tempo
partecipare al discorso, narrando le proprie leggende.
«Avete mai sentito parlare delle sirene, e
del loro magico canto?» chiese d’un tratto
Danimarca, ghignando, e aspettando
solamente che qualcuno lo invitasse a continuare a parlare.
«Intendi quelle bellissime donne che
abitano le profondità marine, per metà umane e
metà pesce?»
Ecco ciò che Danimarca attendeva. Era
stato Finlandia a chiedere, ma lui nel rispondere si
concentrò su Norvegia,
guardandolo intensamente. E Islanda, che non si perdeva né
una parola né uno
scambio di sguardi, strinse i pugni. Ma che gli stava accadendo, quel
giorno?
Perché gli importava?
«Proprio loro. Bellissime, con i capelli
di colori stravaganti, da cui fuoriescono gemme e gioielli. Ma anche
estremamente pericolose per i navigatori, che f…»
«Ehi! Quella è una delle MIE leggende!»
lo
interruppe Norvegia.
«Ma tu non l’hai raccontata prima, quando
era il tuo turno. Quindi adesso falla dire a me!»
ridacchiò il più grande.
Finlandia e Svezia li guardavano battibeccare in silenzio,
l’uno molto
incuriosito, l’altro dall’espressione
imperscrutabile come sempre. Dunque
quello riprese: «Dicevo…? Ah, sì! Le
sirene sono pericolose, perché si dice che
con il loro canto facciano impazzire i navigatori, e poi li divorino!
Inoltre,
pare che appaiano nel mezzo delle tempeste, facendo finta di voler
aiutare i
marinai in difficoltà, mentre al contrario li conducono
verso la morte.»
Gli altri si guardarono attorno,
osservando il cielo ed il mare che si preparavano a scatenare
un’immensa furia
contro la loro nave. Danimarca era soddisfatto, essendo riuscito a
spaventarli,
ma anche lui, preso dalla suggestione, lanciò qualche
sguardo ansioso qua e là.
Solo Svezia non sembrava scosso più di tanto, e voleva
soltanto rassicurare
Tino. Islanda non poteva credere alle sue orecchie: sirene? Che
divorano le
persone? Che razza di stupidaggini erano mai quelle? Certo, era
abituato a
Norvegia ed alle sue leggende, ma credere davvero alla loro esistenza,
tanto da
esserne spaventato, non era proprio da lui. Continuò
però ad osservare
Danimarca, che, con un gesto rapido ma gentile, sfiorò
leggermente con due dita
il mento di Norvegia, troppo sorpreso per poterlo evitare. Il biondino,
completamente arrossito, iniziò a borbottare improperi
contro l’altro, che
sghignazzava e cercava di difendersi dalle sue mani che volevano
artigliarlo. Alla
vista di quella scena, qualcosa di indefinito dentro Islanda
andò in frantumi.
Nello stesso istante, la tempesta che sapevano sarebbe arrivata si
manifestò
finalmente con tutta la sua violenza, le onde divennero altissime e la
pioggia
prese a sferzare i loro volti. Ognuno si mise al suo posto, pronto a
lottare
contro il mare per sopravvivere, e Danimarca al timone cercava di
mantenere la
nave sul suo percorso. Erano professionisti loro, se l’erano
sempre cavata
egregiamente, ma quella volta c’era qualcosa di strano, come
se il mare si
stesse accanendo in modo particolare su di loro, come se volesse
vederli
affondare negli abissi. Islanda, dal canto suo, non sapeva che fare.
Gli altri
attorno a lui urlavano, si davano da fare in ogni modo, mentre lui
poteva solo
guardarli, lasciando che l’acqua gli inzuppasse i vestiti e i
capelli argentei.
Non sapeva cosa gli stesse accadendo, si sentiva svuotato.
«E allora
perché non lo fai? Perché non
vai da lui?»
Una voce dolce e
pericolosa, scivolosa
come miele, gli sussurrava nelle orecchie parole che lo accarezzavano e
tentavano non poco. In un primo momento rimase paralizzato dallo
spavento,
chiedendosi se avesse davvero sentito qualcuno parlargli in mezzo alla
confusione, o se era stata solamente la sua fervida immaginazione. Poi
però
scoppiò l’inferno, tutto nella sua testa. I suoi
pensieri razionali si
attorcigliavano e contorcevano creando mulinelli di follia pura,
mischiati con
le strane idee che la voce misteriosa di poco prima gli aveva
suggerito. Una
parte di lui voleva ribellarsi, evitare di compiere gesti di cui poi si
sarebbe
pentito, o per i quali avrebbe solo sofferto, ma l’altra,
istigata dalla voce,
era una bestia incontrollabile e feroce. Islanda si portò le
mani alla testa
che aveva preso a pulsare dolorosamente.
«Fallo, o
gettati in mare. Scegli.»
Iniziò a
dirigersi, senza avere il
controllo sulle proprie gambe, verso la fiancata, esponendosi al mare
in
tumulto. Tremante, posò le mani sul legno
dell’imbarcazione, strizzando gli
occhi. Le sue nocche divennero bianche. Sentì dietro di lui
le urla preoccupate
di Danimarca, dirette a Norvegia. “Ma che carino, ha paura
che possa accadere
qualcosa di brutto al suo amato.” pensò Islanda
con sarcasmo e rabbia. E, si
rese conto, ancora una volta lui era stato ignorato. Mollò
la presa e,
scagliandosi con tutta la forza che aveva, scivolando sul fondo bagnato
della
nave, si tuffò addosso a Danimarca, mozzandogli il respiro.
Danimarca picchiò
la schiena contro il legno, schiacciato dal peso che improvvisamente si
era
gettato su di lui. Sbatté le palpebre, e sconvolto vide che
il colpevole era un
ragazzino dai capelli bianchi fradici appiccicati al volto,
dall’espressione
più folle che avesse mai visto, e dagli occhi ametista che
lo stavano divorando.
Ci mise un po’ per riconoscere in lui il timido Islanda.
«Ice? Che ti succ-»
«Sta’ zitto. Vuoi sapere che mi succede?
Mi succede che non ce la faccio più, mi succede che sono
stanco di non essere
mai considerato da nessuno! Tu non hai occhi che per mio fratello, e io
non so
più cosa fare! Ma adesso ho capito, me l’ha detto
la sirena!» Sputò le parole
con violenza e odio, tanto che la sua voce ne era distorta. Da quanto
tempo
quelle cose lo tormentavano?
«La sirena? Ice, stai delirando!»
«Ti ho detto di tacere!...oh, il canto
della sirena è ciò che di più bello io
abbia mai ascoltato! E’ musica, e allo
stesso tempo non lo è! Poesia, lamento, urla, desideri!
E’ tutto! E’ tutto!»
Urlato ciò, con un ghigno il ragazzo si
avventò sul volto di Danimarca, baciandolo, mordendolo,
facendolo sanguinare.
Non era più Islanda. Era un mostro, orribile e spaventoso.
Ed era forte, tanto
che Danimarca non riusciva neppure a liberarsi o proteggersi. Danimarca
poteva
solo subire, lasciare che i denti incredibilmente affilati di Islanda
gli
penetrassero nelle carni, lo lacerassero, così come le sue
urla deliranti lo avevano
lacerato dentro, perché lo avevano messo di fronte alla
realtà: era lui l’unico
responsabile di quello scoppio improvviso. Infine, Norvegia, passato lo
shock
iniziale, si lanciò sul fratello, staccandolo da Danimarca,
e i due rotolarono
più in là, lottando tra di loro. Non avevano mai
fatto una cosa del genere
prima. Prima di svenire, Islanda si chiese se ciò che era
accaduto era davvero
colpa di una sirena. Aveva davvero sentito una voce? Non riusciva
nemmeno a
ricordarla. Che in realtà fosse stato tutto uno scherzo
della sua mente? Quando
chiuse gli occhi la tempesta cessò, e la nave smise di
essere sballottata
dappertutto. Danimarca, col volto insanguinato e sfregiato, si
rialzò e andò da
Norvegia, che piangeva sul corpo svenuto del fratello. Anche Svezia e
Finlandia
si avvicinarono. Islanda sembrava essere tornato normale, e
quell’improvvisa
follia si era allontanata assieme alla burrasca. Adesso vedevano solo
un
ragazzino esile, svenuto e quasi affogato, e del mostro di poco prima
non c’era
più traccia. L’alto Danimarca lo strinse tra le
braccia e lo avvolse in una
coperta miracolosamente asciutta. Gli altri lo guardarono in silenzio,
mentre
dagli occhi di Norvegia continuavano a scendere lacrime amare.
«E’
stata colpa nostra. Mia soprattutto.»
La voce roca di
Danimarca si affievolì dopo
aver pronunciato quella frase, che aveva pensato per tutta la durata
dell’accaduto. C’era un silenzio opprimente, e la
calma dopo la tempesta
riusciva solo ad angosciarli. Ma loro erano una famiglia. Sarebbero
riusciti a
superare anche quello.
Note: eccomi qui con
un’altra one-shot!
Stavolta i protagonisti sono i Nordici, che mi affascinano moltissimo,
sebbene
si vedano poco nell’opera originale. I loro caratteri non
sono ben definiti,
quindi non ci sono personaggi troppo stravolti credo, ad eccezione di
Islanda,
che però è giustificato! ^^ Poiché gli
unici ad avere dei nomi propri ufficiali
sono Finlandia e Svezia, mi sono limitata ad usare i loro, mentre per
gli altri
ho usato i nomi da Nazione. Ah, Danimarca chiama Islanda
“Ice” dal nome inglese
“Iceland”, quasi come un soprannome. Ringrazio chi
vorrà leggere e recensire
questo delirio! Inoltre, un grazie anche a Ghy
e a Sara, che continuano a sorbirsi
i miei lamenti e le mie crisi. Grazie! :)
BabiSmile
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