Titolo: Allucinazioni
Fandom: Glee
Personaggi:
Blaine Anderson, Dave Karofsky
Pairing: accenni
Blaine/Flint,
Dave/Kurt (Kurtofsky)
Rating: Giallo
Info:
Probabilmente è la cosa più
strana che io abbia mai scritto °__° Perdonatemi, la
febbre mi fa delirare più
del dovuto, a quanto sembra. Anche se, parte del merito va anche allo
spezzone
della 2x12 di “When
I Get You Alone” uscito
giusto ieri. Spero anche di non portare Klaines e Kurtofskyer al
suicidio, con
questa cosa (:
Disclaimer:
I personaggi non mi appartengono, scritta per puro
divertimento… le solite cose.
Dio,
non era possibile.
E dire che Dave credeva d’essere solo.
O meglio, sostanzialmente lo era, considerando il fatto che
per gli svariati metri del verde campo da football sul quale si stava
allenando
in quel pomeriggio, ad eccezione della sua sudata ed ansimante ed
imponente
figura, non vi era anima viva. Ed in effetti, la cosa che stava
rendendo
complicato compire il trentesimo giro del suddetto campo, se ne stava
immobile
al di là della recinzione, ad osservarlo pacatamente in una
posa altrettanto
serena, come se spiare un atleta del calibro di Dave Karofsky durante i
suoi
allenamenti extra fosse la cosa più naturale di questo
bizzarro mondo.
Si passò la mano destra sulla fronte, liberandola da una
considerevole quantità di sudore. Aveva sentito dire da
Azimio e dagli altri
ragazzi della squadra di allucinazioni date dal troppo allenamento
(come la
Beiste in bikini), ma
strizzando gli occhi un paio di volte in quella direzione – e
sentendosi un
gran cretino nel farlo – capì che sole e fatica,
in tutto quello, non
c’entravano affatto.
Che l’intenso blu della divisa delle scuola delle checche
canterine non era un miraggio.
E che nonostante un ciuffo o due fosse sfuggito al gel, ricadendo
in minuscoli e altrettanto gay ricciolini sul viso, si trattava proprio
di lui. Sì, della
signorina dal sorriso
bonario ed irritante, che aveva spintonato con gioia e violenza la
prima volta
che si era incontrati. La fatina buona dalla quale Kurt Hummel
s’era rifugiato
senza un attimo di esitazione per sfuggire al lupo cattivo, e alla
quale, come
se non bastasse, aveva pure spifferato ogni cosa, sperando che,
dall’alto della
sua imbarazzante bassezza, questi sarebbe riuscito veramente a
sistemare ogni
cosa.
O almeno, a sistemare
lui pensò Dave sfilando dal capo e lasciando
cadere a terra il casco bianco
coordinato alla divisa, rallentando l’andatura fino a
fermarsi, lasciando
correre sospettoso lo sguardo nella sua direzione. Sembrava di marmo.
Mani in
tasca e schiena dritta.
Una checca così
perfetta da dargli il voltastomaco.
Perciò non si stupì più di tanto
nell’avvertire uno strano
formicolio all’altezza di entrambe le mani aumentare man mano
che i piedi –
quasi involontariamente – lo conducevano verso di lui,
tutt’ora rimasto incredibilmente
a bocca chiusa. Nell’avanzare, tanto per non alimentare
l’improvvisa e malsana fantasia
che aveva invaso la sua mente e che gli suggeriva di spingerlo contro
la recinzione,
distolse lo sguardo dal sorrisetto che questi pareva rivolgergli a
causa della lontananza,
concentrandosi su dettagli insignificanti quali il fango incrostato
sulle punta
delle proprie scarpe per il quale era stato costretto a duecento
flessioni
durante l’ultimo allenamento.
Solamente quando gli fu esattamente davanti, bensì dalla
parte opposta dell’arrugginita recinzione in ferro che
Figgins non si decideva
a sostituire perché in realtà non gliene
importava nulla, Dave si costrinse ad
abbassare di malavoglia lo sguardo in quel paio di occhi che
sì, molto probabilmente,
detestava quasi quanto l’espressione da finocchio zelante sul
suo viso.
- Ciao, Dave. – il cantante ruppe il ghiaccio senza
preavviso, affatto intimidito dal suo sguardo.
La
Furia
grugnì.
- E così ora tu e quella signorina di Hummel mi chiamate per
nome? - rispose, stringendo i pugni all’estremità
delle braccia da gorilla lasciate
ciondolare lungo i fianchi. Nel pronunciare tale frase, non seppe se a
dargli
più fastidio fosse stata la sola presenza di Blaine o il
fatto d’essere stato
costretto a menzionarlo assieme alla sua
signorina.
L’espressione dell’Usignolo rimase la stessa.
– In realtà, è
stato involontario. Non ho l’abitudine di chiamare gli altri
per cognome. Ma
posso tornare al consueto Karofsky, se ti fa sentire più
sicuro. –
- Va al diavolo. – mugugnò l’atleta
crucciando appena le
sopracciglia , per poi tirare dritto in direzione degli spogliatoi
senza
degnare l’altro d’un ulteriore sguardo, ripetendosi
che picchiarlo, per quanto
liberatorio, sarebbe stato razionalmente inutile. Nemmeno pochi
istanti, e tale
pensiero venne messo alla prova da un secondo rumore di passi che si
sovrappose
al suo.
- Se mi volto e comincio a picchiarti, fammi il favore di
non scoppiare a piangere come una ragazzina! –
ringhiò dando voce ai suoi
pensieri, sperando di riuscire a seminare quelle gambette da ballerino
con le
proprie cosce toniche, senza nemmeno voltarsi, lasciando che le
ginocchiere
sporche d’erba sfregassero l’una contro
l’altra ad ogni passo.
- Se può rassicurarti, anche il fatto che i ragazzi gay
piangano come le ragazze è un’altra leggenda
metropolitana priva di qualsiasi
fondamento. - replicò
pacatamente il
riccio, costretto però a correre per stargli dietro.
Allorché Dave, sospirando pesantemente, smise di camminare
all’improvviso,
cogliendo l’altro talmente di sorpresa che, non riuscendo a
fermarsi, gli finì
contro come il protagonista d’una vecchia gag comica.
– Senti, mettiamo le cose
in chiaro. – affermò poi furioso, voltandosi e
strattonandolo per il colletto
della giacca della divisa, portandoselo a due centimetri dal proprio
viso. -
Non ho la benché minima idea del perché tu sia
qui, dal momento che a quest’ora
non ci sono più nemmeno Hummel e i suoi amichetti canterini.
Ed odio i
guardoni, in particolare i finocchi
guardoni, perciò a meno che tu non abbia intenzione di
prenderle seriamente, ti
conviene smetterla con questa patetica messa in scena. –
La reazione di Blaine fu strana.
Certo, nel profondo Dave dubitava che avrebbe cominciato a
squittire istericamente come uno scoiattolo, ma neppure rimanere a
fissarlo a
bocca aperta, per poi scuotere con violenza il capo alzando le mani in
segno di
resa, poté definirlo normale.
- Va bene Da-… Karofsky. – asserì
quest’ultimo, per poi
concedersi un’enorme boccata d’aria un istante dopo
che le mani del giocatore
l’ebbero lasciato andare, riportandolo con i piedi a terra.
- E comunque, questa volta non sono qui per conto di Kurt. –
Dave si ritrovò a strabuzzare gli occhi incredulo, mentre
nel fissare il ragazzo in divisa pettinarsi all’indietro i
ricci scuri con le
dita, una nuova ondata di rabbia lo invase completamente da cima a
fondo. No,
non ci credeva neanche un po’ che la checca in blu, il
fulgido cavaliere senza
macchia e senza paura, fosse lì di sua spontanea
volontà. Per spiarlo, tra l’altro.
O per convincerlo di come tre quarti di ciò che gli etero
dicevano sui gay
fosse falso. E nel breve lasso di tempo che l’Usignolo gli
concesse per aprir
bocca e replicare, finì col rimanere in silenzio, portando
invece la propria
mente a chiedersi perché il damerino, anziché
perdere tempo lì con lui, non
fosse in qualche locale dal profumo zuccheroso e le poltroncine soffici
assieme
al soprano dai grandi occhi cangiati, intento a sussurrargli tenere
paroline da gay
all’orecchio, che avrebbero tinto
all’istante quelle guance chiare d’un vivido rosso
rubino, e magari aperto un
sorriso su quel viso che… poteva bastare.
- Sebbene, in un certo senso, Kurt c’entri lo stesso. -
Ovviamente, gli
suggerì la parte razionale del proprio cervello, mentre a
prima vista, Dave non
fece altro che scrollare con fare seccato le spalle, ricominciando a
camminare
verso gli spogliatoi maschili a passo spedito. Kurt era costantemente
tra loro, come una presenza indiscreta eppure
tangibile. Tanto che per un istante, sicuramente per la stanchezza, gli
era addirittura
sembrato d’intravedere un paio d’occhi plumbei in
quelli scuri dell’altro.
Gli spogliatoi puzzavano di sudore e bagnoschiuma scadente,
e nonostante ciò, quando varcò la porta, si
sentì finalmente a casa. Al sicuro.
Inspirò a lungo, lasciando
che l’umidità derivata dal calore delle docce gli
accarezzasse la pelle, per
poi lasciarsi cadere pesantemente su una delle panchine rosso fuoco
accanto
agli armadietti, incredibilmente stanco.
- Potresti almeno far
finta di prestarmi attenzione. -
La
Furia
grugnì. Di nuovo. E stritolando tra loro le mani ansiose di
tappare a suon di
cazzotti la boccuccia della signorina,
si voltò nella sua direzione, palesemente infastidito. Non
che non gli avesse
dato l’impressione d’un martire masochista
già la prima volta che si erano
incontrati, ma cosa diavolo ci faceva ancora lì?
- Sei sordo, per caso? Ti ho detto di andartene. Devo farmi
una doccia. -
Il cantante sospirò, lasciandosi finalmente la porta alle
spalle. – Solo se non avessi avuto nulla
d’importante da dirti. Ma in questo
caso, ce l’ho. –
Dave s’alzò di scatto, raggiungendolo in meno di
due passi.
Livido in volto, s’accorse solamente in seguito di come
quell’irritante e
pacata presenza gli avesse fatto addirittura tornare il fiatone.
- Non farò alcun tipo di predica, perché so
già che non
l’ascolteresti. E non sono parole ciò di cui hai
bisogno, bensì consigli.
Perciò sono qui solo per
ricordarti che continuare a nasconderti, a nascondere te stesso,
è inutile.
Oltre che incredibilmente frustrante. E che nonostante adesso tu sia
spaventato
e confuso, continuare a far finta di nulla non è la scelta
migliore. – si fermò
a riprendere fiato, per poi continuare. – Ti stai perdendo
troppe cose,
Karofsky. E segretamente, ti odi per non riuscire a venir fuori del
tutto, accontentandoti
di questa vita che non ti appartiene già da tempo. Di questo
bullo che non sei,
di questi amici idioti, di questi gesti violenti. Tu non sei
così. Sei
migliore. Ciò che devi fare è soltanto avere il coraggio di uscire allo scoperto e
gridarlo al mondo intero. Devi darti
una seconda chance. Con te stesso, con chi hai ferito… con Kurt. -
Al termine di quelle parole, qualcosa all’interno di Dave
s’incrinò pericolosamente.
Ma non si ruppe.
Lo stesso qualcosa che lo portò poi ad afferrare per la
seconda volta in così poco tempo l’Usignolo per il
colletto bordato di rosso
della divisa, sbattendolo senza alcuna grazia contro gli armadietti,
armato di
quella stessa furia assassina che s’impossessava di lui ogni
qual’volta scendeva
in campo e che gli aveva fatto guadagnare quel temibile soprannome di
cui tanto
andava fiero.
Lo stesso qualcosa che lo spinse a continuare a fissare il
finocchio con occhi di fuoco, senza la benché minima
intenzione di allentare la
presa. Qualcosa che non veniva alimentato più di tanto dalla
rabbia per il
fatto che il più basso si fosse permesso di parlare credendo
di conoscere ogni
cosa. Dal fatto che ignorasse come ogni giorno fosse costretto ad
abbassare il
capo sotto lo sguardo d’un padre e d’una madre
fieri d’avere un figlio forte e
sano ed etero. Dal fatto che si
sentisse così fottutamente in colpa per essere diverso. Per
essere sbagliato. Qualcosa che
prese ad ululare
dalle profondità del proprio petto non appena il cantate
pronunciò il nome di
Hummel.
- Ascoltami bene, checca.
– ringhiò, più Karofsky che Dave di
quanto non lo fosse mai stato. – Il solo
fatto che tu sia qui mi disgusta. E le toccanti parole che la tua bocca
ha
avuto il coraggio di sputare senza conoscere assolutamente nulla, mi spingono a prendere realmente
in considerazione l’idea di
riempirti di cazzotti fino a farti implorare pietà. Non so
cosa ti sia messo in
testa, ma non ho bisogno d’aiuto. Specialmente del tuo aiuto. E venire qui a sbattermi in
faccia che potrei combinare
qualcosa con quella fatina di Hummel è rivoltante. Specie se
detto da qualcuno
che probabilmente non vede l’orma di metterglielo nel
cu-…-
- Per quanto ancora continuerai a negarti la felicità? Credi
forse che le bugie siano migliori? Che
siano più semplici da accettare? – lo
interruppe finalmente Blaine,
spiaccicato tra il giocatore e gli armadietti, paonazzo per
l’umidità della
stanza e per l’incredibile sforzo fatto per mantenere salda
la voce.
Dave strinse la presa, spingendolo ancora più forte,
nonostante la stanchezza.
Voleva che la smettesse di aprire quella boccaccia. Che la
smettesse di ipotizzare rosei futuri per lui e Kurt quando invece lo
sguardo
adulante e luminoso del soprano nei suoi confronti ancora continuava a
tormentare
i suoi sogni, assieme a quelle aspre parole che non facevano altro che
ripetergli che mai e poi mai, il ragazzino che aveva avuto il coraggio
di
vestirsi come LadyGaga, si sarebbe potuto innamorare di un grassone
sudaccio e
probabilmente calvo all’età di
trent’anni.
Poi però, successe.
Forse perché si trovavano nello stesso spogliatoio.
Forse perché si sentiva tale e quale a quella volta in cui
aveva fugacemente assaggiato il gusto di menta e miele della bocca di
Hummel.
Forse perché Azimio e gli altri, sparando una balla
colossale, c’avevano invece visto giusto sulla storia delle
allucinazioni.
Forse perché era semplicemente stanco.
Fatto sta che il damerino dall’impeccabile divisa blu scuro
era scomparso, e bloccato tra le proprie braccia e gli armadietti, ora
stava il
soprano dal corpicino efebico e i grandi occhioni spalancati.
Ed era tutto un tale turbinare di menta e miele nel suo
cervello, che dopo una fugace occhiata al suo abbigliamento –
pantaloni grigi incredibilmente
stretti, maglioncino avorio dallo scollo a V di qualche marca e lui
sconosciuta
ed un foulard a righe rosso e oro –, non poté fare
altro che spingere le
proprie labbra contro quelle dell’altro, in una bacio
disperato quanto
violento, che lo escluse dal resto del mondo e gli impedì di
pensare a quanto
fosse impossibile che lui fosse lì.
Esistevano unicamente le sue labbra.
E quanto gli erano mancate.
Così soffici, delicate. Terribilmente giuste.
Che, con estremo piacere, notò subito farsi rosse e gonfie
ed ancora più invitanti sotto i suoi baci veloci ed irruenti.
Era tutto un menta, Kurt, miele e ancora Kurt.
Come una droga che, almeno per quella volta, non poteva
lasciarsi scappare.
Perciò diede retta all’istinto e spostò
le mani
dall’armadietto al viso del ragazzo, premendo appena su
entrambe le guance per
far sì che aprisse abbastanza la piccola bocca scarlatta da
permettere alle
loro lingue d’incontrarsi, esattamente come fecero un secondo
dopo, sfiorandosi
in un delicato quando affatto casto gioco.
Dave doveva essere
morto.
Altrimenti, in un barlume di razionalità, non seppe
spiegarsi
come mai quando lasciò andare il viso accaldato di Hummel
per riprendere fiato,
questi, anziché spingerlo via, mettersi ad urlare o
guardarlo nauseato, si
sporse nuovamente verso di lui ed allacciò le proprie
braccia dietro al suo collo,
riavvicinandolo a sé in un atteggiamento bisognoso e
disperato quanto quello
dell’atleta.
Le loro labbra cozzarono nuovamente.
E Kurt, Oh Kurt,
non faceva che premere, e mugugnare, e sospirare, specie quando senza
alcun
preavviso, Dave gli torturò l’orecchio sinistro
con la punta della lingua,
bloccandolo contro gli armadietti con una coscia tra le gambe,
facendolo
trasalire.
È tutto
troppo bello, continuava a
suggerirgli una vocina impertinente nella sua testa che, man mano che
approfondiva
la conoscenza della bocca del soprano con la propria, si faceva
più debole ed
insignificante.
Gli occhi di Kurt luccicarono per un istante, e poi Dave
avvertì l’esiguo peso delle sue mani sul proprio
petto, e poi più giù, fino al
all’inizio della sudata t-shirt che s’era messo per
correre, sollevata in poco
tempo nonostante nessuno dei due avesse mai smesso di accanirsi sulle
labbra
dell’altro per prestare attenzione alla mossa successiva. Le
mani del cantante
erano esperte – troppo
esperte,
continuava a ripetergli la voce – e con un profondo sospiro,
Dave si abbandonò
a quelle carezze delicate e tuttavia eccitanti, dirigendo le proprie
mani a
sciogliere il ridicolo foulard rosso e oro che impediva al collo del
giovane
Hummel d’essere completamente marchiato di baci.
- O-Oh, Kurt… - si ritrovò a mugugnare quando,
nella foga di
spogliarlo ulteriormente, le dita del soprano sfiorarono il suo membro
al di
sopra dei calzoncini della divisa.
- F-Flint… - udì gemere in risposta, tra svariati
sospiri.
Cosa?
Dave sbatacchiò le palpebre un paio di volte, mentre la
realtà – e la stanchezza -, così come
s’era fatta da parte, tornava ad occupare
il posto che le spettava di diritto, rendendolo finalmente cosciente
d’ogni
cosa.
Chi diavolo era Flint?
Il viso di Kurt – del suo imbarazzato ed invitante Kurt
–
svanì lentamente, lasciando riemergere al posto di quei
contorni delicati un
altro viso. Non più menta e miele sulle sue labbra,
bensì qualcosa di molto
simile alla vaniglia. Le mani sul suo petto smisero di muoversi, e
solamente
quando alzando lo sguardo, anziché incontrare un paio di
languidi occhioni
cobalto, si scontrò con due iridi nocciola sorprese e
mortificate, il suo
cervello fece rapidamente due più due, focalizzando
finalmente la figura in
rosso e blu della granitica checca canterina dai capelli scarmigliati,
il
respiro affannoso e il cravattino slacciato.
Dave si staccò immediatamente da lui, sentendosi sporco e confuso.
È stata tutta una
fottutissima allucinazione, gli suggerì la vocina
di prima.
Il viso di Hummel, il corpo magro di Hummel, le labbra di
Hummel.
E se solo non si fosse sentito così stanco e svuotato,
molto probabilmente, avrebbe
sfogato la propria frustrazione prendendo a pugni qualche armadietto. O
la
stessa checca che, sconvolta tanto quanto lui, ancora non era riuscita
a
muoversi dall’armadietto contro il quale era stato sbattuto.
Non poteva aver confuso quell’irritante damerino ben vestito
con Kurt.
Averlo baciato, stretto, desiderato che continuasse.
Poi Blaine, ancora tremante, alzò lo sguardo. E per una
volta, fu Dave a leggergli dentro.
A capire di non essere stato il solo ad aver avuto
un’allucinazione e di esserne rimasto completamente
sconvolto. Perché – dannazione!
– quelle allucinazioni
sembravano così reali.
Solo in seguito, rendendosi conto d’essere a petto nudo, Dave si
precipitò alla ricerca della propria maglietta per il
pavimento umido degli
spogliatoi con la stessa velocità con la quale
l’Usignolo, sistematosi capelli,
cravattino e divisa, e riacquistando quell’aria pacata e
professionale, si
diresse verso la porta e, con un ultimo sguardo, scomparve alla vista
dell’atleta.
Dave, a quattro zampe sul pavimento e con la maglietta
puzzolente tra le mani, non riuscì a dire nulla. Si
limitò ad alzarsi in piedi,
e rivestirsi e poi, ciondolando il capo alla stregua d’un
automa, si ricordò
che prima di tutto ciò, il suo ultimo pensiero concreto era
andato ad una bella
doccia calda.
Già, una doccia.
Magari sarebbe servita a scacciare l’idea di non essere il
solo, a perdersi un po’ troppe cose.
ps. Il foulard
rosso&oro di Kurt/Blaine è un sottile omaggio a
“A Very Potter Musical” e
alla passione di Darren Criss per il mondo di Harry Potter
èwwé (tra l’altro,
oggi è pure il suo compleanno!)
ps.s. Per
il sapore delle labbra di Kurt mi sono ispirata a quello scritto
nelle centinaia di fanfictions in inglese che mi sono letta in questi
giorni –
“mint and honey” per l’appunto. Mi
è sembrato particolarmente adatto, anche se
non saprei spiegarne il motivo o_ò
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