Sono
tre le cose che Jesse pensa quando vede Andrew per la prima volta, mentre entra disinvolto nella stanza per la lettura, camicia a quadri di flanella e berretto
scuro di lana calcato sulla testa quasi fino a coprire gli occhi.
Uno.
Andrew molto probabilmente è uno di quegli attori seri, quelli che sembrano sempre in parte
annoiati e in parte troppo-cool-per-subire-questo, qualsiasi cosa “questo” sia. Uno di quegli attori totalmente diversi da Jesse.
Due.
Andrew
è palesemente uno di quei ragazzi bellocci che si svegliano un giorno con l'idea di fare gli attori e vengono subito chiamati per film come The Social
Network, senza prima dover recitare in produzioni idiote che tanto nessuno
guarderà mai. Be’, sì, Andrew è belloccio, ma questo Jesse non lo ammetterà mai
con nessuno, né tantomeno con lui, se eventualmente avranno entrambi una parte
in questo film.
Tre.
Andrew
non brilla, non luccica, non risplende. La sua pelle non emana bagliori dorati
come invece Jesse aveva subito pensato quando qualcuno gli aveva detto che “Oh
mio Dio, quell’Andrew Garfield? Il migliore amico di…” quell’attore con i capelli
strani, famoso per aver interpretato un vampiro in un film che dovrebbe essere
famosissimo, ma a Jesse già non piacciono i film, figuriamoci quelli
famosissimi. Nonostante questo, sa in qualche modo che costui brilla in quel
film e quindi la sua mente contorta ha collegato le due cose: se quei due sono
amici, dovranno pur avere qualcosa in comune e magari questo qualcosa è proprio
il fatto di brillare. Jesse si è accorto subito dell’assurdità della cosa, ma
senza pensarci l’ha detta ad alta voce a sua sorella, che odia il vampiro, gli
è sembrato di capire, e lei ha riso molto.
Insomma,
Jesse non crede che lui ed Andrew diventeranno amici e l’ha deciso (a causa del
suo infinito ed iperattivo pessimismo cosmico) durante i primi trenta secondi
in cui ha avuto modo di osservarlo per la prima volta. Trenta secondi in cui
Andrew in realtà non ha fatto altro che: entrare nella stanza ad occhi bassi,
appoggiare il suo copione sull’enorme tavolo di vetro, stringere la mano ad
Aaron e a David* con un’espressione seria dipinta in viso.
Non
che quello di una amicizia impossibile sia un pensiero che lo sfiora spesso, in
realtà. Jesse sa di non essere tipo da “fare amicizia” o “attaccare bottone” o
diventare il best friend forever di qualcuno che conosce da un minuto. Anzi, a
dire la verità Jesse ha rinunciato ad avere un migliore amico (o una migliore
amica) tempo prima, quando si è rassegnato all’inevitabilità del suo essere
socialmente inadatto a vivere nel mondo esterno.
In
questo caso, però, la cosa è talmente evidente che si ritrova addirittura a
formularci sopra un pensiero che poi galleggia nell’aria intorno a lui, quasi
come uno scudo impermeabile che lo protegga da qualsiasi cosa Andrew possa
inconsapevolmente dire o fare per fargli cambiare idea.
Poi,
però, basta un attimo e la bolla esplode, lo scudo si frantuma in mille pezzi.
Perché
Andrew, dopo aver salutato il regista e lo sceneggiatore, si è ritrovato
proprio davanti a Jesse ed ha alzato gli occhi, che fino a poco prima erano
stati rivolti quasi costantemente da qualche parte tra il pavimento e le sue
scarpe, su di lui.
E
ha sorriso.
Di
uno di quei sorrisi che ti scaldano il cuore, che ti entrano sotto la pelle e
non escono più.
Andrew
sembra sollevato, con quegli occhi finalmente accesi sembra voler dire
“Finalmente qualcuno che sa cosa sto passando, che sente la mia stessa
tensione” e solo allora Jesse si accorge che l’Andrew che aveva visto (e
giudicato) solo pochi secondi prima non era snob, o “serio”, ma semplicemente
agitato e teso per via dell’audizione e del fatto di non sapere ancora con
certezza se farà parte del progetto.
Lo
sguardo di Andrew ora è così caldo, così familiare che Jesse si chiede se per
caso loro non siano già amici, se sia possibile che si sia perso qualcosa in
quegli anni, come essere diventato a sua insaputa il migliore amico di Andrew
Garfield. E, di conseguenza, un vampiro che brilla.
Poi
ci ripensa brevemente e, no, ne è sicuro: quel nome l’ha sentito per la prima
volta solo il giorno prima, quando l’hanno convocato per quella specie di
lettura/audizione.
Contemporaneamente,
Jesse si accorge anche di aver sbagliato almeno su una delle sue prime
impressioni. Andrew è di sicuro un attore serio, a giudicare da tutte le
scritte ed i segni e le righe evidenziate che ci sono sul suo copione; su
quello di Jesse invece qua e là si trovano perlopiù disegnini di gatti con gli
occhiali, qualche citazione da canzoni sconosciute ai non amanti dei musical
scarabocchiata probabilmente in sovrappensiero e poco altro. E proprio in quel
momento Jesse si trova a pensare che questo sia abbastanza per definire che
tipo di persona e di attore poco attento e poco preparato lui sia.
Poi.
Andrew è belloccio, anzi probabilmente semplicemente bello; Jesse non lo sa
con certezza, ma comunque possiede decisamente quel qualcosa che di solito di
solito permette di avere tutte le ragazze ai propri piedi. Qualcosa come per
esempio quel sorriso che in quel momento sta rivolgendo a lui. Non può essere
altrimenti: quella sicurezza che Jesse ha sempre odiato e al tempo stesso
invidiato in altri, in lui sembra così naturale, così facile che non sarebbe
possibile fare altro se non ammirarla e rimanerne colpiti.
No,
sulle sue prime due impressioni aveva ragione.
È
la terza che gli crea qualche problema.
Perché
la verità è che Andrew in qualche modo tutto suo, particolare e assurdo,
brilla.
Non
la sua pelle, certo, no. Quello sarebbe sovrannaturale e a Jesse le cose
sovrannaturali, ecco, insomma, fanno un po’ paura. Gli alieni, i supereroi,
Supernatural, tutte queste cose… ecco, lui semplicemente preferisce le cose terrene, tangibili... come i gatti, ecco.
È
solo che quel sorriso, quegli occhi grandi ed espressivi, il modo pieno di
grazia con cui gli porge la mano, quel suo accento inglese che sfoggia quando,
con una voce bassa e calda, dice: “You must be Jesse”…
Tutto
questo lo rende in qualche modo incredibilmente brillante ed anche totalmente
interessante agli occhi di Jesse.
È
rinfrescante: è come una boccata d’aria fresca, come aprire una finestra in una
stanza piena di polvere. E Jesse sa quanto a lungo è stata chiusa quella
finestra.
Di
persone banali, piatte, poco interessanti Jesse ne ha conosciute più di quanto
avesse voluto, più di quante chiunque vorrebbe e a dire la verità non ricorda l’ultima
volta in cui abbia incontrato qualcuno che abbia ritenuto degno di essere
davvero conosciuto. Qualcuno che lui avesse avuto voglia di conoscere.
Ed
è come se improvvisamente, in quegli altri trenta secondi dopo i primissimi,
Jesse abbia già capito da quei pochi gesti che Andrew gli ha rivolto che lui non
è affatto una persona normale; è come se sapesse già quanto lui sia
intelligente, elegante, gentile, generoso, intuitivo, sensibile, divertente.
E
allora Jesse deve cedere un altro po’. Perché anche la quarta impressione era
totalmente sbagliata ed è costretto a rendersene conto ora che tende la sua mano verso
quella di Andrew e gliela stringe, tentando di sorridere in un modo che, ne è
certo, sembra quello di un serial killer. Quello stesso pensiero che poco prima
gli era sembrato così stranamente lampante e come evidenziato con un pennarello
giallo fosforescente nel suo cervello, adesso gli sembra assurdo e bisognoso
quantomeno di essere riformulato.
Jesse
non crede che lui ed Andrew diventeranno amici.
Jesse
crede che lui ed Andrew diventeranno migliori amici.
Jesse
crede che Andrew sarà il suo primo migliore amico.
O
perlomeno, Jesse lo spera.
Ma,
stavolta, Jesse non sbaglia.
*
Aaron Sorkin e David Fincher, rispettivamente sceneggiatore e regista del film
The Social Network.