Lacrime in sorrisi
Sono le esperienze condivise a rendere gli uomini fratelli.
È chiamare madre e padre le stesse persone, respirare la stessa aria, ricevere
gli stessi insegnamenti, gli stessi rimproveri. Viverli e superarli assieme.
Raoul, Toki, Jagger e Ken non avevano mai chiamato madre e
padre le stesse persone, ma tutti loro avevano chiamato Ryuken “Maestro”. Il
loro legame si era creato sin da bambini, sottoposti agli stessi allenamenti
feroci, allo sguardo attento e indifferente di un uomo che cercava un successore
giocando con il destino di quattro ragazzi che aveva fatto diventare fratelli. E
che un giorno avrebbero combattuto per un destino che non avevano chiesto.
Raoul voleva diventare il più forte perché solo la forza
può piegare il destino al proprio volere.
Toki voleva portare guarigione usando quelle tecniche che
permettevano di uccidere un uomo in pochi secondi.
Jagger voleva dimostrare di essere il migliore di tutti
loro.
Kenshiro voleva essere felice con la sua Julia.
Di loro, nessuno aveva realizzato il proprio sogno. Dopo la
guerra che aveva distrutto il mondo, si erano dispersi come piume nel vento,
avevano inseguito i loro sogni di gloria e disperazione e alla fine, proprio
come aveva profetizzato Ryuken, avevano combattuto l’uno contro l’altro.
Il racconto di Kenshiro era stato lungo e sofferto. Aveva
fatto loro compagnia nelle lunghe serate del loro viaggio, assieme a tanti altri
ricordi.
“Combattiamo,” aveva detto Toki prima di affrontare Raoul,
“sarà il nostro ultimo allenamento”. Kenshiro aveva obbedito nonostante non
avesse mai voluto combattere contro Toki, colui che da sempre considerava il
migliore nella sacra arte di Hokuto, colui che alla forza univa equilibrio ed
eleganza. Colui che sempre era stato il più caro tra i suoi fratelli.
“Le battaglie si vincono prima con la testa, poi col cuore
e solo da ultimo con il corpo,” aveva ripetuto Toki a Ken in allenamento molte
volte. “Prima di ogni battaglia devi conoscere il tuo nemico, studiarlo,
valutare i suoi punti di forza e i suoi punti deboli. Ma soprattutto devi
conoscere te stesso, la tua forza e le tue debolezze. Ci sono battaglie che si
vincono ancora prima di arrivare alle mani.”
Ken lo aveva fatto con una tigre selvatica e l’animale si
era ritirato senza neppure minacciarlo.
“Non devi farti guidare dalla rabbia, ma dalla ragione. Non
devi colpire a caso con tutta la forza che hai in corpo, ma devi mirare il punto
giusto e lì concentrare la forza necessaria. E, nel tuo cuore, devi sempre
ricordare che tu e il tuo avversario siete uomini e in quella lotta non c’è solo
il vostro valore guerriero a confronto, ma anche la vostra umanità, il vostro
coraggio, le motivazioni che vi portano a rischiare la vostra vita e a essere
disposti a toglierla a un altro uomo.”
Nei molti duelli che aveva disputato con Jagger aveva
sempre tenuto a mente questo principio. Ricordava una volta in cui il fratello
lo aveva massacrato mentre lui si era limitato a obbedire agli ordini del
Maestro colpendo solo – con mano leggera – i suoi punti di pressione. Ricordava
di una volta in cui Jagger voleva mostrare la propria superiorità e Ken non
voleva fargli troppo male, proprio perché fino ad allora lo aveva chiamato
“fratello”.
“Quando la tua testa e il tuo cuore saranno pronti, allora
potrai usare tutto quello che hai imparato finora e tutto quello che ancora devi
imparare per avere la meglio sul tuo nemico. Senza rimorsi. Senza rimpianti.”
Lo aveva fatto con molti nemici, ma erano pochi quelli che
ricordava con rammarico. C’era stato Shin, il suo amico, il rapitore di Julia,
colui che gli aveva lasciato sette stelle nel petto. E c’era stato Jagger quando
era diventato così meschino da cancellare il fatto che un tempo erano stati
fratelli.
L’aveva fatto in ogni combattimento ed erano stati pochi
quelli persi.
Ora toccava a Toki e Ken combattere: l’ultimo allenamento,
l’ultimo dialogo senza parole.
Fu breve e intenso, senza vinti né vincitori, senza vittime
o carnefici. Un solo tocco, gentile e delicato: il tocco di un guaritore che
affida la propria anima a u guerriero. Toki aveva affidato la sua anima a
Kenshiro. Tanto lui non ne avrebbe avuto bisogno. La sua non era l’anima di un
guerriero – lo aveva detto anche Ryuken tanto tempo prima – per cui non gli
sarebbe servita per combattere con Raoul. Invece a Ken sarebbe servita, eccome:
a lui non mancava l’anima del guerriero, vero, ma se Toki aveva imparato
qualcosa nella sua breve vita era che i guerrieri combattono e distruggono tutto
quello che si para davanti a loro. Compresi se stessi alle volte. Poi arrivano
gli uomini che ricostruiscono quello che i guerrieri e le loro guerre hanno
annientato. Quella distruzione, Toki, se l’era portata dentro dal giorno
dell’Apocalisse. Si era avvinghiata ad ogni fibra del suo corpo, ad ogni
respiro, ad ogni battito del suo cuore e lui aveva potuto combatterla soltanto
accettandola, soltanto cercando di vivere al massimo ogni respiro e ogni battito
del cuore anche se erano malati.
Aveva ammirato la determinazione di Rei che lo aveva
portato a prolungare la sua sofferenza per compiere il proprio dovere. Il
guerriero di Nanto non aveva scelto la morte neppure per un attimo, si era
limitato ad accettarla quando era arrivata. Ecco quello che lui stesso avrebbe
voluto fare: il suo destino era segnato, dalle stelle dell’Orsa Maggiore e dalla
Stella della Morte. C’era stato un momento della sua vita in cui l’aveva
fuggito, ora invece faceva parte di lui, necessario e inevitabile come il suo
stesso respiro.
Avrebbe combattuto Raoul, avrebbe perso e sarebbe morto.
Poi avrebbe aspettato il fratello, pazientemente, e lo avrebbe accolto con un
sorriso.
Nel frattempo sarebbe vissuto in Kenshiro, attraverso
l’anima che gli aveva appena donato e attraverso la stima e l’affetto che aveva
guadagnato nel giovane fratello. Avrebbe combattuto assieme a lui le sue
battaglie e gioito per le sue vittorie.
“Anche tu hai un destino, Kenshiro: trasformare le lacrime
in sorrisi.”
Glielo aveva detto molte volte, ma quella notte,
scintillante come le stelle che stava per raggiungere, con quel viso troppo
vecchio per i suoi pochi anni e il corpo del suo assassino tra le braccia, a
Toki parve di tornare giovane.