Abbiamo
trovato il vero volto di Daniele!!! Ecco perciò un
nuovo banner realizzato dalla eccezionale e disponibilissima Poison
Spring. Grazie
cara!
Dedico
il capitolo, visto che siamo quasi a San Valentino, al mio amore
Samy88, la vera Samanta.
Capitolo
5
Biscotti
e Nutella
Mi
sveglio per un vociare inatteso, un rumore di sottofondo
che non concilia il mio sonno. Sono le tre del mattino, dannazione! Chi
è che
chiama o parla a quest’ora? Mi alzo e,
scalza, vado ad origliare. Non si dovrebbe fare, ma quale persona sana
di mente
telefonerebbe a notte fonda?
“Sì,
Daniele, sta bene. No, non devi preoccuparti. Le hanno
fatto l’antistaminico. Sì, adesso si è
sgonfiata, le bolle sono quasi
scomparse. Dovrebbe fare le prove allergiche, ma credono che sia solo
dovuto a
stress e…”
“Si
può sapere che stai combinando?” strillo. In
questo
momento, ammazzerei la mia migliore amica.
“Ok,
Daniele, ci vediamo domani. Ciao” chiude la chiamata e
mi fissa, incredula.
“Luciana,
dimmi che quello al telefono non era Daniele”
“Cambierebbe
qualcosa?”
“Sì,
Luciana, sì. Non volevo parlargli, non volevo che
sapesse come stessi. Perché devi sempre
intrometterti?”
“Era
preoccupato. Sai quante volte ti ha chiamato da
pomeriggio? Te lo dico io: venticinque chiamate, una ogni quarto
d’ora
circa. Più
quindici messaggi. E
tu non ti sei degnata di rispondere.
Nemmeno di inviare un insulso messaggio con scritto: ‘Sto
bene’. Lui ha
sbagliato, ma tu, proprio perché parli tanto della
cosiddetta superiorità delle
donne, dovevi dimostrarti superiore. E non mi sono intromessa. Lui ha chiamato me. Non ho
risposto a nessuna delle
telefonate che ha fatto a te, quindi non colpevolizzarmi
sempre.” Poche volte
l’ho vista così arrabbiata. E poche volte lo sono
stata anch’io in questo modo.
“Se
ti sta così simpatico Daniele, vai ad abitare da lui. Se
sei mia amica dovresti stare dalla mia parte e non allearti con il
nemico.”
“Fottiti,
Samanta. E te lo dico con tutto l’affetto
possibile” si rimette sotto le coperte e mi volta le spalle.
“Oltre
al danno la beffa. Grazie, Luciana” il sarcasmo sta
per dilagare.
“Oh,
non fare la melodrammatica, per favore. Se c’è una
cosa
che non sopporto è chi si piange addosso”
“Sai
che non sono una che si piange addosso, Luciana. Ma mi
sento così umiliata. E non può chiamare adesso,
non dopo quello che mi ha fatto
e dirmi che è pentito” scoppio a piangere:
l’ansia, la preoccupazione per la
reazione allergica, la stanchezza, la delusione riescono a traboccare
dai miei
occhi.
“Vieni
qua, Sam. Il letto è grande e per te
c’è sempre posto.
Dopotutto sono una nana” tira la coperta e mi fa spazio. In
questo momento mi
sento ridicola: così grande e ho ancora bisogno di tutto
questo? Sì, in questo
momento ne ho bisogno.
Rimaniamo
per qualche minuto in silenzio. Dobbiamo entrambe
sbollire la rabbia accumulata in questi ultimi minuti.
“Nana,
secondo te perché ho questa sfiga con gli uomini? O
meglio, perché sono circondata da uomini così
ritardati emotivamente?”
“Gli
uomini sono ritardati emotivamente. Per dirla alla
Hermione Granger, hanno la capacità emotiva di un
cucchiaino.” Hermione
Granger, grande donna.
“Uhm,
credi che sia colpa mia?”
“Che
intendi dire?”
“Pensi
che io abbia qualche problema ad approcciarmi con gli
uomini? Prima Davide, adesso Daniele…”
“Ma
Daniele non era il tuo capo?” la sento ridere al buio.
“Sì,
ma…”
“Ti
senti attratta da lui. Dopotutto è un gran bel figo. E poi
è colto, intelligente, brillante e…”
“Dannatamente
stronzo. Non negarlo. Dopo quello che mi ha
fatto, non puoi ostinarti a difenderlo.”
Ribatto
secca. Se c’è una verità
incontrovertibile è questa:
Daniele è una grandissimo, colossale stronzo.
“Non
ne sono ancora così sicura”
“Luciana,
ma è palese! Come fai ancora a dubitarne?”
“Bah,
io credo sempre che dietro ad ogni azione ci sia
sempre una ragione più o meno valida. Il sesso, per esempio.
Sai, quello è alla
base di tutto”
“Ma
piantala!” ribatto scoppiando a ridere. Ecco ritornata
la mia nana, quella che se non inserisce per ogni frase un riferimento
al sesso
non è contenta. E a me piace.
“Sinceramente
credo che tu debba lasciargli spiegare il suo
punto di vista, il perché abbia agito così. Solo
allora potrai mandarlo a quel
paese.”
“No,
non voglio parlargli. Ha oltrepassato il limite. Ha
ferito il mio orgoglio e questo non lo accetto da nessuno.”
“Anche
tu non ci sei andata tanto leggera.” Mi sento punta
nel vivo. Sì, in effetti ho esagerato, mi sono presa delle
libertà eccessive
nei suoi confronti. Però…
“Beh,
adesso siamo pari. Non abbiamo bisogno di
chiarimenti.”
“No,
avete bisogno di una sana…” Ed ecco
un’ulteriore
battutina a sfondo sessuale. Luciana la annovero nel gruppo del
“Chi molto
parla, poco pratica”. Lei credo che sia in astinenza da
più tempo di me. Ma,
dietro la sua scorza da allupata, credo che sogni ancora
l’amore romantico,
quello che ti sconvolge mente e corpo. Lei non l’ha ancora
trovato.
“Non
osare dire ‘scopata’. Non è di questo
che abbiamo
bisogno.”
“Oh,
sì invece. Ti guarda sempre il culo quando cammini. Pensa
costantemente a cosa potrebbe farci con quel culo.” sogghigna.
“Ma
chi?”
“Gargamella,
ovvio. Sam, secondo te, chi? Daniele!”
“Non
è vero.”
“Sì
che è vero e, comunque, anche tu sbavi per lui. La
soluzione, quindi, è una sola.”
“E
sarebbe?”
“Una
scopata. Almeno vi togliete qualche sfizio e inoltre
potete capire se c’è affinità a letto.
Ops, sulla scrivania.” Ma che assurdità
dice? Mi alzo, sfiancata da questo conversazione, dal suo letto e vado
in
camera mia.
“Buonanotte,
nana” mi rintano sotto le mie coperte e cerco
di addormentarmi nonostante il suo viso mi ritorni in mente con una
nitidezza
agghiacciante. Dove sono i miei guantoni quando servono? Oggi li avrei
utilizzati volentieri contro di lui. Però mi sembrava
così dispiaciuto. Scuoto
forte la testa: non devo pensare a Daniele, non ci devo pensare. Lui
è uno
stronzo e io sono stata la vittima del suo scherzo di pessimo gusto,
questo è
quanto.
Con
fatica mi riaddormento.
Mi
alzo scombussolata e con un forte mal di testa. A chi
imputare la colpa? A Daniele, ovvio. E’ sempre colpa sua. Non
ci sono
congiunzioni astrali che tengano quando lui gravita nel mio mondo. da
quando
c’è lui tutto va miseramente uno schifo. So io di
cosa ho bisogno: di tanta,
tantissima Nutella spalmata sui biscotti secchi.
C’è chi dice che quando sta
male psicologicamente non riesce a mangiare. Tutte balle per me: se sto
male di
testa almeno lo stomaco deve godere. Questa è la mia
filosofia.
Bene,
la nana non c’è. Meglio per me, altrimenti mi
avrebbe
perseguitato dicendo di non mangiare quelle schifezze. Ma non
c’è e me le
mangio.
Apro
la nostra dispensa e cosa trovo? Il nulla. Non c’è
niente da mangiare. Al posto delle mie leccornie
c’è un misero post-it.
Maledetta nana. Mi ha fregato.
Cara la mia porca,
non troverai niente
in casa. Ho portato tutto in ufficio e
banchetteremo là con la tua nutella, i tuoi biscotti e le
tue patatine. Digiuna
e fai penitenza.
La tua nanetta del
cuore.
PS: Non hai neanche
la carta di credito e soldi nel
portafoglio. So che quando hai una necessità sei piuttosto
inventiva. Stavo
pensando di portar via anche i croccantini dei gatti, ma voglio darti
fiducia
:P
PPS: non
c’è neanche il gelato. Non voglio che ti riduca
a una balena come
quando hai rotto con
Davide.
Porca,
porca, porchissima Eva! Come lei mi devo accontentare
di una mela. Forse è meglio una banana, in effetti.
Dopotutto, anche Eva ha
avuto la sua.
Odio
profondo verso la nana. Sarei tentata di mettere tutto
in una valigia e lasciargliela all’ingresso di casa. Forse
non basta una sola
valigia, ma non importa. Potrei sempre appendere i suoi perizomi sulla
porta d’ingresso
del vicino. Mi è sembrato particolarmente interessato alla
nana.
Ma,
mentre sono immersa nelle maledizioni in copto verso la
mia carissima coinquilina, ecco l’illuminazione: 100 euro
sono nel libro di
Nigro, il libro più brutto che io abbia mai letto,
conservati per poter essere
usati in caso di necessità.
Ho necessità
impellente di nutella! La voglio, la bramo, la desidero. Solo lei
può tirarmi
su. Ma prima mangio la frutta: devo cercare di prendere in giro la
nana. Saprà
altrimenti che avrò bleffato e chi riuscirà a
sopportare i suoi schiamazzi?
Mentre
sbuccio la mia banana, non oso immaginare i doppi
sensi che trarrebbe Luciana da questo piccolo atto,
sento il citofono squillare. Oh, santa
miseria!
“Quel
coglione! La visita fiscale doveva mandarmi, porca di
quella maiala” sono talmente arrabbiata che sferro un calcio
alla gamba del
tavolo. Piccola considerazione da fare: indosso solo un paio di calzini!
“Cazzo,
cazzo, cazzo!” impreco. Una cosa giusta può
esserci
nella mia incasinatissima vita?
Il
campanello continua imperterrito a suonare. Tenendomi il
piede saltello su una gamba sola fino alla porta e la apro.
Non
è l’uomo della visita fiscale.
E’
il coglione.
E’
Daniele.
Chiudo
la porta immediatamente.
Ma…ma
come si permette di presentarsi a casa mia? È il mio
capo e basta, può vedermi domani in ufficio e, se davvero
è dispiaciuto,
chiedermi scusa lì. Non capisco perché debba
venire a casa mia. Con che diritto
poi.
Lascio
che il campanello squilli più e più volte, ma non
ci
bado. Ho bisogno di nutella. Ora che ho visto il mio capo anche di un
po’ di
panna spruzzata direttamente in bocca. E
di biscotti, tanti, tantissimi biscotti.
Mi
vesto rapidamente senza badare ad accostamenti o colori:
devo andare in un supermercato, non ad una sfilata di moda. Jeans e
maglioncino
bianco. Mi guardo allo specchio e inorridisco: le macchie, sebbene
più chiare
rispetto a ieri sera, sono comunque molto evidenti sulla mia carnagione
lattea.
Dannazione, neanche il correttore mi potrà aiutare. Spero
che non mi prendano
per un untore di peste bubbonica.
Infilo
il giubbino di pelle, prendo i miei gelosi risparmi
chiusi in quell’orribile libro ed esco. E lo ritrovo sulle
scale, immobile. Gli
occhi scuri fissi su di me e un sorriso a metà tra il
sollievo e lo sconforto.
“Finalmente
hai aperto!” si alza dal penultimo gradino della
rampa e mi viene incontro. Mossa sbagliata. Senza degnarlo di uno
sguardo,
scendo le scale rapidamente cercando di non inciampare nei miei stessi
piedi.
“Sam,
aspetta, voglio parlarti!” sento che è dietro di
me,
ma non mi fermo. Non voglio vederlo. Non oggi, non adesso.
Mi
agguanta per un polso proprio mentre sto per uscire dal
nostro condominio. In un attimo mi ritrovo addossata al muro. Lui
è troppo
vicino a me. Troppo. Sento il suo respiro sul mio viso, le sue mani
ancora
strette sulle mie, il suo torace premuto contro il mio. Non devo
baciarlo: io
lo odio.
“Se
non ti sposti immediatamente ti arriva un calcio ai
gioielli di famiglia che non basterà una corsa
all’ospedale. Lasciami subito”
“In
realtà non lo vuoi. Lo so io e lo sai anche tu. Ci
stiamo solo prendendo in giro, Samanta. E io non lo sopporto”
La sua stretta si
fa più decisa. Morirò di autocombustione,
è certo.
“Cosa
sai tu di quello che io voglio o non voglio? Io esigo
che tu adesso ti sposti”. E il calcio arriva. Proprio
lì. Ho dosato la forza,
di certo non voglio portarlo in ospedale. Non con la mia macchina
almeno.
“Porca
puttana!” si piega su se stesso tenendosi la parte
lesa.
“Ben
ti sta”
“Sì,
hai ragione” sussurra rimessosi in piedi.
“Cosa?”
“Nulla, non preoccuparti” Esco senza guardarlo
negli occhi sia per la vergogna,
sia per la rabbia e mi incammino verso il mio minimarket di fiducia.
Non ho
tempo per andare all’Ipercoop del Bonola. Mi volto per
controllare se se ne sia
andato e lo vedo
seguirmi.
Sul
suo visto si stampa un sorriso furbo di chi la sa lunga
e di chi ha già preventivato tutto: “Mi hai detto
di spostarmi, non di non
seguirti”
“Daniele,
smettila. Io non sto giocando. Perché deve essere
tutto tremendamente divertente per te? Perché tutto ironico
e sarcastico? Fattelo
dire: hai un’ironia e un sarcasmo del
cazzo!”” mi fermo in mezzo al marciapiede
e lo fronteggio. Non ne posso più: sento che mi
verrà nuovamente una reazione
allergica.
“Neanch’io
sto giocando, ma se questo è l’unico modo per
avere la tua attenzione, allora sono disposto a comportarmi come un
bambino”
“Bene,
fa’ pure. Ma non è detto che tu avrai una mia
reazione di qualche tipo.” continuo a camminare imperterrita
e anche lui mi
segue. La sua camminata è morbida, fluente. Ne riconosco la
falcata per il modo
in cui le foglie si frantumano sotto i suoi piedi. Quasi
silenziosamente. Io
sono molto meno elegante.
“Cosa
stiamo facendo?” non devo rispondere, non devo
rispondere. Lo sento sogghignare, probabilmente per il mio mutismo. Lo
odio, lo
odio, lo odio.
Un
passo.
Due
passi.
Tre
passi.
Quattro
passi.
“Allora,
me lo dici?” Silenzio, Samanta, silenzio. Non
rispondere. Sta solo cercando di farti esplodere.
Un
passo.
Due
passi.
Tre
passi.
Quattro
passi.
“Sam,
mi degni di una risposta?”
“Primo:
il mio nome è Samanta. “Sam”
è solo per gli amici e
tu non lo sei. Secondo: sono uscita perché devo andare al
supermercato. Terzo:
devo comprare nutella e biscotti perché mi sono svegliata
con la voglia di
Nutella e biscotti. E, prima che tu me lo chieda, quarto: non sono
incinta. Ora
taci!” ammutolisce all’istante con mia somma gioia.
Credo di avere oggi un
certo ascendente su di lui.
Entro
nel piccolo supermarket e lui mi segue. Sembra un
cucciolo bastonato. Beh, un bella bastonata gli ci vorrebbe in effetti.
Più di
una. Tante bastonate. Con un bastone lungo e grosso. E io godrei. Non
c’era un
accenno sessuale in questi pensieri, vero? Sarà la sindrome
premestruale, senza
ombra di dubbio.
Non
ci metto molto per arrivare al mio reparto preferito. E
la vedo: la dolce, morbidissima, nocciolosa, cioccolatosa e orgasmica nutella. Sia
ringraziato ogni
giorno il signor Ferrero!
Prendo
un solo barattolo, quello più piccolo e poi una
scatola di biscotti secchi. La più piccola. La
verità è che neanch’io mi voglio
ridurre come al periodo post separazione con Davide. Due anni fa non
potevo
guardarmi allo specchio, non potevo indossare più una gonna,
non potevo salire
sulla bilancia. Non potevo. Punto. E non voglio ritornare in quello
stato
pietoso. Oggi voglio solo coccolarmi a suon di dolcezze.
“Oh,
i pop corn! Li farò zuccherati. Buonissimi!”
“I
pop corn con lo zucchero? Non ti sembra di star
esagerando con le cose dolci? ”
Non
rispondo e continuo imperterrita il mio giro all’interno
del negozio alla ricerca delle caramelle gommose alla fragola. Credo di
essere
travolta in questo momento da un attacco di shopping compulsivo.
“Ciao,
Samanta!” mi volto e mi trovo faccia a faccia con la
cassiera del minimarket, Fabiana. Essendo il negozio piuttosto piccolo
e poco
frequentato, abbiamo avuto la possibilità di conoscerci col
tempo. Sebbene un
po’ pettegola, Fabiana è sempre stata una persona
affabilissima e disponibile,
nonostante abbia tre bambini a carico.
“Ciao,
Fabiana. Ti trovo in gran forma!”
“I
bambini sono a scuola tutti e tre e non ha idea di quanto
sia piacevole come cosa. Tornare a casa e sentire il silenzio
più totale. Hai
idea di quanto possa essere idillico e utopico un momento del genere
per chi ha
come me tre figli? Anche io ti trovo bene, comunque. E lui?
–dice, indicando il
coglione – E’ il tuo ragazzo? Oh, non sai quanto
sia felice della cosa, Sam.
Pensavo che dopo Davide non avresti più trovato nessuno, e
invece…”
“Oh,
Fabiana, lui…lui non è il mio ragazzo”
ma perché tutte
a me? Perché?
“Sono
Daniele e sono un suo amico. Solo amici” mi si avvicina
e stringe la mia mano. Forse per dirmi che ha capito, che
reggerà il mio gioco.
Ma, dopotutto, è la verità: lui
è…cos’è lui? Allontano le
mie dita, che stanno
andando a fuoco, dalle sue. Lui non è niente. Lui
è solamente il mio capo
stronzo.
“Oh,
sì, certo, capisco. Beh, allora spero che il tuo
principe azzurro arrivi presto, Samanta.”
“Certo
che arriverà. Quando il cervello degli uomini
sarà
dotato di più di un neurone funzionante. Un neurone che non
pensi
esclusivamente al sesso o ai soldi. Speranza praticamente vana, quindi.
Noi
andiamo, Fabiana. Mi ha fatto piacere rivederti.” La mia
voleva essere una
frecciatina nei suoi confronti? Sì, voleva esserlo. E se si
sente punto nel
vivo perché si ritiene un uomo pensante , beh, tanto meglio.
Io non lo ritengo
certamente tale.
Dopo
aver pagato, usciamo. Regna il silenzio tra di noi. Io
perché non ho voglia di parlare e lui perchè sta
sicuramente macchinando
qualcuna delle sue diavolerie. Cammina al mio fianco, non
più dietro di me ed è
corrucciato, sembra perfino preoccupato. A volte la sua mano sfiora la
mia. A
volte i suoi occhi incrociano i miei. Non c’è
traccia di umorismo in essi.
“Samanta?”
“Sì?”
“Ecco…”
ma proprio quando sta per parlare, comincia a
piovere. E non quella pioggerella sottile e delicata, ma un vero e
proprio
acquazzone.
“Cazzo!
Non ho l’ombrello” .
“Corriamo.
Casa tua non è distante” mi prende la mano e
comincia a correre. Nonostante l’impedimento della pioggia
posso vedere il suo
corpo flettersi, le sue falcate eleganti, le sue gambe lunghe, i suoi
capelli
che si muovono con il vento e che vengono appiattiti
dall’acqua che gronda sul
suo viso. No, Sam, non pensare quello a cui stai pensando. Non
è sexy, no, non
lo è.
Arriviamo
al mio appartamento col fiatone. Daniele rimane
qualche passo dietro di me e fa per avviarsi già per le
scale.
“Che
fai?”
“Me
ne sto andando. Mi è sembrato di capire che non mi vuoi
in casa tua” sorride amaramente e non mi guarda, intento a
sfiorare con un dito
il profilo del corrimano in legno. Che devo fare? Non voglio passare
per
maleducata. È questa la verità, che io non voglia
sembrare maleducata? Impazzirò
prima o poi, me lo sento.
“Hai
la macchina?”
“No,
oggi è dal meccanico per il cambio
dell’olio” il suo
sorriso si allarga. Si potrebbe definire solo in un modo: compiaciuto.
Ha una
faccia da schiaffi.
“Entra,
non voglio che ti prenda una bronchite” apro la
porta di casa e accorrono immediatamente i miei gatti, che, avvertendo
la
presenza di un estraneo, scappano spaventati. Soprattutto Bizet: come
gatto gay
non dovrebbe essere attratto da Daniele?
“E’
carino qui”
“Grazie.
L’ha arredata Luciana: io non sono molto brava con
gli accostamenti. È tutta opera sua. Certo, quando ha
dipinto le pareti della
mia stanza di rosa confetto, volevo sprofondare. O ammazzare
lei.”
“Non
ti piace il rosa?”
“Odio
il rosa. È il colore più disgustoso che esista. E
Luciana me lo presenta in tutte le salse possibili.”
“Me
la immagino che ti insegue per casa costringendoti ad
infilare un maglioncino di lana rosa. Abominevole” ride
sguaiatamente. È così
bella la sua risata.
“E
questo è niente!” rido anch’io, ma,
vedendo l’occhiata
che mi lancia, ritorno seria. Sono in imbarazzo. I suoi occhi, i suoi
sguardi
mi imbarazzano.
“Ehm..il
bagno è di là. Puoi usare
l’asciugatrice. Io vado a
cambiarmi” corro in fretta nel mia stanza e respiro
finalmente bene, senza la
sua presenza al mio fianco. Daniele provoca reazioni strane al mio
corpo,
reazioni che non riesco a gestire. Dovrei essere arrabbiata con lui,
per
esempio. Perché sono solo un tantinello nervosa?
Perché mi batte così forte il
cuore? Non di certo per la corsa. Perché sto sudando?
Neanche in questo caso
posso imputare la colpa alla corsa: pioveva. Daniele, che mi stai
combinando?
Mi
cambio velocemente indossando la mia tuta preferita,
quella che la nana chiama amorevolmente “Tuta da
suora” perché è di colore
nero. A me piace e poi è la stessa tuta che indossavo quando
ho conosciuto
Daniele. Ma che mi viene in mente? Non posso essere così
smielata, santo cielo.
Io sono incazzata! Incazzata nera con il mio capo.
Lego
i capelli umidicci in una crocchia alta e torno in
soggiorno.
Quello
che si presenta ai miei occhi è quanto di più
erotico
possa esistere. Addio ormoni tenuti a bada per tanto tempo e benvenuta
lussuria. Sento che morirò. In piedi vicino alle mensole
delle nostre foto,
Daniele, nudo dalla cintola in su, mi da le spalle.
Cintola
in su. Morirò, è sicuro.
Seguo
la curva della spalle, la pelle tirata intorno alle
scapole, la linea del bacino, l’attaccatura del sedere. Il
suo sedere! Quanto
vorrei fare la sue conoscenza. È troppo compresso nei
pantaloni, accidenti, ma
questo non mi impedisce di farmi un’idea piuttosto chiara
delle sua forma.
Perfetta. E poi cosa vedono i miei occhi? Un tatuaggio che avvolge
tutta la
circonferenza del bicipite. Voglio toccarlo, devo sentirlo sotto la mia
pelle.
No,
Sam, no! Che vuoi fare? Non sei una ninfomane, non lo
sei mai stata. E lui è il tuo capo, il tuo capo sexy, colto,
affascinante, che
ispira sesso anche quando respira, ma è il tuo capo. E devi
ricordarti che ti
ha trattato malissimo per un mese per un motivo di cui tu non sei a
conoscenza.
L’oggetto
del mio pensiero afferra una foto dalla mensola e
la osserva con un sorriso dolce mentre segue con il pollice il contorno
della
foto stessa. Ma perché deve essere così
dannatamente schizofrenico?
“Quella
sono io a otto anni” sobbalza sentendomi parlare.
“Ho
notato: non sei cambiata molto. Bella eri e bella sei.”
“Insomma,
con vent’anni di più la differenza si
vede.” Cosa
dovevo rispondere? Nessuno mi ha mai fatto un complimento tanto
spontaneo e
gentile. E nessuno con un complimento mi ha provocato una scossa
d’eccitazione
che ha percorso tutta la mia schiena.
“Si
vede, ma non cambia la realtà delle cose” si volta
e
credo che finalmente posso morire. Se la schiena era perfetta, beh,
niente
rasenta la perfezione quanto il suo petto. Non eccessivamente
muscoloso, non
eccessivamente piatto. Un collo lungo, tornito con un leggero strato di
barba.
Mi fermo ad osservare il suo pomo d’Adamo desiderando di
baciarlo, di
succhiarlo, di lambirlo. E voglio sapere il suo profumo, conoscerlo,
inebriarmi
con esso e di esso. Ma mi allontano per non cadere in tentazione.
“Sam,
posso parlarti?”
“Credo
di sì” dico in un soffio. Perchè provo
queste cose? Io
non dovrei.
“Ci
possiamo sedere?”
“Oh,
sì, scusami.” sprofondiamo entrambi sul divano
mentre
Bizet e Minù tornano alla carica. Ancora diffidenti si
strusciano sulle nostre
gambe. Ma né io, né lui ci badiamo.
“Samanta,
quello che volevo dirti…quello per cui sono
venuto…insomma, quello che voglio dirti è che ho
sbagliato. Non avrei dovuto
comportarmi in questo modo con te. Ti ho preso in giro e mi
dispiace” rimane
zitto, ma continua a fissarmi. Se c’è una cosa che
so è che i maschi sono
tremendamente orgogliosi. Non dicono mai: “Mi dispiace, ho
sbagliato” , ma
generalmente fanno ricadere la colpa anche sull’altro. Se
c’è una frase che il
mio ex diceva era: “Scusami se ho sbagliato, ma sei stata tu
a farmi
arrabbiare”. Che cavolo di scuse sono? O hai sbagliato o non
hai sbagliato. Sta
a me, poi, chiedere scusa per i miei sbagli.
Ma
Daniele non ha detto questo, non ha parlato di me. E
questo, solo questo, mi permette di concedergli una seconda
opportunità.
“Perché
lo hai fatto?”
“Per
smuoverti. Non ho raggiunto il mio risultato, ma l’idea
era quella.”
“Smuovermi?
In che senso?”
“Volevo
farti aprire con me. Volevo che tu avessi una
reazione attiva nei miei confronti. Se avessi accettato passivamente la
tua
decisione di non voler avere niente a che fare con me, il nostro
rapporto
sarebbe morto. E io non lo potevo permettere. Volevo e voglio
conoscerti. E
volevo e voglio farti conoscere Daniele. Ma quello
che non volevo e non voglio è l’essere
inserito nello stereotipo che ti sei creata a tuo uso e consumo, quello
di uomo
uguale stronzo. Io non sono così e nemmeno tu sottosotto ci
credi. Ma non
sapevo come fare. E ho escogitato questa maschera pietosa che si
è ritorta
contro di me” respira dopo aver parlato a raffica.
È nervoso. Come me. E io,
cosa dovrei rispondere?
“Vedi,
Daniele, io sono una persona molto autoironica, rido
praticamente sempre di me e permetto anche agli altri di farlo. Non ho
nessun
problema in tal senso. Ma tu mi hai umiliata come persona, come
revisore, come
tutto. Hai messo in discussione tutto il mio lavoro di questi anni,
tutto il
mio sudore, i sacrifici fatti. Credo che da una parte tu abbia avuto
ragione:
sei più in gamba di me ed è per questo che tu sei
diventato direttore editoriale
e io no. Me ne rendo conto, lo ammetto. Ma lo scherzo, o non so cosa
fosse, di
Papini mi ha fatto male. Molto male. – mi alzo dal divano e
gli do le spalle.
Non so perché io
stia facendo queste
confessioni a lui. Non lo so. - E quando sto male io mangio. Mangio da
fare
schifo. Ecco perché volevo i biscotti con la nutella. Ecco
perché la nana mi ha
svuotato la dispensa stamattina. Perché il cibo mi da una
gratificazione che le
persone non riescono a darmi. – respiro profondamente per
riprendermi da questo
flusso continuo di parole – La verità è
che io sono una debole. E non lo dico
perché voglio farti sentire in colpa – gli occhi
mi si riempio di lacrime,
dannatissime. Fortuna che sono di spalle. – lo dico
perché…beh, non lo so
neanch’io il perché.”
“Vieni
qui” e mi abbraccia da dietro incrociando le braccia
all’altezza del mio collo.
“Mi
dispiace, Sam. Se potessi tornare indietro non mi
comporterei allo stesso modo. Alcune di quelle cose le pensavo e le
penso
davvero come il fatto che tu debba imparare a non farti condizionare
dai gusti
personali, ma sei in gamba. Ho cercato di trovare quanti più
errori possibili
nel tuo lavoro e lo facevo sia per danneggiare te, sia per cercare di
trovare
qualche difetto in te. Sei un ottimo revisore di bozze, Sam. Uno dei
migliori.
E non lo dico per farmi perdonare. O non solo. E Papini non
è poi uno scrittore
così noto. Non è mica Dante.” mi
stringo a lui portando le mie mani all’altezza
delle sue. E lui le stringe e sono calde, accoglienti, morbidissime. E alle mie narici arriva
il suo profumo,
dolce, fruttato.
“Dispiace
anche a me, Daniele. Credo che abbiamo sbagliato
entrambi. In modi diversi e tu sicuramente di più, ma
anch’io ho la mia buona
dose di colpe.”
“Sì.”
Sussurra al mio orecchio causandomi la pelle d’oca su
tutto il corpo.
“Che
profumo usi?”
“Jaïpur,
perché?” mi volto per annusare il suo collo. Seguo
la linea del suo collo col naso per imprimermi il suo odore. Ha un
sottile
strato di barba.
“Hai
un buon odore. È delicato, dolce.” Sam, ma che
stai
facendo? Riprenditi. Ma, mentre penso una cosa, ne faccio
un’altra. Poggio la
mano sul suo collo e lo accarezzo. Seguo il duo profilo con
l’unghia
dell’indice e lo sento deglutire rumorosamente.
“Sam?”
la voce è roca, sensuale. Le mie terminazioni nervose
bruciano.
“Sì?”
“Posso
baciarti?” è la prima volta che me lo chiede. E
per
la prima volta sono io che prendo l’iniziativa. Non rispondo,
lascio che siano
le mie labbra a parlare per me.
E,
a differenza delle altre volte, è un bacio più
dolce, più
lento, più vero. Lascio che la sua lingua segua i contorni
della mia bocca, che
mordicchi il mio labbro, che esplori ogni anfratto. E io faccio lo
stesso. Mi
abbandono tra le sue braccia, preda di un desiderio che non ricordo di
aver mai
provato. Mi sento leggera, mi sento bene, mi sento con un vuoto al
centro della
pancia. E’ tutto perfetto. Forse posso ricominciare daccapo.
Ma, quando sono in
preda all’estasi del bacio più sublime che io
abbia dato e ricevuto, mi tornano
alla mente le parole di Carlo: È
stato molto il tipo da sesso senza amore.
“No,
non posso, Daniele, non posso” mi stacco
immediatamente. E sento freddo.
“Sam…”
“Io
non posso farlo, Daniele. Non ce la faccio.”
“E’
per Davide?” mi guarda serio e, forse, anche un po’
adirato.
“No,
è per te. Davide non c’entra nulla. Carlo mi ha
detto
che sei uno dalle storie facili. Chi mi garantisce che non
sarà così anche per
me? Chi mi garantisce che, magari dopo avermi portata a letto, tu non
sparisca?
Io, dopotutto, non so nulla di te.”
“Carlo
ti ha detto solo questo? Perché se è
così ha
tralasciato la parte più importante del discorso che abbiamo
avuto.” la sua
voce sale di un’ottava. È arrabbiato.
“Mi
ha detto che..che non sei mai stato attratto così tanto
da una ragazza”
“Già:
è quello che gli ho detto ed è quello che provo
verso
di te. Ma a te basta un nonnulla per mandare tutto a puttane, per farmi
sentire
un’idiota. È
vero: ho avuto molte
ragazze in passato, e allora? Questo fa di me una cattiva persona? Non
ti sto
chiedendo di sposarti, ma di provare a frequentarci. E’
così difficile da
capire?” mi sento uno schifo. Ha capito più me
di quanto io abbia capito me stessa. Ma so che non sono
tipo da mezze
misure e so che non riuscirei a vivere questa..questa cosa tra di noi
alla
leggera. Lo so. Ed è per questo che non posso rischiare.
“Daniele,
io..io non mi sento ancora pronta” sussurro.
“Per
cosa? Per una relazione fissa? Non ti sto chiedendo
nemmeno questo. Ti sto chiedendo di conoscerci.” È
vero, ha ragione. Dio, mi
sento così stupida, ma è più forte di
me.
“Vorrei
che..vorrei che tu mi dessi un po’ di tempo. ”
“Per
cosa?”
“Per
riflettere. Per perdonarti bene. il fatto che ti abbia
detto che abbiamo sbagliato entrambi non deve farti credere che io ti
abbia
perdonato. Ho capito il tuo punto di vista, ma ci vuole del tempo per
rimettermi in carreggiata. E poi mi serve tempo per capire bene. Per
capirti
bene.”
“Posso
farti una domanda?”
“Sì”
“Se
non mi hai ancora del tutto perdonato, perché mi hai
baciato? E non dire perché te lo avevo chiesto io. La mia
era una domanda e tu
potevi non accettare.”
“Non
lo so perché l’ho fatto. Sono stata attratta dal
tuo
odore, credo. E di certo, vederti a torso nudo non ha
aiutato.”
“Sei
una contraddizione vivente, Sam. Dici che hai paura,
che sei dubbiosa e poi ti avventi su di me. E poi dici di nuovo che sei
dubbiosa. Io non riesco a seguirti. Davvero.” Ride e passa le
dita tra i
capelli. Ma è una risata nervosa, non divertita.
“Beh,
in effetti nemmeno io mi comprendo il più delle volte.
Vuoi sapere la verità? Io, a parte il mio lavoro, non so
cosa voglio dalla
vita. Né dagli uomini. Sono rimasta scottata da
loro.”
“Sam,
questa credo che sia la scusa più ridicola di questo
mondo. Anche mia madre ha lasciato mio padre perché aveva un
amante. Devo
pensare che ogni donna sia una puttana? Andiamo Sam, la vita
è molto più
variegata di quello che pensi tu. Non è come per la nutella di cui
c’è solo quella marrone. La vita è un
gelato variegato dai gusti più diversi.” So che ha
ragione. Ha dannatamente
ragione. Tutti me lo dicono, ma io non imparo questo piccolo concetto.
Non
riesco ad impararlo.
“Mi
piace questa metafora. Ma, sebbene mi piaccia, non posso
dire di averla assimilata bene. E te lo ripeto: io ho bisogno di
tempo”
Annuisce,
ogni ombra di ilarità scomparsa dal suo volto, mi volta le spalle e si
dirige verso il bagno.
Ritorna con la felpa indossata.
“Va
bene. Io posso aspettare quel tanto che ti serve per
capire bene quello che vuoi anche se non lo comprendo appieno.
Cercherò di non
essere invadente ed oppressivo e cercherò di farmi perdonare
come si deve.
Oltre questo non posso prometterti altro.”
“Va
più che bene.” lascia un bacio leggero sulla mia
guancia
indugiando sulla mia pelle, mentre con l’indice segue il
profilo del mio viso.
Si stacca di botto.
“Io
vado. Ciao, Sam” e chiude la porta dietro di sé.
Ho
bisogno di biscotti e nutella.
“Tu
sei un’emerita cogliona!”
“Su,
Luciana, infierisci pure”
“Ma
dico: quel figo della miseria ti chiede scusa, ti dice
che gli piaci che vorrebbe baciarti e tu dici: ‘Non so cosa
voglio dalla vita’?
Ti eri fatta di qualche droga stamattina?”
“Nana,
la verità è questa. Avrei dovuto dirgli che mi
interessava?” sbuffo esasperata. Non solo Daniele, ora si
mette anche la nana.
“No,
avresti dovuto dirgli: “Sono in astinenza da due anni e
ho un disperato bisogno di fare sesso e non voglio più
mangiare biscotti alla
nutella per sentirmi gratificata.’ Questa è la
sacrosantissima verità”
“Non
mi sento pronta”
“Sam,
svegliati, che i treni passano e tu perdi il viaggio.
E non commiserarti sempre nel ricordo di Davide. Accetta la situazione:
sta per avere un bambino.” Si porta la mano alla
bocca dopo aver
detto l’ultima frase. Io impallidisco. Sentir parlare di lui
e della sua vita
perfetta, una vita che sarebbe dovuta essere la nostra vita, mi fa male.
“Luciana,
la fidanzata di Davide è incinta?”
“Sì”
“E
come fai a saperlo?”
“Può
avermi chiamato tua madre per avvisarmi”
“E
quando mia madre ti avrebbe chiamata?”
“Due
settimane fa” abbassa lo sguardo. Sa che sto per
incazzarmi di brutto.
“E
perché non me lo hai detto?”
“Sam,
lo sai anche tu perché. La prima cosa che avresti
pensato, o che hai pensato, è quella di Davide che chiedeva
a te di avere dei
figli e dopo due giorni ti lasciava. E saresti di nuovo andata a finire
a
biscotti e nutella. E, sinceramente, io sono un po’ stufa di
vederti così. Ora,
pensa a quello che vuoi dalla vita, pensa a quel poveretto di Daniele
che ti
sta aspettando e non fare cazzate” e, detto questo, Luciana
se ne va
lasciandomi sola nella mia stanza.
Da
domani cercherò di capire cosa voglio dalla vita.
Ora
però voglio biscotti e nutella.
Buon
pomeriggio!
Eccomi
con questo aggiornamento domenicale. Spero che il
capitolo vi sia piaciuto.
Sam
è completamente sciroccata, non sa che vuole dalla vita,
ma non sa nemmeno se odiare o amare Daniele. Un
bell’inconveniente! Solo la
nana riesce a darle un po’ di buon senso, santa donna lei!
Venendo
al capitolo, il romanzo di Nigro è “I fuochi del
Basento”, uno dei libri più brutti che abbia mai
letto. Se vi capita, non
compratelo.
La
frase di Hermione Granger è presa da “Harry Potter
e l’Ordine
della Fenice”. E’ una frase che ho sempre ricordato
perché è la vera verità.
I
biscotti con la nutella sono quelli che mangio io quando
sono depressa. D’estate in realtà mangio i
biscotti col gelato.
Per
il capitolo scorso sempre la santissima e bravissima
Poison Spring ha creato un banner con le dieci P di Luciana. Eccolo qui.
So
finendo di rispondere alle recensioni dello scorso
capitolo. Le concluderò stasera, credo.
Un
bacione a tutte,
Federica
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