Dedicato alla mia “fan numero
1”, grande estimatrice del Generale Noone x3
Questo capitolo è lunghetto e
pieno di azione, quindi… godetevelo! :D buona lettura ^w^
MEMORY #15 –
PROVA
«I vostri nominativi?», chiese
l’uomo in uniforme «Chi è il capogruppo?».
«Sono io», rispose Soragan
scattando sull’attenti «Soragan Ineath, Heath Noval e Jemiah Laureen Enver,
signore».
L’uomo appuntò qualcosa sul
palmare che impugnava, poi tornò a rivolgersi a Soragan.
«Elementi e valori totali,
Ineath».
«Luce, vento e cielo. I valori
erano... mh... 13, 12, 11, 8, 7 e 3, signore».
«Perfetto, il vostro gruppo è
approvato. Dirigetevi ora al capanno centrale per ricevere l’attrezzatura per
la prova».
Soragan e Heath scattarono
sull’attenti portando una mano alla fronte e poi si allontanarono, seguiti da
Jemiah che si teneva aggrappata alla maglietta nera del primo.
«Porca vacca, sto
congelando!», esclamò Heath, stringendosi nel giaccone mimetico «E siamo a
giugno! Giugno! Ma come fai a startene sbracciato?»
Soragan si strinse nelle
spalle «Boh. Al sole sto bene».
Alzò lo sguardo verso il cielo
terso, poi lo abbassò su Jemiah.
«Come ti senti? Carica?»
«Sì», annuì la bambina «E poi
mi piace qui. C’è un sacco di verde. Ci sono anche gli scoiattoli».
Soragan le scompigliò i
capelli e osservò compiaciuto il bosco subito fuori dal campo base, respirando
a fondo la fresca aria di montagna. Questa storia della prova gli piaceva
sempre più ad ogni secondo che passava.
«Ehi, ascoltatemi...», disse
«In qualunque modo si svolga questa cosa, io voglio vincerla. Voglio andare al
vertice mondiale».
«E io voglio anche il premio
in denaro», annuì Heath «Ci farebbe un sacco comodo».
«Io invece voglio vedere da
vicino l’anima di Noone», mormorò Jemiah, e i due ragazzi volsero lo sguardo
verso di lei.
«E’ bella, ha la forma di una
farfalla. Però in video non si vede bene».
Soragan sorrise «Bene, abbiamo
tutti valide motivazioni. Dov’è che sta questo capanno centrale?»
«Di là, credo», gli rispose
Heath, indicando l’est con un cenno del capo «... Spero. Per lo meno sta al
centro».
«Una logica inoppugnabile»,
commentò Soragan, e si incamminarono tutti e tre verso un alto edificio in
legno a qualche decina di metri di distanza.
Una piccola folla di ragazzi
era assiepata all’ingresso principale, in attesa di entrare, e i tre si misero
in fila.
«Senti, Sor», disse Heath,
strofinando le braccia per riscaldarle «Secondo te che tipi sono Dio e Feng
Sha? Che faccia hanno?».
Soragan si grattò il mento e
mosse un passo avanti, seguendo la fila.
«Ho sentito dire che Dio è
piuttosto imponente. Oh, e ha gli occhi gialli. Da quel che ho letto, sembra
una pessima persona».
«L’avevo sentito anch’io»
Heath annuì e strinse le mani sotto le ascelle.
«Feng Sha, invece... pare che
sia molto giovane. Mi sembra assurdo, ma davvero, non so nient’altro! Non
immagini cosa darei per poterli incontrare di persona... anche solo vederli in
faccia».
«Feng Sha no di certo. Girano
a volto coperto, non lo sai?», disse Heath, e Soragan aggrottò le sopracciglia.
«Scherzi? Non lo sapevo. Che
peccato».
«Boh, però magari è possibile
vederlo in faccia. Sarebbe figo! ... qualcosa di diverso dal solito, per lo
meno».
«Già», borbottò Soragan, e
tacque.
Occorse loro più di mezz’ora
per riuscire ad avvicinarsi ai soldati che distribuivano l’equipaggiamento.
Heath afferrò una delle
piastre ottagonali e se la appoggiò all’altezza del cuore, mentre Soragan
gliela fermava saldamente allacciando e regolando le cinghie che la
sostenevano.
«Quindi questa roba dovrebbe
controllare il nostro livello magico?», chiese poi al compagno, mentre
allacciava la piastra anche a Jemiah.
«Deve far parte del sistema
che hanno progettato per impedirci di farci male», gli rispose Heath «Non
avrebbe senso permetterci di combattere con tutto il nostro potenziale,
finiremmo per massacrarci!».
«Presumo che ci spiegheranno
tutto dopo», disse Soragan. Heath annuì e lo aiutò a sistemare la piastra, poi
si voltò verso la ragazza che gli sorrideva da dietro al banco.
«Posso rimettermi la giacca o
c’è altro da indossare sotto? Ho freddo».
«Tranquillo, puoi rivestirti»,
lo rassicurò lei «Allora, i vostri bracciali...».
La ragazza si chinò a frugare
in uno scatolone, e quando si risollevò teneva in mano tre buste di plastica
opaca con i loro nomi scritti sopra.
«Ecco, Ineath, Noval e Enver.
Indossate i bracciali, come accenderli vi sarà spiegato poi».
«Grazie mille».
Soragan afferrò le buste e si
allontanò per non essere d’intralcio.
«Bracciali? Che dispiegamento
di mezzi notevole!», osservò Heath prendendo la propria busta ed aprendola.
Rimirò poi lo spesso bracciale bianco alto una manciata di centimetri che
questa conteneva.
«No, sul serio... da dove si
apre?».
Soragan gli indicò un
bottoncino sul bordo superiore, e Heath lo ringraziò con un largo sorriso.
«Oh, c’è uno schermo», mormorò
Jemiah sollevando un coperchietto di plastica che occupava quasi metà del
bracciale «Che bello. Mi piace. Sor, come mi sta sta?».
«Benissimo, sciocca», le
rispose Soragan scompigliandole i capelli «Bene, cosa ci manca? Oh, i
caschetti!».
«Addirittura i caschetti,
wow!», esclamò Heath «Saranno anche questi qualcosa di super misterioso e
specializzato?».
Soragan rise «Direi di no. Da
quel che vedo, sembrano normali caschetti da militare».
«Oh, peccato», borbottò Heath,
e si allontanò per recuperarli.
«Riposo», disse il Generale
Noone, rivolgendo un caldo sorriso ai giovani soldati sull’attenti che
l’avevano accolto.
Scese dall’elicottero e si
guardò attorno alla ricerca del Generale Alzmäjer, e lo avvistò a pochi metri
di distanza.
«Mio caro collega!», esclamò.
Lo raggiunse e gli strinse la mano con entusiasmo, e l’altro lo fissò
perplesso.
«La vedo allegro, Noone. Ha
ricevuto qualche buona notizia?».
«No, niente di particolare.
Lei invece non mi sembra di ottimo umore... se ha altri impegni ora può andare
e lasciare tutto in mano mia. Anzi, la ringrazio per avere sistemato tutto in
mia vece, con gli ultimi contrattempi non sarei mai riuscito ad organizzare
anche la prova di Strendahar in tempo».
«Non si preoccupi, non ho
niente di particolarmente urgente. Piuttosto, mi parli di questi contrattempi.
Hanno a che fare con gli Irrjiah?».
«Purtroppo» il Generale Noone
sbuffò e si aggiustò la benda «Ma rimandiamo a dopo questi discorsi, prima ho
bisogno di un caffè ».
«Comincio a temere che questo
vertice non porterà a nessun risultato», sospirò Alzmäjer «Per lo meno, non a
parole. Non ho mai appoggiato Ayanne in pubblico, ma in fondo la penso come
lui. Dio e i Feng Sha non sono persone con cui si possa ragionare».
«Lo so», confermò Noone, e
Alzmäjer si volse a guardarlo stupito.
«Lo sa? E allora perché ha
sempre avversato Ayanne?».
«Non mi fraintenda. Dichiarare
guerra aperta agli Irrjiah o a Dio,
come vorrebbe quell’idiota, sarebbe un suicidio. Ayanne non considera il
rischio di inimicarsi la Madre Terra stessa».
«Scherza? Addirittura
inimicarsi la Madre?».
Noone annuì «A questo mondo,
nulla accade per caso. Ci rifletta: la somma Madre non avrebbe dotato Dio di
simili poteri se non avesse voluto renderlo una figura di stabilità, ad
esempio. No, no, sono troppe le cose che non sappiamo, gli equilibri precari
che rischiamo di sconvolgere. Non vogliamo di certo che il Nord muoia come gli
altri continenti».
«Ma... allora...» Alzmäjer si
grattò il mento, confuso «Che senso ha questo vertice?».
«Se come temo il parlare non
risolverà niente... ho altre tre strategie in mente. E se nemmeno queste
funzioneranno...».
«Se non funzioneranno?».
Noone scosse la testa «Non ne
ho idea. Ma il Nord non potrà resistere a lungo, se non troviamo altri
territori per sostituire quelli morti negli ultimi anni. Le confesso che sono
davvero molto inquietato».
«E chi non lo è? Ho visto i
dati sul continente averrhiano, agghiaccianti. E dire che per lo meno le coste
erano ancora così floride! Crede che la Madre abbia deciso di investire meno
potere nel tener viva la vegetazione per punirci?».
«Io temo l’abbia fatto per
proteggerci».
Alzmäjer corrugò la fronte e
fissò sconvolto il giovane collega.
Soragan fece segno a Heath e a
Jemiah di fermarsi. Posò a terra lo zaino e fece qualche passo avanti, finché
il bracciale non emise un trillo.
«Ok, direi che questo è il
limite che non dobbiamo oltrepassare. Heath, che ore sono?».
Il ragazzo sollevò il
coperchietto di plastica del bracciale ed osservò lo schermo.
«Sono leee... è l’una e
cinquanta, più o meno. Abbiamo altri dieci minuti. Cosa facciamo nel
frattempo?»
«Gli zaini sono solo un
impiccio», borbottò Soragan osservando il proprio. Un secondo trillo gli ricordò
che non era ancora rientrato nell’area destinata alla prova, e si affrettò a
tornare sui propri passi.
«Dicevo... non possiamo
portarceli dietro. Il sacco a pelo è troppo pesante per Jemiah, e rallenta
troppo anche noi. Bisogna che li mettiamo da qualche parte».
«Perché non sopra a un
albero?», propose Heath «Sono bravo ad arrampicarmi! Ah, però... se poi non
riusciamo più a trovarli potrebbe essere un problema».
«La cosa migliore... credo sia
dividerci. Lasciamo uno di noi tre qui, appartato con gli zaini, mentre gli
altri due se ne vanno in giro a eliminare gli altri», disse Soragan «Così, se
ci perdiamo, col bracciale possiamo ritrovare quello che è rimasto di guardia e
non rischiamo di perdere gli zaini».
«Mi sembra perfetto!», esclamò
Heath, e abbassò lo sguardo su Jemiah «Tu che ne pensi, Jem?».
«Io sto di guardia», mormorò
la bambina «Girare sulla montagna mi fa paura. Però voi tornate spesso, vero?».
Soragan le sorrise
rassicurante e le carezzò la testa «Certamente. Mi dispiace lasciarti da sola,
però...».
«Non importa», lo interruppe
Jemiah «La signorina Maliah mi dice sempre che devo diventare forte, e poi...
so che per te è importantissimo tutto questo».
La bambina strinse i pugni e
lo fissò con un’aria decisa che Soragan non le aveva mai visto. La guardò
stupito per un attimo, e non poté trattenere un altro sorriso.
Era migliorata tanto.
«Grazie».
«E poi...», aggiunse Jemiah
«Io sono forte. Non mi eliminerà nessuno!».
«Sor, il tempo stringe!»,
esclamò Heath, picchiettando lo schermo «Dobbiamo farci una strategia, prima di
andare».
«Sì, hai ragione», annuì
Soragan. Raccolse il suo zaino e lo cacciò in un cespuglio, spingendolo in
profondità con un piede. Fece poi un passo indietro per valutare l’efficacia
del nascondiglio.
«Perfetto. Heath, Jem, passatemi
i vostri e p-».
Un lungo trillo proveniente
dal bracciale lo interruppe. Sollevò lo sportellino, e vide che sullo
schermetto ora c’erano, oltre a nome, cognome e ora, anche i numeri “100” e
“3”.
«In tal caso, direi che si
comincia. Gli zaini!»
Laetius Noone riempì la tazza
di caffè ed afferrò un numero imprecisato di bustine di zucchero.
Quando si sedette al tavolo e
le lasciò ricadere davanti a sé, Alzmäjer poté constatare che erano cinque.
«Le piace amaro, vedo»,
osservò con un sorrisetto, indice e pollice occupati a lisciare la barbetta.
«La prego, non infierisca!»,
sospirò Noone, passandosi una mano sul volto «Detesto i cibi amari, e non
immagina che fatica trattenermi!».
Osservò le bustine con aria
quasi malinconica, e dopo qualche istante ne mise due da parte.
Le altre tre le aprì e le
versò nel caffè.
«Sa dirmi che ore sono?».
Alzmäjer scostò appena la
manica e fissò l’orologio da polso «Le quattordici e qualche minuto. Piuttosto,
dato che sembra procedere tutto senza intoppi, potrebbe illustrarmi quegli
imprevisti di cui mi accennava prima? Ammetto che ha stuzzicato la mia
curiosità».
«Gli Irrjiah sono una continua fonte di problemi» Noone sospirò e scosse
la testa «Lo scambio epistolare che ho avuto con Lord Feng Sha... mi creda se
le dico che mi ha mandato in panico più volte. Non ho intenzione di dare questa
informazione anche ai nostri colleghi, ma sappia che quell’uomo è certamente
malato di mente. Nell’ultima missiva che ho ricevuto, in risposta alla mia
richiesta di informazioni riguardo i mezzi con cui sarebbero giunti, Lord Feng
Sha mi ha comunicato di non potermi ancora dire niente dal momento che “gli Irrjiah si spostano con i cammelli, ma i
cammelli gli stanno antipatici perché puzzano e gli sputano addosso”. Testuali
parole».
«...Capisco. E quindi come
pensano di arrivare al Nord?».
«Ho qualche spia infiltrata
fra gli Irrjiah, e da ciò che mi è
stato comunicato ho l’impressione che non l’abbiano ancora deciso. Ho ragione
di credere che stiano valutando l’eventualità di usare un portale ed il rischio
che questo possa cadere in mano nostra».
Il Generale Noone sorseggiò il
caffè, pensieroso.
«In ogni caso, Lord Feng Sha
mi ha assicurato che mi saprà dare ulteriori informazioni entro il prossimo
mese», aggiunse poi, poggiando la tazza sul tavolo e alzandosi in piedi «La
terrò informata».
«La ringrazio», disse Alzmäjer
«Sta andando da qualche parte?».
Noone annuì «Ho dimenticato
nel mio alloggio alcune carte che desideravo mostrarle. Mi perdoni, sarò di
ritorno in pochi minuti».
E detto ciò abbandonò la
stanza.
«Cazzo!».
Heath si tuffò a terra un
istante prima che un proiettile di energia lo colpisse e rotolò dietro una
roccia, raggiungendo Soragan.
«Che c’è?», gli chiese «Ti
hanno colpito? Quanti punti hai perso?».
Soragan osservò i propri punti
vita scendere di una manciata di cifre, e quando li vide fermarsi a
sessantacinque tirò un sospiro di sollievo.
«Tutto a posto, ne ho persi
solo una decina» si massaggiò lo zigomo, certo che il mattino dopo sarebbe
stato viola «Cazzo, mi ha preso in faccia! Temevo mi avrebbe tolto di più».
«Meno male, se ti eliminano
poi è un casino. Bene, ci sei? Lavoro di squadra?».
«Sì. Al mio tre! Uno...».
Soragan fletté le ginocchia, i
palmi delle mani aperti davanti al petto.
«Due...»
Heath poggiò le mani sulla
roccia e gli lanciò un’occhiata d’intesa.
«Tre! Attacca!».
Con un balzo Heath uscì dal
nascondiglio. Compì un semicerchio davanti a sé con il braccio destro e
quattro piccoli proiettili d’energia
comparvero fra le sue dita, sospesi a mezz’aria. Posò indice e medio della mano
sinistra sulla destra, all’altezza dello spazio fra pollice e indice, e quando
il ragazzo nascosto dietro un albero, pochi metri più avanti, si sporse per
osservarlo, fece scattare fulmineo il braccio sinistro.
Il proiettile colpì il ragazzo
dritto a una spalla, e questi si lasciò sfuggire un verso contrariato, tornando
rapidamente a nascondersi.
«Eddai, venite fuori!»,
esclamò Heath «Sennò non è divertente!».
«Mi sa che tocca a noi
scovarli», ridacchiò Soragan. Senza abbassare le mani, abbandonò il riparo
offerto dalla roccia e mosse qualche passo verso il compagno. Un brivido gli
corse lungo la schiena e Soragan ruotò veloce su se stesso, ergendo un piccola
barriera circolare all’altezza del petto.
Un proiettile d’energia vi
batté sopra e venne rifratto verso il basso.
«Heath, dietro!», gridò
Soragan, e mentre Heath si voltava tornò a rivolgere la propria attenzione
verso l’albero dietro cui era nascosto il ragazzo.
Come immaginava, l’avversario
aveva sfruttato quello che credeva essere un momento di distrazione per uscire
allo scoperto. Soragan chiuse il pugno e la barriera si infranse in frammenti
di pochi centimetri; riaprì subito la mano, e l’altro ragazzo venne investito
dalla miriade di piccoli proiettili di luce prima ancora di riuscire a prendere
la mira.
Il ragazzo cercò di ergere una
barriera per proteggersi, ma non riuscì a crearla grande abbastanza da parare
completamente l’attacco e tornò a nascondersi prima di subire altri danni.
«Cambio!», gridò Heath, e
Soragan si lanciò una rapida occhiata alle spalle.
«Cambio? Sei fuori? Quello là
è da stanare, io sono troppo lento!», gli rispose. Scartò poi di lato,
raggiungendo il riparo di un gruppetto di alberi e cespugli, e fece segno al
compagno di raggiungerlo.
«Ma io non sono forte come te
in difesa!», esclamò Heath, accovacciandosi davanti a lui «Se mi lancio allo
scoperto verso quello là mi faccio massacrare! Non riesco a lanciargli degli
attacchini preventivi, se uso il mio elemento per velocizzarmi!».
«Hai ragione. Ma finché non
eliminiamo quello là dietro l’albero non posso coprirti...» Soragan rifletté un
istante, poi schioccò le dita «Facciamo fuori prima lui, deve essergli rimasta
giusto una manciata di punti vita. Da qui non credo possa vederci, e sono...»
sporse di lato la testa per valutare la distanza, poi tornò a fissare Heath
«Saranno cinque o sei metri, forse sette. Se ti velocizzi gli sarai davanti
prima ancora che se ne accorga. Io intanto lancerò qualche attacco a
quell’altro, così dovrei scoraggiarlo dal mettere la testa fuori. Quanta vita
hai ancora?».
«Boh, attorno ai settanta.
Posso correre il rischio».
«Perfetto. Sei pronto?»
Heath annuì e si preparò a
scattare. Attorno ad ogni caviglia gli comparve un anello di energia azzurrina,
e Soragan sbuffò.
«Cazzo, non puoi neanche
immaginare quanto te la invidio», gli disse con un sorriso, e Heath rise.
«Me la invidierai, ma intanto
se uso così la magia non posso fare altro o supero quel dannato limite di 0,5!
Sono pronto, lumacone».
«Allora vai».
Soragan si sporse dai cespugli
che lo riparavano alle spalle con tutto il busto, e cominciò a lanciare piccoli
proiettili di energia a pochi secondi l’uno dall’altro.
Mentre Heath balzava fuori,
diretto nella direzione opposta, vide un caschetto sbucare da dietro un masso,
a diversi metri di distanza, e ritrarsi immediatamente non appena un proiettile
lo sfiorò.
Sentì un trillo acuto alle
proprie spalle, e pochi secondi dopo Heath gli fu di nuovo accanto, un largo
sorriso sul viso lentigginoso.
«Eliminato un altrooo!»,
canticchiò, poi tacque un attimo per riprendere fiato.
«Non esaltarti tanto, siamo
ancora quattro a tre per me», disse Soragan, e il sorriso di Heath si allargò
ancora di più.
«Sì, ma il prossimo è mio!
Dov’è che sta?».
«La roccia, quella piena di
muschio giallognolo. E non credere di restare in parità per molto, dannato».
«Vedremo. Coprimi!».
Di nuovo le caviglie di Heath
vennero circondate da un anello di energia, e balzò in direzione
dell’avversario ad una velocità tale da lasciare sconvolto Soragan – e non era
la prima volta che lo vedeva utilizzare quel potere.
L’avversario si sporse quel
che gli bastava da poter vedere qualcosa e mosse rapidamente una mano,
emettendo proiettili d’energia in tutte le direzioni.
Soragan utilizzò entrambe le
mani per ergere una barriera e mantenerla davanti a Heath, cercando al tempo
stesso di avere la migliore visuale possibile scoprendosi il minimo.
Un proiettile gli colpì di
striscio l’avambraccio, e il bracciale emise un debole “pi”.
Trattenne a stento l’impulso
di guardare quanti punti aveva perso e rimase concentrato a proteggere il
compagno. Nel momento in cui Heath saltò sopra la roccia, il bracciale avvertì
Soragan, con un suono più grave, che era vicino al limite di 0.5, e il ragazzo
fu costretto a distruggere la barriera per non superarlo.
Si concesse un attimo per
riprendere fiato, dato che non poteva essere di grande aiuto ad Heath.
Merda, controllarsi è più faticoso che combattere!, sbottò
mentalmente, e per la prima volta nella sua vita ringraziò il fatto che trattenersi
gli riuscisse così facile, a forza di farlo di continuo.
Conoscendo il suo carattere,
se avesse avuto un potere normale non avrebbe mai avuto abbastanza buon senso
da riuscirci a lungo, nonostante le decine di ore di allenamento a scuola.
«Sooor!», strillò Heath, e
Soragan si lanciò subito in suo soccorso.
Raggiunse il compagno in una
manciata di secondi, e lo vide seduto a terra dietro al masso a riprendere
fiato. Dell’altro ragazzo non c’era traccia.
Si affrettò ad accucciarsi
anche lui, in modo da avere almeno la schiena coperta, e allungò le mani
davanti a sé, perlustrando il bosco con aria vigile.
«E’ scappato via», disse Heath
«L’ho colpito, poi sono saltato via pensando che volesse contrattaccare, e
invece lui è scappato! Ma dai, si potrà? Senza tu a coprirmi mica posso
seguirlo!».
«Quanto danno gli hai fatto?».
«Boh. Abbastanza, credo, l’ho
colpito in pieno petto. Cavolo, volevo eliminarlo io, non è giusto!».
«Così impari a gioire troppo
in fretta, ti sta solo bene», ridacchiò Soragan, rivolgendogli un sorriso di
scherno. Scoprì poi lo schermetto per vedere i punti vita rimasti, e notò con
piacere che erano scesi solo di uno. Niente di cui preoccuparsi, quindi.
«Sor, secondo te in quanti
siamo rimasti?», gli chiese Heath, sbirciando lo schermo «Non si è ancora
attivata quella cosa che ci segnala gli altri?».
Soragan lanciò qualche
occhiata davanti a sé, ma la situazione sembrava tranquilla.
«Aspetta, ora controllo...»,
borbottò, e pigiò il tastino verde brillante accanto allo schermo.
Tutte le cifre scomparvero, e
dopo pochi secondi furono sostituite dalle parole “non ancora abilitato”.
«No, non siamo ancora sotto le
dieci squadre. Mancano un paio d’ore prima delle sei e mezza... torniamo da
Jemiah, poi vediamo se riusciamo a fare un altro giro. Non mi va di lasciarla
troppo tempo da sola, non vorrei che si deprimesse».
«E poi magari mangiamo
qualcosa», propose Heath «Io ho fame. Mi basterebbe anche una piantina di
fragoline lungo la strada, magari, non sono molto esigente».
Soragan scosse la testa e lo
ignorò.
«Spero che Jemiah non sia
stata attaccata. Non è brava a controllarsi, si farebbe eliminare subito».
«Aretha», sibilò Jemiah, acquattandosi contro il terreno. Strisciò
dentro una macchia di cespugli e aspettò che l’incantesimo per limitare il potere
entrasse in azione.
Si era dimenticata di dire a
Sor che aveva imparato la parola “limite”. Forse avrebbe dovuto farlo il prima
possibile, o Sor si sarebbe preoccupato per niente.
Vide due piedi comparire e
fermarsi davanti ai suoi occhi e deglutì, lo stomaco stretto in una morsa.
Non doveva pensarci. Doveva
rendere Sor fiero di lei. Non doveva pensarci. Non doveva pensarci.
I piedi si mossero e
scomparvero dalla sua visuale.
«Qui non c’è niente», sussurrò
una voce femminile.
«Guarda meglio, Allie», sbottò
un’altra voce, questa volta maschile «Ho visto qualcuno. Non me lo sono
sognato».
«Ti dico che non c’è nessuno».
Jemiah trattenne il fiato. Le
serviva il contatto visivo, se voleva attaccarli, ma non poteva muoversi o
avrebbe fatto troppo rumore. Poteva provare con “silenzio”, che era piuttosto
efficace nel coprire i suoni, ma non era tanto brava a capire quanto potere le
occorreva per ogni parola. Doveva aspettare che “limite” finisse di attivarsi,
così, se “silenzio” avesse avuto bisogno di più energia di quella che poteva
usare, non avrebbe funzionato e basta.
“Limite” sprecava talmente
poca energia che neanche lo sentiva, però era davvero troppo lento.
Un altro paio di piedi passò
davanti ai suoi occhi, e di nuovo Jemiah sentì lo stomaco stringersi.
Si morse un labbro e si
trattenne dall’istinto di strizzare gli occhi – sapeva che ogni volta che lo
faceva poi era peggio, perché rivedeva quelle scene più chiaramente e...
Si morse più forte il labbro.
Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci.
Sentì un debole calore
all’altezza del cuore, e capì che “limite” doveva aver finito di attivarsi.
«Lithia», sussurrò allora, e grattò appena il terreno con una mano.
Nessun rumore.
Scivolò fuori dal cespuglio in
completo silenzio e sgattaiolò al riparo di un tronco senza che i due si
accorgessero di lei.
Appena raggiunto il nuovo
nascondiglio bisbigliò “Atte” e
“silenzio” si disattivò. Sollevò il coperchietto del bracciale, e vedere che
non era cambiato niente la rassicurò. Non era comparsa nessuna ammonizione, quindi
doveva aver spento “silenzio” in tempo. Era certa che consumasse abbastanza
energia, però era utile. Doveva chiedere alla sua insegnante di misurare il
consumo anche di questa, prima o poi.
«Eppure io sono convinto di
aver visto qualcuno!», insisté la voce maschile, e la ragazza sbuffò.
«Che palle che fai. Io mi
fermò un attimo a riposarmi, mi fa male una caviglia».
Jemiah prese un respiro
profondo.
Cosa doveva fare? Attaccarli e
sperare che fosse rimasta loro poca vita, così da eliminarli magari con un
colpo solo?
Si sporse per lanciare ai due
un’occhiata.
Il ragazzo era in piedi e le
dava le spalle; la ragazza invece si era seduta su una sporgenza e si stava
osservando una caviglia.
Forse avrebbe potuto colpirli
anche due volte.
«Mate», sussurrò, e un dardo di energia della forma di una foglia le
comparve davanti, all’altezza degli occhi. Rifletté un attimo, poi aggiunse «Fhe», “dieci”, e ne comparvero altri
cinque.
Sentì come un pizzicore
all’altezza del petto, e comprese che sei dardi alla volta dovevano essere il
massimo che le era consentito.
«Ti-».
«Ho sentito un rumore», disse
la ragazza, costringendola a bloccarsi.
Un attimo dopo un proiettile
d’energia colpì il ragazzo ad un fianco, e questo si lasciò sfuggire un grido
per la sorpresa.
«Porca vacca!», esclamò la
ragazza, affrettandosi ad ergere una barriera.
Jemiah rimase immobile, in
ascolto, e quando sentì la risata di Heath si lasciò sfuggire un sorrisetto.
«Tisse», bisbigliò, e i dardi saettarono verso gli avversari.
Il fuocherello scoppiettava
allegro, e Soragan vi lanciò sopra qualche bastoncino.
«Madre, mi sento a pezzi!»,
esclamò Heath, frugando selvaggiamente nello zaino «Cavolo, io ho ancora fame!
Non ci sono piantine di fragoline, qui attorno?».
«Ma sei proprio fissato con
queste fragoline», osservò Soragan «Ti piacciono così tanto?».
«A dire il vero preferisco i
lamponi. Però le fragoline mi ricordano una gita in montagna che feci con mio
padre, prima che se ne andasse».
Heath smise di frugare e fissò
per qualche istante l’interno dello zaino, in silenzio.
«Uffa. Mi sa che la fame mi
tocca tenermela».
«E’ la prima volta, da quando
ci conosciamo, che ti sento parlare di tuo padre», disse Soragan «Il che è
strano, visto quanto parli tu. Ce l’hai con lui?».
«Oh, figo, una mela!», esclamò
Heath, e alzò lo sguardo verso il compagno «Eh? Oh, no, a dire il vero no.
Dev’essere perché non ne è mai capitata l’occasione, non è che ci sia poi molto
da dire. Se n’è andato di casa poco dopo la nascita di mia sorella, e io ero
ancora piccino. Tra l’altro, dev’essere ancora in galera per traffico di droga
o roba simile» addentò la mela e aggiunse, la bocca piena: «Gnon mi tange».
«Il mio papà aveva paura di
me», borbottò Jemiah, e i due ragazzi si voltarono a guardarla basiti.
«E come mai?», chiese Soragan,
passando una mano sulla testa della bimba.
Il tono di voce gli era uscito
abbastanza normale, ma in realtà era sconvolto. Da quando la conosceva, era la
prima volta che sentiva Jemiah parlare della sua famiglia.
A onor del vero, era convinto
che avesse rimosso tutto per via di quel misterioso shock.
«Perché so usare le parole»,
sussurrò la bambina, poggiandosi contro Soragan.
«Quindi tu sapevi di essere un
oisier?», chiese Heath, e lei annuì.
«Lo era mamma. Lo sa anche il
governo che mamma mi ha passato il potere. Li tengono segnati tutti da qualche
parte, quelli come me».
«Non credevo», borbottò
Soragan. Ora capiva meglio il motivo dell’ammissione di Jemiah all’Accademia.
«E... il tuo papà ti trattava
male?», chiese Heath, e Soragan gli lanciò un’occhiata glaciale, della serie
“complimenti per il tatto”.
«Era gentile, anche se aveva
paura», borbottò Jemiah, stringendosi alla vita di Soragan «... Per un po’».
La bimba strizzò gli occhi e
scosse la testa.
Tacque qualche istante, poi
aggiunse: «L’occhio viola è un incantesimo di mamma. Me l’ha fatto mentre ero
nella pancia».
«Figo!», esclamò Heath «Io
credevo che ci fossi nata! Cioè, ci sei nata, però, nel senso... credevo che
fosse naturale, ecco. Anche se, a ben pensarci, la tua capacità non è tanto naturale».
«Se è un incantesimo, allora
dovrebbe essere possibile toglierlo», osservò Soragan.
Jemiah lo guardò e scosse la
testa «Non voglio, mi piace. Però voglio imparare la formula per togliere il
tuo, prima o poi».
«Il mio cosa?», chiese
Soragan, inarcando un sopracciglio, e Jemiah corrugò appena la fronte.
«Il tuo incantesimo, quello
che hai addosso. Non lo senti?».
«Io non ho-».
Soragan si interruppe e si
portò una mano al mento. Era un po’ che non ci pensava, ma in effetti su madre
aveva accennato ad un incantesimo, nel video.
«Non riesco bene a capire dove
sia», borbottò Jemiah «Però lo sento quando ti tocco la faccia, quindi credo
che sia lì».
«E’ agli occhi», disse
Soragan «Durante la guerra... mi è sfuggito di mano il mio potere, una volta, e
hanno cambiato colore. Prima erano marroni, non blu».
«Ti è sfuggito il tuo
potere?», ripeté Heath, e Soragan si morse la lingua. Ecco cosa succedeva a
entrare troppo in confidenza, poi gli scappavano le cose.
«Avevo l’impressione che tu
non me la raccontassi giusta», continuò l’altro con un sorrisetto divertito
«Sei sempre lì, tutto super controllato, e poi di tanto in tanto migliori di un
punto, all’improvviso. Mi puzzava di bruciato, la cosa. Su, sputa il rospo».
Soragan sospirò «A dire il
vero, non c’è molto da dire... il mio potere è strano. È... tanto. E secondo
Jemiah la mia anima ha una forma strana, rispetto a quella delle altre persone.
È come un alone, non assume un aspetto sensato».
«E tutto ciò è dovuto a...?».
Soragan scosse la testa «Non
ne ho idea».
«Uhm, capisco», mormorò Heath,
incrociando le braccia pensieroso «Eee... dimmi... sono mesi ormai che viviamo
nella stessa stanza... come mai non me ne hai mai parlato?».
Soragan si mordicchiò un
labbro «Ecco...».
«Forse», continuò Heath serio
«Non ti fidi di me?».
«No, è che...! Io...» Soragan
si grattò la testa e abbassò lo sguardo.
Pensava di essere immune ai
sensi di colpa, ma probabilmente era solo perché evitava di stringere legami
abbastanza stretti da causargliene.
«Non...», tentò di giustificarsi,
ma Heath lo interruppe scoppiando a ridere.
«No, ok, basta, non ce la
faccio a fare l’arrabbiato!».
Soragan corrugò la fronte,
perplesso «Non... sei offeso perché non mi fido di te?».
«Ma figuriamoci! Avrai le tue
buone ragioni. Mica sono la tua fidanzata» gli sorrise divertito e si alzò in
piedi «E poi so che ti fidi di me. Non si sceglie come compagno di squadra
qualcuno di cui non ci si fida. Ora scusami, ma certi impellenti bisogni mi
costringono a separarmi da voi».
Heath si allontanò,
canticchiando fra sé e sé qualcosa che suonava come “oh mia pianta di
fragoline”, e Soragan si lasciò sfuggire un sospiro sollevato.
Abbassò lo sguardo su Jemiah e
vide che si era addormentata contro di lui.
«Quello lì è davvero stupido»,
borbottò, e si passò una mano fra i capelli.
Picchiettò il bicchiere di vetro con l’indice, e i cubetti di ghiaccio
all’interno scricchiolarono.
«Oh, santa madre! Ho scordato il portafogli a casa!», esclamò sua
madre, frugando nella borsetta.
Una cameriera si avvicinò, un’espressione sospettosa sul volto «C’è
qualche problema signora?».
«Maledizione, che figuraccia... senta, abitiamo giusto a neanche
duecento metri. Le spiace se lascio un
attimo il bambino qui e vado a prendere il portafogli? Le prometto che sarò di
ritorno in pochi minuti».
«Certo, nessun problema».
La cameriera tornò dietro al bancone, e Soragan alzò lo sguardo verso
la madre.
«Torni presto, mami?».
Leanen gli sorrise triste e gli carezzò la testa.
«Sì, torno presto».
«Soragan!», strillò Heath,
scuotendolo con violenza.
Soragan batté gli occhi,
cercando di scacciare la sensazione fastidiosa che l’aveva assalito – colpa sia
del sogno, sia dell’essere stato risvegliato così. E poi c’era un fastidioso
“pi pi pi” che gli stava mandando in palla i neuroni.
«La testa...», borbottò
passandosi una mano sul viso.
«Soragan, c’è qualcosa che non
va», disse Heath, un’espressione preoccupata sul viso. Anche Jemiah, accanto a
lui, aveva l’aria inquieta.
«Aah? Cosa?».
«Questo è il segnale di
allarme!», esclamò Heath, battendo l’indice sul bracciale «E’ quello che
significa “fate subito ritorno alla base”».
«Stai scherzando? Perché
dovremmo tornare alla base?» Soragan alzò la testa e scrutò i brandelli di
cielo fra le chiome degli alberi. Non c’era nemmeno una nuvola.
«E che ne so?», borbottò Heath
«Magari hanno un guasto alle attrezzature e non riescono a sistemarlo prima che
ricominci la prova».
«Giusto, non ci avevo pensato.
Che ore sono?».
Heath guardò lo schermetto
«L’una e qualcosa. Ho già tirato fuori le torce».
«Va bene. Raccogliamo la roba
e incamminiamoci, non ha senso aspettare ancora. E poi questo rumore è
terribile».
«Aspetta, forse si può
spegnere...», disse Heath, pigiando a caso i pulsantini colorati accanto allo
schermo. L’allarme tacque, e il ragazzo sorrise.
«Ecco, visto? Sono un piccolo
ge-».
Heath si interruppe, lo
sguardo fisso oltre le spalle di Soragan e il viso contratto in una smorfia
spaventata.
«Che succede?», gli chiese
Soragan voltandosi. Non c’era niente dietro di lui, solo bosco – come in tutte
le direzioni.
«Si è mosso qualcosa».
«Lo sapevo che sarebbe finita
così. È inutile che tu mi chieda di raccontarti storie dell’orrore, se poi ti
impressioni!».
«No, no, sul serio. Ho visto
una testa, giuro».
Soragan sbuffò «Ma ti pare?».
Scivolò fuori dal sacco a pelo e vi si inginocchiò accanto per piegarlo. «Che
tasto hai premuto per spegnere l’allarme, quindi? Mi urta».
«Quello gia-».
Una sfera di energia colpì
Heath in pieno petto, mozzandogli il fiato, e lo scaraventò diversi metri
indietro. Batté con la schiena contro un albero e cadde in avanti a terra con
un gemito.
Soragan scattò verso di lui, e
una seconda sfera di energia lo sfiorò.
«Jemiah!», gridò, ma la
bambina non diede segno di averlo sentito. Rimase ferma in piedi, paralizzata.
«Jemiah! Una barriera!»,
gridò ancora, e questa volta la bambina parve sentirlo.
«Dio!», strillò la piccola, e un’ampia barriera le si materializzò
davanti.
«Mancano all’appello poco meno
di venti ragazzi», osservò il Generale Noone, scorrendo lo sguardo sui monitor
della sala di controllo «E’ necessario recuperarli. Sergente Mills, mi raduni
rapidamente i maghi migliori. Le do cinque minuti, non uno di più».
Un soldato scattò sull’attenti
abbandonò la stanza, e nello stesso instante entrò il Generale Alzmäjer, l’aria
confusa di chi è stato appena svegliato e non riesce a capacitarsi bene di ciò
che lo circonda.
«Noone, cosa succede?».
«Poco fa ho ricevuto una
chiamata da uno dei miei informatori. Qualcuno si è introdotto nell’area della
prova. Ho fatto richiamare tutti i ragazzi, ma molti potrebbero metterci anche
ore a raggiungere il campo base, perciò sto organizzando dei gruppi per
recuperarli».
«Qualcuno si è introdotto
nell’area?», ripeté Alzmäjer, lisciandosi la barbetta «E a che scopo?».
Noone assottigliò l’occhio e
incrociò le braccia muscolose.
«Mh, credo di avere intuito»,
disse Alzmäjer «Ci saranno dietro gli altri tre?».
«E’ una possibilità».
Il sergente Mills rientrò di
corsa nella stanza e scattò sull’attenti.
«Generale! Purtroppo i maghi
delle nostre truppe qui presenti sono solamente sei. Posso cercare fra i
ragazzi».
«Non importa, sei sono più che
sufficienti. Ordina loro di dotarsi di un dispositivo di localizzazione, e di
presentarsi qui per ritirare un dispositivo di rilevamento. Oh, ne procuri uno
di localizzazione anche a me».
«... mi scusi?», borbottò il
sergente, la fronte corrugata.
«Noone, vuole andare anche
lei?», chiese Alzmäjer perplesso, e Noone annuì.
«Sette maghi sono meglio».
«Non crede che sia
pericoloso?», obiettò Alzmäjer.
Noone gli rivolse un sorrisetto
sicuro.
«Faccia un po’ come le pare.
Ma sappia che non è una cosa furba».
Noone si strinse nelle spalle
«Non c’è molta scelta. I ragazzi si muoveranno con i loro compagni di squadra,
e le squadre rimaste sono sette».
Afferrò un plico di fogli con
segnati tutti i nominativi, ed evidenziati quelli dei ragazzi che i computer
segnalavano essere ancora nei boschi.
«Vediamo, quale posso
prendermi io...?».
Scorse rapidamente tutti i
nominativi con l’indice, e fermò il dito a metà del secondo foglio.
«Loro», disse, e per un
istante gli comparve sulle labbra un sorrisetto divertito.
«Mi fa... male la schiena»,
piagnucolò Heath, disteso prono a terra «E il petto».
«Non muoverti», sibilò Soragan
muovendo le mani sulla sua spina dorsale «Ora ti curo. Stai tranquillo».
Lasciò che il potere fluisse
verso il compagno, e lanciò uno sguardo a Jemiah.
A un passo da lui, la bambina
sostituì la barriera che si era appena infranta con una nuova.
«Sor», pigolò Jemiah «Cosa
vogliono? Ho paura».
Si passò una manica sul viso e
tornò a rivolgere le braccine alla barriera per sostenerla meglio.
«Non lo so, porca troia!»,
sbottò Soragan «Merda, Heath, la tua velocità di guarigione fa cagare! Va bene
che sono di elemento luce, ma non sto studiando da guaritore!».
«E io che colpa ne ho?»,
borbottò Heath «Te l’avevo detto che c’era qualcosa!».
«Va bene, va bene» Soragan
chiuse gli occhi e lasciò sgorgare una maggiore quantità di energia.
Ormai secondo il bracciale
doveva essere eliminato, ma ormai la cosa non aveva più tanto senso.
«Soooor!», lo chiamò Jemiah
«Sor, dev’essere un fuoco o ombra più forte di me, non ce la faccio!».
La barriera si infranse, e
strillando “dio” la bambina la fece
riapparire nuovamente.
«Dammi mezzo minuto, solo
mezzo minuto», sibilò Soragan. Lanciò un’occhiata infastidita al proprio
bracciale e si morse un labbro.
Se solo...
«Jemiah!», esclamò, colto da
un’illuminazione. Le porse il polso, e la bimba lo guardò confusa.
«Rompilo. Usa una scossa
elettrica e rompimi il bracciale. Senza questo non possono misurare il mio
livello di magia».
«Ma...», borbottò la bambina,
e Soragan scosse la testa.
«Niente ma. Fallo».
Jemiah annuì e sfiorò il
bracciale con una mano.
«Viera», mormorò, e l’apparecchio sfrigolò ed emise una terribile
puzza di bruciato.
«Bravissima», disse Soragan, e
tornò a dedicarsi a Heath «Okay, così si fa prima».
Sul viso del biondino comparve
un’espressione sollevata.
«Va meglio?», gli chiese, e
Heath annuì.
«Ora sto bene, mi posso
alzare».
«No, rimani a terra e non
muovere un muscolo. Non peggiorare le cose», sbottò Soragan. Era quasi sicuro
che il compagno con avesse niente di grave, ma nel caso si fosse sbagliato...
preferiva non rischiare.
«Jemiah!», gridò alla bambina,
alzandosi in piedi. Allargò le braccia e una cupola vibrante di energia comparve
su di loro «Vi schermo io. Contrattacca!».
La bambina annuì. Allungò un
braccio davanti a sé, sfiorando la cupola con la punta delle dita.
«Dammi un secondo, ti apro uno
spiraglio», disse Soragan. All’altezza della mano di Jemiah si aprì un piccolo
cerchio, e la bambina vi poggiò il palmo.
«Leit», disse, e dalla sua mano si dipartirono scariche d’energia in
tutte le direzioni.
Soragan intravide un bagliore
a diversi metri di distanza, sulla sua sinistra, e rapido dissolse la barriera
e lanciò un attacco in quella direzione.
Un grido si dolore gli
confermò che era andato a segno.
Scattò quindi in direzione
della voce, ma l’unica che cosa che riuscì a vedere fu solo una schiena che si
allontanava, e non riuscì neanche a prendere la mira che questa era scomparsa
dalla sua visuale.
«Merda», sbottò. Se fosse
stato solo l’avrebbe inseguito, ma non poteva abbandonare Heath e Jemiah. E poi
dividersi sarebbe stato solo più pericoloso.
Tornò dai due e scosse la
testa.
«Andato. Ma chi cazzo era? Non
uno dei nostri, di sicuro».
«Magari non aveva cattive
intenzioni», disse Heath, e Soragan gli lanciò un’occhiata scettica «Okaaay,
come non detto! Aiutami a mettermi a sedere, su».
«Non devi muoverti, te l’ho
detto».
«Vorrà dire che rimarrò fermo
da seduto. No, davvero, non ho proprio voglia di passare ore steso per terra.
Chissà quanto ci metteranno i soccorsi ad arrivare».
Soragan sbuffò, e Heath
aggiunse: «Guarda che se non mi aiuti faccio da solo, eh».
«Va bene, va bene, ho capito».
Sostenendolo per le ascelle,
Soragan lo aiutò a sollevarsi quel poco che gli bastava per mettersi a sedere
contro un tronco. Heath gli rivolse quello che per lui forse doveva essere un
sorriso rassicurante, ma in realtà gli uscì più come una smorfia di dolore.
«Hai male?», gli chiese Soragan
«Dammi un minuto, guardo se c’è qualcun altro attorno poi riprendo a curarti.
Voi due intanto mandate segnali di soccorso a ripetizione, magari servono».
Heath alzò il pollice, e
mentre Jemiah si inginocchiava accanto a lui Soragan si inoltrò fra gli alberi.
Allungò il braccio davanti a
sé e una sfera di energia gli comparve sulla mano, illuminando ogni cosa in un
raggio di un paio di metri.
Ruotando il polso la spinse
via, e questa rimase a volteggiare a mezz’aria seguendo i movimenti della sua
mano.
Con qualche scatto del polso
l’allontanò di alcuni metri, in modo da non rendersi un bersaglio perfetto, e
con lenti movimenti delle dita la fece spostare da destra a sinistra e da
sinistra a destra, continuamente.
Sembrava di nuovo tutto
tranquillo.
Chi cazzo era quello?, pensò, senza smettere di perlustrare la
zona, Ha messo in difficoltà Jemiah,
dev’essere un mago potente. Che cazzo ci fa uno del genere per i boschi?
Un piede gli scivolò, e si
poggiò ad una roccia per non cadere.
Di sicuro non potevano tornare
al campo base, non di notte e non con Heath ridotto male. Oltretutto era certo
che fosse piuttosto lontano.
Forse posso salire su un albero e vedere. Magari ho sbagliato ad
orientarmi e siamo più v-
Un dolore lancinante alle
scapole interruppe i suoi pensieri. Cadde a terra e rotolò già per un paio di
metri, graffiandosi contro le rocce che sbucavano sotto il terriccio.
Si puntellò con le mani,
cercando di rialzarsi, ma una vampata di fuoco lo colpì a un fianco prima che
riuscisse anche solo a pensare ad una barriera.
Gridò per il dolore e cadde
sull’altro fianco, e riuscì ad erigere un debole scudo qualche istante prima di
essere colpito da una seconda fiammata, che venne deviata verso l’alto.
Le chiome di un paio di alberi
presero fuoco, e Soragan si affrettò ad erigere una barriera più potente.
Questo doveva essere minimo
minimo un livello 5, se non di più.
«Merda!», gridò frustrato,
portando una mano al fianco ustionato. L’energia cominciò a fluire e a guarire
la ferita, ma non velocemente come avrebbe voluto.
Una terza fiammata colpì la
barriera, che la respinse e la rifletté tutt’attorno.
Il quarto attacco venne
rivolto direttamente alla vegetazione.
«Fottuto piromane!», gridò
Soragan, mentre il bosco attorno a lui prendeva fuoco.
Erano nella merda,
dannatamente nella merda fino al collo.
Strinse i denti e si alzò in
piedi, badando a mantenere la barriera attorno a sé per proteggersi il più
possibile, e nonostante il fianco che doleva da impazzire si affrettò a tornare
sui propri passi.
«Sooor, che succede?», chiese
Heath non appena lo intravide, la voce tremolante per il terrore «Dimmi che
quella luce laggiù non è fuoco».
«Una... una barriera»,
balbettò Soragan «Dobbiamo fare una di quelle barriere cilindriche, il più alta
possibile. Quella... nel manuale, quella nel manuale! Aperta in alto per non
finire l’aria!».
«Ommadre santissima»,
piagnucolò Heath «Lo sai che una roba così non la reggiamo a lungo, eh? Eh?».
«Porca vacca, lo so! Ma non
possiamo muoverci!».
«Ommadre. Questa volta ci
rimango».
«Ora non pensarci, cazzo!».
Soragan si guardò rapidamente
attorno. Lo spazio più ampio, con meno ingombri nelle immediate vicinanze, era
il punto dove avevano cenato poche ore prima, e afferrato Heath per un braccio
lo aiutò a raggiungerlo.
«Mettiamoci giù, schiena
contro schiena!», esclamò, afferrando una mano di Jemiah e spingendola a sedere
di fianco a Heath.
Si sedette anche lui ad
allungò le braccia dinnanzi a sé.
«Andiamo!», gridò, e davanti
ai suoi palmi apparve una barriera. La fece scivolare in avanti di diversi
metri, e si lanciò un’occhiata alle spalle.
«Okay, ora allargatela in modo
da unirle, e cercate di metterle all’altezza della mia!», esclamò, allargando
le braccia. Mentre le barriere si univano, Soragan sentì la schiena pizzicargli
nei punti in cui veniva a contatto con quella degli altri due; era un buon
segno, si stavano amalgamando bene.
«Perfetto! E ora verso
l’alto!», gridò ancora, e la barriera si allungò verso il cielo, superando le
chiome degli alberi.
«Santissima madre, speriamo
che regga», piagnucolò Heath.
«Certo che reggerà!», sbottò
Soragan. Si mordicchiò un labbro, e si rese conto di avere gli occhi
caldissimi.
«Che merda di morte!», esclamò
Heath, e Soragan gli mollò una gomitata.
«Smettila! Concentrati lì e
taci!», sbottò, tornando a tormentarsi il labbro.
Il crepitare delle fiamme
riempì rapido il silenzio, e Jemiah si lasciò sfuggire un gemito.
«Sor, fa caldo», pigolò.
«Lo so, lo so, non possiamo
farci niente. Continuate a tenere la barriera così lontana, per lo meno
dovremmo evitare di cuocerci» Soragan si morse il labbro ancora più forte «Ce
la faremo, in un modo o nell’altro».
«Madre, ti prego, aiutaci»,
mormorò Heath «Giuro che se questa la scampo andrò più spesso alle cerimonie.
Lo giuro, siete testimoni!».
«Va bene, siamo testimoni.
Risparmiate le energie! E... e quando non ce la fate più...».
«Preghiamo?», disse Heath con
una risatina isterica.
«No, idiota!», sbottò Soragan
«... voi ditemelo. Qualcosa mi inventerò».
«Aha, la cosa mi incoraggia
proprio», ridacchiò Heath, la voce tremante.
«Taci e concentrati», sibilò
Soragan.
«Generale, la situazione è
critica!», esclamò una giovane soldatessa seduta davanti a uno dei monitor «Il
Generale Noone non risponde!».
Alzmäjer fissò il monitor con
un’espressione talmente tranquilla da stupire la ragazza.
«Generale... quali sono gli
ordini?», chiese lei, e l’uomo si lisciò la barbetta fra pollice e indice.
«Aspettiamo che Noone ci
contatti. Nel frattempo... faccia preparare l’elicottero. Anticiperemo quel
disgraziato».
La ragazza corrugò la fronte
«Ma... il Generale...? L’incendio si...».
«Ha dieci vite come i gatti,
quello. Voglio l’elicottero pronto in tre minuti».
«Signorsì!», esclamò la
soldatessa, e si affrettò a dare istruzioni via radio.
«Mi... mi sta venendo un
crampo, accidenti!», balbettò Heath «Soragan, non ce la faccio più!».
«Stringi i denti», sbottò
Soragan.
Quanto tempo era passato? Gli
sembrava quasi fossero trascorse ore – ma in realtà doveva trattarsi di una
manciata di minuti.
«Sor», pigolò Jemiah.
Soragan vide la parte di
barriera della bambina restringersi, e si affrettò ad allargare la propria per
evitare fessure.
«Stai tranquilla», la
rassicurò «Ci sono qui io».
Una fitta di dolore partì dal
fianco ustionato e gli risalì lungo la schiena, ma si mordicchiò forte il
labbro per evitare anche il minimo gemito.
Non poteva mostrare cedimenti.
Gli altri due stavano basando tutta la loro forza sui suoi incoraggiamenti. Non
poteva cedere.
Gli veniva quasi da piangere.
«... Sor?», lo chiamò Heath
terrorizzato.
«Resisti ancora un secondo! Mi
serve un attimo per-».
«No, no!», lo interruppe Heath
«C’è... c’è qualcosa!».
«Qualcosa cos-».
Soragan voltò il capo e la
voce gli morì in gola. Vide un’ombra avanzare rapidamente fra le fiamme, e
pochi istanti dopo la barriera cominciò a sfrigolare, emettendo bagliori
biancastri lungo una linea verticale.
La linea si divise poi in due,
che si allontanarono in direzioni opposte per non più di un paio di metri, come
una porta; e mentre ciò accadeva, una figura avanzò all’interno della barriera,
che si richiuse poi alle sue spalle.
Soragan osservò la figura per
qualche secondo, il cervello appannato.
Non poteva essere il Generale
Noone.
Scosse la testa e rinsaldò la
barriera, che nel momento di distrazione si era affievolita.
«Generale?», pigolò Heath con
voce strozzata.
Laetius Noone sorrise e
accostò un qualcosa di quadrangolare alla bocca.
«Li ho trovati, stanno ancora
bene. Raggiungetemi con l’elicottero, nel frattempo provvederò a liberare il
campo sopra di noi».
Il Generale ripose l’oggetto –
doveva essere una radio – e si avvicinò ai ragazzi, sempre sorridendo allegro.
«Sono sbalordito! Questa
barriera è spettacolare, deve costarvi molta fatica... coraggio, ancora qualche
minuto e sarà tutto finito».
«Generale», mormorò Soragan
«Lei come... come ha...».
“Come è riuscito a
raggiungerci?”, voleva chiedergli, ma sentì la barriera indebolirsi di nuovo e
la voce gli morì in gola.
«Non distraetevi, ora», disse
il Generale, portandosi proprio accanto a loro. Doveva essersene accorto.
Guardò in alto per qualche
istante, poi alzò le mani.
«Okay, ci sono troppi rami in
mezzo. Giù le teste e chiudete gli occhi».
Soragan incassò la testa fra
le braccia tese e strizzò gli occhi. Approfittò della posizione per strusciare
il viso contro una manica e si mordicchiò la lingua – erano anni che non gli
capitava più, ma non vedeva l’ora di chiudersi in bagno per sfogarsi.
E ora che si sentiva più
sollevato il fianco gli doleva da impazzire.
Stava valutando se rivolgere
parte delle energie ad attutire il dolore quando Jemiah emise un gemito
strozzato.
L’attimo dopo la sua parte di
barriera cedette del tutto, e spostando le braccia distese ai lati del corpo
Soragan allargò la propria per rimpiazzarla.
«Cazzo!», esclamò, strizzando
gli occhi ancora più forte. I muscoli delle braccia gli tremarono per il
dolore.
«Tutto bene?», chiese Noone, e
Soragan udì il rumore di legno che si spezzava e poi dei tonfi sordi.
Qualcosa gli rimbalzò sulla
testa e gli ricadde a fianco.
«Tutto... tutto a posto»,
mormorò, e voltò il capo a osservare Jemiah.
La bambina era chinata in
avanti e ansimava; poteva vedere la sua schiena alzarsi e abbassarsi ad un
ritmo frenetico.
«Scusa», squittì la piccola, e
Soragan le sorrise anche se lei non poteva vederlo.
Si guardò poi attorno, e notò
ovunque frammenti di alberi. Lanciò un’occhiata veloce verso l’alto: fra i
confini luminosi della barriera c’era solo cielo.
«State perdendo terreno»,
osservò Noone.
Soragan tornò ad osservare la
barriera dinnanzi a sé. Prese un profondo respiro, concentrando le energie, e
la spinse più avanti.
Una fitta partì a livello del
cuore e si espanse su per il collo e anche lungo tutto il braccio destro, ma si
sforzò di ignorarla.
Ancora pochi minuti. Ancora
pochi minuti.
Con la coda dell’occhio vide
la barriera di Heath indebolirsi per un attimo. Anche lui doveva essere al
limite.
«Ragazzi, mi sembrate un po’
provati. Riuscite a resistere ancora?», chiese Noone.
Soragan annuì, e Heath gemette
qualcosa che pareva essere un sì.
«Bene», disse Noone con un
tono poco convinto «Ci siamo».
Tutti i rumori si attutirono.
Soragan scosse la testa più volte, e i suoni tornarono intensi. Poteva sentire
chiaramente, sopra il crepitio dell’incendio, il rumore delle pale di un
elicottero che si avvicinava.
«Generale, siamo in posizione, passo».
Noone prese la radio e
l’accostò al viso «Calate l’imbracatura. Mando su per prima la bambina. Lo
spazio è sufficiente? Passo».
«Dovrebbe esserlo, Generale. Diamo inizio alle manovre di recupero,
passo».
«Bene, ottimo lavoro. Voi due,
ragazzini... chi di voi mando su prima?».
«Heath», disse Soragan
«E’...».
Avrebbe voluto dire “è ferito
alla schiena, è più debole, è al limite”, ma non riuscì ad aggiungere neanche
una parola.
Anche Heath sembrava troppo
esausto per ribattere.
Soragan tornò a strizzare gli
occhi. Non sentì più Jemiah posata contro di lui, e ciò gli strappò un sorriso.
Poi realizzò che avrebbe
dovuto prendere su di sé la barriera di Heath, e non aveva idea di come
riuscire a mantenerla da solo per più di dieci secondi.
Una morsa di terrore gli
attanagliò lo stomaco.
Come avrebbero fatto a
recuperare sia lui che Noone?
«Ragazzo, al mio via preparati
a sostituire la barriera del tuo amico», disse il Generale. Dal tono di voce
sembrava essere tranquillissimo.
Forse aveva in mente qualcosa.
Doveva avere in mente qualcosa.
Laetius Noone aveva sempre la soluzione a tutto.
«Pronto... via!».
La parte di barriera di Heath
cominciò a ridursi rapidamente, e Soragan la sostituì con la propria energia.
Un rigurgito acido gli bruciò
la gola, e cercò di raggruppare un po’ di saliva per mandar via la sensazione
spiacevole. Purtroppo aveva la bocca tanto secca che gli sembrava fosse sul
momento di sgretolarsi.
La barriera perse una manciata
di centimetri e la testa cominciò a girargli.
«Okay, basta così», disse
Noone. Gli poggiò una mano sulla spalla, e Soragan volse appena il capo per
vederlo inginocchiarsi accanto a lui.
«Ora devo mandarti su. Lascia
lentamente la barriera, la sorreggerò io».
«Ma... Generale...! Lei
non...!», tentò di ribattere Soragan.
«Ragazzino, non sarei
diventato Generale così giovane se non fossi stato il miglior mago di Hymn.
Sciogli la barriera».
«Io... Generale, non..».
«Stai tranquillo, andrà tutto
bene».
Soragan annuì appena. La
barriera iniziò lentamente a dissolversi dal basso, ma se la sua energia non
fosse stata coinvolta Soragan non si sarebbe nemmeno accorto del cambiamento.
L’energia di Noone sostituiva
e si amalgamava talmente bene con la sua da rendere la transizione praticamente
invisibile.
E Noone gli stava ancora
tenendo una mano sulla spalla.
«Ma... come...», borbottò, ma
un conato lo costrinse a interrompersi. Cadde su un fianco e vomitò, e il resto
della barriera si infranse nel giro di pochi secondi.
Noone non sembrò farvi
particolarmente caso, però. Con nonchalance si alzò in piedi e distese un
braccio; la barriera si completò, e Soragan la osservò ergersi brillante e
resistente.
Poi la vista gli si appannò e
gli scomparve, e svenne l’istante successivo.
*
«Lei è un uomo molto
avventato, Noone», disse Alzmäjer, fermo a braccia incrociate sulla soglia del
bagno.
Laetius Noone gli diede le
spalle e si chinò sul lavandino. Con una mano si sfilò la benda e la lasciò
ricadere a terra.
«Ho bisogno di una doccia»,
osservò. Aprì il rubinetto e si sciacquò il viso, poi afferrò un asciugamano e
se lo tenne premuto sulla faccia qualche istante «E di un paio d’ore di sonno.
È la seconda notte che passo in bianco».
«Mi correggo, lei non è
avventato, è solo estremamente sicuro di sé. Non avevo dubbi che ne sarebbe
uscito senza un graffio, ma mi chiedo da dove derivi tutta questa sua
sicurezza».
Noone si strinse nelle spalle.
Frugò in una bustina nera poggiata sul lavandino e ne estrasse una nuova benda
del medesimo colore.
«E’ solo una questione di
esperienza, Alzmäjer», disse, aggiustandosi la benda sull’occhio destro
«Piuttosto... a questo punto credo che la prova sia da considerarsi annullata.
Crede che sia il caso che scelga io il gruppo vincitore?».
«Ha già un’idea?».
«Mh, può darsi. I tre ragazzi
che ho recuperato... voglio confrontare i loro punti vita rimasti con quelli
degli altri non eliminati. Nel caso risultassero in buona posizione...».
Noone si girò e sorrise
«Quella barriera era proprio niente male. Sarebbe una vittoria meritata».
«Se sarà lei stesso a
deciderlo, nessuno avrà niente da recriminare, presumo», disse Alzmäjer, e si
arrotolò la barbetta attorno all’indice.
Soragan aprì gli occhi e
subito li strizzò, accecato dalla luce del sole che gli inondava il viso.
Si portò una mano alla fronte
per schermarsi, e nel muoversi gli parve di sentir male a tutti i muscoli del
corpo, dal collo alle gambe.
«Sor, sei sveglio!», esclamò
Heath.
Soragan mosse appena la testa
per guardarsi attorno, e vide il compagno disteso nel letto accanto. Jemiah era
seduta in una poltroncina fra di loro, le gambe raccolte al petto. Rivolse a
Soragan un sorriso caldo e allungò una manina a sfiorargli una guancia.
«Come stai?», chiese Heath «E’
un po’ che dormi».
«Credo... credo di stare
bene», mormorò Soragan. Rotolò su un fianco, ma una fitta di dolore gli ricordo
che era meglio non poggiarvisi sopra, e ritornò supino «Sono solo un po’
stanco. Voi due, invece?».
«Alla grande!», esclamò Heath.
Alzò il pollice e distese le labbra in un sorriso larghissimo «Anche perché
sono vivo, e non è una cosa di secondaria importanza».
«Anch’io sto bene», mormorò
Jemiah «La guaritrice ha detto che dobbiamo riposarci».
«Ha anche detto qualcosa sul
tuo fianco», aggiunse Heath «Del tipo che hai una velocità di guarigione molto
buona, anche se forse ti rimarrà un segno. Però era una roba non tanto grave,
insomma».
«E la tua schiena?».
Heath scosse la testa ed
assunse un’espressione affranta «Il dottore ha detto che non potrò più andare
al torneo nazionale di lancio del cuscino. Mi spiace, partner, ma dovrai raggiungere
il podio con le tue sole forze!».
«Ma smettila! E io che mi
preoccupavo sul serio!», sbottò Soragan, e Heath rise. Anche Jemiah si lasciò
sfuggire un risolino.
«Okay, scherzi a parte, non è
niente di grave. Devo solo starmene buono un paio di settimane per recuperare
tutta l’energia che abbiamo speso. Ha detto che ci vorrà un po’».
Puntò l’indice verso Soragan e
aggiunse «A te soprattutto. Già che continuo a chiedermi come hai fatto a non
rimanerci secco, con tutta la fatica che abbiamo fatto il pomeriggio e tutta
quella per la barriera. E poi avevi anche curato me, mi ero scordato!».
«Ho molte riserve», ridacchiò
Soragan «Ti prego, non farne parola con nessuno. Non voglio casini».
«Bocca cucita!», esclamò
Heath, chiudendo una cerniera immaginaria fra le sue labbra «Ma, Sor... è solo
una mia impressione, o i tuoi occhi sono diversi?»
«Diversi?», chiese Soragan. Si
guardò attorno, ma non vide nessuna superficie in cui potesse specchiarsi.
«Sono più chiari», mormorò
Jemiah «Te l’ho detto che c’è un incantesimo sopra. Gli ha fatto cambiare
colore».
«Cheppalle, spero che non ci
faccia caso nessun’altro».
«Naah, tranquillo, non è che
ci sia tanta differenza rispetto a prima. Me ne sono accorto io giusto perché
sono un acuto osservatore».
«Acuto osservatore tu? Ma
figuriamoci!», rise Soragan. Si passò una mano sul viso e sospirò.
Aveva bisogno di dormire
ancora un po’, sentiva il cervello annebbiato.
«Chissà poi com’è finita la
prova», borbottò Heath «Ci tenevo a vincere».
«Anch’io», sospirò Soragan «E
dire che eravamo messi bene. Se scelgono i vincitori a tavolino, forse abbiamo
qualche possibilità».
La porta si aprì ed entrò una
donna di mezza età con lo stemma dei Guaritori sul petto.
«Oh, vedo che siete tutti
svegli. Generale, può entrare».
La donna si sposto di lato e
lasciò passare il Generale Noone, che sembrava essere in piena forma.
Ora indossava una canottiera
nera attillata, e Soragan poté constatare che non aveva nemmeno un misero
graffietto o una scottatura.
Qualche ora prima era troppo
concentrato per darvi peso, ma ora non poteva fare a meno di chiedersi che
controllo straordinario dei propri poteri dovesse avere quell’uomo. E anche che
livello di magia, dato che aveva innalzato una barriera enorme senza scomporsi.
Quanto avrebbe voluto essere
come lui.
«Noto con estremo piacere che,
nonostante la brutta avventura, siete tutti e tre in buone condizioni», disse
Noone, incrociando le braccia. Con la coda dell’occhio, Soragan vide Jemiah
arrossire appena.
Era divertente vederla reagire
come una ragazzina normale.
«Vi concedo ancora qualche ora
di riposo, dopo di che sarò mio malgrado costretto a farvi fare qualche domanda
a proposito dell’attacco che avete subito. Qualsiasi informazione ci sarà utile
per identificare i colpevoli».
Soragan boccheggiò. Avrebbe
voluto chiedergli se aveva qualche idea sul perché li avessero attaccati, ma si
sentiva troppo in soggezione.
Come se gli avesse letto nel
pensiero, Noone continuò: «Non riusciamo ancora a spiegarci le motivazioni di
un simile gesto, ma per il momento mi rallegra il fatto che nessuno ne sia
uscito ferito in modo grave».
Noone tacque qualche istante,
pensieroso, poi sul suo viso comparve un sorriso raggiante.
«In ogni caso, i miei
complimenti! Poiché la prova è stata ovviamente annullata, ho visionato di
persona tutti i dati relativi ai gruppi rimasti in gara prima di stanotte, e ho
il piacere di annunciarvi che siete risultati i migliori. Quindi... riposatevi
in vista di settembre».
«Si... sissignore!», balbettò
Soragan, tentando un saluto militare.
Era andato tutto
meravigliosamente come sperava, quasi non riusciva a crederci.
Gli sembrava troppo bello per
essere vero.
Laetius Noone abbandonò la
stanza e si avviò lungo il corridoio che conduceva all’esterno.
La sfortuna lo aveva
tormentato per anni, ma a forza di tentare in qualche modo doveva averla
ingannata.
Quel ragazzino era identico a
Leanen, non aveva dubbi sul fatto che fosse suo figlio.
Sorrise a se stesso e si passò
una mano fra i capelli.
Nonostante gli imprevisti,
questa volta era andata come aveva programmato.
«Strano», borbottò, e si
lasciò scappare una risatina.