Una piccola OS
in onore di San Valentino! Anche non fregandomene nulla, è
impossibile non sentirsi contagiata da tutto questo rosa che veleggia
su di noi in questa giornata! Ispirata da non so nemmeno io cosa XD
Ecco a voi....
Il
Pacco ~
Lei
era
una che di pacchi se ne intendeva. E quel pacco
non se lo dimenticò mai.
Fare
la
commessa non era mai stato il sogno della sua vita, meno che mai quello
di fare
l’impacchettatrice.
Ma
- ehi! - ognuno si doveva
arrangiare con
quello che gli capitava.
Quel
giorno soprattutto – quel maledetto
giorno
– era San Valentino.
Non
la
spaventava il Natale, con tutti i pacchettini rossi e oro che sfornava
come una
macchinetta, era San Valentino che la faceva esasperare.
“Ma
gli
piacerà?” “Ma il mio coccolino starebbe
bene con questo maglioncino?” “E se poi
ce l’ha già?”
Stress.
Era
diventata un’impacchettatrice compulsiva. Impacchettava
qualsiasi cosa, dal
prosciutto che doveva rimettere in frigo alle scatole che doveva
riporre in
soffitta.
<<
Susan ho finito il nastro rosso. >> Finì di
arricciare l’ultimo nastro e
consegnò il pacchetto alla ragazzina tutta eccitata che le
fremeva davanti.
<<
E allora? >> La collega fece scoppiare la chewing gum e
continuò a
limarsi le unghie.
<<
Vedi tutte queste persone davanti al banco? >>
L’altra
annuì svogliatamente continuando la sua manicure.
<<
Gradirebbero far incartare i loro acquisti e, se non vuoi che usi la
tua lingua
lunga, vai a prendermi quello stramaledetto nastro! >> I
nervi le stavano
per saltare. Odiava tutto quel rosso, quei cuoricini che svolazzavano
ovunque e
i palloncini che continuavano a svolazzare sopra la sua testa,
caricandosi di
elettricità statica e le elettrizzavano i capelli che le si
rizzavano sulla
testa.
<<
Tesoro dovresti calmarti un po’! Perché non ti fai
una bella camomilla?
>> Susan sbatté le sue lunghissime ciglia
ricoperte di mascara.
Non
poteva nemmeno dirle nulla, dato che era la nipote della proprietaria.
Sbuffò
e batté un piede a terra. Il tacco scricchiolò
pericolosamente facendola
barcollare.
<<
Odio. Odio. Odio. >> Questo era il mantra che si ripeteva
ogni volta che
aveva a che fare con la sua adorata
collega.
Si
avviò verso il magazzino, facendo lo slalom tra i clienti
che continuavano a
spiegazzare tutti i capi che così faticosamente lei avrebbe
dovuto rimettere a
posto prima di andarsene a casa.
Sculettò,
per forza di cose, verso il piccolo corridoio dei camerini, puntando
l’ultimo
in fondo a destra che nascondeva l’entrata al magazzino.
Ovviamente
tutti guardavano, ma nessuno si provava nulla. La maggior parte erano
in
spedizione per scegliere i proprio regali, gli altri erano li per
comprare per
qualcun’altro.
Pestò
i
piedi a terra, ad ogni passo sempre più forte. Sempre
più forte finché il tacco
non decise di averne abbastanza e di dissociarsi da quella tortura.
Caracollò
in avanti attaccandosi alla tenda rossa che
l’accompagnò dolcemente sul
pavimento.
<<
Porca di quella miseriaccia ladra! >> Si
districò dal velluto pesante,
alzando la testa per controllare in che stato era allo specchio del
camerino.
Ma
quello che vide, non era decisamente
il suo riflesso.
Una
gamba infilata in un paio di jeans, l’altra ancora nuda se
non per un calzino
di spugna bianco arrotolato intorno alla caviglia e poi… e poi!
Mai
pacco fu più ben incartato.
Il
bordo elasticizzato nascondeva la fine di una V da infarto, il tessuto nero nascondeva il regalo che ogni donna vorrebbe per quella maledetta
giornata
e, come se non bastasse, disegnato proprio
lì stava un simpatico fiocco rosso con scritto
tutto intorno, “scarta il
tuo regalo”.
Quando
si rese conto di aver addirittura letto quello che c’era
scritto sulla carta,
capì di aver guardato per troppo
tempo quel regalo inatteso.
<<
M-mi dispiace! >> Mya si alzò più
in fretta che poté. Nel farlo si
ritrovò davanti al retro del pacco.
“Maneggiare
con cura” sarebbe stato l’avviso ideale per
quell’opera d’arte.
Zoppicando
sul suo tacco rotto tornò al banco, dove la fila si era
allungata a dismisura.
<<
Vado a comprarne un po’ al tabacchi di fronte!
>> Non prese nemmeno una
sciarpa per ripararsi dal freddo di febbraio.
Fece
scorta di rocchetti di lucente nastro rosso con cuoricini e
tornò in negozio,
sperando ardentemente che il suo pacco
se ne fosse andato, o meglio, che non l’avesse vista in
faccia.
Si
rifugiò nel suo mondo fatto di carta e nastri
d’arricciare, impacchettando come
una furia e smaltendo la fila.
Passò
il resto del pomeriggio a rimettere a posto magliette e maglioni negli
scaffali,
ad impacchettare gli acquisti dell’ultimo minuti di
un’altra ventina di persone e
a cercare di non uccidersi per il dolore alla caviglia.
Ormai
non sentiva più il piede, ma solo dolore. Fitte atroci che
le facevano ingoiare
imprecazioni su imprecazioni.
<<
Che fatica oggi. Sono proprio stanca. >> Susan
rischiò la vita per
qualche secondo, prima di lasciarla da sola a chiudere il negozio.
Chiuse
la cassa, spense le luci, inserì l’allarme e
finalmente tirò giù la
saracinesca.
Libera.
Almeno fino alla mattina dopo.
Per
la
via c’erano coppie e coppiette che si scambiavano languide
occhiate e baci più
o meno casti.
San
Valentino per lei era finito nell’esatto momento in cui aveva
battuto l’ultimo
scontrino.
Niente
più pacchi e pacchetti con sgargianti cuori sopra.
Si
strinse meglio la sciarpa al collo, liberando i capelli che erano
rimasti
incastrati tra i vari strati di lana.
<<
Mya? >> Le prese quasi uno spavento al suono di quella
voce profonda e
divertita.
Si
girò
lentamente, come in uno di quei film horror.
Un
ragazzo alto, in jeans e giacca di pelle. Ma quei jeans…
Denim ultimo modello…
proprio come quelli che vendevano nel suo negozio… proprio
come quelli che il pacco si stava
provando in quel
camerino.
Non
poteva essere lui. E soprattutto non poteva sapere il suo nome.
Le
si
avvicinò con un sorriso timido sulle labbra e una mano a
scompigliarsi i ricci
castani.
<<
Ehm… credo che questa sia tua. >> Le
allungò una mano dalla quale pendeva
una fine collanina.
Sul
palmo le tre lettere in finto oro brillavano alla luce dei lampioni.
Si
vedeva lontano un miglio che quello scarto di bigiotteria valeva si e
no cinque
euro, ma lui gliel’aveva riportata lo stesso.
Avrebbe
potuto lasciarla alla cassa o semplicemente per terra.
<<
I-io… sì. Sì, grazie per averla
raccolta. >> Forse sciarpa e piumino
erano eccessivi, sentiva già abbastanza caldo per
l’imbarazzo e il suo viso non
era certo rosso a causa del freddo.
<<
Lucas. >>
<<
Come? >> Era così intenta nello sprofondare
nel suo imbarazzo che non
capì nemmeno cose le stesse dicendo.
<<
Mi chiamo Lucas. >> Si passò ancora una volta
la mano tra i capelli,
lasciandola per qualche secondo di troppo sulla nuca.
<<
Ah! Sì, giusto. Io Mya! >> Stupida!
Lo sa già come ti chiami!
<<
Ehm… cioè… piacere di cono…
scerti. >> Si sarebbe data una manata in
faccia da sola per l’idiozie che le uscivano di bocca.
Lucas
si mise a ridere nervosamente e lei lo seguì poco dopo.
<<
Scusa è che… di solito mi presento prima che una
ragazza posso vedermi senza
pantaloni! >> Risero per l’assurdità
di come si erano conosciuti.
<<
Posso… posso offrirti da bere, per scusarmi? >>
<<
Non hai nulla di cui scusarti… >> Le disse con
gli occhi rivolti a terra.
Era
già
pronta a girare i tacchi – il tacco! – e tornarsene
a casa quando Lucas
continuò a parlare.
<<
Ma accetto volentieri l’invito! >> Le sorrise
facendola arrossire ancora
di più.
L’incarto
di quel pacco era davvero troppo adorabile, altro che cuori e stelline.
In
fondo… lei con i pacchi lavorava tutti i giorni, che male
c’era se per una
volta fosse stato un pacco a lavorare lei?
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